FARELLI, Giacomo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 44 (1994)

FARELLI, Giacomo

Mario Alberto Pavone

Nacque a Roma nel 1629, da padre siciliano e da madre sorrentina (cfr. Roselli, 1697). Dopo un periodo di studi umanistici si trasferì a Napoli dove il 18 ott. 1644 venne messo a bottega presso Andrea Vaccaro; all'interno della bottega si esercitò nel nudo utilizzando numerose stampe, sì da giungere ad un tale livello di imitazione del maestro che alcune sue opere giovanili venivano scambiate per opere del Vaccaro (De Dominici, 17433 p. 457).

Da notizie documentarie (D'Addosio, 1913) veniamo a conoscenza di un pagamento al pittore nel 1651da parte di Cesare Zattera per un S. Gennaro ed una Strage degli innocenti. Nella sua fase giovanile i riferimenti alla produzione pittorica naturalistica di M. Stanzione, di F. Vitale e di C. e F. Fracanzano si unirono agli influssi dell'ignoto maestro del Cristo e l'adultera, che riaffiorarono in varie occasioni durante l'arco della sua attività (cfr. Pavone, 1989-90).

La Visione di s. Antonio della chiesa della Trinità dei Pellegrini a Napoli (1652) attesta, nella parte superiore relativa all'apparizione del Bambino, un cedimento del pittore dal metro naturalistico alle tenerezze cromatiche di Cesare Fracanzano, recuperate nell'intento di una diversificazione dallo Stanzione, cui l'opera pur si appoggia per la scelta iconografica che richiama l'esemplare stanzionesco per la chiesa di S. Brigida.

L'esperienza vaccariana e l'intento di una più serrata costruzione dei volumi riaffiorano invece nella Visione di s. Brigida (Napoli, S. Brigida), dato l'impegno competitivo nei confronti di L. Giordano, che realizzava nel 1655 per la stessa chiesa il Miracolo di s. Nicola.

Il De Dominici (1743), oltre a ricordare la coalizione del Vaccaro e di F. Di Maria a sostegno del F. per l'assegnazione del quadro dell'altare maggiore, sottolinea, in questa opera, la sua nuova maniera conseguita attraverso l'uso di "tinte dolci, e piene di morbidezza" (p. 458) che segnano il crescendo degli interessi classicistici e la graduale modificazione delle espressioni naturalistiche degli inizi.

Alla tela per S. Brigida seguirono la S. Anna (già molto restaurata nel Settecento) e l'Assunta per S. Maria Maggiore; ed è certo in questi anni che trova luogo l'Allegoria delle arti (L'Aquila, Museo nazionale), in cui il risalto naturalistico degli incarnati è limitato da un'impronta disegnativa di stampo accademico, che si evidenzia nella virtuosistica presenza degli ignudi.

Nel percorso di apertura verso G. Lanfranco e di più morbida stesura dei panneggi, oltre che di maggiore sensibilizzazione luministica, si pone la Visione di s. Giovanni Evangelista (firmata e datata 1661) per l'omonima chiesa di Sulmona, in cui il moto dei panni che contraddistingue le figure della parte superiore del dipinto, denso di preziosismi cromatici, induce a considerare anche l'ulteriore avanzamento del F. in direzione del Giordano.

Nel 1664 il F. realizzò la decorazione ad affresco dell'atrio della sagrestia della cappella del Tesoro di S. Gennaro, con Scene della vita di s. Anna nelle lunette e l'Immacolata (firmata Farello) sulla volta.

Tale ciclo, secondo il De Dominici (1743, p. 463), il quale ricorda il mancato apprezzamento da parte dei committenti, costituì il momento di adeguamento alla "maniera inarrivabile del Dominichino" e quindi l'inizio della sua involuzione. Più opportunamente la Borea (1977) ha indicato in tale opera la fase di maggiore confluenza verso i modi del Giordano; ed infatti ciascuna delle scene si pone come momento di sintesi dei precedenti naturalistici alla luce di una attenzione cromatica ancora memore delle conquiste lanfranchiane.

La data 1667, apposta all'affresco raffigurante il Ritrovamento della statua della Madonna, che fa parte del ciclo realizzato per il santuario mariano di Rojo, consente di datare la presenza del pittore in Abruzzo, dove era giunto su invito del duca di Atri, nel cui palazzo, oggi Municipio, affrescò "una bellissima Galleria, ove fece varj concetti poetici, e con bizzarria di pensieri condusse quella grand'opera, che fu sommamente gradita da quel Signore, il quale dal gran maestro di Malta Fra Gregorio Carrafa suo parente gli fece avere poi la Croce di Grazia" (De Dominici, 1743, p. 462). Di tale attività resta menzione in una delle Poesie dedicate da Giovanni Canale al cardinale V. M. Orsini, in cui si fa riferimento ad un quadro raffigurante il duca d'Atri che "beve l'immortalità". Un più lungo periodo di presenza in Abruzzo è inoltre documentato tra l'ottobre 1676 e l'aprile 1683 (Ascione, 1985, p. 151).

