ANGIOJ, Gian Maria

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 3 (1961)

ANGIOJ (Angioy), Gian Maria

Renzo De Felice

Nacque, secondo di quattro figli, a Bono il 21 ott. 1751 da Pier Francesco, nobile possidente, e da Margherita Arras. Persi in giovane età entrambi i genitori, ricevette la prima educazione a Bono dallo zio T. Arras e poi, a Sassari, da un altro zio G. A. Arras, futuro vescovo di Ampurias. Studiò successivamente nel collegio Canopoleno e nel 1771 si laureò in legge all'università di Sassari. Dopo la laurea, pensò per un momento di entrare nella Compagnia di Gesù, ma - tosto dissuaso - nel 1773 si trasferì a Cagliari per fare pratica forense presso G. Nieddu. Nella capitale dell'isola percorse una rapida e brillante carriera, affermandosi come una delle personalità più cospicue del mondo culturale e politico isolano. Insegnò, per breve tempo, diritto civile presso l'università di Cagliari; lasciò, però, l'insegnamento per ricoprire la carica di giudice della Reale Udienza. Sposò Annica Belgrano, dalla quale ebbe tre figlie.

Uomo di spiccate doti morali e intellettuali, aperto alle nuove esigenze sociali (fu, tra l'altro, proprietario illuminato e tentò con successo nelle sue terre l'introduzione di nuove colture, tra cui quella del cotone), divenne presto uno dei maggiori esponenti del movimento novatore cagliaritano e sardo in genere e guida indiscussa della sua ala più decisamente anti-feudale e democratica. Non per questo, però, può essere considerato sin dai primi tempi tra i fautori della Rivoluzione e della Francia: pur condividendo gran parte degli ideali emancipatori della Rivoluzione, l'A. si avvicinò alla Francia solo in un secondo tempo e mosso prevalentemente da esigenze di ordine politico pratico. Nel 1793 contribuì, anzi, alla difesa della Sardegna contro i Francesi.

La grande "stagione" politica dell'A. ebbe inizio proprio all'indomani della fallita spedizione francese contro l'isola. Forti del successo riportato, i Sardi, e per essi gli Stamenti, chiesero a Torino il ripristino dei loro privilegi costituzionali, l'ammissione a tutti gli impieghi e cariche (esclusa quella vice-reale) e la creazione a Cagliari di un Consiglio di stato. Su questo moto politico a carattere anti-piemontese se ne innestò subito un secondo sociale a carattere anti-feudale che si faceva espressione del malcontento e dell'endemico stato di rivolta in cui da anni vivevano varie zone dell'isola. L'insurrezione del luglio 1794, che portò alla cacciata del viceré piemontese e diede tutto il potere agli Stamenti e alla Reale Udienza, concludendo vittoriosamente la fase politica della lotta, provocò la divisione del movimento patriottico. Esso si divise, grosso modo, in tre gruppi o partiti: quello feudale, quello moderato e quello democratico. Di quest'ultimo (che tra il maggio 1795 e il giugno 1796 ebbe anche un suo organo di stampa, Il giornale di Sardegna del dr. G. Melis) l'A. - primo senatore della Sala Civile - fu l'anima e il capo: per circa due anni le vicende dell'A. (con la sola eccezione di una fortunata missione nel 1794 a Iglesias, in qualità di R. Commissario, per ricondume alla calma la popolazione insorta per la penuria di grano) si confondono e fanno corpo con quelle del partito democratico, detto ben presto "angioyno" e, dai suoi avversari, "giacobino".

Al fermo atteggiamento del partito democratico si dovette in particolare se, nel 1795, gli Stamenti e la Reale Udienza si opposero - in attesa che Torino accettasse le richieste sarde - alla registrazione di alcune patenti, richiesta dal nuovo viceré, F. Vivalda, e se la nobiltà feudale e i moderati non riuscirono a prevalere. Il momento culminante e più drammatico di questa lotta si ebbe nel giugno-luglio 1795: mentre il viceré e i suoi sostenitori - impressionati dalla violenza della campagna antifeudale e dall'agitazione sempre maggiore delle campagne - cercavano di esautorare gli Stamenti ed escludere il popolo dal governo e veniva preparato addirittura un colpo dì stato per sciogliere gli Stamenti, a Cagliari, nel corso di gravi torbidi, furono assassinati i maggiori esponenti del fronte anti-democratico: il "generale delle armi" marchese della Planargia Gavino Pagliaccio e l'intendente generale cav. Girolamo Pitzolo. Di tali assassini fu dapiù parti accusato l'A. di essere stato il mandante e alcuni asserirono che ili esecutori erano usciti direttamente dal suo palazzo.

Solo a dopo questi drammatici avvenimenti risalgono i primi contatti tra l'A. e i Francesi: ad essi infatti seguì una ripresa dei democratici, che, però, temendo una reazione m forza dei Piemontesi e dei loro sostenitori sardi, inviarono un agente - certo Ochino - in Francia per ottenerne la protezione.

