SANVITALE, Gianquirico

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 90 (2017)

SANVITALE, Gianquirico

David Salomoni

– Figlio di Tedisio (Teseo) Sanvitale e di Adelmota Cornazzani, nacque poco prima del 1278, forse nel castello di San Lorenzo a Sala Baganza (Parma).

Capeggiò la famiglia Sanvitale nei primi decenni del XIV secolo, dando vita al ramo del lignaggio che prese il nome dal feudo di Sala. Nel 1303 sposò la figlia di Giberto da Correggio, Antonia, dalla quale nacquero i figli Obizzo, Giberto e Vannina. Con il suocero, esordì sulla scena politica, partecipando nel novembre del 1311 alla rivolta di Parma contro il vicario imperiale, nel quadro dell’opposizione guelfa a Enrico VII di Lussemburgo, sceso in Italia nel 1310 per ricevere la corona imperiale.

Tra il dicembre 1311 e il gennaio 1312, partecipò con Guglielmo Cavalcabò alla riconquista delle terre di Dosolo e Casalmaggiore, situate in posizione strategica sul Po. Prese poi parte all’assedio di Cremona, conclusosi il 13 gennaio 1312 con l’espulsione di Galeazzo Visconti, vicario imperiale, e dei capiparte ghibellini Manfredo Pallavicino e Giacomo Redenaschi. Nelle settimane successive, Sanvitale fu podestà oltre che di Cremona anche di Piacenza, espugnata quell’anno dalle milizie cremonesi; ne fu presto allontanato per mano di Alberto Scotti, giunto alla testa di una folta milizia il 18 marzo. Dopo la fuga dalla città, riparò a Castel San Giovanni, poi a Bobbio e infine nel castello di Soncino, che era stato recuperato a costo della vita da Guglielmo Cavalcabò il 16 marzo 1312, poco prima della fuga di Gianquirico da Piacenza.

Alla fine del 1312 si spostò su Parma, partecipando nel 1313 alla dedizione della città a Roberto d’Angiò, che gli valse l’investitura del castello di Belforte, tolto alla parte ghibellina, per sé e per i suoi discendenti. Nel dicembre dello stesso anno, a Pontremoli, il cardinale Luca Fieschi lo nominò suo vicario a Berceto.

Nel frattempo non si placavano le contese per il controllo di Parma tra le famiglie dei Rossi, asserragliati a Borgo San Donnino, e dei Correggio, detentori di fatto della signoria sulla città. In tale clima Sanvitale, ancora legato dall’alleanza con Giberto da Correggio, giocò la carta della diplomazia, senza scendere in aperto contrasto con le parti in gioco. Egli cercò pertanto di coinvolgere come mediatori i signori di Verona e di Mantova, Cangrande I Della Scala e Rinaldo Bonacolsi, detto Passerino. Si giunse così a una pace stipulata nei pressi di Verona il 26 luglio 1315 e «proclamata in Parma due giorni appresso con gioja universale» (Affò, 1795, IV, p. 198).

La tregua si rivelò presto effimera, e Gianquirico fu indotto a svolgere un ruolo centrale nella sommossa che, con la partecipazione delle forze popolari cittadine, nel 1316 determinò la caduta di Giberto da Correggio. Al punto di rottura si giunse con il tentativo di Giberto di estendere la propria signoria su Cremona, insidiando gli interessi viscontei e alienandosi il fragile sostegno dei signori di Verona e di Mantova. Dopo la morte di Enrico VII si ravvivò in Giberto il desiderio di riunire sotto la sua signoria le città della regione medio-padana, spingendo Matteo Visconti, Cangrande I Della Scala e Passerino Bonacolsi a coinvolgere Sanvitale in una congiura contro il suocero. Il complotto fu preparato con cura nei mesi precedenti alla notte del 25 luglio 1316, quando al grido di «viva il Popolo, e muoja Giberto da Correggio» (p. 202) scattò la rivolta che il signore di Parma non poté fronteggiare, avendo lasciato la maggior parte dei suoi armati a difendere Cremona.

La situazione, a Parma, restò tuttavia tesa: l’affermazione della leadership dei Rossi e dei Sanvitale, capeggiati da Gianquirico, era in fragile condominio con la paura delle arti cittadine per l’affermazione di un nuovo regime signorile. Le due famiglie, da subito rivali, cercarono un equilibrio nel matrimonio tra Andreasio del fu Ugolino Rossi e Vannina Sanvitale, figlia di Gianquirico, celebrato il 26 gennaio 1322. Tuttavia, i Rossi, referenti ghibellini, accusarono presto i Sanvitale di voler ricondurre Parma in mano guelfa, e il 19 settembre assaltarono il palazzo cittadino di Gianquirico, uccidendo molti dei quattrocento uomini con i quali era asserragliato. Egli trovò riparo presso il convento dei frati minori, nel quale fu però catturato il giorno dopo.

