CANTELMO, Giacomo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 18 (1975)

CANTELMO, Giacomo

Michel Hayez

Apparteneva ad una nobile famiglia provenzale che originariamente portava il nome di Gantiaume o Gantelme e non va confusa con quella dei Gaucelme o Gancelme ugualmente residente nella zona tra Arles e Tarascona. Era con tutta probabilità figlio del cavaliere Menappius o Menappo che nel 1265 accompagnò Carlo d'Angiò conte di Provenza nella spedizione per la conquista del Regno di Sicilia.

Il C. è ricordato per la prima volta nel 1260 come siniscalco angioino di Lombardia, ma è conosciuto soprattutto come il primo vicario di Carlo d'Angiò, eletto senatore di Roma nell'estate del 1263. Il C. assunse il suo ufficio probabilmente già nel dicembre dello stesso anno; nel gennaio del 1264 infatti Urbano IV gli ingiunse di restituire la dogana del sale agli abitanti di Terracina. Il 25 aprile il C. indirizzò a Carlo d'Angiò una bella lettera in francese, nella quale sollecitava la sua venuta, descrivendo la difficile situazione delle truppe angioine, che nella notte del 30 marzo erano riuscite a sventare un colpo di mano ghibellino. Disse testualmente: "Se Rome se pert, ce n'est pas en notre coupe car nous perdrons les personnes avec". Nel maggio riprese Sutri occupata da Pietro di Vico che in seguito assediò a Vico. Papa Clemente IV, che sin dalla sua elevazione al pontificato, e anche prima, aveva denunciato a Carlo d'Angiò la scarsezza dei mezzi di cui disponeva il C., nella prima metà del 1265 impiegò tutta la sua autorità per far ottenere al senatore e al suo vicario dei prestiti da parte di mercanti fiorentini, senesi e perugini. D'altra parte Clemente IV, il 31 dic. 1265, mosse aspri rimproveri al vicario angioino, accusato di essere penetrato con la forza nella chiesa del Laterano e di aver arrestato un ecclesiastico.

Dopo la sconfitta di re Manfredi nella battaglia di Benevento, il C. fu nominato giustiziere di Capitanata (talvolta con il titolo congiunto di Monte Sant'Angelo) e ricoprì questa carica dall'ottobre del 1266 all'aprile del 1267; si occupò tra l'altro di ripartire gli schiavi saraceni di Lucera tra le varie fortezze del suo giustizierato e di far amministrare i beni sequestrati ai partigiani di Manfredi. Alla battaglia di Tagliacozzo contro Corradino di Svevia (23 ag. 1268) comandò la prima schiera, composta in parte da guelfi italiani. Immediatamente dopo, nel settembre, fu mandato nuovamente a Roma per rappresentare Carlo d'Angiò, rieletto senatore, e questa volta a vita. Come vicario dovette far fronte, l'inverno successivo, alla carestia che aveva colpito Roma e fece venire del grano dalla Provenza.

Tra il maggio e l'ottobre del 1269, durante la sede vacante, il C. dette il suo appoggio militare ai cardinali, riuniti in conclave, per la questione di Lariano, introducendo delle truppe a Velletri e portandosi contro Riccardello Annibaldi. Continuò anche allora ad avere la mano pesante nei confronti dei sudditi del papa, il quale gli rimproverò di aver condannato sudditi pontifici a Farfa e in Sabina. Fu sostituito nella carica prima del marzo 1270, quando gli successe Pietro Summarosa.

Nel febbraio del 1272 il re lo nominò vicario generale di Brescia, Piacenza e del resto della Lombardia a Papia citra. Nell'agosto, a quanto pare, il C. controllava tutte le fortezze del vescovato di Brescia e attendeva il rinnovo della convenzione con i signori della Torre. L'11 nov. 1272 fu incaricato, insieme con il siniscalco di Provenza, di condurre trattative con i Comuni e i signori della Tuscia. Nell'aprile del 1273 il re lo nominò comandante della cavalleria in Lombardia e lo era ancora nell'agosto seguente quando il re faceva pazientare, in sua assenza, i suoi creditori. Verso il mese di febbraio fu podestà di Ascoli, carica che lo avvicinava alle sue signorie in Abruzzo.

