CESTONI, Giacinto

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 24 (1980)

CESTONI, Giacinto (Diacinto)

Ugo Baldini

Nacque il 10 maggio 1637 (fu battezzato il 13) a Santa Maria in Giorgio, oggi Montegiorgio (Ascoli Piceno), da Vittorio, in una famiglia di modesta condizione. Seguì studi regolari. fino al 1648, allorchéfrequentava le classi di grammatica; i genitori infatti lo misero per due anni come apprendista presso una spezieria locale, e quindi nel 1650 lo inviarono a Roma, dove il C. lavorò in un'altra spezieria, forse affidato alla protezione di F. Boncori; conterraneo e vice protomedico dello Stato della Chiesa.

Nel 1656, come narrò egli stesso al Vallisnieri, disponendo di qualche risparmio e volendo migliorare la sua condizione, s'imbarcò alla cieca su di una nave, con la quale giunse a Livorno, dove lavorò nella spezieria d'un certo Salomoni fino al 1666, quando, "per alcuni arzigogoli, che mi passavano per il cervello", si rimise in mare sbarcando a Marsiglia, donde passò poi a Lione e a Ginevra. Qui soggiornò per alcuni mesi, ma l'esperienza di lavoro in una farmacia e quella della vita della città furono negative a tal punto che preferì ritornare a Livorno, dove il Salomoni lo vincolò definitivamente alla spezieria, di cui era padrone ma che non poteva gestire non avendone la qualifica, nominando il C. "ministro", cioè gestore responsabile, e dandogli in moglie nel 1668una sua cognata. Dopo il matrimonio egli s'integrò talmente nella Livorno medicea chenon se ne allontanò più, giungendo ad adottare la forma toscana del proprio nome, Diacinto.

Non è ben chiaro come nascesse in lui l'interesse per la ricerca scientifica: in generale il C. dovette subire l'influenza del clima esistente allora nella medicina toscana per la presenza di personalità come il Borelli, il Bellini; l'episodio decisivo fu però nel 1680 la conoscenza con il Redi, che come proto-medico dei Medici aveva seguito la corte in un viaggio a Livorno; d'allora in poi i due mantennero un contatto epistolare piuttosto assiduo fino alla morte del medico aretino. Questi incoraggiò e orientò gli interessi dell'amico verso tutta una serie di ricerche; è stato osservato, in modo probabilmente esatto, che la parte sostanziale dei risultati che il C. verrà esponendo anni dopo nelle sue lettere al Vallisnieri risale al dodicennio di più intensa corrispondenza con il Redi. A Livorno egli non operò isolatamente; attorno a lui s'era costituito un ristretto circolo di amici, in genere personalità di spicco nella Livorno del tempo, tra cui G. Attias, G. English ed il giovane medico Giov. Cosimo Bonomo, che fu il suo principale collaboratore, sostituito, dopo la morte prematura, da M. Ittieri. Risale a questi anni una serie di osservazioni, parte fisiologiche e farmacologiche, parte zoologiche e botaniche. Meritano di essere ricordate quelle sugli spermatofori dei Cefalopodi (1683) e sulla fruttificazione dell'alga marina (la Zostera linneana), di cui mostrò la riproduzione sessuale smentendo le tesi sulla sua origine da processi fermentativi e restringendo così, a integrazione del Redi, l'area delle pretese generazioni spontanee. I risultati di queste osservazioni, inviati alcuni anni dopo al Vallisnieri, saranno da questo pubblicati (Dell'origine delle pulci nell'uova,e del seme dell'Alga marina, in Esperienze ed osservazioni intorno all'origine,sviluppi e costumi di vari insetti, Padova 1713, pp. 83 ss.).

Il risultato di questa fase, e il più noto dell'attività del C., è il complesso di osservazioni che accertarono l'origine acarica della scabbia, fino ad allora ritenuta conseguenza di alterazioni metaboliche e umorali, e comunque di origine non parassitaria. Le osservazioni furono effettuate dal C. unitamente al Bonomo, il quale le espose in una lettera al Redi che questi fece stampare (Osservazioni intorno a' pellicelli del corpo umano. Lettera al Redi, Firenze 1687).

