TRISSINO, Gian Giorgio

Enciclopedia Italiana (1937)

TRISSINO, Gian Giorgio

Camillo GUERRIERI-CROCETTI

Letterato, nato a Vicenza l'8 luglio 1478, morto a Roma nel 1550. Esiliato dalla sua città e privato dei beni per aver favorito le aspirazioni dell'imperatore su Vicenza, viaggiò per le corti d'Italia, ovunque ammirato. Fu caro specialmente a Leone X, che lo inviò come ambasciatore in Germania e gli ottenne la revoca della condanna, e a Clemente VII, che lo inviò in varie legazioni a Venezia e lo condusse con sé al congresso di Bologna. Carlo V lo creò conte palatino. Visse il resto della sua vita, amareggiatagli da un figlio, nella sua stupenda villa di Cricoli, a Padova, a Milano e a Roma.

Oltre all'Epistola della vita che dee tenere una donna vedova, composta per l'infelice monacazione di Margherita di Carpi, da lui amata, e I Ritratti, dialoghi in onore di Isabella Gonzaga, scrisse liriche d'amore, nelle quali il sentimento s'esprime con garbo e signorilità. Ma soprattutto egli appartiene a quel gruppo di letterati nei quali l'esercizio dell'arte è interpretazione dei classici, tentativo di penetrare nelle forme antiche, specialmente elleniche, ricreandole in generi moderni, applicazione di norme e precetti desunti dalle opere antiche e dalla poetica di Aristotile. Egli stesso scrisse un'Arte poetica, che nei primi quattro libri non si stacca dai problemi di lingua e di metrica del Bembo (solo nell'ultimo affiora qualche spunto di tecnica artistica), mentre negli altri due, pubblicati postumi, affrontò le grandi questioni sulla mimesi, catarsi, poema e tragedia, che saranno i motivi dominanti nelle polemiche del tempo. Si fece perciò largo nel suo spirito la concezione d'un'arte in cui lo studio prevalesse sull'ispirazione, la tecnica sul sentimento; l'insegnamento che poteva scaturire dalla visione d'un mondo superiore di eroi solennissimi e composti nella dignità del loro ideale e della loro missione anticipava le preoccupazioni morali della Controriforma.

La Sofonisba, tragedia composta a Roma fra il 1514 e il 1515, ma rappresentata soltanto nel 1556, segue la tecnica del teatro greco nell'introduzione dei cori, che partecipano all'azione, dividono gli episodî e intramezzano prologo ed esodo, e nella rigida osservanza delle unità di azione e di tempo. Prevale il verso sciolto, con cui il Tr. intese rinnovare il trimetro giambico acatalettico, ma nelle situazioni di acceso lirismo ricorre la canzone rimata e rimati sono i cori divisi in strofe, antistrofe, epodo. La Sofonisba è stata severamente giudicata; ma se i caratteri e le situazioni hanno scarso sviluppo, non le mancano certa "castità di forma" e una semplicità lineare di motivi, che rivela un sentimento schietto e gentile.

Intorno all'Italia liberata dai Goti il Tr. lavorò vent'anni con l'intenzione di creare un grande poema eroico, con una forte base storica - giacché pensava che niente è più serio e interessa più di quello che si sa realmente accaduto - e con un alto fine morale. Tratta della guerra tra i Goti e i Bizantini per la conquista d'Italia: eroe principale Belisario, che nella gravità dei suoi discorsi e dei suoi gesti anticipa Goffredo di Buglione. La fonte è Procopio; guida, l'Arte poetica di Aristotile; modello, Omero. Ma nonostante le sue intenzioni, il Tr. non riuscì a scansare volgarità e situazioni grossolane. Il tentativo di fondere mitologia e religione cristiana riesce talvolta grottesco; costante e fastidioso è il contrasto tra la minuziosa aridità storica da una parte, e la sovrastruttura allegorica dall'altra. Il Tr. credette d'avere trovato nell'endecasillabo sciolto - che per la prima volta viene adottato in opera di vasta estensione - la forma conveniente alla poesia solenne, ma la monotonia nella distribuzione degli accenti rende il suo verso pesante, aspro e prosaico. Il poema, in 27 libri, era finito Per il 47: nove libri furono stampati subito.

