GIACOMO della Marca, santo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 54 (2000)

GIACOMO della Marca, santo (Iacobus de Marchia)

Carla Casagrande

Nacque a Monteprandone, nel Piceno, nel 1393 e fu battezzato con il nome di Domenico; il padre si chiamava Antonio "Roscio" (Rossi) detto Gangale, la madre, forse, Tonna (Antonia).

La sua biografia è affidata alla testimonianza di Venanzio da Fabriano (1434-1506), il confratello laico che gli fu compagno e segretario dal 1463 alla morte e che ne scrisse la vita in tre distinte versioni, che hanno costituito il punto di riferimento di tutte le successive biografie, in particolare del poema latino del vescovo di Taranto, Giovan Battista Petrucci, scritto nel 1485, e quello, in lingua italiana, del giurista napoletano Aurelio Simmaco de Jacobiti del 1490. Pur preziosa, in quanto fondata su una conoscenza diretta della vita e della personalità di G., la testimonianza di Venanzio è però approssimativa; probabilmente spinto dal desiderio di favorire una rapida canonizzazione di G., come traspare dal titolo della versione più lunga, Miraculi facti per li meriti et orationi del beato Iacopo de la Marchia, Venanzio indulge spesso nell'apologia. I problemi lasciati aperti dalle tre biografie antiche sono stati solo in parte risolti dalla critica moderna ricorrendo ad altre testimonianze antiche (un elenco in Lasić, 1974, pp. 54-61) e, soprattutto, ai ricordi autobiografici dello stesso G., reperibili in particolare nei codici presenti o provenienti dalla Biblioteca del convento di S. Maria delle Grazie di Monteprandone. Utile si è rivelato il ricorso anche alle testimonianze de visu ed ex auditu riportate negli atti dei processi di canonizzazione (ibid., pp. 367-440).

La famiglia di G. era probabilmente di modeste condizioni: lo stesso G., ormai predicatore famoso, ricordava di essere stato guardiano di pecore e di porci; rimasto, secondo Venanzio, orfano di padre a sei-sette anni (ma secondo un'altra testimonianza il padre era ancora vivo negli anni 1455-60) fu affidato a un parente, sacerdote nel vicino borgo di Offida, che gli insegnò a leggere e, verificata l'attitudine del ragazzo agli studi, lo inviò ad Ascoli a studiare grammatica. Successivamente il giovane Domenico studiò diritto a Perugia, dove visse come precettore nella casa del giurista Francesco di Baldo degli Ubaldi. Quando, verso gli anni 1412-14, questi andò a Firenze come collaterale del podestà "Loysius de Mactafarris de Giadra", G., ormai dottore in diritto, lo seguì esercitando la funzione di "officiale". Fu probabilmente nel periodo fiorentino che si manifestò per la prima volta l'intenzione di G. di dedicarsi alla vita religiosa; di fatto nel 1416 era nel convento di S. Maria degli Angeli, presso Assisi, dove da poco i seguaci dell'Osservanza avevano avuto il permesso di stabilirsi. Qui venne accolto e, dopo un periodo di noviziato alle Carceri, il 1° agosto entrò nell'Ordine di S. Francesco con il nome di frate Giacomo. Seguì molto probabilmente un periodo di studio e di preparazione all'interno dell'ordine, alla fine del quale, come egli stesso afferma in una nota autobiografica, diede ufficialmente inizio alla sua attività di predicatore a Firenze nella chiesa di S. Salvatore il 13 giugno, festa di s. Antonio, del 1420 (ma secondo un'altra testimonianza dello stesso G. l'anno sarebbe il 1422).

Da quel momento fino al 1432 la sua attività di predicatore si svolse nell'Italia centrale, in particolare tra l'Umbria e le Marche, dove si spostava di città in città: nel 1423 era a Fano, nel 1424 ad Aversa e Prato, nel 1425 a Visso, Norcia Cascia, Ripatransone, Jesi e Massaccio, nel 1426 a Macerata, Fabriano, Norcia, Tolentino e Camerino, nel 1427 a Fano, Recanati, Ancona e Osimo, nel 1428 a Maiolati, nel 1429 a Recanati, nel 1430 ad Ascoli e a Pesaro, nel 1431 a Rimini, tenendovi cicli di predicazione o sermoni occasionali secondo i casi.

