DURANDO, Giacomo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 42 (1993)

DURANDO, Giacomo

Paola Casana Testore

Nacque il 4 nov. 1807 a Mondovi (Cuneo), da Giuseppe Antonio e da Margherita Vinaj, terzultimo di dieci figli, cinque dei quali, però, morirono subito dopo la nascita o in tenera età. La sua famiglia apparteneva alla ricca borghesia monregalese ed il padre aveva ricoperto la carica di provveditore agli studi durante il periodo dell'occupazione francese, carica che aveva dovuto poi abbandonare nel 1814 con il ritorno di Vittorio Emanuele I.

Da ragazzo il D. frequentò le scuole superiori al collegio dei preti della Missione a Savona, dal quale fu espulso a causa delle idee politiche che manifestava e che allora, nel clima della Restaurazione, erano giudicate liberali e sovversive. Nel 1824 si iscrisse alla facoltà di giurisprudenza a Torino, dove il 9 giugno 1829 si laureò.

Nel settembre del 1830 entrò a far parte della società segreta dei Cavalieri della libertà, insieme con Angelo Brofferio, Massimo Cordero di Montezemolo e con il fratello maggiore Giovanni. Lo scopo principale che si proponevano gli aderenti a questa setta era quello di ottenere la costituzione da Carlo Felice, e per conseguire questo obiettivo i Cavalieri della libertà incominciarono a far circolare alcuni scritti in cui esponevano le loro idee.

Uno dei documenti più ampi e significativi allora messi in circolazione fu un indirizzo al re, non recante alcun titolo, preparato dal D. e stampato clandestinamente da Giuseppe Pomba (ora in E. Bottasso, ICavalieri della libertà, in Mazzini e i repubblicani italiani, Torino 1976, pp. 20 ss.). In esso si rivelano già quelle idee favorevoli ad un regime monarchico-costituzionale, che il D. approfondirà poi nei suoi studi successivi; egli si rivolgeva al sovrano e gli ricordava "i progressi della società", con i quali contrastava la politica del governo subalpino; dopo aver affermato che i tempi dell'assolutismo instaurato da Emanuele Filiberto con l'abolizione degli Stati generali erano ormai tramontati, cosi proseguiva: "Maestà i vostri sudditi non sono più cose; ma uomini. Il governo del secolo decimo è inconciliabile con quello del secolo decimonono. I tempi ci hanno spinti innanzi, ci vietano di retrocedere; a voi tocca seguirci. I vostri cortigiani v'hanno messo agli occhi una benda; spetta alla nazione strapparvela".

Egli illustrava poi i mali da cui erano afflitte la società e l'economia del Regno a causa delle improvvide leggi vigenti, conseguenza del dispotismo imperante e dell'avidità di potere del ceto nobiliare.

La congiura dei Cavalieri della libertà venne presto scoperta dalla polizia di Torino e molti dei colpevoli furono arrestati, mentre altri, fra cui il D., riuscirono a fuggire. Dopo aver vagato per qualche tempo in Svizzera ed essere stato a Parigi, alla fine del 1831 il D. giunse in Belgio, ove si arruolò nella legione straniera per combattere a favore dell'indipendenza belga contro l'Olanda. Il D. iniziò cosi la sua carriera militare e quando, alla fine del 1832, la legione straniera fu sciolta, egli venne congedato col grado di sottotenente.

Nel novembre del 1832 si imbarcò, con altri volontari, per il Portogallo, ove era scoppiata la lotta tra l'ex re Pietro, che, con l'appoggio dei liberali, difendeva il trono della figlia Maria da Gloria contro il fratello don Michele. Sbarcato ad Oporto, venne arruolato nel 20 reggimento leggero della Regina che, sotto il comando del maggiore G. Borso di Carminati, aveva il compito di difendere Oporto dalle truppe migueliste. Presto fu promosso capitano e nel luglio 1833, durante un assalto nemico alla Quinta de Vanzela, località vicino ad Oporto, venne ferito per la prima volta. Una seconda volta fu ferito ad Asseiceira, il 16 maggio 1834; dopo quello scontro ricevette dal governo portoghese la decorazione dell'Ordine di Torre e spada a riconoscimento dei suoi meriti di guerra.

