COLLEGNO, Giacinto Ottavio Provana di

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 26 (1982)

COLLEGNO, Giacinto Ottavio Provana di

Guido Ratti

Terzogenito di Giuseppe Francesco e di Anna Morand di Saint-Sulpice, nacque a Torino il 4 giugno 1794. A sette anni, secondo una consuetudine abbastanza diffusa tra le famiglie più in vista della nobiltà piemontese, fu inviato a studiare al collegio de' Tolomei di Siena, insieme con Guglielmo Moffa di Lisio, coi fratelli d'Azeglio, con Clemente Solaro della Margarita, con Ignazio Thaon di Revel, e altri. Nel 1806, in ottemperanza all'editto napoleonico chevietava all'aristocrazia subalpina di far educare all'estero i propri rampolli, tornò a Torino, dove fu affidato alle cure di un istitutore privato. Tre anni dopo superò gli esami d'ammissione all'accademia militare di Saint-Cyr, da cui uscì, non ancora diciottenne, tenente di artiglieria. Inviato subito sul fronte russo, a Vilna, ebbe l'incarico di organizzare il servizio ospedaliero nelle retrovie: poco dopo, nel dicembre 1812, durante la rotta dell'armata francese, ferito ad un piede, venne catturato dai Russi. Spogliato di tutto, riuscì ugualmente a fuggire ricoprendosi con gli stracci strappati ai cadaveri dei commilitoni abbandonati lungo la strada e raggiungendo le retroguardie francesi. Ristabilitosi, fu di nuovo spedito al fronte per la campagna del '13, ove si distinse specialmente a Bautzen, a Dresda ed a Lipsia. Notato nel corso di un'azione dallo stesso Napoleone, ne ricevette l'encomio unitamente alle insegne della Legion d'onore ed alla promozione a capitano.

Al crollo dell'Impero il C. si dimise dall'esercito francese e rientrò in patria, ove venne ammesso nell'armata sarda con la consueta retrocessione d'un grado: tuttavia, alla presa di Grenoble nella campagna del 1815, dimostrò tale abilità da venir reintegrato nel grado di capitano, ottenendo anche la decorazione dell'Ordine militare di Savoia. A Torino egli entrò subito nella cerchia dei giovani ufficiali legati al principe di Carignano, del quale divenne ben presto uno dei più intimi. Il gruppo, in cui spiccavano col C. il Santarosa, il San Marzano, il Moffa di Lisio, il Balbo, il Dal Pozzo della Cisterna, sognava una guerra contro l'Austria e un cospicuo ingrandimento del regno. Benché tali atteggiamenti fossero noti a corte, nessuno dei giovani era stato rimproverato: anzi, per molti di loro (e fra questi certamente il C., scudiero del principe nel 1816 e poco dopo maggiore) la carriera fu assai rapida e brillante. Sentendosi implicitamente incoraggiati, essi presero a discutere, alla piccola corte di palazzo Carignano, dei problemi italiani, di progetti costituzionali e ad incontrarsi con intellettuali forestieri (il Capponi, ad es., del quale proprio il C. divenne intimo amico). Da queste discussioni e da questi incontri maturarono i primi contatti con l'ambiente delle sette: nell'inverno del '19, infatti, il C. con il conte di Baldissero (aiutante di campo del Gifflenga) si recò a Napoli per iscriversi all'Alta Vendita carbonara e per incontrarvi - come affermava l'anonimo e ostile autore del Simple récit (p. 66) - "Filangieri, Carrascosa et d'autres restes impurs du règne de Murat". Dall'iscrizione alla carboneria alla cospirazione il passo era breve: e difatti il C. e gli altri giovani, probabilmente senza chiarire fino in fondo il rapporto col principe ereditario, ritenuto comunque il leader del gruppo, progettarono il colpo di mano per strappare a re Vittorio Emanuele la carta costituzionale. Si giunse così alla rivoluzione del marzo 1821. Il C. partecipò al celeberrimo colloquio del 6 marzo con Carlo Alberto, insieme col Lisio, col San Marzano e col Santarosa. È noto che su questo incontro e sui suoi sviluppi nei giorni immediatamente successivi le interpretazioni sono alquanto discordanti: comunque la rivoluzione scoppiò nella notte tra il 9 ed il 10 marzo nella cittadella di Alessandria, dove il C. si portò subito con il San Marzano. Nominato comandante della piazzaforte subito dopo la proclamazione della costituzione, il C. fu senza dubbio uno degli uomini maggiormente compromessi in quei giorni; il 21 marzo, con Santarosa e Lisio, cercò un ultimo abboccamento col reggente per indurlo a disobbedire agli ordini di Carlo Felice. Fallito il tentativo, la situazione precipitò con la fuga di Carlo Alberto da Torino. Il C. collaborò in quel frangente col colonnello Regis per organizzare l'esercito costituzionale e perciò, dopo lo scontro di Novara, non gli rimase altra alternativa che l'esilio, tanto più che nel successivo luglio i tribunali torinesi lo condannarono alla confisca dei beni ed alla pena di morte (eseguita in effigie).