Nella commedia I Simillimi (1548) l'autore volle conciliare situazioni e tipi della commedia latina derivati dai Menaechmi di Plauto, con la tecnica degli esempî ellenici: soppresse il prologo e introdusse il coro. Volle ellenizzare anche l'ortografia e la pronuncia italiana con l'introduzione di lettere greche per distinguere i suoni dell'e e o aperte e chiuse e della z dolce e sonora. Questi criterî applicò nella stampa della Sofonisba (1524) ed espose in una lettera a Clemente VII dello stesso anno. Attaccato da Cl. Tolomei, da L. Martelli, da A. Firenzuola e da altri, replicò con i suoi Dubbi grammaticali ribadendo le sue idee, modificando la designazione dei suoni e introducendo qualche nuova regola.

La stessa concezione della lingua greca gl'ispirò forse le dottrine esposte nel Castellano (1529) in cui introduce G. Rucellai, castellano di Castel S. Angelo, a esporre le sue teorie sulla lingua italiana. Dal fondo dei varî dialetti, eliminate le forme particolaristiche d'ognuno, si estraggano le voci comuni e si avrà una lingua che è patrimonio di tutti, e che perciò dovrà essere chiamata italiana. Nel De Vulgari eloquentia, ch'egli tradusse non sempre accuratamente, il Tr. credette d'avere trovato il più formidabile argomento a favore della sua dottrina (1529); ma suscitò fiere polemiche, alle quali partecipò in difesa del Tr. anche G. Muzio (Battaglie per la difesa dell'italica lingua). Si è voluto vedere nell'opera del Tr. una contraddizione di principî, che la riporti verso il fiorentinismo, e scarsa maturità d'idee: certo che da tutto il Castellano emerge la decisa concezione d'una lingua di classe aristocratica e dotta, che prescinda dall'uso e obbedisca a certe esigenze ideali di principî e di tecnica. Tutta l'opera del Tr. non potrà essere compresa se non venga riportata ai principî teorici di cui volle essere un'applicazione e un'interpretazione; perciò essa è strettamente legata agli sviluppi posteriori delle varie forme e a certi orientamenti di pensiero che acquisteranno una più profonda consapevolezza critica dai moderni avanzamenti delle dottrine linguistiche e dalla concezione più recente della lingua italiana.

Cfr. Tutte le opere di G. G. Tr. non più raccolte (Verona 1729, voll. 2).

Bibl.: B. Morsolin, G. G. Tr. o monografia di un letterato del sec. XVI, Vicenza 1878, 2a ed., Firenze 1894; A. D'Ancona, Varietà storiche e lett., II, Milano 1885; A. Marpicati, Saggi di letteratura, 2a ed., Firenze 1934, p. 107 segg. Sull'Italia liberata: E. Ciampolini, Un poema eroico nella metà del '500, Lucca 1881; F. Ermini, L'Italia liberata di G. G. Tr., Roma 1895; C. Guerrieri-Crocetti, G. B. Giraldi ed il pensiero critico del sec. XVI, ivi 1932, p. 481 segg. Sulla Sofonisba: E. Ciampolini, La prima tragedia regolare d. letter. ital., Firenze 1896; G. B. Crovato, La drammatica a Vicenza nel '500, Torino 1895; E. Bertana, La tragedia, Milano s. a., p. 23 segg.; F. Neri, La tragedia ital. del '500, Firenze 1904, p. 27 segg.; B. Croce, Poesia popolare e poesia d'arte, Bari 1933, p. 312 segg. Sulle dottrine estetiche: G. Toffanin, La fine dell'umanesimo, Torino 1920, p. 15 segg.; C. Guerrieri-Crocetti, op. cit. Sulla questione della lingua e dell'ortografia: G. Belardinelli, La questione della lingua: un capitolo di storia letter. ital. da Dante a Gir. Muzio, Roma 1904; T. labande Jeanroy, La question de la langue en Italie, Strasburgo 1925, p. 111 segg.; F. Zambaldi, Delle teorie ortografiche in Italia, in Atti del R. Ist. veneto, s. 7a, III (1892); B. Croce, Lettere inedite di G. G. Tr., ecc., in Scritti di storia, ecc., Napoli 1908.

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