COLOMBO, Giacomo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 27 (1982)

COLOMBO, Giacomo

Giovanni Nuti

Quartogenito di Domenico e di Susanna Fontanarossa, nacque intorno all'anno 1468 a Genova, dove i suoi abitavano in una casa posta in vico Dritto, in borgo S. Stefano, fuori della porta S. Andrea. Non si posseggono informazioni sui primi anni della sua vita: seguì la famiglia a Savona, dove si mise a bottega come "famulus et discipulus" di Luchino Cademartori per impararne l'arte di tessitore di panni, impegnandosi a restare al suo servizio per ventidue mesi (atto del 10 settembre del 1484). Una volta concluso il suo apprendistato (che egli probabilmente doveva aver già iniziato nella bottega paterna, come sembra indicare la breve durata del servizio previsto dal contratto col Cademartori), non sappiamo se egli si sia trattenuto a Savona e vi abbia aperto bottega (il 17 novembre del 1491 si trovava in quella città, dove presenziava alla riscossione di un debito da parte del padre), o se abbia invece seguito a Genova Domenico (che era tornato a stabilirsi in questa città tra la fine del 1481 e gli inizi del 1483), esercitandovi il mestiere di tessitore; con tale qualifica egli appare ricordato in un documento del 25 ag. 1487, rogato a Genova in vico Dritto, presso la casa abitata allora dal padre, dove egli potrebbe essere anche vissuto in quegli anni. Non si hanno parimenti notizie circa i suoi rapporti col fratello Cristoforo sino al 1493, quando l'ammiraglio, che si accingeva a partire per il suo secondo viaggio verso le terre di recente scoperte, lo volle con sé nella spedizione. Sembra tuttavia probabile che il C. abbia lasciato Genova fin dal 1489, perché nel compromesso stipulato in quell'anno tra Giacomo Bavarello (il formaggiaio che aveva sposato Bianchinetta, la sorella del C.) e Domenico Colombo, quest'ultimo appare come legittimo amministratore dei beni dei figli Cristoforo, Bartolomeo e Giacomo, i quali non figurano nell'atto, perché lontani da Genova, come è certo per i primi due e come appare probabile per lo stesso Giacomo.

La seconda spedizione di Cristoforo, salpata da Cadice il 25 settembre 1493, giunse all'Española il 25 novembre; trovata distrutta e deserta La Navidad, la base fortificata che Cristoforo aveva fatto costruire l'anno precedente, al C. fu affidato il compito di custodire le armi e le provviste alimentari, per prevenire possibili colpi di mano, suggeriti dal malcontento che si era diffuso tra i coloni per le difficoltà ambientali e per la povertà stessa del territorio. Poco dopo, costruita nell'isola di Española una nuova base, cui fu dato il nome di La Isabela, egli ne ebbe il governo durante l'assenza del fratello Cristoforo, impegnato in una crociera di esplorazione.

Prima di partire per l'esplorazione di Cuba, l'ammiraglio provvide a creare una giunta che governasse la Española durante la sua assenza, e ne chiamò a far parte il C. (che ne divenne il presidente), fra' Bernal Buyl (benedettino e vicario apostolico nel Nuovo Mondo), Pedro Hernandez Coronel (che ebbe la carica di reggente), Alonzo Sanchez de CarvajaI e Juan de Luxan. Cristoforo nominò, inoltre, Pedro Margarit comandante dell'armata, col compito di pattugliare l'isola.

Partito l'ammiraglio, il Margarit, senza tener conto delle istruzioni ricevute, si portò con le truppe nell'interno dell'isola, verso le pianure di La Vega, e si dette al saccheggio dei villaggi indigeni. Il C. gli intimò di far cessare gli atti di ostilità contro i nativi e di deporre le armi. Sicuro dell'appoggio della giunta (lo stesso fra' Buyl sosteneva apertamente la sua insubordinazione), il Margarit, intorno al quale si andavano coagulando i delusi e i ribelli, si rifiutò di obbedire. Assai debole e incerto fu l'aiuto che venne a Cristoforo in questa circostanza dal fratello (descritto da Bartolomeo de Las Casas, che lo conobbe personalmente, come "persona virtuosa muy cuerda, pacífica y mas simple y bien acondicionada y que andaba muy honestamente vestido cuasi en habito de clérigo"): incapace di imporsi, il presidente della giunta di, governo vide proseguire le violenze ai danni dei nativi e lasciò che si acuissero le rivalità fra i capi ed aumentassero tra i coloni e gli uomini d'arme il malcontento e lo spirito sedizioso. La colonia era in completo sfacelo, quando vi giunse, proveniente dalla Spagna con una squadra di tre vascelli, Bartolomeo Colombo (24 giugno 1494). Questo arrivo fece passare in secondo piano il C., che d'ora in poi rivestirà solo incarichi subordinati a quelli del fratello maggiore.