La sua predicazione è fortemente ispirata a quella di Bernardino da Siena, con il quale, come lo stesso G. più volte ricorda, esisteva un rapporto di familiarità e di discepolato. Dalla predicazione di Bernardino G. mutua le tecniche vocali e gestuali, i contenuti e la struttura del sermo. Sul modello bernardiniano, predilige "un'articolata trattazione di temi etico-politici, che finisce col sostituire l'esegesi letterale del Vangelo" (Delcorno, in S.G. della M. nell'Europa del '400, p. 358), utilizzando a piene mani materiali provenienti dai testi della teologia morale e dal diritto canonico; fa ampio uso di exempla, spesso presentati in forma drammatizzata; utilizza per lo più il volgare; si impegna nel sostenere la diffusione della devozione al nome di Gesù, cara a Bernardino; insiste su alcuni obiettivi polemici ricorrenti, le pratiche superstiziose, il lusso, in particolare quello femminile, il gioco, la bestemmia, l'usura, tema questo al quale si collegano da un lato la promozione di Monti di pietà e dall'altro una violenta campagna antiebraica che arriva a imporre agli ebrei di portare in pubblico un cerchio rosso sul vestito come segno distintivo, come accade a Recanati nel 1427; una particolare attenzione è riservata al tema della pace all'interno delle città e del territorio, che porta G. a proporre la creazione della figura istituzionale del paciere e, in qualche caso, come a Visso nel 1425-26, ad assumersi in prima persona il ruolo di mediatore; sul piano dei risultati, la sua predicazione, oltre a suscitare fin da subito apprezzamento ed entusiasmo da parte dei fedeli, si traduce in riforme statutarie, come a Jesi nel 1425 e a Recanati nel 1427, e in fondazione di confraternite di laici devoti, come nel caso della Confraternita del Buon Gesù a Jesi (1429).

Un altro aspetto della predicazione di G., destinato a riproporsi anche in fasi successive, è già presente in questi primi anni di apostolato: la lotta contro i movimenti ereticali. Dal 1423 al 1425 predicò a più riprese nella zona di Jesi, dove erano presenti gruppi aderenti alla setta dei fraticelli, ed è probabilmente in seguito a questa sua prima attività antiereticale che l'11 ott. 1426 il papa Martino V, lodandolo per aver contribuito a estirpare l'eresia, lo incaricò di predicare contro i componenti di questa setta in tutto il territorio italiano. In questa missione, che continuava comunque a svolgersi nelle Marche, G. affiancò il confratello Giovanni da Capestrano, nominato in quello stesso anno inquisitore. La loro azione dovette risultare subito piuttosto incisiva se, come racconta lo stesso G., entrambi subirono nel 1426 un attentato da parte di sicari appositamente prezzolati da alcuni aderenti alla setta per un ammontare complessivo di 700 ducati, 500 per Giovanni da Capestrano e 200 per Giacomo. Ciò non impedì ai due frati osservanti di continuare la loro opera di predicazione e di repressione nei confronti degli eretici almeno fino al 1430.

Questa prima fase della predicazione di G. in terra italiana si interruppe ai primi di gennaio del 1432, quando, come era accaduto ad altre figure eminenti dell'Osservanza francescana, venne inviato a proseguire il suo apostolato fuori dall'Italia, e in particolare per quanto lo riguarda, in Europa orientale; in quella data si trovava infatti a Ragusa (Dubrovnik), in Dalmazia, dove predicò ben accolto dalla popolazione e dalle autorità e dove il 1° aprile di quello stesso anno fu nominato dal ministro generale Guglielmo da Casale visitatore dei francescani della Bosnia, con il compito di promuovere la riforma dei conventi francescani sulla base delle nuove costituzioni dell'ordine approvate nel capitolo generale di Assisi del 1430. G. dovette incontrare alcune difficoltà in questa sua missione sia da parte dei francescani della Bosnia, sia da parte del re Tvrtko II, tanto che ben presto abbandonò il Regno e anche la carica di visitatore della vicaria, che negli anni 1433-35 risulta infatti affidata a un altro frate, Giovanni di Kurczola. Restò comunque in Dalmazia almeno fino ai primi mesi del 1433: tra ottobre e novembre del 1432 venne infatti nominato superiore del convento di Ragusa, ma nella primavera dell'anno seguente era già in Italia, dove partecipò al capitolo generale di Assisi. Nel 1435 venne nuovamente nominato prima visitatore e poi vicario di Bosnia, carica che mantenne fino al 1438.

