TOMASINI, Giacomo Filippo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 96 (2019)

TOMASINI, Giacomo Filippo

Giuseppe Trebbi

TOMASINI (Tommasini), Giacomo Filippo. – Nacque a Padova, da Giacomo e da Ippolita Panizzola il 17 novembre 1595.

La famiglia, che pure vantava antiche origini lucchesi, non era tra le più illustri nella Padova del Seicento; però il fratello maggiore di Giacomo, Paolo, poté sposare nel 1618 una pronipote del giurista Marcantonio Pellegrini e acquistò larga fama come avvocato nel foro padovano.

Giacomo fu educato privatamente nelle lettere greche e latine dal sacerdote Benedetto Benedetti da Legnago. Nel 1611 entrò nella Congregazione dei canonici secolari di S. Giorgio in Alga, a Venezia: si trattò forse di una scelta di ripiego, dopo la cacciata dal Dominio veneto dei gesuiti, cui andavano i favori del fratello Paolo. Va tuttavia ricordato che la Congregazione di S. Giorgio in Alga vantava una sua tradizione di studio, testimoniata dal possesso di prestigiose biblioteche. Né mancavano al suo interno possibilità di carriera, giacché, dopo gli splendori quattrocenteschi e del primo Cinquecento, l’adeguamento alle norme tridentine, contrassegnato nel 1568 dal passaggio allo stato regolare e alla regola agostiniana, «aveva ridimensionato il primato dei veneziani nelle cariche a vantaggio di religiosi originari della terraferma veneta o sudditi pontifici» (Barzazi, 1995, p. 182).

In questo ambiente il giovane Tomasini si distinse subito per la serietà negli studi; per volontà dei superiori frequentò l’Ateneo patavino, dove si laureò in teologia il 21 febbraio 1619. Anche in seguito poté soggiornare più frequentemente a Padova che non a S. Giorgio in Alga, in quanto gli furono affidati vari incarichi nei monasteri, nelle chiese e nelle proprietà posseduti dai canonici secolari nel Padovano. Già nel diploma di laurea Tomasini è indicato come canonico di S. Maria in Vanzo, a Padova; nel 1625 soggiornò a S. Brusone, presso Dolo, e nel 1628 – appena lo consentirono le regole dell’ordine – fu nominato rettore di S. Maria in Vanzo. Nel 1630 apparve la sua prima opera veramente significativa, forse il suo capolavoro, gli elogi di uomini e donne illustri nelle lettere, nelle scienze e nelle arti (Illustrium virorum elogia iconibus exornata, Patavii 1630), con dedica al nunzio pontificio Giovanni Battista Agucchi. Durante la peste del 1630-31 si trasferì a Cortelà (oggi frazione di Vo) sui Colli Euganei. Nel 1638 era rettore di S. Giacomo a Monselice. Tuttavia, alla fine degli anni Trenta i suo rapporti con la Congregazione – la cui decadenza era ormai palese – si fecero più tesi; ed egli cominciò apertamente ad aspirare a un vescovato del Dominio veneto, in una delle sedi minori non ambite da patrizi veneziani (per qualche tempo sperò di poter ottenere quella di Pola). La nomina a visitatore della sua Congregazione lo portò brevemente a Roma, dove giunse il 21 ottobre 1639. Ivi poté incontrare antichi corrispondenti come Cassiano Dal Pozzo e grandi eruditi come Leone Allacci, ma soprattutto ottenne la protezione del cardinale Francesco Barberini, cui già aveva dedicato il De donariis ac tabellis votivis liber singularis (Utini 1639) per il suo «erga literas earumque cultores studio».