Il titolo di cavaliere sigla alcuni suoi dipinti, come quelli di Rojo, cui vanno collegati gli affreschi della chiesa di S. Filippo a L'Aquila.

Nella Fuga in Egitto la testa del s. Giuseppe, pur improntata secondo modelli di stampo naturalistico stanzionesco, è concepita attraverso il puro abbozzo cromatico che disperde l'analisi minuziosa dell'epidermide in un impasto materico grumoso e sfuggente, allo stesso modo in cui il Bambino, investito dalla luce, perde la consistenza corporea. Questa riacquista maggiore forza nel Battesimo di Cristo, dove si assiste alla delineazione di figure giganteggianti sull'esempio di M. Preti, ma sottoposte ad un luminismo più tenero e duttile, vicino al Giordano.

Il ritorno a Napoli venne segnato, secondo il De Dominici (1743, p. 462), dalle tele con i Miracoli di s. Francesco di Paola per S. Michele Arcangelo al Vomero, cui seguì nel 1670 l'impegno per la S. Anna destinata alla chiesa di S. Maria delle Anime del Purgatorio ad Arco.

L'anno successivo il F. intervenne ai Ss. Apostoli nella decorazione ad affresco della cappella di S. Gaetano.

Proseguendo in linea con le esperienze figurative maturate a Napoli nel Tesoro di S. Gennaro e successivamente in Abruzzo, precisò la sua tendenza al gigantismo con un caldo luminismo di impronta lanfranchiana, che rivela, nel panneggio, strette consonanze con G. B. Benaschi.

Un ritorno al tenebrismo delle origini e comunque alla lezione vaccariana è presente, sempre nel 1671, nelle due ampie composizioni per la Pietà dei Turchini, la Nascita di Maria e la Morte di s. Anna, nelle quali la volontà di riformulare le proposte giordanesche relative alla soluzione cromatica dorata appare giunta al massimo, specie nella prima opera, in cui la ripresa è evidente fin nelle sue implicazioni iconografiche.

Ma un più deciso innesto di componenti classicistiche, contrapposte con maggiore convinzione alle proposte avanzate dal Giordano, interviene nel 1672 a segnare il passaggio, nel Riscatto degli schiavi per la chiesa della Redenzione dei Cattivi, alle più rigorose formulazioni desunte dal Domenichino: "In somma è quest'opera degna di ogni laude, così per l'espressiva, come per lo disegno el bel colorito, ch'è molto vago, e per l'ottimo componimento, concepito con idea nobile, e con decoro delle figure, che fanno ornamento a si bella pittura" (De Dominici, 1743, p. 462).

Il rilievo dato dal De Dominici al suo mutamento in direzione di un recupero accademico-disegnativo trova infatti conferma in quest'opera, nella quale il F., pur conservando una marcata impronta tenebristica che coinvolge le figure della parte inferiore, parzialmente debitrici di ricordi naturalistici, rivela notevoli propensioni verso un recupero del naturalismo fiorentino, specie nella sottolineata ricchezza degli abiti del mercante e del suo collaboratore dal copricapo piumato. Nel dipinto traspare una volontà di riagganciarsi a quel filone controriformistico napoletano che aveva avviato la controproposta al linguaggio caravaggesco, facendo leva sulle tinte scure di matrice bassanesca. Interviene a questo punto la confluenza verso l'operato del Di Maria, cui sono riconducibili le accentuate torsioni degli schiavi, ma anche il rilievo dato ai volti giovanili legati alle tipologie del Domenichino. Un più movimentato marchio chiaroscurale, denso di riferimenti al Benaschi del primo periodo napoletano, caratterizza la scena superiore, contraddistinta dal groviglio dei corpi angelici sovrastati dalla Vergine, la cui tipologia impronta gli esemplari di poco successivi di S. Giuseppe a Chiaia e di S. Maria della Stella.

Nel 1673, infatti, il Riposo nella fuga in Egitto e il Transito di s. Giuseppe per S. Giuseppe a Chiaia offrono chiara testimonianza di una ripresa di toni vaccariani legati ad una più ampia formulazione figurativa, ma anche di una riproposta di connotazioni naturalistiche racchiuse in un più marcato contorno disegnativo. Proprio la nodosità circoscritta e tinta di scuri delle articolazioni anatomiche indurrebbe a collocare successivamente a tali esiti le tele di S. Maria della Stella (La Vergine appare a s. Francesco di Paola, la Cacciata dei mercanti dal tempio, Cristo e l'adultera), che furono distrutte dai bombardamenti del 1943.