Intanto la situazione sarda precipitava; il Logudoro era sconvolto dalla rivolta agraria anti-feudale: in breve tutta la regione era in armi e il 28 dicembre Sassari, la roccaforte dei feudatari, era presa d'assalto e conquistata; a Cagliari, poi, l'A. e i democratici chiedevano a gran voce la abolizione del feudalismo e la liberazione dei vassalli dagli aggravi signorili.

In questa situazione, il 3 febbr. 1796 il viceré Vivalda nominava l'A. "alternos", con pieni poteri civili, giudiziari e militari, per sedare i disordini nel Logudoro. Su tale nomina e sulla accettazione da parte dell'A. i pareri sono discordi; secondo alcuni, la nomina sarebbe stata provocata dai moderati, che volevano allontanare l'A. da Cagliari per aver mano libera e speravano, data la sua posizione anti-feudale, che si compromettesse; quanto all'A., qualcuno ha sostenuto che egli accettasse la nomina dopo molte incertezze e, più che altro, per ambizione; altri, invece, ritengono che l'accettasse di buon grado, per poter meglio preparare la definitiva sconfitta della nobiltà feudale.

L'A. partì da Cagliari il 13 febbraio e arrivò a Sassari il 28; il viaggio, volutamente lento, fu per lui un vero trionfo: la popolazione lo accolse ovunque con indescrivibile entusiasmo e gli sottopose le proprie richieste contro la feudalità. Giunto a Sassari si diede ad attuare tutta una serie di provvedimenti economici per frenare la carestia, migliorare le condizioni popolari e a raccogliere anche i reclami contro il regime feudale. Pare altresì che si adoperasse segretamente per favorire e incoraggiare il "federalismo" delle località circonvicine.

In breve il panico si diffuse tra la nobiltà feudale. Parecchi feudatari fuggirono da Sassari e si rifugiarono all'Asinara, dicendo che si progettava di assassinarli. In questo clima fu scatenata contro l'A. una vera e propria campagna di calunnie: piccoli, episodi furono montati ad arte e il loro .,significato distorto, altri,furono addirittura inventati di sana pianta. In particolare l'A. fu accusato di avere nel marzo-aprile assediato e cercato di impadronirsi di Alghero (l'accusa fu ripresa persino da uno storico come G. Manno): in realtà, l'attacco contro Alghero non vi fu, e si trattò solo di una montatura della nobiltà feudale e del governatore Carroz, volta a screditare l'A. e ad ac:cusailo di attentare all'autorità sovrana.

In questo clirna, il 2 giugno l'A. passò a sua volta :,all'offensiva, mettendosi in marcia da Sassari con le sue truppe: il 6 era a Macomer, l'8 a,Oristano, bene accolto dalle popolazioni. Da Oristano l'8 stesso scriveva al viceré chiedendo di incontrarsi con lui o con i deputati degli Stamenti per risolvere la situazione e abolire il feudalesimo. A Oristano lo raggiunse, però, la notizia che nel frattempo era stata conclusa la pace tra la Francia e il re di Sardegna; l'A., che doveva aver contato su-questo conflitto per aver mano libera nell'isola (alcuni anni dopo in un memoriale al ministero della Guerra francese scrisse che, se la guerra fosse durata ancora due settimane, egli avrebbe potuto repubblicanizzare la Sardegna), inviò allora una seconda lettera a Cagliari in cui annunciava che il Logudoro desiderava che fosse interposta la mediazione di Parigi. All'azione dell'A. il viceré e gli Stamenti replicarono con estrema prontezza: già il 7 gli Stamenti prendevano posizione contro l'A., il giorno successivo il Vivalda lo rimuoveva da "alternos", metteva a prezzo la sua testa e quella dei suoi più immediati collaboratori e concedeva la amnistia a quei suoi partigiani che avessero disertato e deposte le armi; contemporaneamente inviava truppe contro Oristano. A loro volta, parte delle popolazioni che avevano appoggiato l'azione dell'A., un po' per fedeltà al re e agli Stamenti, un po' per timore e un po' per gli eccessi commessi dalle truppe angioyne, si staccavano dagli insorti. L'A. ebbe allora un momento di incertezza, sgombrò Oristano, poi la rioccupò, indi la sgombrò definitivamente e si ritirò con pochi fedeli verso Thiesi. Il 15 rientrava a Sassari e, constatato il fallimento dell'impresa, si imbarcava a Porto Torres per Aiaccio e di qui passava a Livorno.