In seguito alle ferite riportate in quella battaglia dovette passare un lungo periodo di degenza, durante il quale scrisse alcune Notes sur le Portugal, rimaste inedite (manoscritto al Museo del Risorgimento di Torino, Archivio Durando, cart. 102, doc. n. 5), nelle quali formulava dei principi generali di strategia militare che utilizzerà e svilupperà successivamente nella sua opera Della nazionalità italiana, applicandoli alla situazione geografica e strategica del territorio italiano.

Conclusasi la campagna portoghese e terminata la convalescenza, il D., al principio del '36, si imbarcò con i suoi compagni alla volta di Barcellona, allo scopo di portare aiuto a Maria Cristina - reggente il trono di Spagna per la figlia Isabella - contro le armi carliste.

Arruolato, sempre agli ordini di Borso di Carminati, nella legione dei Cacciatori di Oporto, che operava nelle regioni di Valenza, della Catalogna e della Bassa Aragona, il D. dovette combattere contro Cabrera, uno dei più crudeli e famosi comandanti carlisti.

Il D. partecipò alla sanguinosa battaglia di El Bruch del 15 marzo 1836. Il 21 marzo 1838 fu promosso tenente colonnello e fu decorato con l'Ordine di S. Ferdinando di prima classe in seguito all'azione di Alcora. Infine partecipò al tentativo cristino di riprendere, nell'estate del 1838, la fortezza di Morella. In questa occasione il D. ebbe il compito di difendere la ritirata dell'armata; a riconoscimento della sua abilità, nel luglio 1838, gli furono conferite le funzioni di colonnello, pur senza averne il grado, che ottenne poi definitivamente il 29 sett. 1838.

Terminata nel 1838 la lotta contro i carlisti, il D. ritornò in Portogallo a combattere in sostegno dei democratici, venuti al potere nel '36 mediante un colpo di Stato, i quali dovevano fronteggiare le continue rivolte delle forze liberali moderate. Nel 1842, dopo la vittoria di questi ultimi, il D. fece ritorno in Spagna, dove appoggiò il democratico generale B. Espartero che aveva preso il potere.

Il passaggio del D., da sempre sostenitore di idee monarchico-costituzionali moderate, alle file dei democratici non deve meravigliare. Egli, infatti, dopo l'abbattimento dei regimi assoluti nella penisola iberica, si era reso conto delle difficoltà che incontravano le forze liberali, sia moderate sia progressiste, nel riportare l'ordine e la pace interna. Per questo egli divenne, da allora, sostenitore del partito e degli uomini che appoggiavano il governo, purché si muovessero nell'orbita di un regime costituzionale, convinto che le "guerre civili sono lo sconvolgimento del senso morale di una nazione" (cfr. Autobiografia).

Dopo la caduta di Espartero il D. abbandonò la Spagna nell'ottobre del '43 e si recò in Francia. A Marsiglia, nel 1844, pubblicò un opuscolo intitolato De la réunion de la Péninsule ibérique par une alliance entre les dinastie d'Espagne et Portugal, nel quale prospettava l'importanza di un matrimonio tra la casa di Braganza e quella di Spagna, che avrebbe permesso in futuro di trasformare l'unione geografica, già esistente tra questi due paesi, anche in unione politica.

Il D. affrontò il problema dei cosiddetti "matrimoni spagnoli" e della loro importanza politica anche in altri scritti, fra cui ricordiamo un inedito "Studio in lingua spagnola su questioni della Spagna" (ms. in Museo del Risorgimento di Torino, Archivio Durando), che egli scrisse nel 1846 e nel quale espose i vari problemi politici ed economici della penisola scaturiti dalla guerra civile.

Nel luglio del 1844 il D. ottenne il permesso di rientrare in patria; cosi, dopo tredici anni di esilio, tornò a Mondovi. Qui iniziò a scrivere il libro Della nazionalità italiana - Saggio politico-militare, che usci nel luglio 1846 a Parigi presso il libraio editore Franck e successivamente anche a Losanna.

In questo scritto il D. ribadiva il diritto degli Italiani alla realizzazione della propria nazionalità, già affermato da altri precedenti scrittori, come Mazzini, Gioberti, Balbo; contestava tuttavia a Mazzmi il progetto di una unità immediata, mentre proponeva, almeno in un primo tempo, la formazione di due regni: dell'Alta e della Bassa Italia; criticava il Balbo, il quale anteponeva alle libertà politiche l'indipendenza, ed asseriva, invece, che "la coesione morale non può sperarsi che dalle libertà politiche, ftiori dalle quali tutto sarà incertezza, confusione, continui terrori" (Dellanazionalità italiana, Losanna 1846, p. 180); dissentiva anche dal Mazzini circa la forma di regime da adottarsi, preferendo la monarchia costituzionale alla Repubblica; infine dissentiva ugualmente dal Gioberti, il quale vedeva nel Papato il principale elemento unificatore della penisola, mentre egli considerava quella istituzione come il principale nemico da combattere, dopo l'Austria.

