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Romagnosi, Gian Domenico

Dizionario di filosofia (2009)
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Romagnosi, Gian Domenico


Giurista e filosofo (Salsomaggiore, Parma, 1761 - Milano 1835). Uomo di vasti interessi (notevoli i suoi studi scientifici sull’elettromagnetismo e sulla condotta delle acque), concepì l’etica, la politica e il diritto come discipline strettamente legate tra loro, nel quadro di una «civile filosofia» ispirata alla tradizione illuministica, quella tradizione di cui R. fu, negli anni a cavallo tra 18° e 19° sec., il maggiore rappresentante in Italia. Laureatosi in giurisprudenza a Parma (1786), fu notaio a Piacenza (1787-89) e poi pretore (1791-93) e avvocato (1794-98). Le sue simpatie per i principi liberali della Rivoluzione francese (nel 1792 pubblica Cosa è uguaglianza, nel 1793 Cosa è libertà e Primo avviso al popolo) e per la causa di un Regno italico indipendente (nel 1815 pubblica, anonima, Della costituzione di una monarchia costituzionale rappresentativa) determinarono le sue vicende pubbliche. Nella fase di dominio francese in Italia insegnò diritto pubblico e diritto civile nelle univv. di Parma e Pavia, fu consultore del ministro di Giustizia del Regno d’Italia e dal 1808 insegnò «alta legislazione nei suoi rapporti colla pubblica amministrazione» nelle scuole speciali politico-legali, da lui promosse e organizzate a Milano. Il ritorno degli Austriaci gli procurò sempre grandi difficoltà: nel 1799 subì 15 mesi di detenzione a Innsbruck e sotto la Restaurazione gli fu tolta dapprima l’autorizzazione all’insegnamento pubblico (dal 1817 insegnò privatamente, avendo come allievi, tra gli altri, Ferrari e Cattaneo), poi quella all’insegnamento privato (1821), dopo un arresto e un processo per congiura dal quale uscì peraltro assolto. Fondò il Giornale di giurisprudenza universale e collaborò a vari periodici (Conciliatore, Biblioteca italiana, Annali di statistica, Antologia). Nei suoi primi scritti giuridico-filosofici (Genesi del diritto penale, 1791; Introduzione allo studio del diritto pubblico universale, 1805) R. critica il contrattualismo: le tendenze all’autoconservazione individualistica e alla socievolezza sono entrambe naturali e pertanto la società non ha un’origine convenzionale, ma naturale; scopo del diritto è rafforzarne le strutture giuridiche e politiche, al fine di promuovere il cammino verso stadi sempre più avanzati di «incivilimento» morale, politico ed economico. Nell’Assunto primo della scienza del diritto naturale (1820), oltre a ribadire queste convinzioni, R. sottolinea come i supremi principi del diritto naturale prendano forma e significato diverso secondo i tempi, i luoghi, le condizioni di civiltà in cui si applicano. In Dell’indole e dei fattori dell’incivilmento, con esempio del suo risorgimento in Italia (1832) R. fa del progresso la complessa risultante di forze economiche, sociali, culturali e politiche, che, in contesti storici diversi, mirano a produrre una colta e soddisfacente convivenza. Egli distingue tra quattro epoche (senso e istinto, fantasia e passioni, ragione e interesse personale, previdenza e socialità) e individua il punto d’arrivo in una forma sociale fondata sul sapere e sulla proprietà. Sotto questo profilo, R. polemizza con J.Ch.L.S. Sismondi e con Saint-Simon, difendendo le ragioni della libera concorrenza e della proprietà privata (volere il progresso dell’industria e del commercio attraverso l’abolizione della proprietà privata, afferma R., è come volere la crescita dei rami attraverso la distruzione del tronco). Alla critica dell’intellettualismo (cioè di una considerazione astratta dell’uomo, al di fuori della dimensione storico-sociale) si accompagna, dal punto di vista gnoseologico, la critica del sensismo (Che cos’è la mente sana?, 1827; Vedute fondamentali sull’arte logica, 1832): è vero che ogni conoscenza deriva dai sensi, ma è altrettanto vero che essa, di per sé, non è ancora conoscenza e diviene tale soltanto per l’azione ordinatrice dell’intelletto. La conoscenza deriva quindi dalla «compotenza» di senso e intelletto, anche se R. sottolinea, in polemica con Kant, che le forme a priori non sono trascendentali, ma scaturiscono da un processo induttivo graduale. Tra le sue opere, che testimoniano lo spirito enciclopedico dell’autore, vanno menzionate: Della condotta delle acque (1822-25); Della suprema economia dell’umano sapere (1828). Postume furono pubblicate: Ricerche sulla validità dei giudizi del pubblico a discernere il vero dal falso (1836); Consultazioni forensi (1836-37); Istituzioni di civile filosofia ossia di giurisprudenza teorica (2 voll., 1839); Della vita degli Stati (1854); Diritto naturale politico (1845); La scienza delle costituzioni (1847).

Vedi anche
Melchiorre Giòia Giòia, Melchiorre. - Scrittore politico (Piacenza 1767 - Milano 1829). Avviato alla carriera ecclesiastica presso il collegio Alberoni (nel 1793 fu ordinato sacerdote), subì l'influenza del giansenismo e del sensismo del Condillac, avvicinandosi a posizioni filofrancesi e giacobine. Bandito nel 1796 ... Il Conciliatore Periodico scientifico-letterario, fondato a Milano nel 1818 da un gruppo di liberali. La redazione comprendeva L. Porro-Lambertenghi, F. Confalonieri, G. Berchet, P. Borsieri, G. Pecchio, G.D. Romagnosi, E. Visconti e L. di Breme. Uno dei principali collaboratori fu S. Pellico. Fu l’organo di battaglia ... Giuseppe Ferrari Filosofo e uomo politico (Milano 1811 - Roma 1876). Avvocato, si diede per vocazione agli studî filosofici, riconoscendo suo maestro G. D. Romagnosi e, idealmente, G. Vico, nonostante continue irrequietezze che trovarono in Francia, dove andò esule nel 1838, ambiente congeniale. Nell'Essai sur le principe ... Silvio Pèllico Pèllico, Silvio. - Patriota e scrittore (Saluzzo 1789 - Torino 1854). Ebbe grande successo con la tragedia Francesca da Rimini (1815); si schierò poi con i romantici, e collaborò al Conciliatore. Aggregato alla Carboneria, fu recluso nel carcere dello Spielberg. Da quest'esperienza nacquero Le mie prigioni ...
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