Rifugiatosi dapprima a Ginevra, alla fine del '21 passò a Marsiglia: ma ben presto anche qui il terreno cominciò a scottare. Coinvolto nelle trame cospirative di gruppi bonapartisti e repubblicani francesi, il C. dovette fuggire in gran fretta nei primi mesi del '22, rifugiandosi in Inghilterra. Qui conobbe, durante un viaggio in Scozia, Antonio Trotti, del quale più tardi sarebbe divenuto cognato, e prese a frequentare i membri più in vista del gruppo di esuli italiani; ma, uomo d'azione, finì col legarsi soprattutto agli spagnoli: con loro e con alcuni italiani e francesi partì, nel dicembre 1822, alla volta della penisola iberica per prestare la sua spada in difesa del governo costituzionale spagnolo. Grazie alle relazioni ed alle amicizie contratte sui campi di battaglia napoleonici, ne ricevette invece un incarico diplomatico: gli fu affidata la missione di convincere il governo portoghese ad allearsi con la Spagna per opporre un fronte iberico unito contro la Santa Alleanza. Fallito il tentativo e poco dopo la stessa esperienza costituzionale spagnola, il C. abbandonò la Spagna per riparare nuovamente in Inghilterra: ma deluso ben presto dai rapporti con l'ambiente degli esuli italiani (aveva incontrato il Foscolo, col quale però s'era trovato spesso in disaccordo), nel novembre 1824 decise infine, insieme coll'amico Santarosa, di riprendere la via dell'azione accorrendo in Grecia a combattere contro i Turchi. Le accoglienze delle autorità elleniche, preoccupate per il risvolto diplomatico che la presenza dei due celebri esuli poteva comportare nei confronti delle potenze europee, non furono però molto calorose, specie nei confronti del Santarosa che fu costretto ad arruolarsi come soldato semplice; il C., invece, fu destinato al comando del genio nella fortezza di Navarrino. Alla caduta della fortezza egli seppe della morte dell'amico, e, accortosi che i Greci erano giunti a sospettare della sua lealtà, profondamente indignato abbandonò immediatamente la Grecia e si recò in Belgio. Di qui indirizzò una durissima lettera di protesta ai deputati greci del comitato di Londra, accusandoli di aver tenuto un comportamento scorretto nei confronti suoi e dello scomparso amico e rinfacciando loro l'ingratitudine del governo ellenico, colpevole di non aver neppure ricordato il sacrificio del Santarosa. Con questa fiera presa di posizione il C., profondamente deluso dai movimenti rivoluzionari e dall'ambiente delle sette, chiuse la propria esperienza di soldato e di cospiratore, per riprendere, in Belgio nel '27, quegli studi che giovanetto aveva abbandonato per la carriera militare.

Particolarmente portato verso le scienze naturali, si dedicò allo studio della botanica, trasferendosi nel '31 a Ginevra per seguire le lezioni di Augustin de Candolle. Il trasferimento a Ginevra fu anche dovuto al fatto che, salito al trono in quello stesso anno Carlo Alberto, il C. dovette sperare in un'amnistia o in una grazia: sebbene nulla avvenisse in tal senso, ma solo la commutazione, alla fine del '34, della pena di morte in esilio perpetuo, le pressioni dei congiunti (i fratelli, Giuseppe e Luigi, erano alti funzionari governativi) gli fecero ottenere, perlomeno dall'estate 1835, il permesso di passare le vacanze in Piemonte, a Bardassano, con la famiglia. Fu allora che il C., a Ginevra, conobbe Alberto La Marmora: quest'incontro, e l'amicizia profonda che nacque, furono determinanti per l'evoluzione degli interessi scientifici del C., che da allora si dedicò soprattutto alla geologia. Nel '35 in effetti si iscrisse alla facoltà di scienze naturali dell'università di Parigi: conseguita la laurea nel '38, trovò subito impiego come lettore di botanica, mineralogia e geologia presso l'Istituto superiore di studi di Bordeaux, per diventare poi insegnante ordinario.

