GRAVINA, Gian Vincenzo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 58 (2002)

GRAVINA, Gian Vincenzo

Carla San Mauro

Nacque a Roggiano, nei pressi di Cosenza, il 18 febbr. 1664, da Gennaro e Anna Lombardi, ambedue di famiglia facoltosa. Dopo avere ricevuto la prima istruzione dal padre, fu mandato a continuare gli studi a Scalea, nella "scuola" del cugino Gregorio Caloprese, il cui indirizzo cartesiano fu di grande stimolo nella sua formazione culturale. Il Caloprese, già da molto a contatto con la linea investigante napoletana, con il suo insegnamento antidogmatico e antiscolastico fornì al G. solide basi filosofiche, nutrendolo di letture fondamentali come le opere di R. Descartes, P. Gassendi, B. Telesio, F. Patrizi, ma anche le Sacre Scritture e, in campo letterario, i classici latini e le opere di Dante, Petrarca, Ariosto, Tasso.

Nel 1680, su consiglio del maestro, il G. si trasferì a Napoli, proprio quando la vita culturale cittadina, grazie all'impulso impresso dall'Accademia degli Investiganti, cominciava a offrire diffusi segnali di vitalità. Nella capitale il G. si applicò alle problematiche atomistico-sperimentaliste e storico-filologiche libertine che animavano la vita culturale del momento. Frequentò la scuola di Serafino Biscardi, giurista di grande spessore, che lo avviò alla storiografia giuridica, e quella di Gregorio Messere, cattedratico di greco nell'Università. L'incontro con il Biscardi fu determinante per superare la naturale avversione verso gli studi giuridici, identificati con la prassi forense; dal Biscardi, oltre a una notevole conoscenza del diritto, il G. assimilò anche l'interesse per l'esegesi dei testi giuridici, che fecero maturare l'esigenza di approfondire le discipline fondamentali, in particolare la storia, strettamente legata allo studio del diritto. Il Messere lo stimolò a impegnarsi negli studi umanistici e filologici e a coltivare gli autori greci e latini, in particolare i pensatori classici: Platone, destinato a costituire un riferimento costante della speculazione graviniana, Aristotele, Cicerone; e gli storici: Polibio, Plutarco, Dionigi d'Alicarnasso, Livio, Tacito. Momento fondamentale della formazione culturale del G. in questi anni fu il proficuo incontro con l'umanesimo giuridico e la giurisprudenza culta: usò ampiamente A. Alciato e J. Cujas (Cuiacio), esponenti del cultismo, e non mancano in lui motivi di ispirazione donelliana. Conobbe a fondo la produzione di C. Sigonio, P. Manuzio, O. Panvinio, F. Hotman, G. Panciroli, che avevano offerto contributi sostanziali alla ricostruzione della storia del diritto romano: largamente informato su questi studi, il G. vide nell'erudizione antiquaria una garanzia di scientificità, dandole un ruolo centrale nella sua sistemazione dottrinaria.

Leitmotiv dei novatori napoletani era la libertas philosophandi, ispirata a Cartesio come modello ideale di libera ricerca e avversaria del vecchio aristotelismo scolastico e dei gesuiti. L'obiettivo comune era la formazione di una nuova cultura laica alimentata dalle polemiche contro il Papato, dalla fiducia nella ratio, dall'interesse per gli autori europei - francesi, tedeschi, olandesi, inglesi -, e dall'intensa frequentazione dei testi di Galilei, Cartesio, Bacone, Pascal. Collegamento tra i novatori napoletani e gli studiosi d'Oltralpe fu l'erudito e bibliofilo fiorentino Antonio Magliabechi, con il quale il G. corrispose nel 1695-96, avviando un flusso scambievole di informazioni sulle edizioni critiche dei classici. Il carteggio con il Magliabechi illumina ad abundantiam i rapporti del G. con antiquari d'Oltralpe, come Friedrich Benedikt Carpzov e, in particolare, Johann Georg Graeve, con il quale il G. instaurò un rapporto amichevole, come testimonia una lettera autografa inedita conservata nella Biblioteca nazionale di Napoli (Mss., XIII.B.44-45, cc. 258r-261v).

Quasi certamente in questi anni, il G. conobbe a Napoli il cardinale Antonio Pignatelli, futuro Innocenzo XII, e suo nipote Francesco Pignatelli, allora arcivescovo di Taranto. Quest'ultimo, dovendo lasciare Roma, lo volle nella Curia pontificia come suo agente e così il G. lasciò Napoli nel 1689 per trasferirsi a Roma. Gli strumenti culturali acquisiti a Napoli favorirono negli ambienti culturali romani una rapida ascesa del G. che riscosse l'apprezzamento anche di Innocenzo XII e di Clemente XI. Da Roma egli iniziò un carteggio con il Pignatelli che va dal febbraio 1690 al maggio 1712, con un'interruzione dal dicembre 1703 al luglio 1707, periodo in cui il Pignatelli fu a Roma, trattenutovi dal pontefice.