La cospirazione vide anche l’attacco ai feudi sanvitaleschi nell’episcopato. Il genero di Gianquirico, Andreasio Rossi, attaccò il castello di Sala e la terra di Maiatico, i Lupi assalirono Fontanellato e Ghiara, e i Pallavicino di Scipione la rocca di Rivo Sanguinaro.

I Sanvitale si misero così alla ricerca di un appoggio esterno, individuato nel cardinal legato Bertrando del Poggetto. Fu inviata presso di lui Antonia, moglie di Gianquirico, che per quanto fosse incinta cavalcò alla testa di molti cavalieri verso Piacenza, dove egli si trovava. La supplica, tuttavia, non andò a buon fine, poiché i Rossi, dopo la cattura di Sanvitale, onde non isolarsi ulteriormente sulla scena politica, si erano mossi per primi verso il legato. Quest’ultimo rifiutò ad Antonia la scarcerazione del marito, che restò imprigionato diversi anni e fu liberato solo nel 1326, quando il contesto politico, ormai mutato, vide incrinarsi l’alleanza tra la Chiesa e i Rossi. Il rilascio avvenne alla condizione ch’egli si allontanasse da Parma, recandosi prima nella vicina Castelnuovo, appartenente ai Correggio, e successivamente a Venezia.

Una volta liberato, Gianquirico iniziò a preparare la rivincita sugli antichi rivali, in attesa del momento propizio per attuarla, che arrivò con l’assunzione da parte dei Rossi della signoria formale su Parma, forti dell’appoggio scaligero, nel febbraio del 1329. Tra maggio e giugno, con gli alleati correggeschi e forte del sostegno della Chiesa, egli lanciò l’offensiva, espugnando le terre di Cavriago e Sorbolo, e mosse poi contro Berceto, senza successo. La campagna fu logorante e dagli esiti incerti. I Rossi e la Chiesa stipularono una pace separata e, alla fine dell’estate, Sanvitale fu invitato a Bologna e arrestato dal legato pontificio, per costringerlo a fare pace. Il tentativo fallì e, una volta liberato, egli riprese la guerra contro i Rossi, destinata a durare fino alla fine della loro signoria su Parma nel 1335.

Con l’avvento della signoria scaligera su Parma e il ritorno in auge dei Correggio, a molti esuli fu concesso il rientro in città, ma non a Sanvitale «cui nondimeno furono i suoi beni restituiti» (Affò, 1795, p. 299). Nel 1337 si spostò a Ferrara, sotto la protezione di Obizzo III d’Este. Fu così che, nel corso della breve signoria estense su Parma, venduta da Azzo da Correggio al marchese di Ferrara nel 1344 (il dominio scaligero era cessato nel 1338), Gianquirico Sanvitale poté finalmente rientrare, dopo molti anni di esilio, in Parma.

Ivi morì il 5 marzo 1345. Alle sue esequie parteciparono Francesco d’Este, governatore di Parma, e la nobiltà cittadina. Fu sepolto nella chiesa di S. Francesco del Prato.

Fonti e Bibl.: Chronicon Parmense ab anno MXXXVIII usque ad annum MCCCXXXVIII, a cura di G. Bonazzi, in RIS2, IX, 9, Città di Castello, 1902-1904, pp. 146, 167, 169, 185, 193.

F. Sansovino, Della origine et de’ fatti delle famiglie illustri d’Italia, Venezia 1582, pp. 23, 71 s., 100, 271; B. Angeli, La historia della città di Parma, Parma 1591, pp. 96 s., 101, 148, 154, 156 s., 160 s., 171, 173, 184; I. Affò, Storia della città di Parma, IV, Parma 1795, pp. 100, 177, 179, 181, 185, 191, 196 s., 202, 226, 228 s., 231-233, 235 s., 252, 260, 264, 280, 299, 305, 329, 395; P. Litta, Famiglie celebri italiane, VII, Milano 1820, tav. I; A. Pezzana, La storia della città di Parma, I, Parma 1837, p. 44; G. Adorni, Vita del conte Stefano Sanvitale, Parma 1840, pp. 3, 254-257; L. Scarabelli, Istoria civile dei ducati di Parma, Piacenza e Guastalla, I-II, s.l. 1846, pp. 447, 481; G.B. Janelli, Dizionario biografico dei parmigiani illustri..., Genova 1877, pp. 376 s.; F. Giarelli, Storia di Piacenza dalle origini ai giorni nostri, I-II, Piacenza 1889, p. 204; E. Nasalli Rocca, La posizione politica dei Sanvitale dall’età dei Comuni a quella delle Signorie, in Archivio storico per le province parmensi, s. 4, 1971, vol. 23, pp. 135-153; M. Gentile, Dal comune allo stato regionale. La vicenda politica (1311-1402), in Storia di Cremona, V, Il Trecento. Chiesa e cultura (VIII-XIV secolo), a cura di G. Andenna, Azzano San Paolo 2007, pp. 260-301; A. Gamberini, Il contado di fronte alla città, in Storia di Parma, III, 1, Parma medievale. Poteri e istituzioni, a cura di R. Greci, Parma 2010, pp. 169-211.

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