L'azione di G. come vicario di Bosnia si svolse su due piani. Da un lato operò per una riforma e un potenziamento dell'ordine richiamando alla vita conventuale quei frati che abitualmente dimoravano presso vescovi, conti o principi e imponendo a tutti il rigoroso rispetto della povertà; alcuni frati del convento di Jajce che si rifiutarono di rinunciare ai loro possedimenti furono espulsi nonostante il re Tvrtko fosse personalmente intervenuto a loro favore. Nello stesso tempo si preoccupò di tutelare gli interessi della vicaria bosniaca rispetto alla provincia di Dalmazia e di garantire ai suoi frati la più ampia libertà di apostolato riuscendo a ottenere dal papa Eugenio IV, che non gli fece mai mancare il suo appoggio in questa difficile fase, una serie di privilegi. D'altro lato la sua azione si rivolse contro i gruppi ereticali presenti in terra bosniaca.

Come era accaduto in Italia, anche in Bosnia G. ottenne ben presto un certo successo e la sua fama di predicatore antiereticale si diffuse: alla fine del 1435 Sigismondo di Lussemburgo, re di Ungheria, lo volle nella sua residenza di Tata, presso Buda, come consulente nell'incontro tra i delegati del concilio di Basilea e i rappresentanti del Regno di Boemia, nel quale era ancora viva l'eresia hussita. Da quel momento l'azione antiereticale di G. si estese dalla Bosnia in Ungheria, dove ritornò più volte, invitato da vescovi di varie diocesi, per predicare contro gli eretici hussiti in fuga dalla Boemia. Nell'agosto del 1436 il papa lo nominò inquisitore di Austria e Ungheria concedendogli ampi poteri e permettendogli di erigere nuovi conventi in quelle terre. L'appoggio dell'imperatore e del papa, oltre che il titolo di legatus del concilio di Basilea di cui si fregiava tra il 1436 e il 1437, non furono però sufficienti a garantire a G. di esercitare senza problemi il suo apostolato. Incontrò infatti forti resistenze da parte del clero locale e dovette persino subire una scomunica da parte di Simone, arcidiacono di Bacs. La sua intransigenza nella lotta contro gli eretici di Ungheria fu anni dopo rievocata dal papa Niccolò V in una bolla del 26 ag. 1447, dove si ricorda l'indignazione di G. di fronte agli indugi del braccio secolare nell'eseguire le condanne. In quel periodo tornò in Occidente in due occasioni: nel 1437 per recarsi prima a Tolosa, dove si celebrava il capitolo generale dell'ordine e poi a Bologna, dove risiedeva la corte papale, e nel 1438 per partecipare al concilio sui rapporti tra le Chiese d'Occidente e d'Oriente che si celebrava a Ferrara, ritornando ogni volta in Ungheria con la garanzia di godere dell'incondizionato appoggio papale. Cessato il suo ufficio di vicario di Bosnia nella primavera del 1438, continuò a esercitare quello di inquisitore di Austria e Ungheria; nel maggio del 1439 era a Buda dove tentò vanamente di pacificare un contrasto sorto tra gli Ungheresi e i Tedeschi che risiedevano in quella città; successivamente si spostò nella diocesi di Sirmio dove proseguì nella sua opera di predicazione e repressione antiereticale fino alla fine dell'anno, quando ritornò in Italia.