L'epistolario offre un panorama degli avvenimenti più rilevanti della vita romana e ricostruzioni puntuali, notevoli per vivacità cronistica e descrittiva, delle vicende diplomatiche e dei fatti, noti e meno noti, della corte pontificia.

In questo arco d'anni il G. rimase coinvolto, sia pure in maniera indiretta, nelle vicende dei processi inquisitoriali napoletani contro gli ateisti (1688-97). Il suo nome era apparso in una lista di persone segnalate dai due imputati chiave, Giacinto De Cristofaro e Basilio Giannelli, personaggi collegati a Tommaso Cornelio, Leonardo Di Capua, Francesco D'Andrea e accusati di essere banditori di tesi libertine.

A Roma, che doveva divenire d'ora in poi la sede stabile del G., queste nuove istanze si manifestavano solo in parte. Il G. fu in contatto in particolare con l'arcade Paolo Coardo, il cultore di scienze Giovanni Giustino Ciampini, l'archeologo Raffaele Fabretti, lo scienziato ed erudito Francesco Bianchini, l'archeologo fiorentino Filippo Buonarroti, Alessandro Guidi, Lorenzo Zaccagni, il benedettino napoletano Giovanni Battista De Miro e infine Ludovico Sergardi, che diventerà il suo rivale più accanito. In ambienti dove erano accese da anni polemiche religiose, suscitate in prevalenza dal sentimento antigesuitico, ma anche dagli attacchi al giansenismo e al quietismo molinista, il G. si inserì immediatamente, prendendo parte attiva alle dispute. Frequentò con assiduità la casa del Ciampini, dove convenivano personaggi quali Giovanni Francesco Albani, futuro Clemente XI, e Giusto Fontanini. Tra i suoi amici di quegli anni si deve registrare soprattutto lo spagnolo Emmanuel Martí, che lo spinse ad approfondire lo studio dei classici greci e latini. Nello stesso tempo il G. incrementò i rapporti con altri eruditi italiani ed europei con i quali aveva intrecciato rapporti epistolari, e coltivò amicizie napoletane, come quella con Carlo Maiello. Una lettera, conservata in copia nella Biblioteca universitaria di Pisa (Mss., 426, cc. 68-69), documenta il rapporto con Lorenzo Magalotti.

I primi risultati degli anni di formazione napoletani furono la Hydra mystica, sive De corrupta morali doctrina dialogus stampata a Napoli, con la falsa indicazione di Colonia, nel 1691, quando l'autore era a Roma già da due anni, in sole cinquanta copie e con lo pseudonimo di Priscus Censorinus Photisticus ("illuminante"), e il Discorso sopra l'Endimione.

La Hydra mystica, che dal piano teologico-religioso si estende all'intera sfera delle scienze morali, è un'opera tipicamente napoletana, che risente dell'insegnamento calopresiano, delle posizioni del Biscardi e degli anticurialisti. Essa costituisce una cerniera tra la cultura meridionale, volta a un'azione di rinnovamento radicale, e l'ambiente intellettuale romano, di gran lunga meno incisivo. Il G. interviene nelle discussioni sul cosiddetto peccato filosofico (se, cioè, l'ignoranza della legge morale giustifichi il peccato, secondo quanto affermavano e negavano rispettivamente gesuiti e giansenisti), condannato il 24 ott. 1690 da Alessandro VIII: sebbene il vero bersaglio siano i gesuiti, le loro dottrine, i loro metodi capziosi e il loro probabilismo, in nome di un ritorno a una religiosità autentica basata sulla fede e sulla Scrittura.

L'avversione per forme devozionali non corrispondenti a veri sentimenti si manifesta anche in altre opere, Costituendo un tema dominante del pensiero graviniano, teso alla riforma religiosa. è presente anche in due inediti, il Discorso di breve esortazione al digiuno e all'orazione e il Trattato sopra le qualità dei confessori e de' penitenti (Napoli, Biblioteca nazionale, Mss., XIII.B.44, cc. 53v-69r, 71r-85v), entrambi dissacranti nei confronti dei casisti.

Posteriore alla Hydra è il Discorso sopra l'Endimione, pubblicato con lo pseudonimo arcadico di Bione Crateo a commento della favola di Alessandro Guidi, proposta come modello ideale di poesia (L'Endimione di Erilo Cloneo pastore arcade con un Discorso di Bione Crateo, Roma 1692). Prima elaborazione della Ragion poetica, il Discorso afferma il principio di verosimiglianza come autonomo fondamento dell'opera poetica, in contrapposizione al barocco e al sistema dei generi letterari, dai quali la poesia si deve affrancare per seguire la sua natura immaginativa e fantastica. Centrale nel trattato è la rivalutazione dei tre grandi, Omero, Dante e Ariosto, nella quale si riconosceva l'influenza dell'insegnamento di Caloprese e di Messere.

