CAVAGNA, Gian Paolo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 22 (1979)

CAVAGNA, Gian Paolo

Luisa Bandera

Figlio di Giampietro, nacque a Bergamo, non si sa con esattezza in quale anno.

La data 1556 comunemente accettata è stata ricavata dalla scritta, ora scomparsa, che il C. aveva aggiunto alla firma, e alla data 1591 dello stendardo dell’oratorio della Dottrina cristiana nella chiesa di S. Rocco a Bergamo: “XXXV aetatis suae” (P. Locatelli). La famiglia era originaria di Santa Croce in Val Brembana, ma il Fornoni, sulla base del testamento steso nel 1547 dal nonno del C., Gian Antonio, dice che questi si era già stabilito a Bergamo e aveva nella contrada Prato in borgo San Leonardo una bottega di tintore.

Il Tassi, che scrisse la biografia del C., nel 1793 precisava (p. 193) di aver dovuto “penar molto a poter anco rinvenirne quelle poche” notizie che pubblicò. Sappiamo che egli dimorò in vicolo Zambonate, dove il biografo poteva ancora vedere sulla facciata della sua casa tracce di affreschi con l’autoritratto del pittore (oggi la casa non è più individuabile come non resta traccia di altri affreschi, eseguiti sulla facciata di alcuni edifici sacri, ricordati dalle fonti).

Ebbe in moglie Margherita Canubina, dalla quale nacquero quattro figli: Caterina e Francesco, che divennero pittori, Giacomo Antonio, che prese l’abito talare, e Giovanni Battista. Nel 1586, ’92 e ’93 dipingeva nel palazzo civico di Bergamo e nel 1605 l’artista venne consultato a proposito dell’esecuzione del cornicione della loggia del Palazzo Nuovo (Bergomum, XIII [1919], p. 23). Dai libri matrimoniali di S. Alessandro in Colonna risulta che il 16 novembre del 1611 il C. sposò in seconde nozze Caterina Minetti. Nel testamento redatto il 17 maggio 1627 lasciò in eredità ai figli alcune proprietà che aveva acquistato a Spirano e una casa sulla strada di Cologno (Fornoni).

Morì a Bergamo il 20 maggio 1627 (Arch. parrocchiale di S. Alessandro in Colonna), e fu sepolto in S. Maria delle Grazie.

L’apprendistato dei C. avvenne nella bottega di Cristoforo Baschenis il Vecchio (Pasta, 1775). Da questo alunnato dovette nascere certamente anche un rapporto di lavoro. La modesta personalità del maestro non pare tuttavia di sufficiente prestigio, né idonea a spiegare il fondo culturale veneziano che si individua nei dipinti cronologicamente più antichi del Cavagna. Il Tassi infatti ricorda come prima esperienza artistica del C. un soggiorno a Venezia, durante il quale il pittore avrebbe studiato nella “stanza” di Tiziano. Questa supposizione potrebbe essere stata suggerita anche dal fatto che fino alla fine dell’ottavo decennio non abbiamo notizie di opere sue. Si deve ricordare a questo proposito che dal 1576 al 1578 Bergamo fu afflitta da una grave epidemia di peste, e ciò determinò la sospensione quasi totale di ogni attività artistica in tutto il territorio.

Dopo questa probabile esperienza veneziana, che si intravvede orientata non tanto in direzione tizianesca, come suggeriva il Tassi, ma piuttosto verso il Tintoretto, i Bassano (soprattutto Francesco e Leandro) e il Veronese, filtrato dagli artisti tardomanieristi dell’entroterra, il Tassi giustamente segnala un avvicinamento ai modi di Giambattista Moroni, e alla cultura lombarda, che aveva i suoi centri, oltre che a Bergamo, a Brescia e a Cremona. Infatti nell’Incoronazione della Vergine e santi della parrocchiale di Casnigo, firmata e datata 1580 (è la prima opera datata del C. che si conservi), il C. rielabora insieme con ascendenze venete uno schema morettiano e interpreta, filtrandolo, il luminismo del Savoldo, ottenendo risultati che sono da porsi in parallelo a quelli ricercati da Vincenzo Campi. Il sostanziale significato lombardo dei suoi orientamenti si manifesta poi nell’atteggiamento colloquiale e dimesso delle figure, nella definizione ritrattistica dei visi, nella resa serica delle vesti.

