DOLFIN, Giacomo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 40 (1991)

DOLFIN, Giacomo

Marco Pozza

Nacque a Venezia, nel primo quarto del XIII secolo, ma stante le numerose omonimie, la sua esatta individuazione resta il problema più delicato nella ricostruzione della sua biografia. Seri dubbi permangono anche sul nome del padre, indicato da alcuni in Gregorio (ancora vivente nel 1261) e da altri in Raffaele (non altrimenti attestato). Il fatto poi che Marco Barbaro, il più attendibile fra i genealogisti veneziani, taccia sul nome del padre ed indichi nel D. il primo della famiglia ad essersi stabilito a S. Canciano (sestiere di Cannaregio) alimenta ulteriormente tali incertezze.

La prima notizia certa sul D. risale al 30 giugno 1245 quando si trovava a Tunisi, dove, insieme con altri connazionali, stipulò, con alcuni mercanti fiorentini, un contratto di cambio marittimo, ricevendo 4.000 bisanti con l'impegno di restituirli sotto forma di altrettante lire di grossi veneziani, dietro pegno di un valore corrispondente in balle di lana. Tre mesi dopo, a Venezia, l'accordo era puntualmente rispettato.

All'epoca di quell'operazione il D. probabilmente non era più giovanissimo e godeva già di sufficiente notorietà se due anni più tardi fu inviato a Ragusa in Dalmazia a ricoprirvi le funzioni di governatore con il titolo di conte, come scriveva il 15 sett. 1247 il doge Giacomo Tiepolo ai giudici, al Consiglio ed al Comune del luogo, esortandoli a riceverlo onorevolmente ed a lasciargli il potere di reggere la città. Il nuovo conte il 2 ottobre prestava il debito giuramento e tosto entrava in carica, rimanendovi per un intero biennio. Ragusa allora, sebbene sottoposta al controllo veneto, disponeva di una larga autonomia e di una notevole vitalità economica, ed il D., durante il suo mandato, si sforzò con successo di incrementare sia l'una che l'altra, allacciando rapporti commerciali con i centri costieri marchigiani di Porto Sant'Elpidio, Fermo e Fano, che allargavano la sfera d'influenza ragusea sull'altra sponda dell'Adriatico, e sottoscrivendo intese politiche con i potentati slavi dell'immediato retroterra balcanico, come dimostrano le paci perpetue firmate con Matteo Ninoslav, bano di Bosnia, e con Andrea, conte di Hum (Erzegovina). Anche dopo la sua sostituzione il D. rimase in buoni rapporti con il Comune di Ragusa, favorendo, fra l'altro, la concessione di un prestito, al quale partecipò di persona, per far fronte alle sue necessità, come espressamente riconoscevano i delegati dalmati mandati a Venezia nel maggio del 1252.

La buona prova fornita durante l'amministrazione di Ragusa fruttò al D. in breve arco di tempo la nomina a diversi altri incarichi, tutti espletati al di fuori di Venezia. Se appare solo probabile la sua identificazione con quell'omonimo podestà di Costantinopoli, la più elevata fra tutte le cariche esercitate da un veneziano nell'ambito dell'intero Impero latino, a cui si rivolgeva il doge Ranieri Zeno nel 1256 per far rispettare i diritti del monastero di S. Giorgio Maggiore in Romania, è infatti senz'altro da identificare con il D. quel duca di Candia che governò la grande isola dal settembre del 1259 fino al settembre del 1261. Furono anni di pace, non turbati né da guerre né da rivolte quelli che il D. trascorse a Candia, intento solo ad occuparsi degli affari correnti, ma offuscati poco prima del suo rientro in patria dalla notizia della caduta di Costantinopoli nelle mani di Michele VIII Paleologo.

Rientrato a Venezia, il 1º ott. 1261 il D. fu eletto al Maggior Consiglio, ma non si trattenne a lungo in patria, perché nell'estate dell'anno seguente fu posto a capo di una flotta di trentasette galee, quasi tutte costruite appositamente per questa missione nei mesi precedenti, con le quali raggiunse l'Egeo alla ricerca del nemico. Informato della presenza di unità greco-genovesi alla fonda a Salonicco, raggiunse questa località ma non poté attaccare battaglia perché gli avversari, certo inferiori di numero, rifiutarono di uscire dal porto malgrado egli, come riferisce il cronista Martino da Canal (Les estoires de Venise, p. 182), avesse spavaldamente proposto di impiegare nello scontro solamente una parte delle sue forze. Lasciata Salonicco, fece dapprima scalo a Skopelos, dove indusse Filippo Gisi, che si era impadronito dell'isola, a restituirla ai Tiepolo suoi legittimi signori. Quindi proseguì la crociera verso lo Ionio, cercando inutilmente di intercettare una squadra genovese che era salpata alla volta dell'Egeo, ma non gli riuscì neppure questo colpo. Egli rientrò quindi nell'Adriatico senza aver nulla concluso.