Le meditazioni sui problemi strategici tornano qui ad essere presenti in modo massiccio. C'è anche una lunga appendice, che, secondo quanto scrive il D. stesso avrebbe dovuto fingere da introduzione, intitolata: Principi di geostrategia applicata alla genesi delle nazionalità, dove fra l'altro non mancano riferimenti specifici alla situazione geostrategica della penisola iberica. Significativo è il passo dove il D. osserva che, in caso di guerra contro l'Austria, gli Italiani avrebbero potuto concentrare le loro forze su di un solo punto, mentre l'Austria sarebbe stata costretta a "disseminarle su di otto o nove punti differenti" (Della nazionalità italiana, p. 198). I concetti su cui si basano tali considerazioni non sono altro che quelli già esposti circa dodici anni prima nelle Notes sur le Portugal, anche se la situazione geostrategica esaminata è molto diversa.

Dopo la pubblicazione del libro il governo di Torino proibi al D. di rientrare in patria; cosi iniziò un nuovo esilio, che durò fino all'agosto del 1847.

Ritornato in Spagna, scrisse un saggio, suddiviso in diversi articoli e rimasto incompiuto, sul quotidiano di orientamento liberaldemocratico El Español, dal titolo Movimiento intelectual de Italia en sus relaciones con España. Questi articoli, nonostante il titolo, altro non erano in realtà che un'esposizione dei concetti fondamentali già espressi precedentemente.

Nell'agosto del 1847 ottenne il permesso di ritornare in Piemonte e qui iniziò subito un'intensa attività politica e fondò con G. Lanza, L. Torelli, G. Cornero, L. Vicari, C. Pellati e Massimo di Montezemolo L'Opinione, un quotidiano che voleva porsi a metà strada tra il Risorgimento di C. Balbo e Cavour, giudicato troppo retrivo dal D., e la Concordia di L. Valerio, considerato troppo democratico.

Il D. abbandonò l'attività giornalistica con lo scoppio della prima guerra d'indipendenza, allorché, in seguito ad una sua petizione inviata al re, il 26 apr. 1848 gli venne affidato il comando - lasciato da M. N. Allemandi - delle truppe dei volontari lombardi in Tirolo, coi grado di maggior generale.

Il D. dovette affrontare non poche difficoltà sia per riordinare e mantenere la disciplina tra questi volontari, sia per ottenere armi, munizioni, rifornimenti di vestiti e di vettovaglie per i suoi soldati, poiché il governo provvisorio di Milano lo lasciò spesso senza istruzioni e senza le necessarie provviste.

Il suo corpo di volontari prese parte a numerosi combattimenti, tra cui si ricorda quello del 22 maggio 1848 intorno al ponte del Caffaro ed al monte Suelo, ove si distinse particolarmente. Dopo la firma dell'armistizio il D. si trovò tagliata la via della ritirata, ma il 19 agosto riusci a passare il Ticino con tutti i suoi soldati.

Nell'ottobre del '48, al termine della prima fase della guerra, il D. venne inviato come commissario speciale a Genova, con il compito di ristabilire l'ordine. Qui, infatti, erano scoppiate violente agitazioni dei democratici e dei mazziniani, in seguito alla decisione governativa di espellere il repubblicano Filippo De Boni dalla Città.

Il D., nel vano tentativo di sedare i disordini senza far ricorso alle armi, indirizzò un proclama ai Genovesi in cui dichiarava che non sarebbe mai uscito, nel disimpegno delle sue funzioni, dai limiti della legalità e che la "sola necessita suprema di salvare la patria" lo avrebbe potuto costringere "a gettare un velo momentaneamente sulla statua della libertà per difenderla dagli eccessi dei suoi falsi amici". Una simile affermazione acui maggiormente le agitazioni dei democratici, le quali furono poi represse soltanto nel '49 da Alfonso Ferrero della Marmora che pose in stato d'assedio la città.