Dal 1440 fino alla morte l'attività di G. si svolse quasi tutta sul territorio italiano privilegiando anche in questa fase le città dell'Italia centrale, Osimo, Assisi, Fermo, Urbino, Camerino, Todi, Terni, Perugia, Foligno, Ascoli, Recanati, Loreto, L'Aquila, Macerata, Rieti, San Severino Marche, Spoleto, senza però trascurare questa volta anche alcune città del Nord, tra le quali Milano, Brescia, Venezia, Padova, Ferrara e Mantova dove tenne vari cicli di predicazione che ebbero grande successo. Se non è possibile dare conto di tutti gli spostamenti di G. anno per anno dato che egli visitò più di una città per anno e che in alcune tornò più volte (si può comunque notare che negli anni Quaranta e Cinquanta è per lo più presente in Italia centrale e che la sua presenza al Nord si fece più assidua negli anni Sessanta), si può però seguire questa seconda fase del suo apostolato italiano distinguendo i diversi ambiti nei quali si svolse la sua azione di predicatore e di inquisitore.

Innanzitutto riprese la lotta contro gli eretici, quei fraticelli insediati nella regione marchigiana che già aveva combattuto negli anni precedenti. Nel 1441, il 10 giugno, venne infatti nominato dal papa Eugenio IV inquisitore nelle Marche e nelle zone con esse confinanti e ancora nel 1449 esercitava questo ufficio. Ancora una volta insieme con Giovanni da Capestrano, nel territorio di Jesi e a Fabriano, dove assistette a un rogo di fraticelli che, secondo la sua stessa testimonianza, ammorbò l'aria della cittadina per tre giorni. In quello stesso anno, in cui fu nominato anche vicario degli osservanti delle Marche, sembra che durante una predicazione a Rieti abbia subito un nuovo attentato da parte di un sicario assoldato dagli eretici, il quale poi si pentì e venne assolto dallo stesso G. a Fabriano. Continuò poi a esercitare con la stessa energia e lo stesso successo di prima il suo ufficio di predicatore e in questa veste ebbe un ruolo rilevante nella vita sociale e politica di molte città: fondò confraternite (Perugia 1445, Confraternita di S. Girolamo), promosse la riforma di alcuni statuti (a Todi e a Terni nel 1444, a Foligno nel 1445, a Viterbo nel 1451, a San Severino Marche nel 1454, a Fermo nel 1459, a Padova nel 1460), svolse un'azione pacificatrice tra fazioni della stessa città, come avvenne a Rieti nel 1444, a Terni e a Foligno nel 1445 e a Recanati nel 1457 e nel 1459, e anche tra diverse città, come accadde tra Fermo e Sant'Elpidio nel 1454. A volte intervenne come mediatore sul problema della delimitazione dei confini: tra Foligno e Spoleto nel 1456, tra Monteprandone e Acquaviva Picena in data non precisata, tra Monteprandone e San Benedetto del Tronto nel 1463. In questo ambito l'azione più importante che G. portò a termine fu la pace tra Ascoli e Fermo (1446), che nel progetto politico da lui accarezzato doveva preludere a una vera e propria federazione tra le due città, fondata su comuni ideali religiosi.

I contenuti della sua predicazione di quegli anni non furono diversi da quelli del suo primo apostolato italiano. In più G. dovette a più riprese assumersi il compito di predicare a favore della crociata contro i Turchi: a questo scopo nel 1443 fu nominato da Eugenio IV nunzio apostolico insieme con il confratello Alberto da Sarteano. Nel 1457 fu nuovamente in Ungheria come inquisitore e predicatore della crociata contro i Turchi, sostituendo in questo ufficio Giovanni da Capestrano, morto l'anno precedente. Accolto a Buda dal re Ladislao V (Postumo), vi restò però solo pochi mesi a causa di una malattia che lo costrinse a ritornare in Italia, dove però ben presto si riprese. Nel 1459 fu invitato, da Pio II, oltre che dal cardinale Bessarione, a predicare per raccogliere fondi che servissero a mandare un esercito crociato in Peloponneso, e infine, tra il 1463 e il 1464, fu più volte sollecitato dallo stesso papa a predicare e a raccogliere fondi per la crociata a Perugia e nel Ducato di Spoleto.