Il quadro dell'altare maggiore è noto attraverso una riproduzione fotografica (Napoli, Arch. fot. d. Sopr. Beni artistici e storici, n. 250); del Cristo e l'adultera esiste in collezione Capomazza a Napoli un esemplare che corrisponde a quello già in S. Maria della Stella, come risulta dalla "Descrizione" ottocentesca (R. D'Ambra-A. De Lauzieris, Un mese a Napoli..., Napoli 1855, p. 837). In quest'opera si rende esplicito riferimento ad una rilettura del Ribera in chiave classicistica per quanto riguarda le figure dei vecchi; mentre il volto dell'adultera trova coincidenza, fin nei riccioli che ricadono sulla fronte, col s. Michele del Transito di s. Giuseppe, non meno che con la Vergine del Riposo, sempre in S. Giuseppe a Chiaia.

Nell'ambito di una ridefinizione dei contorni e di un più rigoroso controllo chiaroscurale di formule naturalistiche sperimentate in gioventù trova luogo anche il freddo esito del Padre Eterno (Napoli, cappella del Comando Vigili del fuoco), che va ritenuto elaborazione tarda di un prototipo già sperimentato nell'ottavo decennio, come è testimoniato dal disegno firmato, oggi nel Museo di S. Martino. Si riagganciano invece alla più fluida stesura cromatica delle tele della Pietà dei Turchini, anche attraverso la riproposta di figure divenute tipiche del F., il S. Michele Arcangelo di S. Giuseppe dei Ruffi e il Miracolo di s. Nicola di Bari di S. Maria Egiziaca a Forcella, in cui riaffiorano momenti di integrazione al linguaggio giordanesco, non disgiunti da un recupero iconografico. La componente giordanesca rappresenta una costante anche nella fase di realizzazione degli affreschi con le Virtù nel Gesù Nuovo, documentati al 1688 e relativi ai sei ovati negli archi corrispondenti alle cappelle della Natività e dei Santi Martiri (Nappi, 1984, p. 336).

Nel 1691 il F. portò a termine il perduto ciclo decorativo per la Congrega di S. Maria dei Sette Dolori (di cui il De Dominici, 1743, pp. 460 s., fornisce una dettagliata lettura iconografica), che precedette il viaggio a Pisa e la realizzazione degli affreschi del palazzo comunale (Trionfo delle Baleari e Impresa di Sardegna), la cui restituzione al 1693 (Borea, 1977, p. 554) ha consentito una rilettura dell'intero percorso del pittore.

Infatti in essi l'impronta figurativa "asciutta" si innesta in una riproposta di soluzioni "neomichelangiolesche", rivolte alla riconsiderazione delle pose atletiche e tormentate, delle tensioni dinamiche e chiaroscurate della volta della Sistina, con puntuali ripetizioni degli ignudi dei Ss. Apostoli, pervasi da una più chiara impronta luministica, ma ben saldi e circoscritti nella loro fisica monumentalità.

Alla fase finale della sua attività spetta il quadro posto sopra la porta d'ingresso della distrutta chiesa di S. Luigi di Palazzo (1705), "ove con una infinità di figure rappresentò l'incontro del Santo col Re di Francia Ludovico XI, che lo venne ad incontrare, con molti belli accompagnamenti che fan ricca la storia" (De Dominici, 1743, p. 464).

Il F. morì a Napoli il 26 giugno 1706 e fu sepolto in S. Maria dei Sette Dolori.

Il De Dominici ricorda una Strage degli innocenti, posseduta dal principe di Stigliano, come "opera non mai a bastanza lodata, perciocché ella è diversa dalla sua maniera, ed ha un armonia di colore indicibile, che tira alla tinta nobile di Guido Reni" (1743, p. 463). Altre sue tele erano presenti a Napoli nella collezione Van den Eynden, in quella del principe d'Ischitella, mentre nell'inventario dei dipinti di Ferdinando de' Medici, redatto a Firenze nel 1713, veniva citata un'altra Strage degli innocenti (attualmente in deposito presso la Prefettura di Pisa) e che è stata posta in relazione ad un dipinto di analogo soggetto della cattedrale di Siviglia (Borea, 1977, p. 558). Da un inventario dell'alcazar di Madrid risulta inoltre presente in Spagna, nel 1694, una sua Allegoria del Tempo (Perez Sanchez, 1965, p. 392).