Nel 1495 il C. ebbe il compito di presentare alla corte spagnola la risposta dell'ammiraglio in ordine ai quesiti relativi alla questione dei diritti di possesso sulle nuove terre, quesiti contenuti nelle lettere del 16 ag. 1494 recate nell'isola di Española da Antonio de Torres. Non potendo Cristoforo partire per la Spagna perché ammalato né volendosi privare dell'aiuto indispensabile del fratello. Bartolomeo, toccò al C. salpare con la squadra che, sotto il comando di Antonio de Torres, doveva portare in Spagna tutto l'oro che era stato possibile trovare nella colonia e cinquecento indigeni Taino da vendere come schiavi a Siviglia. Salpate il 24 genn. 1495. le navi tentarono una rotta più meridionale rispetto a quella seguita da Cristoforo due anni prima nel suo viaggio di ritorno, col risultato di perdere un mese nel tratto di mare compreso tra le Piccole Antille. Finalmente, dopo altri 23 giorni di navigazione, il Torres riuscì a raggiungere Madera e poi Cadice (aprile 1495). Presentatosi a corte per svolgere la sua missione, il C. ebbe a sperimentare l'aperta ostilità di Juan Rodríguez de Fonseca, sovrintendente agli affari delle Indie, il quale giunse al punto di sequestrare l'oro che il C. aveva con sé: solo l'intervento dei sovrani indusse il Fonseca a restituire il maltolto. Dopo aver dovuto rinunziare, per la crisi politica in corso fra Spagna e Francia., al viaggio che aveva progettato di fare in Italia, sul finire di agosto il C. si imbarcò nuovamente, per tornare all'Española con la squadra comandata da Juan Aguado. Nel giugno del 1496, essendo Cristoforo Colombo partito per la Spagna nel tentativo di risollevare di fronte ai reali il proprio prestigio e avendo Bartolomeo intrapreso una spedizione verso lo Xaragua, il C. ebbe ancora una volta l'incarico di governare l'isola: si trattò di un grave errore, perché in un momento assai delicato veniva scelta ad una carica di grande responsabilità una persona debole ed esitante, il cui unico merito era solamente quello di essere fratello dell'ammiraglio, Urtatosi con Francisco Roldan, l'alcalde mayor dell'Isabela, il quale aveva contestato la sua nomina, il C. cercò di liberarsi del rivale allontanandolo dai centri di potere. Lo inviò, pertanto, nella provincia dei Cibao, col pretesto di reprimere una rivolta indigena. Il provvedimento offrì al Roldan l'opportunità di ribellarsi apertamente: dopo aver infatti tentato invano di impadronirsi dapprima della fortezza di Concepción (difesa peraltro validamente dal castellano, Miguel Ballestrer, che bloccò il colpo di mano), e poi della ricca provincia dello Xaraguá, l'alcalde mayor si dette al saccheggio sistematico dei villaggi indigeni con una banda di circa settanta disperati. Incapace di fronteggiare e di reprimere l'insurrezione, lo stesso C. si vide costretto a rinchiudersi nella fortezza di Santo Domingo, mentre la città, caduta nelle mani dei ribelli, veniva depredata. Solo l'arrivo di Cristoforo Colombo, rientrato nella colonia il 22 agosto del 1498, poté in qualche modo risollevarne la situazione. L'anno successivo, durante l'assenza dei fratelli Bartolomeo e Cristoforo, che si erano recati all'Isabela per ristabilirvi l'ordine e per sedare i moti fomentati dal Roldan, il C., rimasto a Santo Domingo, ebbe di nuovo l'incarico di governatore dell'isola. In tale veste accolse, nell'agosto del 1500, Francisco de Bobadilla, il rappresentante dei sovrani spagnoli, che era stato inviato oltre mare con ampi poteri per aprire un'inchiesta sulla sollevazione del Roldan e sull'attività di governo svolta dall'ammiraglio. Dopo un primo momento, le relazioni fra i due non tardarono a farsi molto tese, volendo l'uno imporre la sua autorità sull'isola, intenzionato l'altro a far sì che non venissero lese le prerogative e i poteri a suo tempo concessi dal re a Cristoforo Colombo.