Tuttavia, sin dalla fase iniziale si riscontrano le differenze generazionali nei confronti dei suoi grandi modelli bresciani e bergamaschi: uno schema più severo che rispondeva agli intenti moralistici della Controriforma, una grandiosità icastica e un’attenzione ai “valori” della realtà rivelano il pittore ideatore di nuove iconografie religiose, modelli per la pittura naturalistica locale del Seicento; così come la spinta devozionale e gli atteggiamenti mistico-ascetici che caratterizzano le figure, rese quasi sempre a grandezza naturale, inseriscono la sua produzione in quella che è stata definita la “Counter-maniera” (S. J. Freedberg, Painting in Italy 1500 to 1600, Harmondsworth 1971).

La notorietà del C. dovette affermarsi lentamente, se ancora nel 1588, pur di poter far parte dei pittori operanti per la basilica di S. Maria Maggiore, egli accettò di dipingere la pala di S. Giovanni Evangelista alla condizione che se l’opera non fosse piaciuta ai committenti gli sarebbe stata respinta senza il rimborso delle spese (Tassi, I, p. 194). Dello stesso periodo sono l’Assunta della chiesa parrocchiale di Gromosone di Nese, le tele di S. Rocco (il trittico, firmato e datato 1591, con la Madonna e santi, S. Carlo e S. Caterina che presentano due devoti, le due tele che formavano lo stendardo della confraternita con la Madonna, santi e devoti e S. Rocco e devoti, firmato e datato 1591, e la Madonna con s. Giovanni Battista, s. Antonio Abate, s. Francesco e s. Carlo, che può considerarsi cronologicamente vicina), nonché la Madonna col Bambino e santi della collezione Astori di Bergamo.

Queste opere, per la carica naturalistica resa con eccezionale intensità, sottolineata da una luce che agisce a distanza ravvicinata e con maggior evidenza che non nel Moroni, per la naturalezza del rapporto confidenziale ed umano delle figure, appaiono come una importante testimonianza della cultura lombarda paracaravaggesca, con risultati affini a certo naturalismo iberico così da suggerire per il C. una collocazione secondo la formula di H. Voss (Malerei des Barock in Rom, Berlin 1925) tra i “falsche Spanier”.

Affini alle tele di S. Rocco sono i ritratti di Don Ferrante e Sofonisba Ambiveri (Ponteselva, Bergamo), la Madonna e santi della parrocchiale di Sforzatica, S. Diego della chiesa di S. Maria di Lovere e, benché databile verso la fine del secolo, la Trinità di Alzano Lombardo (Locatelli-Milesi, 1935. ill. p. 222), oltre alla Madonna del Cinto dell’Accademia Carrara. In alcune tele, come la Nascita del Battista della collezione Battaglia di Faenza. l’Ultima Cena della chiesa di S. Martino di Treviglio e quella della parrocchiale di Cologno, i brani di natura morta preannunciano, pur attraverso il bassanismo di fondo, i temi e i caratteri della pittura secentesca di genere.