A Cagliari gli Stamenti istruirono subito un processo contro di lui, accusandolo di lesa maestà, e il viceré, dal canto suo, ordinava la completa repressione del movimento democratico. A Livorno e a Genova l'A. ebbe contatti con i Francesi, con il Faypoult e il Belleville e a Mantova si incontrò col Bonaparte e con il Saliceti. Non avendo ottenuto il loro appoggio per un'azione immediata a favore della Sardegna, si mise allora in contatto con Torino, confutando le accuse mossegli, illustrando la situazione dell'isola, sostenendo il carattere anti-feudale della sua azione, negando che questa fosse stata rivolta contro la monarchia e denunciando a sua volta la politica del viceré. Saputo poi che l'avv. fiscale L. Cappa aveva in parte accettato la sua difesa, chiese un salvacondotto e, ottenutolo, si recò personalmente a Torino (7 dic. 1796). Da Torino passò quindi a Casale, prendendo alloggio in un convento agostiniano, in attesa dell'esito dell'istruttoria. Visti, però, vani i suoi sforzi di ottenere un'amnistia per i suoi compagni rimasti in Sardegna, venuto a conoscenza che da Cagliari era stata trasmessa una istruttoria a lui completamente sfavorevole e, pare, scampato per caso a un tentativo di assassinio, tra la fine di maggio e i primi di giugno 1797 fuggì da Casale e si rifugiò prima a Genova e poi a Parigi. Nella capitale francese l'A. divenne subito il portavoce e il capo degli esuli sardi (un gruppo di essi gli rilasciò addirittura una procura notarile che lo nominava loro rappresentante presso il governo francese). In contatto con i democratici ancora liberi nell'isola, non desistette dall'incitare i Francesi a sbarcare in Sardegna: in un memoriale del fruttidoro a. VII, in particolare, tracciava un preciso quadro della situazione sarda, suggeriva un piano di sbarco e il modo, dopo la conquista, di riorganizzare il governo.

Innanzi tutto egli sosteneva che si sarebbe dovuto costituire un governo provvisorio che procedesse subito alla abolizione della feudalità e di ogni diritto e prerogativa nobiliare; successivamente si sarebbe dovuto convocare il parlamento e redigere una costituzione basata sui principi della libertà e dell'eguaglianza, conforme agli usi e alle opinioni religiose e in genere alle abitudini del paese (tra l'altro si sarebbero dovuti conservare il clero e il calendario gregoriano); le spese sostenute dalla Francia per liberare la Sardegna sarebbero state rimborsate, i due paesi si sarebbero legati con un trattato dì alleanza (con reciproche guarnigioni) e la Francia avrebbe aiutato lo sviluppo economico dell'isola, trovandovi così anche uno sbocco per la sua disoccupazione.

Nell'isola intanto i suoi fautorì tenevano sempre viva la speranza in un suo prossimo ritorno liberatore. Alla fine il Direttorío sembrò decidersi a tentare una azione in Sardegna, ma la sua caduta - il 18 brumaio - fece accantonare il progetto. Esso fu ripreso nella primavera del 1800 da N. Bonaparte, che ne affidò la realizzazione al Saliceti, al gen. J. B. Cervoni e all'A. stesso. Una serie di circostanze e una imprudente rivelazione di stampa (Gazzetta Ligure del 22 germinale VIII) fecero rinviare l'azione e quindi rinunciarvi.

L'A. non desistette per questo dalla sua attività: nel gennaio 1803, per esempio, riuscì ad ottenere un intervento francese presso il governo sabaudo in favore dei democratici sardi che erano stati sottoposti ad una spietata reazione.

Si spense a Parigi il 22 marzo 1808.

Bibl.: C. Botta, Storia d'Italia dal 1789 al 1814, II, Capolago 1837, p. 87; p. Tola, Diz. biografico degli uomini illustri della Sardegna, Torino 1837, pp. 77-79; G. Manno, Storia moderna della Sardegna, Torino 1842, I, pp. 246 ss.; II, passim; F. Sulis, Dei moti liberali dell'isola di Sardegna dal 1793 al 1821, Torino 1858, passim; N. Bianchi, Storia della monarchia Piemontese dal 1773 sino al 1861, II, Torino 1878, pp. 507-518; IV, ibid. 1885, pp. 513-518; A. Mossa, Il centenario dell'entrata in Sassari di G. M. A., Sassari 1896; R. Garzia, Il canto di una rivoluzione, Cagliari 1899; G. Lumbroso, Gli ultimi angioini in Gallura nel 1802, in Boll.bibl. sardo, 1902 (estratto); S. Pittalis, Un documento inedito su G. M. A., Cagliari 1906; A. Mondolfo, L'abolizione del feudalesimo in Sardegna, in Archivio storico sardo, II (1906), pp. 210-216; E. Costa, G. M. A. e l'assedio di Alghero, ibid., IV (1908), pp. 3-55; S. Pola, I moti delle campagne di Sardegna dal 1793 al 1802, Sassari 1923, passim; A. Boi, G. M. A. alla luce di nuovi documenti, Sassari 1925; S. Pola, L'isola di Sardegna nei rapporti diplomatici franco-piemontesi dal 1795 al 1798, Genova 1936, 2. voll., passim (spec. I, pp. 166 ss.); Id., Fuorusciti sardi ed agenti francesi per una nuova "Descente en Sardaigne", in Rass. stor. dRisorgimento, XXIV (1937), pp. 231-274; C. Sole, Giacobini e realisti in Alghero nel 1796, in Studi storici in onore di Francesco Loddo Canepa, Firenze 1959, pp. 311-332.

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