Il 23 agosto, durante un colloquio in cui prese fra l'altro visione della patente regia che affidava al Bobadilla l'incarico di aprire l'inchiesta sullo stato della colonia, il C. si rifiutò decisamente di consegnare all'inviato della Corona alcuni ribelli che, caduti nelle sue mani, erano trattenuti in carcere in attesa di giudizio: non poteva infatti sostituirsi all'ammiraglio - così affermò - prendendo in sua vece decisioni di tanto rilievo. Dichiarò, inoltre, che avrebbe dovuto trasmettere al fratello la patente regia di cui era venuto in quel momento a conoscenza e che, in ogni modo, prima di prendere qualsiasi provvedimento, avrebbe dovuto attendere istruzioni dai suoi diretti superiori. Il Bobadilla minacciò di avocare a sé il titolo e le funzioni di governatore, nel caso in cui gli fosse stata rifiutata quella collaborazione, di cui aveva bisogno per portare a buon fine la sua missione. Il giorno seguente, alla presenza del C., l'inviato dei sovrani di Spagna fece leggere alla popolazione spagnola di Santo Domingo la provvisione regia, che gli attribuiva il governo e l'amministrazione della giustizia nella isola. Poiché, ciononostante, il C. si mantenne fermo sulle sue posizioni, continuando a rifiutarsi di consegnare i prigionieri e di riconoscere un'autorità superiore a quella del fratello viceré, il Bobadilla reagi rendendo note altre due patenti di cui era latore, patenti che esautoravano di fatto Cristoforo Colombo dai suoi poteri e dalle sue funzioni.

Seguì un momento di estrema tensione e di contrasti, durante il quale i coloni si schierarono con l'inviato del re, mentre gli alcaldi delle diverse fortezze si mantennero per lo più fedeli ai fratelli Colombo. Quando il Bobadilla riuscì ad impadronirsi con la forza della cittadella di Santo Domingo, il C. dovette riconoscersi battuto e fu tratto in arresto. La stessa sorte toccò poco dopo anche a Cristoforo e a Bartolomeo Colombo. Imbarcato in catene, insieme con i fratelli, su un vascello diretto in Spagna, il C. giunse a Cadicé sul finire di novembre; consegnato al corregidor di quella città, fu trattenuto in carcere in attesa delle decisioni dei sovrani. Liberato qualche tempo dopo con i fratelli, preferì rinunziare per il momento a prendere parte ad un'altra spedizione oltre mare, forse perché provato da questa terribile esperienza o forse perché, per il suo carattere poco incline all'azione e al comando, egli avrebbe potuto essere di poco aiuto a Cristoforo e a Bartolomeo in una nuova spedizione. Del resto, a differenza dei suoi fratelli, non risulta che abbia mai mostrato particolare perizia nell'arte marinara o spiccate doti di carattere o interesse per la cartografia, restando, in sostanza, una figura di secondo piano, che solo la protezione di Cristoforo era valsa a togliere dai telai della sua bottega. Il Las Casas avanza l'ipotesi che egli fosse incline alla vita religiosa e mirasse piuttosto a raggiungere, grazie all'appoggio del suo più famoso fratello, una qualche carica ecclesiastica; risulta infatti che l'ammiraglio, riuscì a fargli assegnare dal re una rendita ecclesiastica. D'altro canto, sembra doversi ammettere che egli abbia effettivamente ricevuto gli ordini sacri: Cristoforo Colombo, nel suo testamento, gli assegnò infatti un legato di 100.000 maravedís perché - come si dice in quel documento - "es de la Iglesia".

Stabilitosi a Siviglia, con cedola reale dell'8 febbr. 1504 gli venne concessa la naturalizzazione nei regni di Castiglia e di Aragona. Nel 1509 accompagnò oltre Oceano il nipote Diego, che andava a prendere possesso della carica di governatore di Santo Domingo.

Rientrato in Siviglia, vi morì il 21 febbr. 1515, nella casa di Francesco, fratello di padre G. Gorricio. E suo corpo fu inumato nella chiesa ispalense di S. Maria de las Cuevas.

Il 20 febbr. 1515, per conto del morente il Gorricio aveva scritto, come testamento, una "memoria": in essa era tra l'altro contemplato un legato in favore "del figlio di Barevo la negra", forse un figlio illegittimo del Colombo.

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