Fonti e Bibl.: G. Artale, L'alloro fruttuoso, Napoli 1672, p. 115; F. Baldinucci, Notizie dei professori del disegno [1681], Firenze 1975, VI, p. 366; G. Canale, Poesie, Napoli 1694, p. 72; G. Roselli, Guida de' forestieri per Pozzuoli, Baia, Miseno e Cuma, Napoli 1697, pp. 3-10; F. Susinno, Le vite dei pittori messinesi [1724], Firenze 1960, p. 211; F. S. Baldinucci, Vite di artisti... [1725-30 c.], a cura di A. Matteoli, Roma 1975, p. 343; B. De Dominici, Vite de' pittori scultori ed architetti napoletani, III, Napoli 1743, pp. 457-466; O. Giannone, Giunte sulle Vite de' pittori napoletani [ms. del 1773], a cura di O. Morisani Napoli 1941, pp. 168 s.; S. Ticozzi, Dizionario dei pittori dal rinnovamento delle arti fino al 1800, Milano 1818, I, p. 185; A. Leosini, Monumenti stor. della città di Aquila e suoi contorni, Aquila 1848, p. 120; F. Colonna di Stigliano, Inventario dei quadri di casa Colonna fatto da Luca Giordano, in Napoli, nobilissima, III (1894), p. 31; G. B. D'Addosio, Documenti ined. di artisti napoletani del XVI e XVII secolo, in Arch. stor. per le prov. napol., XXXVIII (1913), p. 63; F. Bologna, F. Solimena, Napoli 1958, pp. 24 s., 38 n. 20; I. Gallichi Schwenn, Note su G. F. pittore napoletano, del Seicento, in Partenope, s. 1, II (1961), pp. 200-213; M. Moretti, Museo nazionale d'Abruzzo, L'Aquila 1968, p. 185; A. E. Perez Sanchez, Pintura italiana del siglo XVII en España, Madrid1965, p. 392; O. Ferrari, Le arti figurative, in Storia di Napoli, VI, 2, Cava dei Tirreni 1970, pp. 1260-1262; R. Montera, Gli affreschi di G. F. nella sala delle Baleari di palazzo Gambacorti, in Rassegna del Comune di Pisa, VIII (1972), 3-4, pp. 18-22; 5-6, pp. 22-26; 7-8-9, pp. 35-39; E. Borea, F. e Fardella: questioni relative a due pittori meridionali in Toscana, in Scritti di storia dell'arte in onore di U. Procacci, Milano 1977, II, pp. 554-566; V. Pacelli, La collezione di Francesco Emanuele Pinto, principe d'Ischitella, in Storia dell'arte, 1979, 361-37, pp. 168, 178, 194, 199; M. A. Pavone, A. Solimena e la pittura napoletana della seconda metà del '600, Salerno 1980, pp. 22-24; R. Ruotolo, Mercanti-collezionisti a Napoli: Gaspare Roomer e i Van den Eynden, Meta Sorrento 1982, pp. 27, 33, 36; O. Lehmann-Brockhaus, Abruzzen und Molisen, München 1983, ad Indicem; C. Fiorillo, in Civiltà del Seicento a Napoli (catal.), Napoli 1984, I, pp. 135-138, 267 s.; E. Nappi, Le chiese dei gesuiti a Napoli, in Seicento napol., Milano 1984, p. 336; V. Rizzo, Documenti... dal 1636 al 1715, ibid., p. 315; G. Ascione, L'attività del pittore G. F. in Abruzzo, in Gli Acquaviva d'Aragona duchi Atri e conti di S. Flaviano, Atti del Convegno, Teramo 1985, pp. 149-158; C. Fiorillo, F. Di Maria, Napoli 1985, p. 106, fig. 31; V. Rizzo, Alcune notizie su pittori, scultori ed architetti napoletani del Seicento, in Ricerche sul Seicento napoletano, Milano 1987, p. 156; A. Delfino, Documenti ined. sui pittori del '600..., in Ricerche sul '600 napoletano, Milano 1988, pp. 58 s.; Escales du baroque (catal., Marsiglia), Paris 1988, pp. 175-177; M. Gregori, in La pittura in Italia. Il Seicento, Milano 1989, I, p. 335; N. Spinosa, ibid., II, pp. 500, 503, 517; A. Spinosa, ibid., p. 734; N. Barbone Pugliese, Proposte per G. F. e Nicola Vaccaro..., in Napoli nobilissima, XXVIII (1989), pp. 18-25; M. A. Pavone, IlMaestro del Cristo e l'adultera: un precedente per l'attività iniziale del F., in Prospettiva, 1989-90, nn. 5760, pp. 265-272; U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, XI, p. 266.

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