Nel novembre del 1848 il D. fu sostituito, come commissario straordinario, da Gustavo Ponza di San Martino e con la ripresa della prima guerra d'indipendenza, nel 1849, divenne aiutante di campo di Carlo Alberto e fu uno dei pochi che assistettero il re nella funesta giornata di Novara e nelle ore che precedettero la dichiarazione ufficiale della sua abdicazione.

La fine della prima guerra d'indipendenza segnò per il D. il termine della sua effettiva attività militare e l'inizio di una intensa attività politica sui banchi del Parlamento. Già eletto deputato per il collegio di Mondovi nell'aprile del '48, venne riconfermato per la seconda legislatura e, successivamente, per il collegio di Ceva. In Parlamento il D. si schierò nel gruppo cavouriano del Centrodestra: dalla parte opposta a quella del Brofferio e dei suoi compagni di giovinezza.

Il passaggio a queste posizioni, che possono sembrare più conservatrici di quelle assunte sino ad allora, non indica una mancanza di coerenza, ma riflette invece la lenta evoluzione maturata negli anni precedenti. Egli sostenne sempre la difesa della libertà e la realizzazione della nazionalità da parte di tutti i popoli per mezzo di un sistema monarchico-costituzionale; tuttavia per conseguire tali scopi non credette più ai capovolgimenti rivoluzionari che poi non avevano le basi su cui mantenersi, ma ripose le sue speranze nell'autorità costituita affinché si ponesse a guida dei patrioti.

In Parlamento il D. fu sempre un sostenitore della politica di Cavour: nel 1852 approvò il connubio fra il Centrodestra di Cavour ed il Centrosinistra di Rattazzi; nel 1855 sostenne a spada tratta il progetto Cavour della spedizione in Crimea ed in quello stesso anno gli fu affidato il ministero della Guerra, lasciato vacante dal Lamarmora che era partito per quella spedizione. Il 1° apr. 1855 fu nominato senatore ed in quello stesso mese in seguito alla crisi Calabiana - provocata dall'opposizione del Senato al progetto di legge sulla soppressione delle congregazioni religiose e sulla vendita dei loro beni - Vittorio Emanuele II affidò al D. l'incarico di formare un nuovo ministero.

Il compito che il D. si trovò ad affrontare era piuttosto arduo; infatti egli avrebbe dovuto formare un governo spostato maggiormente a destra rispetto a quello Cavour-Rattazzi, il quale fosse in grado di far accettare dal Parlamento la proposta di monsignor L. Nazari di Calabiana, che Cavour aveva respinto. Era, però, praticamente impossibile formareuna maggioranza spostata verso destra, anche a causa delle pressioni dell'episcopato subalpino il quale voleva il ritiro totale della legge sull'incameramento dei beni delle comunità religiose e la formazione di un ministero ultraclericale. Il D., vistosi nell'impossibilità di formare un governo che rispondesse agli interessi della politica interna ed estera del paese, propose di richiamare Cavour e cosi fu fatto. Egli restò nel ricostituito governo Cavour come rninistro della Guerra, ma quando il Lamarmora tornò dalla Crimea rivendicò a sé l'incarico ministeriale che aveva lasciato alla sua partenza. Il D. dovette cosi abbandonare il dicastero che aveva diretto fino ad allora e si rifiutò di assumere il ministero della Marina, che si voleva allora appositamente creare staccando quella sezione dal ministero della Guerra.

Nel giugno 1856 il D. fu promosso tenente generale ed inviato come ministro plenipotenziario a Istanbul. Durante il suo mandato, che durò fino alla fine del 1861, riusci a concludere un trattato commerciale fra il Regno d'Italia e la Porta ottomana.

Tornato in patria, limitò in un primo tempo la sua attività pubblica ai compiti inerenti alla carica di senatore, sia per il suo precario stato di salute, sia per una certa ruggine che si era creata verso il gruppo cavouriano rimasto allora al potere con il Ricasoli.

Il D. - tranne che nel '49 quando in Parlamento si schierò con il Centrodestra per i motivi già precedentemente esposti - fu infatti sempre, dopo l'unificazione, vicino al gruppo rattazziano, ossia al gruppo del Centrosinistra che, dopo la morte di Cavour, aveva assunto la fisionomia di frangia sinistra di quella che venne chiamata la Destra storica.

Quando si costitui il primo ministero Rattazzi, il D. accettò il portafoglio degli Esteri, che tenne dal 31 marzo all'8 dic. 1862, cioè fino alla caduta del ministero.