Dopo aver rinunciato alla nomina a vescovo della Canea, Tomasini ottenne nel dicembre del 1641 la designazione da parte di Urbano VIII a vescovo di Cittanova in Istria, superando, con il favore della Repubblica, la concorrenza dell’agostiniano Paolo Ciera, inizialmente sostenuto dalla Curia romana. Le entrate del vescovato erano venute scemando nel tempo a causa della malaria, per le usurpazioni di privati e per i contrasti giurisdizionali con il vescovo di Trieste (nella seconda metà del Seicento furono valutate circa 400 ducati annui); ma erano tuttavia sufficienti per garantirgli una certa tranquillità economica. Recatosi per la seconda volta a Roma, superò il 5 aprile 1642 il consueto esame cui erano sottoposti i vescovi italiani; fu consacrato vescovo il 22 giugno 1642 dal cardinale Marcantonio Bragadin e lasciò Roma il 20 settembre. Rientrò nel dominio veneto e prese il possesso temporale del suo vescovato per mezzo del nipote Giacomo nel novembre del 1642. Assolse ancora a un ultimo obbligo verso i canonici di S. Giorgio in Alga, pubblicando gli eruditi annali sulla storia della Congregazione (Annales canonicorum secularium S. Georgii in Alga, Utini 1642), che furono presentati solennemente al doge e al Collegio il 26 aprile 1643.

Tomasini fece il suo ingresso a Cittanova il 2 dicembre 1643. A partire da allora e fino al 1654 alternò la residenza in diocesi da dicembre a maggio con un soggiorno padovano da giugno a novembre, per cercare di sfuggire alle febbri malariche che imperversavano a Cittanova, vicina alle foci paludose del Quieto. La sua residenza in Istria risultò molto travagliata, oltre che per la sede isolata e insalubre, anche per i contrasti con i rettori veneti. Tomasini provvide tuttavia coscienziosamente alle visite pastorali e alla convocazione di un sinodo diocesano, i cui atti furono pubblicati a Udine nel 1644 (Sinodo diocesana di Città Nova celebrata adì 17 maggio 1644 nella chiesa catedrale da monsignor Giacomo Filippo Tomasini vescovo, e conte di S. Lorenzo in Daila). Raccolse inoltre i materiali per la redazione di un’opera corografica sull’Istria, preannunciata nell’aprile del 1647 come Historia dell’Histria, rimasta incompiuta alla sua morte. Il manoscritto (conservato a Venezia, Biblioteca statale Marciana, It., VI.159-160 [= 6006-6007]) fu pubblicato solo nell’Ottocento da Pietro Kandler (De’ Commentarj storici-geografici della provincia dell’Istria, in Archeografo triestino, s. 1, IV (1837), pp. 1-554): è un lavoro notevole, di cui gli studi più recenti hanno messo in rilievo soprattutto la ricca nomenclatura botanica, l’accorata denuncia dei problemi socioeconomici dell’Istria e l’illustrazione delle diverse etnie presenti nella penisola, con interessanti riferimenti alle credenze popolari (come i kresniki, equivalente slavo dei benandanti friulani).

Risale all’inizio degli anni Quaranta, pur con tutti i disagi derivanti dai viaggi romani e dalla residenza a Cittanova, l’importante collaborazione di Tomasini con il patrizio Giovan Francesco Loredan. Infatti, Tomasini fece parte dell’Accademia degli Incogniti, promossa da Loredan, e fu incaricato nel 1641 della redazione delle biografie dei membri dell’accademia, le Glorie degli Incogniti (Testa, 2015, pp. 130-135; Trebbi, 2017, pp. 295-298). Tomasini fu alla guida di un gruppo di collaboratori, impegnati chi a raccogliere notizie biografiche, come l’amico Angelico Aprosio, eremitano di S. Agostino (che risiedette a Venezia tra il 1641 e il 1647), chi a scrivere versi celebrativi (come l’erudito Leone Allacci, il filosofo Antonio Rocco, i letterati Giovanni Argoli e Bartolomeo Tortoletto).