Nel 1274 si trovava in Provenza, incaricato dal re della riscossione della taglia imposta per l'ordinazione a cavaliere del principe Filippo e della revisione dei conti del siniscalco. Ebbe inoltre l'incarico di contrarre a nome del re un prestito di 500 libbre tornesi. Nello stesso tempo dovette accogliere in Provenza e poi accompagnare nel Regno Clemenza, figlia di Rodolfo d'Asburgo, promessa sposa di Carlo Martello, nipote del re, ma per vari motivi la giovane principessa aveva rimandato la sua partenza. All'inizio del 1275 il C. e Jean de Maflers, consiglieri e famigliari di Carlo I, si dovettero trovare a Lione, dove si era riunito il concilio generale, incaricati di riscuotere il prestito regio, come risulta dall'ordine del re del 19 marzo 1275.

Subito dopo, nell'aprile del 1275, il C. negoziò con Asti la liberazione di tutti i prigionieri di questa città, dietro il pagamento di una somma di 100.000 libbre tornesi. In agosto il re tentò di stipulare la pace con i Genovesi, gli Astigiani e il marchese di Monferrato, ma senza successo. Nel quadro dell'appoggio militare offerto da Carlo I a Innocenzo V, il C. fu nominato, il 12 apr. 1276, capitano della Marca d'Ancona contro gli abitanti di Fermo e altri nemici della Chiesa.

Nello stesso anno, il 28 ott. 1276, prova di suprema fiducia, il re lo nominò nuovamente suo vicario a Roma, dove il C. rimase un anno intero, sicuramente fino al 17 ott. 1277 quando gli successe Hervé de Chevreuse. In quel periodo al pari degli altri baroni abruzzesi, dovette contribuire alla spedizione regia contro l'Impero di Bisanzio: insieme col fratello Bertrando fornì due navi.

Si trovava con tutta probabilità in Provenza, quando il 13 ag. 1278 il re gli ordinò di prendere contatti con il siniscalco di Provenza e il principe Carlo, per cercare, con il loro aiuto, cento famiglie provenzali da inviare a Lucera. Percepiva allora un salario di due once al mese. Dopo il 26 apr. 1284 fu giustiziere dell'Abruzzo Citeriore.

Per ricompensarlo dei suoi servizi il re gli aveva concesso i feudi di Popoli, Caramanico, Navelli, Pretoro, Pratola Peligna (quest'ultima devoluta alla Camera nel 1276 in seguito alla morte di Rogata Brancaleone), La Torre di Rocca di Evandro, Pizzoli, tutti in Abruzzo.

Secondo il Colarossi-Mancini morì nel 1288, lasciando i figli Restaino, Berengario e Francesca, nati dal suo matrimonio con una donna della famiglia de Saule.

Fonti e Bibl.: E. Martène-U. Durand, Thesaurus novus anecdotorum, II, Paris 1717, coll. 82-86; A. de Boüard, Actes et lettres de Charles Ier, Paris 1926, nn. 733, 768, 789; I registri della cancelleria angioina, a cura di R. Filangieri, I-XXII, Napoli 1950-1969, ad Indices; C.De Lellis, Discorsi delle famiglie nobili del Regno di Napoli, I, Napoli 1654, pp. 101-10; F. A. Vitale, Storia diplomatica de' senatori di Roma, Roma 1791, I, pp. 136-38, 147-52; B. Candida Gonzaga, Mem. delle famiglie nobili delle provincie meridionali d'Italia, I, Napoli 1875, pp. 156-59; P. Durrieu, Les Archives angevines de Naples. Etude sur les registres du roi Charles Ier, II, Paris 1887, pp. 203 s., 299; A. Colarossi-Mancini, Memorie storiche di Popoli fino all'aboliz. dei feudi, Popoli1911, pp. 62-67, 79; G. M. Monti, La domin. angioina in Piemonte, Torino 1930, pp. 10, 38, 41, 47, 397; A. Salimei, Senatori e statuti di Roma nel Medioevo, I, I senatori, Roma 1935, pp. 80, 82, 84, 201; E. Dupré-Theseider, Roma dal Comune di Popolo alla signoria pontif., Bologna 1952, pp. 93, 96, 105, 107-12, 134, 171, 181, 184 s., 245.

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