Nel 1836, frattanto, s'era sposato a Bonn con Margherita (Ghita) Trotti di Bentivoglio, conosciuta qualche anno prima in Belgio, a Gaesbeek, nel castello di Giuseppe e Costanza Arconati Visconti (cognato e sorella di Margherita), un cenacolo frequentato da intellettuali italiani e stranieri (come il Berchet, il Manzoni, lo Schlegel, lo Scalvini, l'Arrivabene, il Gastone, ecc.). Il matrimonio con la Trotti (donna di intelligenza e di cultura superiori, spesso ispiratrice del marito anche in politica) rinsaldò i legami che già univano il C. ai più prestigiosi nomi della aristocrazia liberale lombarda (i Confalonieri, i Casati, ecc.) e soprattutto contribuì a fare di lui un uomo politico ed un intellettuale cosmopolita. Fama di valente scienziato il C. s'era già guadagnata coi suoi studi geologici, tanto che nel '41 il Matteucci aveva consigliato il governo toscano di chiamarlo a tenere lezioni nello ateneo fiorentino: ma solo nel '45 il C., che nel '42 aveva beneficiato dell'indulto albertino per le vicende del 1821, si indusse a lasciare Bordeaux (in parte a causa di una contestazione studentesca) per stabilirsi a Firenze accettando l'incarico di insegnare in quell'università. Sull'Arno egli si ritrovò tra vecchi amici (il Capponi, il Giusti, il Galeotti, il Salvagnoli, gli Arconati, ecc.), allacciò nuove relazioni, inserendosi autorevolmente nel dibattito politico e culturale di quegli anni; ed in breve divenne uno dei punti di riferimento di quel gruppo di nobili e di intellettuali moderati (come i fratelli d'Azeglio, il Balbo, il Predari, il Troya) dal cui seno doveva nascere, nel luglio 1846, l'Antologia italiana. Furono questi, tra il '46 ed il '48, anni di intensa attività per il C.: accanto allelezioni universitarie ed alla collaborazione con la rivista piemontese, un impegno notevolissimo egli profuse nella battaglia politica contro la repressione austriaca nel Lombardo-Veneto, ottenendo le adesioni del Pasolini e del Rossi. Fra la fine del 1847 ed il febbraio del 1848 anche le sue competenze militari vennero messe a frutto: ebbe difatti (su segnalazione di Salvagnoli e, probabilmente, di Vieusseux) l'incarico di ispezionare le difese stanziali del granducato di Toscana; successivamente, richiesto di assumere il portafoglio della Guerra in quel governo, riuscì ad evitare l'impegno accollandosi tuttavia l'organizzazione del corpo dei volontari toscani. Ma ormai il precipitare degli eventi del '48 lo richiamava in Piemonte. Non appena Carlo Alberto concesse lo statuto, il C. fece finalmente ritorno a Torino, dopo ventisette anni di assenza. Nominato subito senatore (3 aprile) e tenente generale (3 luglio), fu inviato a Milano dove Gabrio Casati lo volle accanto, nel governo provvisorio lombardo, come ministro della Guerra: lo stesso incarico il C. ricoprirà poi in quell'effimero ministero (27 luglio-18 ag. 1848) che egli stesso formò per incarico di Carlo Alberto, affidandone la presidenza al Casati.