Nel 1592 i rettori della basilica di S. Maria Maggiore di Bergamo affidarono al C. il restauro di quattro ovati di Francesco Bassano per la volta del coro, che si erano guastati durante il viaggio da Venezia (Tassi, I, pp. 194 s.). Per la stessa chiesa il C. eseguì numerose opere tra il 1592 e il 1593: la Assunta a fresco e olio nel catino dell'abside (vicino ai dipinti del Bassano), la Natività (1593), che copre la cassa del finto organo, Giuditta e Oloferne e Ester e Assuero sulle pareti del presbiterio. In questi dipinti i richiami al manierismo veneto sono accompagnati dalla propensione per il naturalismo illusivo, “romanista”, dei Campi e del Cattapane e per il gigantismo di derivazione emiliana di Panfilo Nuvolone il Vecchio, artisti certamente già noti al C. quando nel 1595 giunse a Cremona insieme con il suo allievo G. B. Grifoni per eseguire gli affreschi, distrutti nel 1815-17, della biblioteca degli agostiniani.

Tali caratteri compaiono anche in opere di qualche anno più tardi, come la Adorazione dei pastori nella chiesa di S. Pietro ad Alzano Lombardo, la tela dello stesso soggetto del duomo di Crema, i dipinti della parrocchiale di S. Martino a Treviglio dove il C. è documentato insieme con il figlio Francesco dal 1597 (a differenza delle tele che ivi si conservano, gli affreschi furono distrutti nel rifacimento dei Galiari che però lasciarono quattro medaglioni nella cupola: vedi R. Bossaglia in Arte lombarda, IV [1959], 2, p. 324), le tele della chiesa parrocchiale di Gorlago e quelle della chiesa di S. Spirito a Bergamo.

Entro il primo decennio del Seicento sono da datare l’Assunta di Scanzorosciate, l’Ultima Cena di Cologno al Serio e quella di Telgate, l’affresco con il Crocefisso e dolenti in S. Maria del Lino a Brescia, in cui i motivi veneti si intrecciano con novità emiliane, parmensi e procaccinesche e con elementi derivanti da Camillo Boccacci. Nel Seicento inoltrato gli orientamenti del C. si inseriscono con una maggiore evidenza nella consistente corrente di classicismo normalizzante che era rappresentato a Bergamo da Enea Salmeggia. Rispondono a questo orientamento il Martirio di s. Sisto e s. Lorenzo nella chiesa di S. Sisto a Piacenza (1604), la Madonna e santi (1606) e i SS. Nicola da Bari e Bernardino da Siena in S. Bernardino in Pignolo, i Santi in gloria (1607) e la Madonna con s. Anna e s. Francesca Romana (1610) in S. Alessandro in Colonna, il S. Angelo carmelitano nella chiesa del Carmine, il ciclo ad affresco con Profeti ed Angeli (in ovati: due sono da assegnarsi a F. Zucco e uno al Talpino) e l’Incoronazione della Vergine nella cupola di S. Maria Maggiore, datato 1615, la Madonna del Rosario della chiesa parrocchiale di Olmo al Brembo del 1617.

Nel Miracolo di s. Martino di Alzano Lombardo (1620), nel Miracolo dei fiori in S. Alessandro in Colonna, e nel Miracolo annuale dellacqua nella chiesa di S. Benedetto sempre a Bergamo, entrambi del 1621 (l’ultimo inciso da G. Locati presso Wagner) e in generale nelle opere più tarde, ricompare una narrazione piana e popolare che, pur in una luce meno contrastata, ancora una volta mette in evidenza la propensione per i valori della realtà che avevano caratterizzato i dipinti dell’ultimo decennio del Cinquecento. L’ultima attività del pittore è da rintracciare nella pala con Madonna e santi di S. Grata a Bergamo, e nelle Stimmate di s. Francesco nella chiesa parrocchiale di Vilminore (1625), nelle quali tuttavia si devono notare interventi di aiuti.