Legata alla sua attività di predicatore è anche la disputa sul Sangue del Cristo, che lo impegnò tra il 1462 e il 1464. Reduce dalle trionfali predicazioni quaresimali di Padova (1460) e Milano (1461), nel 1462 si recò a Brescia, dove andò incontro al più increscioso episodio della sua vita, quanto meno quello che lo addolorò maggiormente. Predicando nel giorno di Pasqua sulla Resurrezione del Signore, affermò che il sangue sparso dal Cristo non poteva essere oggetto di adorazione (latria) ma tutt'al più di venerazione (hyperdulia) in quanto nel triduo della Passione esso era stato separato non solo dal corpo del Cristo ma anche dalla sua divinità. Tale affermazione, che riaccendeva una controversia tra francescani e domenicani sorta già nel secolo precedente, gli costò un'accusa di eresia da parte del domenicano Giacomo Petri, inquisitore di Lombardia, e aprì una polemica tra i due ordini che finì solo dopo che il papa Pio II, convocato a Roma un dibattito pubblico sulla questione, impose ai sostenitori delle due parti il silenzio. Di questa vicenda restano tracce nell'iconografia di G., spesso rappresentato con in mano un'ampolla contenente il Sangue del Cristo. Talora dall'ampolla esce un serpentello che allude all'episodio del tentato avvelenamento da parte dei fraticelli.

G. fu anche coinvolto nelle drammatiche vicende che scuotevano in quegli anni l'Ordine francescano dilaniato dalla contrapposizione tra conventuali e osservanti. Nonostante i suoi interventi al capitolo generale di Padova del 1443 e alla congregazione tra conventuali e osservanti, voluta dal papa Callisto III ad Assisi nel 1455, si collocassero su una linea di equilibrio e di conciliazione, G. fu certamente uno dei grandi sostenitori della riforma osservante sia in Europa orientale, sia in Italia. Importante a questo proposito il suo contributo nel mantenere vivo il ricordo di Bernardino da Siena e nel favorirne il culto e la rapida canonizzazione. Presente all'Aquila nel 1444 subito dopo la morte di Bernardino, avvenuta il 20 maggio, vi ritornò in quello stesso anno per presenziare alla sepoltura e tenere il sermone funebre; il 24 maggio 1450 assistette a Roma alla canonizzazione del senese recandosi subito dopo all'Aquila per rivestirne il corpo di seta; ritornò nella città abruzzese nel 1454 per porre la prima pietra della chiesa destinata a ospitare le spoglie del santo e ancora nel 1466 per raccogliere fondi a favore della costruzione che andava a rilento.

Tra le attività dell'ultima fase della vita di G. va inoltre ricordata la costituzione della biblioteca del convento di S. Maria delle Grazie di Monteprandone (fondato nel 1449) nella quale riuscì a radunare poco meno di 200 codici. A questo scopo G., animato da un vero e proprio amore per i libri, in linea del resto con il progetto culturale e religioso dell'Osservanza italiana, non risparmiò né forze né denaro: copiò lui stesso alcuni codici, altri li fece cercare o copiare pagandoli anche a caro prezzo. Una volta che la biblioteca fu costituita si preoccupò che non andasse dispersa regolandone le procedure di consultazione e di prestito e chiedendo su questo punto l'aiuto di Pio II, che nel 1462 emise una bolla in cui si concedeva il prestito dei manoscritti ai soli frati della provincia marchigiana e si minacciava di scomunica chiunque portasse via i libri dalla biblioteca. Attualmente a Monteprandone restano solo circa una sessantina di codici; gli altri, in seguito ad alcuni trafugamenti avvenuti nel XVIII e nel XIX secolo, sono dispersi in varie biblioteche. Due elenchi, uno probabilmente topografico, Tabula A, l'altro alfabetico, Tabula B, fatti allestire dallo stesso G. rispettivamente tra il 1463 e il 1466 e il 1466 e il 1472 (ed. Lasić, 1971), danno conto della composizione della biblioteca, in cui erano presenti testi biblici, esegetici, giuridici, opere dei Padri e dei maestri della teologia scolastica, sermonari, compendi di materia predicabile, testi di scuola rivolti soprattutto allo studio della grammatica, qualche opera in lingua volgare (Dante e Iacopone) e testi della tradizione classica (tra cui Cicerone, Seneca, Virgilio, Plinio, Valerio Massimo) utilizzabili nei sermoni come fonte di moralitates o di exempla. Una biblioteca dunque costruita per rispondere alle esigenze dei predicatori che in essa potevano trovare tutto ciò che serviva per la composizione dei sermoni, tra cui anche alcuni codici, fatti allestire, spesso per suo uso, dallo stesso G., che vi appose di sua mano note di possesso, indicazioni sulla provenienza, eventualmente il prezzo o il donatore. Questi codici, che costituiscono una vera e propria officina del predicatore, raccolgono vari tipi di materiale predicabile: modelli e abbozzi di sermoni, di G. e di altri predicatori, raccolte di passi scritturali, exempla e auctoritates teologiche e giuridiche.