Il discorso, dai toni polemici e appassionati, ricco di idee innovatrici, alimentò le polemiche avviate dalla Hydra e attirò le critiche dei letterati romani, in particolare del senese Ludovico Sergardi, segnando l'inizio di una lunga, aspra polemica. Personaggio di spicco in Curia, il Sergardi inizialmente aveva accolto con benevolenza il "Neapolitanus" Gravina. Tra i due vi fu in un primo tempo amicizia, rotta poi non per semplici rivalità personali, ma per sostanziali divergenze dottrinarie. Nelle Satyrae - pubblicate, con grande successo, nel 1696 "Apud Trifonem bibliopolam in Foro Palladio" (Napoli o Roma) sotto lo pseudonimo di Quinto Settano - il Sergardi attaccò con toni talora dissacranti le idee filosofiche e letterarie del G., identificato come "Filodemo". Il G. reagì duramente, nonostante il suo protettore Pignatelli cercasse di dissuaderlo, con i Giambi, le Declamationes seu Verrinae in Quintum Sectanum e nel Dialogo sulla satira (opere perdute o giunteci in forma frammentaria) accusando tra l'altro il Sergardi di non essere esperto della lingua latina. La polemica si inserì nel più ampio tema del rapporto tra il G. e la cosiddetta filosofia della luce; nelle Satyrae sono presenti continui riferimenti ai seguaci di quella filosofia - ricondotta direttamente al molinismo -, ai quali, ovviamente, veniva ascritto il Gravina.

Gli anni dal 1692 al 1696 furono in effetti un periodo di operosità intensa e proficua, nonché di maturazione intellettuale per il G., che abbandonò i toni più marcatamente polemici dei primi scritti per rendere il suo pensiero più meditato e organico. Di questo nuovo indirizzo furono frutto il Discorso delle antiche favole e gli Opuscula (dedicati a Innocenzo XII), opere entrambe pubblicate a Roma nel 1696. Il Discorso da un lato riprese e rielaborò in modo sistematico temi e prospettive già presenti nel Discorso sopra l'Endimione, dall'altro anticipò problematiche che domineranno la Ragion poetica, di cui costituirà senza sostanziali modifiche il primo libro. Il G. vi volle definire il ruolo e l'utilità della poesia e tracciare un profilo ideale di poeta, per poi dimostrare la funzione essenziale della "verisimile favola", sia per la poesia sia per il poeta, facendo della figura di Omero il costante puntodi riferimento.

Gli Opuscula (Specimen prisci iuris, De conversione doctrinarum, De lingua Latina dialogus, De lingua Etrusca dialogus, De contemtu [sic] mortis, De luctu minuendo) contengono in nuce tematiche poi ampiamente affrontate nelle opere maggiori. Lo Specimen prisci iuris, in particolare, di cui non si può stabilire con esattezza la data di composizione, è la piattaforma su cui sorgerà l'edificio delle Origines e vi domina già il pronunciamento, netto e determinato, in favore della libertà. Il De lingua Latina dialogus insieme con il De conversione doctrinarum dà un'esatta sistemazione al classicismo graviniano. Infine, il De lingua Etrusca dialogus, in stretto rapporto con il De lingua Latina, tratta questioni relative al volgare.

Dello stesso periodo è anche la stesura delle Egloghe, legate alla formazione napoletana, ma soprattutto calopresiana. In sintesi, i temi principali delle Egloghe sono il rapporto tra mente e natura e tra mente e luce, e il ruolo centrale attribuito al "sapiente". Mai pubblicate, ebbero circolazione molto ristretta, perché svolgevano un discorso in codice, rivolto a pochi, e suscitarono giudizi negativi negli ambienti romani, avviando una rottura conclusa con la crisi dell'Arcadia nel 1711 e l'isolamento del G., che in seguito, nel Dialogo tra Faburno e Alcone sopra le Egloghe di Bione Crateo, chiarì alcune posizioni assunte nelle Egloghe.

Tra altri incarichi svolti a Roma, dal 1699 il G. tenne nell'Università la cattedra di diritto civile, per volere del cardinale Giovanni Francesco Albani, e dal 1703 quella di diritto canonico.

L'ateneo romano attraversava allora una fase d'inarrestabile declino. Come altre università italiane ed europee, univa un drastico calo delle iscrizioni a inefficienza didattica e carenze strutturali, in un contesto organizzativo sostanzialmente antiquato. A differenza di altri atenei, tuttavia, il potere era concentrato nelle mani di un solo organo, il Collegio degli avvocati concistoriali, che tentava di muoversi con autonomia. La situazione era resa ancor più precaria dalla concorrenza del Collegio Romano e di altre scuole. Grazie all'intervento del cardinale Giambattista Spinola si avviò, tuttavia, una politica di risanamento, promossa dallo stesso Clemente XI.