Conclusa questa brevissima parentesi ministeriale, continuò a condurre con tenacia la battaglia moderata a sostegno dei governi successivi; egli era infatti convinto dell'assoluta necessità di isolare le punte democratiche più accese le quali, radicalizzando la situazione politica, avrebbero finito col fare il gioco dell'Austria, provocandone un intervento stabilizzatore. Particolarmente efficace questo apporto si rivelò durante i governi presieduti da Massimo d'Azeglio, al quale il C. era legato oltretutto da antica e salda amicizia. La sua presenza costante in Senato ed il suo contributo attento ad ogni questione (particolarmente quelle di carattere militare e diplomatico) si accompagnavano, inoltre, ad un forte impegno privato: il salotto di casa Collegno divenne in quel periodo uno dei più frequentati dalla intellettualità liberal-moderata (vi si incontravano i d'Azeglio, Bonghi, Paleocapa, Lisio, Massari, diplomatici inglesi e francesi e persino, qualche volta, i Cavour) della capitale subalpina. Membro fra i più autorevoli e più in vista del Senato piemontese (sedette, tra l'altro, in permanenza nel Consiglio di guerra), gli furono affidati alcuni incarichi importanti o di prestigio. Nell'estate del '49, in effetti, fu delegato dai colleghi a recare, insieme col Cibrario, il saluto ed il ringraziamento del Collegio senatoriale a Carlo Alberto esule ad Oporto; commosso dalle condizioni di prostrazione in cui versava l'ex sovrano e memore dell'antico affetto che li univa, il C. gli chiese di poter condividere con lui l'esilio, ricevendone tuttavia un fermo rifiuto. Ben più delicata, da un punto di vista diplomatico, fu la missione a Parigi, nel gennaio 1852, in qualità di ministro plenipotenziario, in sostituzione del Gallina. La nomina del C., suggerita da Alfonso La Marmora, fu probabilmente dovuta sia alle vaste relazioni ch'egli aveva in Francia sia al suo passato di valoroso ufficiale napoleonico: ma ciò, anziché agevolare il C., lo danneggiò perché Luigi Napoleone e il governo francese vedevano in lui il rivoluzionario, l'amico di Victor Cousin, di Julius Mohl, il rappresentante di quei rouges che avevano condotto il Piemonte sulla china anticlericale e all'elezione del "sinistro" Rattazzi alla presidenza della Camera subalpina. Nonostante questo clima, a lui oggettivamente poco favorevole, il C. resse con intelligenza la legazione parigina fino all'ottobre 1852 (quando venne sostituito dal Villamarina) riuscendo a rimuovere alcune diffidenze che il presidente ed i governanti francesi nutrivano nei confronti della classe dirigente del Piemonte costituzionale.

Rientrato a Torino, riprese la propria attività in Senato: pur rifiutando altri incarichi o responsabilità, il suo impegno non si fece meno assiduo, nonostante la salute ormai visibilmente compromessa. I soggiorni torinesi furono intervallati in questi ultimi anni da brevi viaggi e da lunghe vacanze nella villa di Baveno, sul lago Maggiore. Qui il C. e la moglie vivevano tra gli amici più cari: leggendo le pagine del diario di Margherita pare "di ascoltare le conversazioni di Alessandro Manzoni e di Antonio Rosmini" (Malvezzi, Diario politico, pp. XI-XII) che, a Baveno, si tenevano quasi quotidianamente; rivivono gli incontri assidui con Massari, Bonghi, Minghetti, Alberto La Marmora, Tomasi, Alfieri; le frequenti visite di lord Hudson. Ma dalle pagine di quello stesso diario emerge anche l'impegno del C. in quegli anni, con i momenti e le figure fondamentali della storia politica del Piemonte fino al '56, tanto nel loro volto ufficiale, quanto nei retroscena meno noti. Del resto l'apporto del C. alla politica cavouriana, al di là di alcune divergenze, fu sempre puntuale nei momenti decisivi, insieme con la sua capacità di mediatore nelle situazioni più delicate: e, in particolare, in occasione della discussione sul trattato di alleanza con la Francia e con l'Inghilterra e sulla legge per la soppressione degli Ordini religiosi contemplativi.

Benché sorretto ormai da poche forze, nel marzo 1855, su invito di Giacomo Durando, s'indusse ad accettare il comando della divisione militare di Genova per organizzare l'imbarco delle truppe sarde per la Crimea. Prese le consegne, poco dopo scoppiava nella città una furiosa epidemia di colera: gli sforzi che il C. dovette prodigare per mantenere il controllo della situazione ne indebolirono ulteriormente la fibra e, alle soglie dell'inverno, lo costrinsero a rinunciare all'incarico. A Torino tuttavia riprese l'attività politica con la consueta alacrità, finché nella primavera del '56 s'indusse a prendere un periodo di riposo che trascorse in Toscana: peggiorando però le condizioni si ritirò con la moglie nella villa di Baveno (Novara) dove si spense, attorniato dagli amici più cari, il 29 sett. 1856.