Tuttavia il lavoro redazionale di Tomasini e Aprosio si interruppe bruscamente nel 1643 a causa di seri dissensi con Loredan. L’anno seguente la frattura fu in qualche modo ricomposta e Tomasini (sempre assieme ad Aprosio) riprese a occuparsi del completamento dell’opera, ma con minore intensità, come si desume con chiarezza dalle lettere di Tomasini ad Aprosio (conservate a Genova, Biblioteca dell’Università, Mss., E.IV.18, edite in Bruzzone, 2005). Fu questo, probabilmente, il periodo in cui intervenne nella redazione dell’opera Girolamo Brusoni, certamente più vicino alle intenzioni letterarie e mondane di Loredan.

Vi erano infatti tra Loredan e Tomasini differenze di gusto e di cultura che si manifestarono sempre più apertamente, a mano a mano che si avvicinò la pubblicazione delle Glorie degli Incogniti finalmente apparse nel 1647. Nelle sue lettere ad Aprosio, Tomasini contrappose polemicamente il lavoro di Loredan, che non lo soddisfaceva più, alla seconda parte dei propri Elogia (Elogia virorum literis et sapientia illustrium ad vivum expressis imaginibus exornata, Patavii 1644), ponendo maliziosamente a confronto il volgare dell’opera degli Incogniti e il latino delle sue biografie erudite, con l’intento di sottolineare la dimensione europea del proprio lavoro, in confronto con quella riduttivamente italiana delle Glorie degli Incogniti. Ma le due opere si differenziavano soprattutto per la scelta degli autori; da una parte Tomasini poneva i romanzieri e i poeti cari a Loredan, dall’altra la soda erudizione; da una parte i ritratti di personaggi di dubbia fama («academici veneti et versificatori e compositor di romanzi»), dall’altra la scelta attenta e scrupolosa di letterati illustri, appartenenti a pieno titolo al mondo dei dotti.

Era questo, da molto tempo, l’ambiente più congeniale a Tomasini. Già a Padova, negli anni Venti, egli aveva frequentato l’antiquario e bibliofilo Lorenzo Pignoria, il medico danese Giovanni Rodio e il docente di umanità greche e romane Felice Osio. Alle loro conversazioni si era probabilmente unito Gabriel Naudé, nel suo primo soggiorno italiano del 1626-27, e le loro discussioni sul metodo con cui organizzare le biblioteche non erano rimaste senza influenza sulla decisione del Senato veneziano del 5 luglio 1629 per l’erezione della biblioteca universitaria di Padova. Alla memoria di Pignoria Tomasini avrebbe dedicato nel 1632 la descrizione della sua biblioteca e del suo museo (Laurentii Pignorii [...] Bibliotheca et Museum, Venetiis 1632). Con Naudé sarebbe rimasto in stretto contatto durante il suo secondo soggiorno italiano degli anni Trenta, entrando per suo tramite in rapporto anche con Nicolas-Claude Fabri de Peiresc (altri eruditi francesi con cui fu in relazione furono i fratelli Pierre e Jacques Dupuy e l’orientalista Jacques Gaffarel, incontrato a Venezia nel 1633).

La corrispondenza di Naudé con Peiresc è piena di notizie sull’intensa opera erudita di Tomasini, «qui n’est jamais en repos» (Naudé, 1887, p. 54). In effetti, i suoi studi spaziavano dall’antiquaria (con opere come il De tesseris hospitalitatis..., Utini 1647), alla storia letteraria, cui diede importanti contributi con il lavoro su Tito Livio, dedicato al potente patrizio Domenico Molino, suo protettore (T. Livius Patavinus, Patavii 1630), e soprattutto con la biografia di Francesco Petrarca (Petrarcha redivivus, Patavii 1635, 1650). Degna di nota è altresì la sua attenzione per le donne letterate, come la poetessa veneziana Cassandra Fedeli (Cassandrae Fidelis Venetae Epistolae et orationes posthumae, Patavii 1636) e la bresciana Laura Cereta (Laurae Ceretae Brixiensis [...] Epistolae, Patavii 1640). Anche Padova fu al centro dei suoi interessi eruditi, con un progetto di storia letteraria cittadina (Prodromus Athenarum Patavinarum ad cives Patavinos, s.n.t. [1633]) e importanti raccolte di iscrizioni (Vrbis Patavinae inscriptiones sacrae et prophanae, Patavii 1649; Territorii Patavini inscriptiones sacrae et profanae, Patavii 1654). Ma il maggiore contributo di Tomasini agli studi sulla cultura della città natale fu la puntuale descrizione di fondi manoscritti pubblici e privati (Bibliothecae Patavinae manuscriptae publicae et privatae, Utini 1639), preziosa ricerca da lui continuata, con l’aiuto di Aprosio, anche per Venezia (Bibliothecae Venetae manuscriptae publicae et privatae, Utini 1650).