Continuando l'opera iniziata dal predecessore, Clemente XI incoraggiò il lavoro di riordino dello Studio, nel quale fu magna pars il Gravina. I risultati, tuttavia, non corrisposero ai suoi sforzi e gli procurarono una notevole impopolarità in campo accademico, dove trovò una forte opposizione da parte del Collegio degli avvocati concistoriali. Il documento chiave per comprendere il ruolo giocato dal G. è l'opuscolo Per l'Università della Sapienza contro il Collegio degli avocati concistoriali alla santità di nostro signore papa Clemente XI. Discorso primo, conservato manoscritto nella Biblioteca apostolica Vaticana (Vat. lat., 9790, cc. 1-41; Ottob. lat., 3137, cc. 132r-145v), che illumina ampiamente lo stato in cui versava la Sapienza. Altro inedito graviniano sull'argomento è lo Sbozzo di supplica al papa a pro dell'Università degli studi, contra gli avvocati concistoriali, conservato tra altri manoscritti del G. nella Biblioteca nazionale di Napoli (Mss., XIII.B.44, cc. 18r-22v). I due scritti mostrano affinità di contenuto: probabilmente lo Sbozzo fu successivo, ma non si può stabilire la sua data di composizione (il 1699, anno del primo approccio del G. con l'insegnamento universitario, è il termine post quem), né se furono stesi altri quattro discorsi preannunciati, di cui non c'è traccia. Dai due scritti emergono accenti di dura polemica verso gli avvocati concistoriali, la cui arroganza aveva accelerato il processo di disfacimento dell'ateneo romano, minandone l'autorità e il prestigio. In seguito il G. fu coinvolto, insieme con C. Grimaldi, il Muratori, C. Galiani e altri nomi di grande rilievo, anche nella riforma dell'Università piemontese, promossa da Francesco d'Aguirre e realizzata negli anni 1717-29 sotto il patrocinio del re Vittorio Amedeo II. L'Aguirre si può considerare un discepolo del G., con il quale tenne un carteggio (Milano, Biblioteca Trivulziana, Mss., 196).

Dal 1696 al 1708, anno di pubblicazione, a Roma, della Ragion poetica e, a Lipsia in tre volumi, delle Origines iuris civilis, il G. attraversò un periodo di raccoglimento e intenso studio concentrato sul diritto e, allo stesso tempo, di diretta partecipazione alle vicende politiche, diplomatiche, ecclesiastiche romane e di febbrile attività universitaria. In questi anni le sole uscite editoriali furono il De ortu et progressu iuris civilis liber, qui est Originum primus (stampato a Napoli nel 1701 e, in ed. accr., Lipsia 1704), che costituisce nella sostanza il primo volume delle Origines, e le Orationes (De instauratione studiorum, In auspicatione studiorum de sapientia universa, De iurisprudentia, De rectain iure disputandi ratione, De repetendis fontibus doctrinarum, De canone interiore, Pro Romanis legibus ad magnum Moschorum imperatorem, De foedere pietatis et doctrinae, Pro legibus Arcadum), edite a Napoli nel 1712 con dedica a Francesco Pignatelli.

Temi prevalentemente didattici attraversano l'orditura della De instauratione studiorum, dedicata a Clemente XI, e dell'In auspicatione studiorum de sapientia universa. Entrambe prive di data, hanno un posto di rilievo nella produzione graviniana. Il De instauratione studiorum - in cui riemerge a chiare lettere la visione umanistica dell'autore - offre un quadro compiuto dei progetti di riforma degli studi elaborati dal Gravina. L'In auspicatione studiorum de sapientia universa costituisce l'espressione più significativa della sua cultura enciclopedica e vi torna la tesi del ruolo centrale che deve assumere la storia nella comprensione del diritto e dell'attività umana in generale.

L'orazione De iurisprudentia è la prolusione pronunciata nel 1699 all'insegnamento di diritto civile nell'ateneo romano, dedicata "Ad studiosos iuris civilis" e incentrata sull'esigenza di comprendere le leggi antiche con il contributo della storia, della filosofia e della filologia, indispensabili per valutarle nella loro effettiva portata. Due anni dopo, nel De recta in iure disputandi ratione, il G. ritornò sul motivo già presente soprattutto nella Hydra, della battaglia contro la scolastica e la dialettica. Anche il De repetendis fontibus doctrinarum (di cui si ignora la data di composizione) si muove nella medesima prospettiva, arricchita però da nuove esperienze, e ripropone le enunciazioni teoriche e i motivi dottrinali anticasistici e antiscolastici della Hydra. L'orazione De canone interiore, del 1703, dedicata "Ad suos iuris pontificii auditores", ripropose l'esigenza - pure ampiamente esposta nella Hydra - di una religiosità interiore non intaccata dalla casistica. La Pro Romanis legibus ad magnum Moschorum imperatorem, scritta nel 1697 per il viaggio di Pietro il Grande in Europa e a lui dedicata, si articola in più parti: la prima esalta i tentativi di Pietro di rinnovare la cultura in Russia; la seconda esorta, con toni caldi e appassionati, il sovrano russo a liberare la Grecia dai Turchi; infine viene l'invito a Pietro ad adottare le leggi romane nel suo Regno. L'orazione De foedere pietatis et doctrinae esamina il rapporto tra religione e scienza in base al principio che tra esse si deve dare una stretta collaborazione.