Nel 1866 fu inviato a Napoli come comandante di quel dipartimento militare e nella lotta che dovette colà affrontare contro il brigantaggio adottò provvedimenti militari di natura decisamente repressiva.

Il ricordo dell'anarchia che si era sviluppata in Spagna dopo la fine della prima guerra carlista, il timore che lo svilupparsi di una situazione del genere in Italia rischiasse di compromettere la appena raggiunta unità, possono facilmente spiegare il suo comportamento.Quando venne formato il secondo ministero Rattazzi, nel 1867, il D. accettò la carica di prefetto di Napoli e da quella sua posizione si adoperò per favorire l'attività dei Partito d'azione e la preparazione della spedizione garibaldina che si concluse infelicemente a Mentana, comprendendo che ormai, senza un'azione di forza, Roma non sarebbe mai stata conquistata.

Sopraggiunta la crisi del ministero Rattazzi, nell'ottobre del 1867, il re incarico il gen. E. Cialdini di formare un ministero di coalizione. A questo tentativo collaborò anche il D. che si concertò con il Rattazzi per determinare la rosa dei candidati ai vari incarichi ministeriali. Sia il Cialdini sia il D. fallirono nel tentativo di risolvere la crisi governativa, anche perché quest'ultimo si mostrò intransigente nel voler sostenere un programma , di governo che mettesse in prima linea la risoluzione della questione romana, anche a costo di urtarsi con Napoleone III, e quindi ci si avviò ad una soluzione di tipo conservatore con i successivi ministeri Menabrea. Il D. usci allora definitivamente dalle prime file della scena politica.

Nel settembre 1869 gli fu affidata la carica di presidente del Tribunale militare; dal 1867 al 1878 quella di vicepresidente del Senato e poi quella di presidente dal 28 nov. 1884 al 16 nov. 1887. Il 7 giugno 1887 gli fu concesso il Collare dell'Annunziata.

Il D. mori a Roma il 21 ag. 1894.

Fonti e Bibl.: I principali documenti per uno studio sul D. sono conservati al Museo dei Risorgimento di Torino, Archivio Durando. Alcune lettere del D. al fratello Marcantonio sono pubblicate in S. Congregatio pro causis sanctorum officium historicum, Beatificationis et canonizationis servi Dei Marci Antonii Durando, Romae 1974, ad Ind. Per suoi profili biografici cfr.: A. Brofferio, G. D., Torino 1862; N. Nada, G. D., in Boll. storico-bibl. subalpino, LX (1962), pp. 147-160, P. Casana Testore, G. D. (1807-1894), in Studi piemontesi, VII (1978), 1, pp. 181-189; Diz. del Risorg. naz., II, pp. 966 s.; Encicl. It., XIII, p. 295; Encicl. militare, III, p. 548. Su particolari aspetti o momenti della vita cfr.: Cenni intorno alle operazioni difensive delle truppe e dei volontari lombardi sulle frontiere del Tirolo sotto gli ordini del generale G. D., in Carlo Alberto, Memorie ed osservazioni sulla guerra dell'indipendenza d'Italia nel 1848 raccolte da un ufficiale piemontese, a cura di C. Promis, Lugano 1850, pp. 221-251; C. Durando, Episodi diplomatici del Risorgimento italiano dal 1856al 1863. Estratti dalle carte del generale G. D. …, Torino 1901; A. Aspesi, Ombre e luci del nostro Risorgimento. Carteggio del generale G. D. (1847-1867), Torino 1952; P. Pieri, Storia militare del Risorgimento, Torino 1962, ad Ind.; P. Casana Testore, G. D. in esilio (1831-1847). Belgio Portogallo Spagna nelle sue avventure e nei suoi scritti, Torino 1979, e la bibliografia ivi citata (in appendice è pubblicata l'Autobiografia, tratta dall'originale di pugno del D. stesso, che servi ad Angelo Brofferio come traccia per scrivere G. D….). Sualcuni aspetti del libro Della nazionalità italiana cfr.: D. Zanichelli, G. D. e il suo libro della nazionalità italiana, in IlCircolo giuridico, LXXIX (1948); P. Toesca, Italia e cattolicesimo nel pensiero di G. D. in Raccolta di scritti in onore di A. C. Jemolo, IV, Milano 1963, pp. 467-483; M. A. Aimo, Ilpensiero politico di G. D., in Boll. della Soc. per gli studi storici, archeol. ed art. nella prov. di Cuneo, LVII (1967), pp. 29-55.

P. Casana Testore

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