Intorno al 1650 il disagio per l’isolamento in una Cittanova interamente spopolata dalla malaria si fece più forte, inducendo Tomasini ad attivarsi per ottenere la traslazione al vescovato di Rovigo, resosi proprio allora vacante. Tomasini confidava nel sostengo del’ambasciatore veneto a Roma Giovanni Giustinian, ma la sua richiesta non fu accolta dalla S. Sede. Nel 1654 pubblicò la prima importante ricostruzione storica documentata sulle vicende dell’Ateneo patavino (Gymnasium Patavinum, Utini) e verso la fine di quell’anno progettò un nuovo viaggio romano, cui dovette rinunciare a causa delle sue sempre crescenti indisposizioni.

Tomasini morì a Padova il 13 giugno 1655, e fu sepolto a S. Maria in Vanzo, che oggi fa parte del seminario di Padova.

Opere. Tra gli scritti a stampa di Tomasini, oltre ai lavori citati, vanno ricordati: Discorso indrizato al clariss. sig. Benetto Capello, nel quale si ragiona dell’ecclisse lunare del presente anno 1616, et insieme delli effetti dell’ecclisse solare, che fu l’anno 1614..., Padova 1616; Monumentum in funere Maximi Turrani, Patavii 1630; Oratio de D. Hieronymi laudibus, Patavii 1630; Marci Antonii Peregrini [...] vita, Patavii 1636; Historia della B. Vergine di Monte Ortone, Padova 1644; Parnassus Euganeus, sive Museum clariss. virorum, et antiquorum monumentorum simulacris exornatum, Patavii 1647; Manus Aeneae Cecropii votum referentis dilucidatio, Patavii 1649; Vita del b. Giordano forzate priore di S. Benedetto in Padova, Udine 1650; Vita della b. Beatrice Estense, Udine 1652; Relazione del sudore che mirabilmente per molti giorni mandò fuori l’immagine di S. Filippo Nerio in Padova l’anno 1632, Padova 1654; Vita di s. Bovo cavalier provenzale, Padova 1654.

Fonti e Bibl.: I. Imperialis, Museum historicum, Venetiiis 1640, p. 227; Le glorie degli Incogniti overo gli huomini illustri dell’Accademia de’ signori Incogniti di Venetia, Venetia 1647, pp. 188-190; F. Scotti, Itinerario overo nuova descrittione de’ viaggi principali d’Italia, Roma 1650, p. 28; Ph. Labbe, Bibliotheca bibliothecarum, Parisii 1664, pp. 70 s.; G. Naudé, Epistolae, Genevae 1667, pp. 364-372; F. Ughelli, Italia sacra, V, Venezia 1720, coll. 253-254; N.C. Papadopoli, Historia Gymnasii Patavini, II, Venezia 1726, p. 304; J.P. Niceron, Mémoires pour servir à l’histoire des hommes illustres dans la République des lettres, XXIX, Paris 1734, pp. 161-169; G. Cinelli Calvoli, Biblioteca volante, IV, Venezia 1747, pp. 304 s.; G. Tiraboschi, Storia della letteratura italiana, VIII, Milano 1824, p. 555; G. Vedova, Biografia degli scrittori padovani, II, Padova 1836, pp. 334 s.; G. 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