Con la Pro legibus Arcadum, composta in un prezioso latino arcaico, il G. nel maggio 1696 presentò all'Accademia dell'Arcadia le dieci leggi da lui compilate sul modello delle Dodici tavole. Da essa si originarono i primi dissensi del G. con G.M. Crescimbeni; in realtà, la promulgazione delle leggi accademiche fece precipitareuna crisi latente fin dal 1692, anno di composizione del Discorso sopra l'Endimione, e forse fin dal momento dell'istituzione dell'Arcadia, dovuta al contrasto tra l'impostazione poetica graviniana, improntata a un classicismo di stampo razionalista, e quella crescimbeniana, che si ispirava a un indirizzo petrarchesco e cruschevole.

L'anno cruciale per l'attività di autore del G. fu però il 1708, con la pubblicazione, a Roma, della Ragion poetica e, a Lipsia, degli Originum iuris civilis libri tres.

La Ragion poetica fu la definitiva sistemazione del suo pensiero estetico-critico e di tutta la sua esperienza di letterato. Pubblicato dodici anni dopo il Discorso delle antiche favole, sviluppa in maniera sistematica posizioni già presenti in esso, ma il G. vi appare meno rigido, in cerca di nuove aperture e di soluzioni innovative. L'opera è divisa in due libri: il primo (ripreso dal Discorso con alcune modifiche sostanziali e altre, minori, stilistiche) riguarda la critica delle letterature classiche e l'estetica, e la figura emblematica del poeta vi è rappresentata da Omero;il secondo tratta della poesia volgare, e il modello di poeta è Dante.

Le Origines, esito di tutta l'attività di giurista del G., gli dettero notorietà europea. La prefazione di Johann Burckhard Mencken - figlio del fondatore degli Acta eruditorum di Lipsia e direttore della rivista dal 1707 al 1732 - all'edizione lipsiense del 1708 è importante per valutare il successo dell'opera tra gli eruditi tedeschi. Il barone Heinrich von Huyssen si impegnò a fondo nella diffusione dell'opera graviniana in Germania e fece da tramite con Mencken. Due lettere inedite documentano i rapporti di stima e di amicizia tra il G. e lo Huyssen (Napoli, Biblioteca nazionale, Mss., XIII.B.44, cc. 262r-265v, 266r-267v; copia di una lettera del 1° apr. 1706 si trova nella Biblioteca apostolica Vaticana, Ferrajoli, 642/6, cc. 1r-6v). Come studioso di grande talento il G. fu salutato all'apparizione delle Origines anche da A. Hamberger. L'edizione lipsiense del 1737, curata da Gottfried Mascov (Opera seu Originum iuris civilis libri tres, quibus accedunt De Romano Imperio liber singularis eiusque Orationes et Opuscula Latina, recensuit et adnotationibus auxit Gottfridus Mascovius, Venetiis 1739; poi, insieme con altre opere del G., Venetiis 1750 e Neapoli 1756) costituì un ulteriore momento della fortuna del G. in Germania e non solo. La produzione graviniana si affermò anche in Francia, Olanda, Inghilterra, Spagna. Montesquieu conobbe le Origines, e mostrò di apprezzarne alcune rilevanti intuizioni; attraverso di lui le opere del G., in particolare il saggio Del governo civile di Roma, furono note anche a E. Gibbon.

L'analisi che viene svolta nelle Origines documenta la visione graviniana dello Stato, della sua origine e organizzazione, e le sue riflessioni sull'articolarsi delle forme di governo e sui rapporti fra il sovrano e la collettività. Il pensiero politico del G. muove sostanzialmente dal platonismo, dal cartesianesimo e dallo stoicismo secentesco. Fondamentale è il principio che le istituzioni sociali siano destinate a corrompersi periodicamente, in quanto gli interessi particolari, prevalendo, producono un corso circolare nell'evoluzione della società. Centrale è anche il problema della tirannide, con la questione della liceità di resistere ai comandi del tiranno. Il pensiero graviniano è percorso dall'idea della totale antigiuridicità del fenomeno tirannico, anche se non si arriva a soluzioni radicali. Difensore intransigente della libertà, cui attribuisce un valore quasi sacrale, il G. considera lecito che i sudditi si ribellino al tiranno e ristabiliscano l'ordine distrutto, ma ritiene che i governanti abbiano il diritto di servirsi della loro autorità e, se necessario, intervenire armata manu per evitare il rischio che la libertà si trasformi in licenza. Sola eccezione al diritto dei sudditi di ribellarsi gli pare il caso in cui si presenti il pericolo di ricadere nell'anarchia (la situazione dei Romani sotto l'Impero). All'origine della società civile il G. pone il contratto sociale, fornendone però una interpretazione più espressamente giuridica. La società, che si origina dall'unione delle famiglie "naturale initium humanae societatis" (Originum iuris civilis libri tres, I, Neapoli 1713, p. 165), subentra all'originaria ferinità. Una città è una società pubblica costituita per l'utilità comune, la tutela dei singoli e dei loro beni; è tenuta unita dalle leggi, al cui mantenimento devono contribuire tutti gli individui. Il consenso è il vincolo fondamentale dei sudditi con lo Stato, e la sua mancanza provoca un abuso di potere da parte di coloro che lo detengono e di conseguenza la tirannide. Spinti dalla ragione, che trionfa sugli istinti naturali attraverso il patto, gli uomini si sono spontaneamente sottomessi alle leggi per la loro sicurezza. Questa, che ha ruolo determinante nella speculazione graviniana, indica l'utilità di vivere nel diritto; il governo sarà affidato al sapiente, che dovrà contribuire a realizzare il fine cui tende la società, la salute pubblica.