I biografi del C. hanno spessoconsiderato, rispetto alla sua passione e attività politica, marginale, vaga e poco significativa la sua attività di studioso e ricercatore scientifico. Se innegabilmente il C. non raggiunse l'eccellenza nei suoi studi biologici e geologici, offre però un quadro molto interessante dell'intreccio dei due ordini di idee scientifiche imperanti nel clima culturale dell'epoca.

I primi decenni dell'Ottocento vedevano, infatti, lo svolgersi di quelle due linee di pensiero divergenti che avevano caratterizzato la fine del XVIII secolo: la concezione "conservatrice" della natura, costretta però a tenere in qualche considerazione la stratigrafia, e quindi il tempo, e la concezione dell'evoluzione della Terra nella sua storia di lento e lungo cambiamento, in cui talune forme si erano estinte ed altre si erano evolute e modificate, storia fondata sui processi minuti di decadimento, sulle caratteristiche litologiche e sulla documentazione fossile della paleontologia.

Nel 1835 il C. pubblicava a Parigi la sua prima monografia di geologia regionale: l'Essai géologique sur les collines de Superga,près Turin (in Mémoires de la Société géologique de France, II, pp. 193-209). L'articolo conteneva una dettagliata descrizione delle osservazioni e ricerche da lui compiute sulle colline del gruppo di Superga ed indicava le conclusioni a cui era giunto circa l'orogenesi di tali formazioni. Constatata la presenza di tre strati orizzontali ben netti, e quindi la discontinuità nella sedimentazione, il C. li metteva in relazione a tre ere geologiche ben distinte. Egli restava nell'ambito di un catastrofismo quasi puro, pur mostrandosi a conoscenza di alcuni dati "anomali" (ammetteva, ad esempio, che gli stessi fossili possano riscontrarsi in formazioni litologiche differenti), quei medesimi dati che nella seconda metà del secolo avrebbero fatto coagulare le due principali tendenze dell'epoca in una nuova struttura enucleatasi mediante il darwinismo.

Anche le traduzioni dall'inglese di alcune opere del geologo Henry T. De La Bêche, curate dal C. in questi anni, sono interessanti, e per le introduzioni critiche e per il rilevante apparato di note. Si tratta delle traduzioni de L'art d'observer en géologie, pubblicata contemporaneamente a Parigi ed a Strasburgo nel 1838, delle Recherches sur la partiethéorique de la géologie e le Coupeset vues pour servir à l'explication des phénomènes géologiques, apparserispettivamente a Bruxelles ed a Parigi nel 1839. Nel 1838 vedeva la luce a Parigi anche il saggio del C. Collines de Superga et plaines del'Astesan (in Sur les terrains tertiares du Nord-Ouest de l'Italie, pp. 591-617), in cui riprendeva alcune conclusioni dell'articolo del '35 e le estendeva studiando i bordi settentrionali delle Alpi e precisando l'orogenia della puddinga. Faceva riferimento alle tavole dei fossili dell'età terziaria di Deshayes, ed inoltre corredava la memoria di cartine geologiche originali della regione e di un catalogo dei fossili dell'età terziaria (media e superiore), presenti nel Museo di Torino, comunicatogli da E. Sismonda.

Il lavoro scientifico del C. quantitativamente più fecondo fu quello di questi anni. Sempre nel 1838 aveva pubblicato a Milano Sulla giacitura del carbon fossile in Europa,ossia delle località ove riscontrare si può con certezza questo combustibile, pregevole come tentativo di geologia applicata. Nel 1841 pubblicava a Bordeaux la Note sur les chances de succès que presentarait la continuation de sondage de la place Dauphine e l'anno successivo a Parigi il Mémoire sur la circulation des eaux souterraines dans le Sud-Ouest de la France, negli Annales des sciences géol. (IX, pp. 2 s.). Nel 1842 usciva a Bordeaux (nel Recueil des actes de l'Acad. Royale de Bordeaux, IV, pp. 6-21) la mon. scientifica Sur le métamorphisme des roches de sédiment et en particulier sur celui des dépôts de combustible. In questo scritto il C. non solo riconosceva che la teoria dello Hutton, che le rocce costituite da "stratificazioni" cristalline sono in realtà rocce sedimentarie trasformate dall'azione congiunta del calore e della pressione, non era così priva di fondamento come avrebbero voluto far credere i suoi avversari, ma giungeva a farla sua con l'introduzione delle riserve e delle modifiche già presentate dal Beaumont. Il C. chiamava il fenomeno col nome di "metamorfismo", dato dal Lyell nel 1825, e sottolineava fermamente la sua idea sulla storia della Terra come storia di diverse rivoluzioni seguite da periodi di totale tranquillità. La stessa fiducia nel "catastrofismo" geologico era ribadita nei saggi editi nel 1843, rispettivamente, a Parigi ed a Bordeaux: Sur les terraines diluviens des Pyrénées ed Essai d'une classification des terrains tertiares du département de la Gironde. Nel 1845 veniva pubblicata contemporaneamente a Parigi ed a Milano il Mémoire sur les terrains stratifiés des Alpes Lombardes, in cui il C. faceva risalire tali terreni sedimentari a tre periodi geologici distinti, formazione giurassica con scisti primitivi ricoperti da calcari, formazione cretacea in prevalenza composta di marna rossastra, formazione terziaria, più recente, composta da strati marnosi cerulei.