Attualmente la fama del C. è affidata alla ritrattistica. Coevo ai ritratti dei Coniugi Ambiveri di Ponte Selva è il ritratto dell’Organista Lorenzo già della galleria Heim di Parigi (Longhi, 1957), che rivela, insieme con reviviscenze del Moroni e dell’Anguissola, esperimenti non dissimili da quelli tentati nello stesso periodo dal giovane Caravaggio. Riallacciandosi alla tradizione savoldesca, il C. ripropone il ritratto a mezza figura, come nel Flautista del museo di Algeri, attribuitogli dall’Arcangeli (Longhi, in Paragone, IV [1953], 41, p. 25), che per spontaneità e confidenziale naturalezza ancora una volta è da porsi in parallelo con le mezze figure giovanili del Merisi; e nel ritratto più aulico del console Gian Gerolamo Albani (di cui è ignota l’ubicazione), in cui le qualità brillanti e cangianti dei colori, che appaiono il risultato degli orientamenti veneziani del C., permettono di datarlo tra la fine del Cinquecento e i primissimi anni del secolo successivo (vedi anche per bibliografia precedente A. Locatelli-Milesi, Dipinto del C. attribuito al Greco, in Bergomum, XXVIII [1934], pp. 94 s.). Nel ritratto di Gentiluomo del Museo Bardini di Firenze, firmato e datato 1600 (Bergomum, XXIII [1929], p. 127), il C. si ricollega alla tradizione del ritratto a figura intera, introdotta a Bergamo dal Moroni.