Un'approfondita analisi delle forme di governo è centrale nell'elaborazione del G., che distingue tre generi di civitas: semplice, mista, perturbata. La civitas mixta assume tre forme, a seconda che la ragione risieda in una sola persona, in un piccolo numero di cittadini, o nell'intero corpo sociale. Ne risultano il regnum, lo status optimatum e la res publica, destinati tuttavia fatalmente a trasformarsi nelle rispettive forme degenerate: tirannide, oligarchia e democrazia. Pur apprezzando la forma repubblicana, il G. sostanzialmente sostiene quella monarchica, che ritiene più adatta alla realtà politica contemporanea. In sintesi, la sua prospettiva consiste nel garantire il funzionamento dello Stato di diritto, distinguendo il ruolo della magistratura da quello del governo, e attribuendo allo stesso tempo una funzione di primo piano al ceto medio.

Al 1710 data la scoperta del Metastasio, il giovane popolano romano Pietro Trapassi, che il G. udì improvvisare in una bottega d'orafo in piazza S. Silvestro e che adottò, provvedendo alla sua istruzione letteraria e filosofica (lo inviò presso il Caloprese a Scalea); al G. si deve anche lo pseudonimo grecizzante coniato ricalcando il cognome.

Nel 1711, con la cosiddetta "lite" dell'Arcadia, il G. entrò in collisione con altri esponenti dell'Accademia; dopo una scissione dai "crescimbeniani", i "graviniani" confluirono tre anni dopo in una nuova Accademia detta dei Quirini, che però ebbe vita effimera e dopo la morte del fondatore si rifuse nell'Arcadia. Un'ampia documentazione di questo episodio si conserva nell'archivio dell'Arcadia, presso la Biblioteca Angelica di Roma: il volume XV è essenziale per la prima fase, mentre il XIX contiene le Scritture dello scisma del 1711 fino alla mutazione che fecero li scismatici del nome dell'Arcadia. La Biblioteca nazionale di Roma (Misc. Valenti 1761/3e, cc. 1r-24v) custodisce inoltre alcuni documenti relativi alla causa giuridica sorta dalla controversa interpretazione della terza legge arcadica, dietro la quale si nascondeva il divario ideologico tra i due protagonisti dello "scisma". Il G. espose le sue ragioni in una lettera indirizzata a S. Maffei, Della division d'Arcadia (pubblicata in una prima redazione, anonima, a Napoli nel 1711, con il titolo Della division d'Arcadia, lettera ad un amico; poi riedita nelle Poesie di A. Guidi, a cura di G.M. Crescimbeni, Verona 1726), nella quale esprime la sua avversione per gli aspetti più esteriori e superficiali del classicismo del Crescimbeni.

A conclusione della crisi, il G. scrisse nel 1712 il De disciplina poetarum, pure dedicato al Maffei e apparso per la prima volta nelle Poesie del Guidi del 1726, che contengono anche un'altra lettera, senza titolo, sempre al Maffei, già divulgata come De poesia in appendice all'edizione napoletana del 1716 della Ragion poetica. Il De disciplina riprende da un lato il problema della valutazione della poesia nel mondo classico, dall'altro ripercorre la storia della poesia e l'evoluzione della lingua poetica, avviando una riflessione sulle posizioni classicistiche, che restano tuttavia sostanzialmente ben solide.

Il De Romano Imperio liber singularis, pubblicato a Napoli nel 1713 e in tutte le edizioni successive insieme con le Origines, affronta temi di rilievo della storia giuspubblicistica romana.

Il De Romano Imperio ebbe lo scopo primario di dimostrare l'esistenza nella Roma antica di un sistema diarchico, garante dell'equilibrio politico: il potere civile del Senato e quello militare dell'imperatore. L'opera è percorsa dalla visione della funzione civilizzatrice e unificatrice del mondo svolta dall'Impero romano, "societas omnium gentium", istituito per il vantaggio di tutti. Il G. esprime la sua profonda ammirazione per gli ordinamenti e l'esperienza giuridica di Roma, di cui esalta la vocazione imperiale e il primato civile sugli altri popoli.

Seguito del De Romano Imperio liber singularis è l'inedito De Romano Imperio liber secundus, composto dopo il 1717 (Vat. lat., 9835, cc. 97r-104v; 9790, cc. 121r-176v, 254r-269r, 275r-277r, 281r-293v).