Gli ultimi anni della vita di G. sono segnati dalla malattia. Nella nota autografa di un manoscritto dichiara di aver cessato dall'ufficio di predicatore nel 1467, anche se probabilmente continuò a predicare occasionalmente. Tra il 1468 e il 1472 è segnalato a Macerata, Roma, Fermo, Foligno, Assisi, Ascoli, Monteprandone. Nel 1472 partì per Napoli, probabilmente su sollecitazione papale, visto che l'anno successivo Sisto IV, congratulandosi per la sua obbedienza, lo pregava di trattenersi nella città partenopea come richiesto da re Ferdinando.

G. morì il 28 nov. 1476 a Napoli, dove fu sepolto nella chiesa di S. Maria la Nova, in una cappella a lui dedicata.

Nonostante la fama di predicatore e i molti miracoli che le biografie antiche gli attribuiscono, la sua canonizzazione fu lenta e accidentata a causa delle vicende legate alla controversia sul Sangue di Gesù e anche ad alcune affermazioni contenute nel Dialogus contra fraticellos, che potevano far pensare a una qualche riserva di G. sul tema dell'infallibilità papale. Fu beatificato da Urbano VIII nel 1624 e canonizzato da Benedetto XIII nel 1726.

Opere: la maggior parte delle opere di G. sono dedicate alla predicazione. Ricordiamo in primo luogo le due prediche in volgare, la prima sulla bestemmia e la seconda in lode di s. Bernardino, tenute a Padova nel 1460, che ci sono pervenute nella reportatio di Francesco de' Novellini: pressoché unica testimonianza di una predicazione che si svolgeva in larga parte in volgare, sono state pubblicate in Delcorno, 1969-70. Seguono poi le due raccolte di modelli di sermoni domenicali e quadragesimali. I Sermones dominicales sono editi da R. Lioi in tre volumi (Falconara 1978), ai quali va aggiunto un Supplemento, a cura dello stesso Lioi (ibid. 1982; per notizie sui manoscritti e bibliografia dell'opera cfr. Lioi, 1978 e Gattucci, 1979-80). I Sermones quadragesimales sono invece ancora inediti; esordi e conclusioni dei singoli sermoni sono stati pubblicati in Pacetti, 1942-43 e 1953; Lioi, 1960, Lasić, 1970 (elenco dei manoscritti in Lasić, 1974, pp. 184-186). Modelli e schemi di altri sermoni sono presenti in codici provenienti dalla Biblioteca di Monteprandone e da altre biblioteche (cfr. ibid., pp. 190-193, dove si indicano anche le edizioni di alcuni di questi sermoni, alle quali bisogna ora aggiungere il Sermo de sancto Francisco, e il Sermo de religione ad religiosos, editi rispettivamente dal Gattucci e dalla Bistoni Grilli Cicilioni in S.G. della M. nell'Europa del '400, pp. 275-300, 342-354). A uso dei predicatori è destinata molto probabilmente anche una raccolta di passi biblici, Extracta Veteris Testamenti ac Novi, inedita (cfr. Lasić, 1974, p. 188), come pure inedite sono altre due raccolte di ambito teologico e giuridico che dovevano servire non solo alla predicazione ma anche alla confessione: la prima, alfabetica, presenta due redazioni tramandate con due diversi titoli, Campus florum e Compendium theologiae moralis, la seconda è citata più volte dallo stesso G. come Summula (per i manoscritti v. ibid., pp. 182-184). Inedita è anche la recensione