Fonti e Bibl.: Cremona, Biblioteca governativa e Bibl. civica, ms. A. a. 1.90.1: Pitture della libreria di SantAgostino (XVII secolo); ms. A. a. 1.6.1: Dichiarazioni delle celebri pitture nella biblioteca del nobile Convento di SantAgostino in Cremona (1764); Bergamo, Archivio MIA, Giornale, V, pp. 4, 14, 102; Ibid., Arch. comunale, Ationes, 40, 243: 21 giugno 1586; 43, 219: 25 genn. 1592; 44, 18 sett. 1593; Ibid., Bibl. civica; C. Marenzi, Il servitor di piazza, (ms.), cc. 11 s.; Ibid., G. Moratti, Raccolta di pittori che dipinsero in Bergamo (ms. 1900), I, pp. 226-263; Ibid., Curia vescovile, E. Fornoni, Pittori bergamaschi (ms., s.d. [1915-1920]), II, pp. 126-159; E. Lodi, Storia di Treviglio, Milano 1647, p. 17; D. Calvi, Effimeride sagro profana..., Milano 1676, II, p. 93; B. Faino, Catalogo delle chiese di Brescia [1630-1690], a cura di C. Boselli, Brescia 1961, p. 41; F. Paglia, Il Giardino della pittura [1660-1672 c.], a cura di C. Boselli, Brescia 1967, p. 315; F. Bartoli, Notizie della pittura…, Venezia 1756, I, p. 232; II, p. 127; G. B. Carboni, Le pitture... di Brescia, Brescia 1760, p. 80; A. Pasta, Le pitture notabili di Bergamo, Bergamo 1775, pp. 15 s.; G. Bottari-S. Ticozzi, Raccolta di lettere sulla pittura ... [1764], Milano 1822, IV, pp. 1014; F. M. Tassi, Le Vite de pittori ... bergamaschi [1793], a cura di F. Mazzini, Milano 1969-70, ad Indicem; G. Beltramelli, Pittori bergamaschi [circa 1795], a cura di F. Mazzini, Milano 1970, pp. 159 s.; G. Maironi da Ponte, Dizi onario odeporico, I-III, Bergamo 1819-20, passim; L. Lanzi, Storia pittor. della Italia, a cura di M. Capucci, II, Firenze 1970, p. 155; Oggetti meritevoli di osservaz. nella chiesa del Carmine, Bergamo 1861, p. 78; S. Fenaroli, Dizionario degli artisti bresciani, Brescia 1877, p. 173; P. Locatelli, Illustri bergamaschi, Bergamo 1879, II, pp. 303-384; F. Novati, La Bibl. degli agostin., in Il Bibliof., IV (1883), pp. 27-29, 54-56; A. Pinetti, Per la storia della pittura bergam., in Bergomum, II, (1908), pp. 231, 237, 249 s.; G. Locatelli, La paternità di G. B. Moroni in un documento di Parre, ibid., III (1909), p. 154 (crocifisso del C. nella parroch. di Parre); C. Caversazzi, Il ritratto ital. dal Caravaggio al Tiepolo, Bologna 1911, p. 144; A. Roncalli, La Misericordia Maggiore di Bergamo, Bergamo 1912, p. 47; A. Pinetti, Elenco di edificiesistenti in Valle Camonica, in Bergomum, VI (1912), p. 119 (opere del C. ad Angolo); A. Pinetti, La decorazione pittorica secentesca di S. Maria Maggiore, in Bergomum, X (1916), pp. 79, 113 s., 165; V. E. Gasdia, S. Alessandro della Croce, Bergamo 1924, pp. 77-82; P. Sina, La parrocchiale di Lovere, Bergamo 1926, p. 35; A. Lensi, Il Museo Bardini…, in Dedalo, X (1929), pp. 79 s.; P. Pesenti, La prepositurale di S. Alessandro della Croce, in Riv. di Bergamo, X (1931), pp. 254-59; Inv. degli oggetti darte dItalia, A. Pinetti, Provincia di Bergamo, Roma 1931, ad Indicem (vedi anche Suppl. dello stesso, in Bergomum, XXVI [1932], pp. 30, 34 39 s., 48; XXVII [1933], pp. 81 s., 92, 96, 106 s., 114); P. Pesenti, La chiesa di S. Rocco, Bergamo 1933, p. 14; A. Venturi, Storia dellarte ital., IX, 7, Milano 1934, pp. 372-374; V. Pancotti, I quadri di C. Procaccini nella chiesa di S. Sisto, in La Scure (Piacenza), 1º luglio 1934; A. Locatelli-Milesi, Un maestro poco noto, in Emporium, LXXXI (1935), pp. 217-225; A. Pettorelli, Il coro della chiesa di S. Sisto, Piacenza 1935, p. 10; Catal. delle cose darte e di antichità…, A. Morassi, Brescia, Roma 1939, pp. 48, 514; R. Longhi, in I pittori della realtà in Lombardia (catal.), Milano 1953, pp. 35 s.; A. Locatelli-Milesi, Da G. B. Moroni a C. Ceresa, in Gazz. di Bergamo, IV (1953), 8-9, pp. 10-14; G. Testori, C. Ceresa, ritrattista, in Paragone, IV (1953), 39, pp. 19 s.; R. Longhi, Un ritratto del C., ibid., VIII (1957), 87, pp. 67 s.; B. Belotti, Storia di Bergamo e dei Bergamaschi, Bergamo 1959, ad Indicem; S. Angelini, S. Maria Maggiore..., III, Bergamo 1959, ad Indicem: (con ill.); T. Torri, Monastero e chiesa di S. Spirito, in Atti dellAteneo di scienze, lettere e arti di Bergamo, XXXI (1960-61), pp. 277 s.; A. Geddo, San Martino ed Alzano Lombardo, in Giorn. di Bergamo, 10 marzo 1963; P. Capuani, Il C. in S. Maria della Torre, in Eco di Bergamo, 17 ott. 1965; G. P. Galizzi, S. Pellegrino Terme e la Valle Brembana, Bergamo 1971, pp. 132 s.; L. Pagnoni, Le chiese parrocch. della diocesi di Bergamo, Bergamo 1974, ad Ind.; M. Lumina, S. Alessandro in Colonna, Bergamo 1977, passim; L. Bandera, I pittori bergamaschi..., IV, Bergamo 1978; Enciclopedia Italiana, IX, p. 513; U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, VI, pp. 212 s. (con bibl.); Diz. Encicl. Bolaffi, III, 1972, pp. 194-195.

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