Rimasto a lungo sconosciuto, il Liber secundus elabora tematiche relative alla "renovatio Imperii" e al Sacro Romano Impero, e ricostruisce le vicende storiche e politiche del primo Medioevo. Vi è difeso un postulato ritenuto inattaccabile: le cessioni effettuate dai sovrani carolingi in favore della Chiesa non solo avvennero realmente, ma non furono donazioni, bensì restituzioni di quanto spettava al papa per diritto. Il G. si allontanava così completamente da coloro che avevano impugnato la cessione effettuata da Pipino e ribadita da Carlo Magno. Il problema dei tormentati rapporti fra i due poteri, affrontato con impegno profondo, e insieme con una certa cautela, costituisce il tessuto connettivo dell'intera opera.

Nello stesso ambito si mosse anche il De imperio et iurisdictione (tramandato dal ms. 819 della Biblioteca Casanatense di Roma, datato 1743), volto a dimostrare l'appartenenza al Senato del potere legislativo anche durante il principato, e appartenente con probabilità alla prima produzione giuridica graviniana, dato che è richiamato nelle Origines e nel De Romano Imperio liber singularis. Il G. vi sostiene con chiarezza l'idea di Stato di diritto, proponendo una nettadivisione dei poteri, autonomi e rispettosi delle reciproche competenze: l'imperium, nelle mani del principe, e la iurisdictio in quelle dei magistrati. Attraverso una linea interpretativa antiautoritaria, il G. vi tracciò posizioni ricorrenti nella sua produzione e avanzate rispetto ai suoi tempi.

Più espressamente istituzionali furono i quattro libri delle Institutiones iuris receptioris (apparsi a Torino nel 1742 per iniziativa di P. Metastasio) e lo Receptioris iuris specimen, sive Institutionum imperialium ex usu nostrorum temporum (in Nuova raccolta di opuscoli di Gianvincenzo Gravina giureconsulto, Napoli 1741). A queste opere si può associare la produzione canonistica del G., costituita dalle Praelectiones in Decretum Gratiani, dalle Institutiones canonicae (Augustae Taurinorum 1742) e dalle In pontificii iuris institutiones libri III (Neapoli 1744), oltre che i minori Acta consistorialia creationis eminentissimorum ac reverendissimorum cardinalium instituta a sanctissimo d. n. Clemente XI P.M. 17 maii et 7 iunii anni sal. 1706. Accessit eorumdem cardinalium brevis delineatio (Coloniae 1707).

Le Praelectiones, incomplete e mai pubblicate, si conservano tra gli inediti graviniani della Biblioteca nazionale di Napoli (Mss., XIII.B.44, cc. 25r-52v). Consistono sostanzialmente in una serrata, ma metodologicamente corretta, descrizione della storia delle fonti legislative canoniche e in un excursus ricco di documentazione delle vicende della Chiesa dalle sue origini. La finalità delle Institutiones canonicae è invece di dimostrare lo stretto legame che deve darsi tra la conoscenza del diritto canonico e del diritto civile. Di notevole interesse è anche Del governo civile di Roma (prima ed. postuma, Napoli 1828, senza nome del curatore; seguita da molte altre), tutto rivolto alle vicende di Roma, da Romolo a Niccolò V: il G. vi volle dimostrare la legittimità del governo dei papi, derivante dall'autorità originaria del popolo romano.

L'ultima fase della produzione graviniana - se si fa eccezione per il De Romano Imperio liber secundus - è quella delle tragedie (Palamede, Andromeda, Appio Claudio, Papiniano, Servio Tullio). Furono composte, pare, in soli tre mesi nel 1712 e pubblicate a Napoli nello stesso anno (con il titolo Tragedie cinque), anche se da tempo l'autore valutava la possibilità di utilizzare la forma tragica sia sotto il profilo critico sia sotto quello creativo (in gioventù aveva scritto una Tragedia di Cristo e un Sant'Atanasio, entrambe perdute).

Nonostante i loro limiti e le evidenti carenze poetiche, le tragedie interessano per i contenuti politici e filosofici. Il tema comune è l'ostilità alla tirannide; al centro degli intrecci si trova l'incontro-scontro di due avversari: il potere politico, in genere identificato con la figura del tiranno, e il sapiente, canale di comunicazione tra Dio e gli uomini, che è puntualmente sconfitto. Così le tragedie - che assicurarono all'autore una notevole fortuna - sono costantemente pervase dal pessimismo. Il ruolo del popolo è di secondo piano, in quanto pensa e agisce solo perché ispirato e guidato dai sapienti.

Nel 1715 apparve a Napoli,con dedica al "serenissimo principe Eugenio di Savoia", il Della tragedia libro uno, ancora rivolto alle polemiche culturali del suo tempo, nelle quali il G. continuava ad avere parte attiva, anche se lo scritto palesa sintomi involutivi rispetto alle posizioni precedenti. Le traduzioni di Due dissertazioni sulla comedia e sugli spettacoli, dedicate al pontefice (di cui non è specificato il nome), conservate autografe nella Biblioteca nazionale di Napoli (Mss., XIII.B.44, cc. 169r-233v), attendono una maggiore attenzione critica.

Nel 1715, dopo la morte del Caloprese, che lo aveva nominato erede, il G. si recò in Calabria per occuparsi dell'eredità e cercare riposo, dato che cominciavano a manifestarsi i primi evidenti segnali di una grave malattia; tuttavia tenne anche un insegnamento privato. Tornato a Roma, in compagnia del Metastasio, dopo più di un anno, riprese gli studi giuridici.