Negli anni seguenti non si allontanò da Venezia. Risulta difatti priva di fondamento la notizia, fornita da una fonte tarda e scarsamente attendibile (Venetiarum historia, p. 311), di una sua nomina a bailo e capitano di Negroponte nel 1262 o nel 1263. Nel febbraio del 1264 fu invece incluso da Gregorio di Montelongo, patriarca di Aquileia, in una lista di possibili candidati alla carica di podestà di Capodistria, ma non fu sicuramente eletto in quanto la sua assunzione sarebbe stata subordinata alla rinuncia di Giovanni Badoer che lo precedeva nella lista. Tale ipotesi è del resto suffragata dal fatto che nel luglio dello stesso anno era presente a palazzo ducale alla stipulazione di un trattato commerciale con il Comune di Ancona.

Il 12 marzo del 1265 fu affidata al D. la missione più delicata di tutta la sua carriera. Insieme con Iacopo Contarini venne inviato a Costantinopoli a negoziare con il Paleologo una tregua che ponesse fine, quanto meno temporaneamente, alle ostilità fra Greci e Veneziani. Gli ambasciatori erano stati dotati di un ampio mandato, ma probabilmente andarono al di là dei limiti loro concessi perché il progetto di accordo concordato il 18 giugno con l'imperatore bizantino non costituiva una semplice tregua bensì un vero e proprio trattato di pace. I termini generali dell'intesa erano tali che, se fossero stati accettati, avrebbero comportato un autentico capovolgimento delle alleanze, imponendo a Venezia di abbandonare i suoi tradizionali amici che da quattro anni combattevano al suo fianco nell'Egeo. In cambio invece la Serenissima avrebbe potuto semplicemente conservare quanto già possedeva in quel momento, senza alcuna concreta speranza, salvo alcune incerte promesse, di recuperare le posizioni perdute. L'operato dei due ambasciatori non soddisfece quindi il governo veneziano, che non ratificò il trattato.

L'insuccesso della missione, di cui il D. fu forse ritenuto il principale responsabile più ancora del Contarini, diminuì, almeno in parte, il suo prestigio e rallentò la sua partecipazione alla vita pubblica. Nei primi giorni di gennaio del 1268, in ogni modo, fu scelto dai Trevigiani come loro podestà. Il suo governo, che si protrasse per dodici mesi completi, inizialmente tranquillo, fu in seguito turbato da ripetute violenze delle opposte fazioni cittadine che si riconoscevano sotto le insegne dei guelfi e dei ghibellini, culminate in un grave episodio di sangue: il giorno dopo Pasqua venne ucciso sulla piazza principale Brancaleone, fratello del vescovo Alberto Ricco. Quest'ultimo fuggì da Treviso e il D. si apprestava già ad imitarlo quando venne trattenuto e sollecitato a svolgere azione di componimento fra le parti. A suo merito si ascriverebbe anche l'ultimazione del palazzo comunale ed il ristabilimento di buoni rapporti con Venezia dopo alcune reciproche incomprensioni.

Conclusa questa parentesi, il D. rientrò in patria, dove trascorse gli ultimi quindici anni della sua vita quasi nell'anonimato. Ricomparve sulla scena pubblica solo due volte ancora. La prima, nel 1275, quando contribuì alla nomina del suo vecchio collega di dieci anni prima, Jacopo Contarini, votando nella seconda mano della sua elezione dogale. La seconda, nel 1277, quando ricoprì la carica di podestà a Parenzo in Istria.

Quest'ultima podestaria, come in precedenza quella trevigiana, non fu affatto tranquilla. In particolare egli rimase coinvolto nel dissidio che da lungo tempo divideva la Comunità locale dall'episcopio che vantava vecchi diritti e privilegi sull'intero territorio parentino. Entrò egli stesso in aperto contrasto col vescovo Ottone e si rese tacitamente complice di quei cittadini che, verso la fine dell'estate, assalirono il palazzo vescovile ed, impadronitisi della documentazione ivi trovata, la gettarono a mare. Il presule lasciò la sua sede facendovi ritorno solo nel gennaio successivo, quando, partito nel frattempo il D., provvide a scomunicare quanti gli avevano dato man forte contro di lui.

Il D. trascorse gli ultimi anni della vita nel palazzo che si era fatto costruire a S. Pantalone, da dove, forse come estremo atto della sua esistenza, fece dono nel 1283 di alcuni immobili al nipote Enrico. Ebbe quattro figli: Marco, scomparso molto giovane, Giovanni, Pietro e Renier.

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