Il fatto che la lettera, molto diffusa, fosse scritta dal Bonomo e comparisse sotto il suo solo nome anche nella versione latina di G. Lanzoni (Observationes circa humani corporis teredinem a I. C. Bonomo ... ad ... F. Redum... conscriptae, in Miscellanea curiosa sive Ephemeridum medico-physicarum Germanicarum Acad. imperialis Leopoldinae Naturae Curiosorum, dec. II, X, Norimbergae 1692, App. III, pp. 33-44) generò una lunga polemica tra coloro che attribuivano la priorità della scoperta al Bonomo e coloro che l'assegnavano al C., giungendo alcuni a vedere nel nome del Bonomo, personaggio la cui realtà è solidamente provata, nient'altro che uno pseudonimo del Cestoni. In realtà il lavoro osservativo dovette procedere in comune, e il fatto che la comunicazione al Redi fosse scritta dal Bonomo si spiega con la circostanza che, come medico, egli era più atto a corredare le osservazioni sugli Acari con considerazione fisiologiche e terapeutiche; la parte microscopica delle osservazioni fu forse maggiormente opera del C., che in una lettera del gennaio 1710 al Vallisnieri presenterà la scoperta come essenzialmente sua. In un certo senso le due personalità, con le differenti abilità di cui erano portatrici vennero a fondersi nella unità della ricerca, così contribuendo alla scoperta nei suoi aspetti concettuali e in quelli tecnici.

Con gli anni, e forse anche tramite il Redi, il C. stabilì rapporti con esponenti della cultura dell'epoca, cercando costantemente di sfuggire alla chiusura provinciale; tra i suoi conoscenti e corrispondenti vi furono, tra i medici, il Malpighi, il Bellini, lo Zambeccari e il Del Papa, e tra gli eruditi il Magliabechi, cui ricorse spesso per farsi inviare pubblicazioni, e lo stesso Muratori. Un particolare significato, umano e culturale, rivestì l'amicizia con G. B. Ricciardi, docente difilosofia teoretica a Pisa, sostenitore del galileismo, che lo orientò verso una forma di sperimentalismo spregiudicato. Se a questo influsso culturale antidogmatico si associa la disposizione osservativa del C., in lui nativa in quanto scevra da ogni accademismo, si chiarisce il tono "storico" delle sue ricerche, consistente nell'esame accurato e ripetuto di singoli comportamenti animali e vegetali, senza connetterli in vaste sintesi interpretative esigenti anelli di collegamento concettuali preesistenti alla indagine.