che G. fece al Supplementum di Niccolò da Osimo alla Summa casuum conscientiae di Bartolomeo di San Concordio (cfr. ibid., pp. 210 s.). Più volte edito tra il 1473 e il 1788 è invece il De confessione, un opuscolo sulle regole della confessione scritto in latino e in volgare (ibid., pp. 202 s.). I Miracula facta virtute sacri Nominis Iesu, una raccolta di fatti miracolosi dovuti al culto del Nome di Gesù, tema caro alla predicazione di Bernardino da Siena e dello stesso G., sono editi da Lasić (1974, pp. 279-365), con ampia introduzione e nota critica sui codici e sulle precedenti edizioni. Tutto il materiale relativo alla disputa sul Sangue di Gesù, che impegnò G. (come già ricordato) tra il 1462 e il 1464, dal sermone pronunciato a Brescia ai vari trattati nei quali G. raccolse le autorità a suo favore fino a tutti gli atti relativi alla controversia, è stato raccolto e pubblicato da Lasić, nel volume De Sanguine Christi, Falconara 1976. All'attività antiereticale di G. va fatto risalire il Dialogus contra fraticellos de opinione, scritto nel 1458-59, di cui esiste anche una versione in volgare italico del sec. XV; il testo è stato edito da Lasić (Falconara 1975) al quale si rimanda per l'analisi dei manoscritti e delle precedenti edizioni. Sono invece andati perduti i due scritti relativi agli eretici di Bosnia e Boemia, il Dialogus contra haereticos Bosnenses e il Dialogus contra haereticos Bohemos. Dell'impegno antiereticale di G. in Europa orientale resta solo un breve scritto, noto come Articuli hussitarum, in cui G. riassume le principali tesi degli eretici ungheresi (cfr. Lasić, 1974, p. 205 e per l'edizione P. Lukcsics, in Monumenta Hungariae Italica, II, Budapestini 1938, pp. 20-25). Di G. restano inoltre una ventina di lettere, diverse ancora inedite (Lioi, Alcune lettere, 1969) e alcuni testi di carattere frammentario tra i quali si contano sermoni, estratti da Lattanzio e dal Corano, varie auctoritates giuridiche, una tavola del De civitate Dei di Agostino e una del commento di Scoto al IV libro delle Sentenze (Lasić, 1974, pp. 276 s.).

Fonti e Bibl.: Acta Bosnae potissimum ecclesiastica, a cura di E. Fermendžin, in Monumenta spectantia historiam Slavorum meridionalium, XXIII, Zagrabiae 1892, pp. 139-149; Bullarium Franciscanum, VII, Romae 1904, ad ind.; n.s. I-III e Suppl. ad t. I, Quaracchi-Roma 1939-49, ad indices; B. Rode, Documenti francescani di Ragusa, an. 1379-1451, in Miscellanea francescana, XIV (1912), pp. 24, 26, 60-66, 122 s.; L. Wadding, Annales minorum, IX-XIV, Quaracchi 1932-33, ad indices; M. Sgattoni, La vita di s. G. della M. (1393-1476) per fra Venanzio da Fabriano (1434-1506), Zara 1940; A.S. de Jacobiti, Poema inedito in ottava rima su s. G. della M. (1393/4-1476), a cura di G. Mascia, Napoli 1970; F.G. D'Andrea, Il fondo "S. G. della M." nell'archivio della vice postulazione della provincia francescana del Ss. Cuore di Gesù, Napoli 1973; G.B. Petrucci, Poema latino anepigrafo su G. della M., a cura di L. De Luca - G. Mascia, Napoli 1975; La vita di s. G. della M. 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