La morte colse il G. a Roma il 6 genn. 1718, assistito dal Metastasio, che egli aveva designato suo erede, mentre stava per recarsi a Torino per ricoprire la cattedra di diritto canonico offertagli da Vittorio Amedeo II di Savoia.

Scritti inediti. Biblioteca apost. Vaticana, Vat. lat., 9835, cc. 94r-96r; 9790, cc. 278r-280r, Sunto del libro di Gravina de Romano Imperio; Napoli, Biblioteca nazionale, Mss., XIII.B.43, cc. 295-296, Lettera di Manovello Mignana al Gravina che forse è inedita; XIII.B.44, cc. 5r-11v, Consiglio legale a pro del duca di Gravina sopra i beni del duca di Bracciano; cc. 12r- 16v, Consiglio legale a pro del cardinal di Carpegna, contra i figli di Giuseppe de Martinis; cc. 23r-24v, Breve scritto a nome di sua santità circa l'antichità dell'instituto carmelitano, e le quistioni insorte per questo; cc. 25r-52v, Alcune prelezioni sopra il decreto di Graziano e sopra le Decretali, piene non però di lacune; cc. 53v-69r, Trattato sopra le qualità de' confessori e de' penitenti; cc. 71r-85v, Discorso di brieve esortazione intorno all'orazione e al digiuno; cc. 88r-168v, Opuscolo… col quale si ribattono i protestanti, allor che dicono, il papa esser l'Anticristo, e Roma esser la Babilonia… (propriamente traduzione dell'opera di J.-B. Bossuet intitolata Avertissement aux protestants); cc. 169r-233v, Due dissertazioni sulla comedia e sugli spettacoli, dedicate al pontefice; cc. 234r-236v, Allocuzione di un oratore del duca di Parma al papa Innocenzo XII alla quale van soggiunte la risposta del papa, e la replica dell'oratore; cc. 237r-240v, Orazione funebre in morte del Lancisi archiatro pontifizio, colla dedica al papa; cc. 252r-254v, Discorso recitato in Arcadia; cc. 255r-272v, Varie lettere parte latine e parte italiane; cc. 273r-281v, Due egloghe italiane; cc. 282r-283v, Pochi altri versi italiani d'incerto argomento, e non autografi; cc. 284r-285v, Una iscrizione eucaristica al Papa; cc. 286r-315v, Alcune versioni dal greco spezzate e semplicemente abbozzate; XIII.C.101 (1), Minute di 8 lettere di Vincenzo Gravina; Pisa, Biblioteca universitaria, Mss., 426, cc. 68-69, Lettera di Lorenzo Magalotti a G.V. G.; Roma, Biblioteca Angelica, Mss., 1164, cc. 11-48, La prattica dell'amore di Giano Vincenzo Gravina scritta ad una dama; Biblioteca dell'Accademia dell'Arcadia, Mss., 15, cc. 178r-184r, Lettera, o dichiarazione originale d'Opico Erimanteo, colla quale ha egli sodisfatto al decreto del collegio. Scritture originali d'Arcadia. Tomo primo che incomincia dalla fondazione della medesima cioè nel 1690.

Edizioni moderne. Opere italiane, Napoli 1757; Opere scelte, Milano 1819; Prose di G. Gravina, a cura di P. Emiliani Giudici, Firenze 1857; De imperio et iurisdictione, a cura di F. Moffa, Catania 1907; Della ragion poetica, a cura di G. Natali, Lanciano 1920; Palamede, a cura di G. Robuschi, Milano 1964; La morte per "natural necessità". Della morte: ragionamento autografo inedito di G. Gravina, a cura di A. Quondam, in Il Cannocchiale, ottobre 1968 - febbraio 1969, 2-4, pp. 77-94; A. Quondam, Filosofia della luce e luminosi nelle Egloghe del Gravina. Documenti per un capitolo della cultura filosofica di fine Seicento, Napoli 1970 (comprende le egloghe Licori, Sileno, Egeria, Elpino, Temi, Pronea, Entelia, Iside e il Dialogo); Curia romana e Regno di Napoli. Cronache politiche e religiose nelle lettere a Francesco Pignatelli (1690-1712), a cura di A. Sarubbi, Napoli 1972 (contiene le lettere del G. al cardinale Pignatelli, conservate a Napoli, Biblioteca nazionale, Mss., XIII.B.45-47); Scritti critici e teorici, a cura di A. Quondam, Roma-Bari 1973; Palamede, a cura di U. Barra, Napoli 1976; Opere italiane: Della ragion poetica e Della tragedia, a cura del Centro studi G.V. Gravina, presentazione di F. Folino, Roggiano Gravina-Cosenza 1992 (rist. anast. dell'ed. Venezia 1731); De origine iuris civilis di G.V. Gravina. Compendio del marchese Scipione Maffei, a cura del Centro studi G.V. Gravina (con saggio di A. Sarubbi, Politica e diritto in G.V. G.), Cosenza 1999.

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