Queste considerazioni consentono di fissare non genericamente il suo ruolo nello sviluppo della biologia nel suo tempo, e di associare la sua figura a un preciso gruppo di ricercatori con caratteristiche analoghe alle sue; nel mentre nel secondo Seicento, entrata in crisi la fisiologia galenica, si stava affermando il nuovo meccanicismo biologico, erano già in corso certi sviluppi estensivi e intensivi nel patrimonio osservativo, che nel Settecento avrebbero invalidato anche quella nuova sintesi, mostrandone il semplicismo. Questo arricchimento e quasi dilatazione della natura era forse maggiormente possibile a chi non fosse permeato dalla trascorsa atmosfera intellettuale: tale era il caso di "indotti" come il C. e il Leeuwenhoeck, assai vicini umanamente e scientificamente. In questi limiti, e nel senso preciso del contributo dato ad una direzione d'indagine destinata alla lunga a ristrutturare tutto un universo nozionistico e lessicale, si può accettare l'opinione di chi ha visto nel C. "lo scienziato biologo più moderno del Seicento italiano", superiore in molte vedute al Redi e al Vallisnieri (Baglioni). L'accoglimento di un giudizio così impegnativo è reso difficile dal fatto che, per una sorta di soverchia autocritica e per l'impianto rigorosamente particolaristico della sua indagine, il C. non pubblicò alcuno scritto, limitandosi a comunicare per lettera i suoi risultati ai corrispondenti: perciò manca una sistemazione organica della sua attività di ricercatore.Per le sue ricerche il C. avvertiva il bisogno d'un orientamento teorico quanto al loro valore ed alla congruenza col patrimonio scientifico dell'epoca, e questo compito fu assolto per molti anni dal Redi. Morto questo, a partire dal giugno 1697 egli si rivolse al Vallisnieri, col quale terrà fino al 1718 una nutrita corrispondenza, che offre un quadro dettagliato non solo dei risultati e dei metodi del C., ma anche della sua personalità e della vita toscana dell'epoca. Sono andate smarrite le risposte del Vallisnieri, ma questi pubblicò le osservazioni del C. parsegli più interessanti, corredandole puntualmente con sue considerazioni. Particolarmente interessante è una lunga lettera del C. dell'agosto 1698 sui costumi e la biologia di varie specie d'insetti osservati sui cavoli (il Vallisnieri la stampò in estratto in appendice alla sua traduzione dal francese del Trattato dei rimedi per le malattie del corpo umano, Padova 1709). In tono dimesso vi compaiono fatti per allora rivoluzionari, come la partenogenesi degli Afidi, l'insospettabile molteplicità di livelli dimensionali tra insetti, alcuni dei quali così piccoli da parere al microscopio "atomi infarfallati", gli stadi metamorfici propri delle varie specie, le forme di parassitismo larvale di alcune su altre. Per tramite di queste pubblicazioni le osservazioni del C. diverranno accessibili al Réaumur, che le confermerà e amplierà, cosicché in seguito esse verranno per lo più associate al suo nome.

Altre osservazioni del C. divulgate dal Vallisnieri furono quelle sui camaleonti, da lui per la prima volta studiati in modo sistematico; su un tipo di locusta detta grillocentauro dal C. e ragnolocusta dal Vallisnieri; sulle teredini del fasciame delle navi e sul modo di impedirne i danni; sull'anatomia e i costumi della mosca dei rosai; sulle proprietà terapeutiche della salsapariglia e della chinachina, che il C. confermò, stabilendone anche i modi d'impiego. Si possono ancora ricordare quelle sull'origine zoologica delle galle delle piante, sulla scia del Redi, sui pedicelli ambulacrali degli Echinodermi, e i presentimenti dell'animalità del corallo. Vi sono anche, molto anteriori a quelle di Spallanzani, osservazioni sugli infusori dell'acqua e sulla misura della loro resistenza al calore. In generale, quello che si può chiamare "antiideologismo" delle lettere appare nella piena accettazione delle osservazioni di Leeuwenhoeck sugli animaletti presenti nello sperma umano, negate da tutti i più notevoli ricercatori italiani del momento: "una cosa morta non può ritornar viva, ma solo può servire per alimentare cose vive, sicché credo, che in tutti li vasi spermatici vi siano viventi" (lett. del 3 luglio 1699). L'elenco delle pubblicazioni sarà fatto dal Vallisnieri stesso nel necrologio dell'amico comparso nel Giornale de' letterati d'Italia.