L'opera del 1847, edita a Torino, Elementi di geologia pratica eteorica destinati principalmente ad agevolare lo studio del suolo d'Italia, è indubbiamente caratterizzata dalla sua natura didattica di corso completo e composito e rivela la preoccupazione di differenziare, ma nel contempo presentare unitariamente, problemi propriamente geologici, di geografia fisica, paleontologici, litologici, mineralogici. Nel secondo volume (1847, pp. 484-509) dell'Antologiaitaliana del Predari, di cui era collaboratore, il C. pubblicava, intanto, la memoria Sull'invariabilità del livello del mare, in cui offriva una panoramica completa delle argomentazioni in materia sostenute dai geologi italiani durante i convegni tenutisi, dal 1839 al 1845, e concludeva adottando l'opinione di Elie de Beaumont di un mondo pressoché immutabile dall'ultimo cataclisma avvenutovi. Alla adunanza della Reale Accademia delle scienze di Torino, tenutasi il 23 febbr. 1851, il C. leggeva la sua Nota sui terreni dei contorni della Spezia, che sarebbe stata pubblicata tra le Memorie della Accademia (s. 2, XII [1851], pp. 237-244), in cui il problema del rapporto paleontologico-stratigrafico diveniva rilevante accanto ai problemi di composizione litografica e mineralogica del territorio. Negli anni successivi, fino alla morte, la sua attività scientifica sarebbe stata viva soprattutto come membro della Reale Accademia delle scienze di Torino e del Consiglio delle miniere.

Altri scritti: Thèse pour le doctorat-Geologie, Paris 1838; Thèse pour le doctorat-Botanique, ibid. 1838; Esquisse d'une carte géologique d'Italie, ibid. 1846; Ricordi per le truppe di fanteria in campagna, Firenze 1848. Inoltre: Sur les mouvements du sol en Scandinavie,et sur les terrains carbonifères du Hainaut, in Bulletin de la Société géologique de France, s. 1, IX (1837-38), pp. 81 ss.; Note sur l'âge des calcaires du lac de Como,en Italie,ibid., X (1838-39), pp. 214 ss.; Lettre adressée de Bordeaux sur les Ophites et les terrains crétacés de Dax et sur l'action destructive de la mer dans ces parages,ibid., pp. 307 ss.; Note sur les terrains de la Toscane, XIII (1841-42), pp. 263 ss.; A propos d'une lettre de M. Catullo sur les calcaires rouges des Alpes lombardes,ibid., s. 2, II (1844-45), pp. 58 ss.; Sur le terrain erratique du revers méridional des Alpes,ibid., pp. 284 ss.; A propos de la Marmite du Géant du lit de l'Arve,ibid., pp. 323 ss.; Sur les roches striées des environs de Genève,ibid., pp. 398 ss.; Au sujet d'un Mémoire de M. Pilla sur les puits de Livourne,ibid., pp. 404 ss.; A propos d'un Mémoire du comte Alexandre Spada sur la constitution géologique de l'Italie centrale,ibid., pp. 408-415; Sur le Trias,sur la dolomie du Tirol et sur le terrain jurassique d'Italie, IV (1846-47), pp. 576 ss.; Note sur l'île d'Elbe,ibid., V (1847-48), pp. 26 ss.; Notes sur un voyage en Espagne et en Portugal, VII (1849-50), pp. 344 ss.

D. Silvestri

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