Ove si astragga dai singoli risultati, la fisionomia di ricercatore del C. ha tratti marcati di modernità anche per l'uso sistematico da lui fatto del microscopio, tale da porlo, accanto al Malpighi, al livello dei grandi microscopisti del tardo sec. XVII. Gli strumenti da lui usati fornivano dai cento ai duecento ingrandimenti, ed egli seppe utilizzarli al limite delle loro possibilità. Interessante è anche la sua concezione del ruolo dei farmaci, cui si deve ricorrere solo per stretta necessità come a coadiuvanti della natura; contro gli eccessi della scuola chimica paracelsiana, il C. pose quindi in primo piano le capacità dell'organismo di autocurarsi, sostenendo la necessità di agevolarle con un regime di vita temperato e prevalentemente vegetariano, da lui stesso praticato (ciò che nella tradizione livornese passò in motto come "ricetta del Cestoni"). Il sostanziale inserimento sociale e le amichevoli relazioni con esponenti del ceto dominante (il principe Ferdinando de' Medici, figlio di Cosimo III, lo fece nominare protospeziale di Livorno e, quand'era in città, amava conversare con lui) non valsero però a impedire, ma al più a velare nella espressione pubblica, una sua profonda disillusione quanto ai modi di funzionamento del potere alla sua epoca. Questo sentimento, che lo accomuna alle personalità più notevoli del Seicento italiano, trova sfogo nelle lettere al Vallisnieri in espressioni brevi e caute ma inequivoche quanto al senso. Un certo suo tepore nella pratica del culto lo rese sospetto di libertinismo filosofico, mentre in realtà il suo atteggiamento fu quello di un'accettazione della tradizione, sia pure disincantata e su basi consuetudinarie. Allorché, giunto in punto di morte, espose le sue convinzioni ad un religioso, al corrente delle voci sulla sua incredulità, questi rimase sorpreso dal candore e rigore che avevano animato lo studioso, e questa sua impressione, resa manifesta, dissipò i sospetti: anche in questo caso la sostanziale identificazione del momento religioso con quello morale, privando il primo delle sue connotazioni teologiche e liturgiche, rispondeva alla logica d'uno spirito animato da una robusta idea della razionalità, anche se non radicale nelle scelte.

Il C. morì a Livorno il 29 genn. 1718.

Fonti e Bibl.: Una interessante lettera diretta al C. dal principe Ferdinando de' Medici, del 28 luglio 1705, è alla Bibl. Labronica di Livorno, Autografoteca Bastogi, 75, 1556. Le lettere del C. al Vallisnieri sono state edite, con ampia introd., a cura di S. Baglioni, Epist. ad Antonio Vallisnieri, I-II, Roma 1940-41. Sul C. esiste un'ampia letter. critica, ma per lo più dedicata all'esame di aspetti assai specifici della sua opera. A. Vallisnieri, Necrologio, in Giorn. de' letter. d'Italia, XXX (1718), pp. 327-37; J. P. Niceron, Mémoires pour servir à l'histoire des hommes illustres dans la République des lettres avec un catalogue raisonné de leurs ouvrages, Paris 1729-45, XV, p. 13; G. A. De Soria, Raccolta di opere ined. date per la prima volta alla luce. Contenente i caratteri di vari uomini illustri, I, Livorno 1783, pp. 101-04; L. Magnanima, Elogio di G. C. naturalista e cittadino livornese, Livorno 1785, F. Vecchietti-T. Moro, Biblioteca picena,ossia notizie istor. delle opere e degli scrittori piceni, III, Osimo 1796, p. 202; P. Sangiorgio, Elogio di D. C., speziale e filosofo livornese, Milano 1812; T. A. Catullo, G. C., in E. De Tipaldo, Biografia degli Italiani ill., I, Venezia 1834, pp. 381 ss.; F. Inghirami, Storia della Toscana, XII, Fiesole 1843, p. 443; S. De Renzi, Storia della medicina in Italia, IV, Napoli 1846, pp. 75, 88, 356, 411, 424, 465; F. Pera, Ricordi e biografie livornesi, Livorno 1867, pp. 122-33; A. Emiliani, G. C. Studio biografico, Fermo 1876; F. S. Felici, Lettera prima del C. al Vallisnieri, Montegiorgio 1878; P. A. Saccardo, La botanica in Italia. Materiali per la storia di questa scienza, in Mem. del R. Ist. veneto di scienze,lett. ed arti, XXV (1895), p. 50; XXVI (1901), p. 35; G. B. De Toni, Frammento epist. di G. C. sull'animalità del corallo, in Riv. di fisica,matem. e scienze naturali, VIII (1907), pp. 113-17; Id., Di una esperienza di D. C.: frammenti ined., in Rendiconti dell'Acc. dei Lincei, classe di sc. fis., mat. e nat., s. 5, XVII (1908), 3, pp. 103-10; Id., Alcune consider. sulla flora marina, in La Nuova Notarisia, XXVII(1916), p. 87; A. Corsini, G. C., in Riv. di storia critica delle scienze med. e natur., VIII (1918), pp. 413-26; G. B. De Toni, Appunti su D. C., ibid., IX (1919), pp. 1922; G. Stefanini, D. C., in Gli scienziati ital. dall'inizio del Medio Evo ai nostri giorni, a cura di A. Mieli, I, 1, Roma 1921, pp. 122-27; A. Razzanti, F. Redi e la scoperta della patogenesi della scabbia, in Riv. di st. d. scienze mediche e nat., s.3, XVIII (1927), 7-8, pp. 167-92, P.Pellini, Uno speziale livornese: G. C. (1637-1718), in Officina, IX (1930), pp. 282-89; U. Faucci, L'opera del Bonomo,del C. e del Redi nella scoperta della natura parassitaria della scabbia, in Arch. ital. di dermat., sifilografia e venereol., VII(1931), 1, pp. 99 s.; Id., Contr. alla storia della scabbia, in Riv. di st. delle scienze mediche e naturali, XXII (1931), pp. 153-170, 198-215, 257-371, 441-475; V. Ducceschi, La scoperta del parassita della scabbia in alcune lettere ined. di G. C. ad A. Vallisnieri, in Atti e mem. della R. Acc. di scienze,lett. ed arti di Padova, XLIX(1933), pp. 27-32; G. Natalucci, Medici insigni ital. nati nelle Marche, Falerone 1934, p. 69; M.Laiguel-Lavastine, Hist. gén. de la médécine,de la pharmacie,de l'art veterinaire, II, Paris 1936, p. 562; Onoranze a G. C., Bonomo e a D. C. La polemica Bonomo-Lancisi sull'origine acarica della scabbia, Livorno 1937; G. M. Nardi, L'opera scient. di D. C. nella valutazione di René de Réaumur, in Riv. di storia delle scienze mediche e natur., XXVIII(1937), 7-8, pp. 202-03; R.Friedman, G. C. Bonomo(1666-96): the 250th anniversary of his discovery of the parasitic nature of scabies, in Medical life, XLIV (1937), 1, pp.3-62; L. Tommasi. La prima scoperta della natura vivente della causa di una malattia contagiosa, Palermo 1938, passim;G. Bizzarini, Gli innesti animali operati da G. C., in Rivista di storia delle scienze mediche e naturali, XXIX (1938), 5-6, pp. 148-52; Id., G. C., biologo,igienista,farmacologo,naturalista, in "Atti e memoriedell'Acc. di storia dell'arte sanitaria", in Rass. diclinica,terapia e scienze affini, XXXVIII(1939), 1, pp. 28-36; A. Razzauti, D. C. ed il suo epistolario ad A. Vallisnieri, Livorno 1941; S. Baglioni, G. C. (1637-1718),parassitologo, in Riv. di parassitologia, VI (1942), 1, pp. 1-12; G. Alberti, Tre lettore ined. di D. C. ad A. Vallisnieri, in Atti d. riunione d. Soc. ital. di storiadelle scienze mediche e natur., Firenze 1943, pp. 9 s.; A. Pazzini, Storia d. medicina, Milano 1947, I, pp. 283, 466; II, p. 78; E. Cecchi, L'amico dei camaleonti, in Corse al trotto e altrecose, Firenze 1952; M. Tinti. D. C., in Uominidi Livorno, Livorno 1969, pp. 96 s.; L. Belloni, C. G., in Dict. of Scient. Biogr., III, New York 1971, p. 180.

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