Giappone

Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco (2014)

Maria Elisa Soldani
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Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook

La crisi finanziaria dello shogunato Tokugawa nei primi decenni dell’Ottocento e le profonde trasformazioni sociali in atto, al momento in cui hanno inizio le pressioni occidentali per l’apertura del Paese, contribuiscono a creare i presupposti della Restaurazione Meiji. La costruzione di un nuovo assetto istituzionale andrà di pari passo con la modernizzazione del Giappome. 

Il “periodo Edo” o Tokugawa

Il sistema politico vigente in Giappone nella prima metà dell’Ottocento è ancora quello nato all’inizio del Seicento quando Tokugawa Ieyasu ha affermato il suo potere, con la carica di shogun, o “generalissimo”, e installato il bakufu, o governo militare, composto da consiglieri anziani scelti tra i membri della sua famiglia o tra i vassalli più fedeli e storicamente legati all’ascesa politica e militare della casata, i cosiddetti fudai. Il regime Tokugawa viene organizzato in modo da garantire un controllo stabile sul Paese fondato su di una organizzazione politico-sociale rigidamente strutturata.

Formalmente lo shogun, pur dotato di un potere assoluto, è soggetto all’imperatore che risiede a Kyoto con la sua corte, il quale, pur non esercitando direttamente funzioni politiche, conserva un fondamentale potere di legittimazione e rappresenta il simbolo di una identità unitaria della Nazione, che si incarna nella sua stessa persona, ritenuta di origine divina. Oltre al governo militare e ai vassalli fudai, troviamo anche i tozama, i feudatari che hanno avversato l’ascesa al potere di Ieyasu: pur non potendo accedere a incarichi politici di rilievo, conservano parte delle loro terre e una propria forza armata. Tutti i feudatari sono tenuti obbligatoriamente a trascorrere un periodo dell’anno nella capitale Edo e a stabilirvi parte della propria famiglia nei mesi di assenza: tale obbligo rappresenta una delle principali voci di spesa per ogni feudo, dovendo mantenere una residenza adeguata e il relativo personale, oltre alle spese di prestigio che la permanenza nella capitale prevede. Si è anche provveduto a una redistribuzione delle proprietà terriere volta a garantire la base economica dei Tokugawa, che diventano i maggiori proprietari fondiari del Giappone, e a rafforzare i vassalli fedeli.

Il sistema di potere instaurato a partire dal XVII secolo si propone di avversare e rendere impossibile ogni mutamento dell’assetto politico e sociale del Paese, proibendo, almeno in teoria, ogni forma di mobilità sociale e intervenendo per eliminare ogni potenziale fattore di disordine o instabilità. Il neoconfucianesimo diviene l’ideologia ufficiale del regime; insegnato nelle scuole e propagandato su tutto il territorio, è anche la fonte di ispirazione del Bushido, il codice di comportamento dei samurai, la classe militare, voluto dai Tokugawa con lo scopo di controllare e regolamentare il comportamento dei guerrieri, ma anche dei funzionari statali, all’interno di un rigido schema di regole fondate sui rapporti di obbedienza e fedeltà rispetto ai propri signori feudali.

La società e l’economia giapponesi alle soglie della modernità 

Al di sotto dei feudatari e dei samurai, da questi dipendenti, si trovano le altre componenti della società dell’epoca Edo. Innanzitutto i samurai di medio e basso rango, il cui ruolo tradizionale viene progressivamente ridimensionato dal lungo periodo di pace e stabilità: con l’eccezione dei guerrieri che restano al servizio dello shogun o dei feudatari, la maggior parte di questi deve accettare di svolgere altre mansioni, trasformandosi in funzionari pubblici o amministratori civili dei feudi. Altri ancora, con l’accentuarsi della crisi finanziaria del paese tra la fine del XVIII secolo e la prima metà del XIX, diventano commercianti o addirittura contadini, in un generale processo di impoverimento e di marginalizzazione degli appartenenti al loro ceto.

Contadini, artigiani e commercianti, ritenuti strati sociali inferiori (ma i contadini vedono riconosciuta la loro funzione sociale, fondamentale per lo Stato), sono comunque i protagonisti delle profonde trasformazioni che coinvolgono il Paese in epoca moderna. Il lungo periodo di pace rende possibile, insieme all’introduzione di tecniche agricole e colture nuove, un forte sviluppo della produzione che beneficia in particolare i feudi tozama, posti alla periferia del Giappone, che spesso possono disporre di terre vergini, non ancora intensamente sfruttate come quelle dei feudi centrali.

Lo sviluppo dell’agricoltura e la crescita della ricchezza dei maggiori feudi si affianca al grande sviluppo urbano che coinvolge la capitale Edo, dovuto alla presenza dei feudatari che stimola le attività legate ai consumi voluttuari, oltre a quello di tutte le attività di rifornimento di beni e servizi che la rapida crescita della popolazione comporta. Il commercio cresce facilitato dalla stabilità e sicurezza interne, estendendosi a tutto il territorio: anche le città-castello degli han, i feudi, conoscono un fenomeno analogo a quello della capitale, trasformandosi in centri autonomi delle attività economiche e commerciali, nel contesto del più generale sviluppo.

I mercanti, organizzati spesso in gilde, divengono una delle componenti chiave del Giappone in epoca Tokugawa: la loro promozione sociale avviene attraverso la ricchezza, e l’influenza politica che ne deriva e, spesso, legandosi tramite matrimoni a casate di samurai decadute a causa dei debiti, oppure comprando l’attribuzione di titoli o uffici pubblici. Un’altra figura tipica della società Tokugawa è quella del contadino ricco che all’interno del villaggio diventa nel tempo un vero e proprio imprenditore che si occupa di più attività economiche: agricoltura, commercio, artigianato, usura. Sono spesso contadini ricchi di questo genere, ma talvolta anche samurai di medie condizioni, che danno l’avvio a piccole attività industriali nelle campagne, estese rapidamente ai centri urbani, grazie al coinvolgimento finanziario dei grandi mercanti o delle loro gilde.

Crisi finanziaria e mutamenti sociali 

La progressiva monetizzazione dell’economia giapponese è un altro fattore determinante delle profonde trasformazioni sociali in atto. Le tasse, la ricchezza degli han, gli stipendi dei samurai, dei funzionari e amministratori, vengono pagati in riso, ma i commerci e ogni altro genere di attività urbane si basano sull’uso della moneta (in rame, argento e oro), o su quello di certificati di credito (cambiali o altro). Chi riceve il suo reddito in riso deve ricorrere ai mercanti per convertirlo in moneta per l’acquisto di altre merci e ciò determina un rapporto di crescente dipendenza nei confronti di chi è in grado di fornirla. Situazione che si aggrava per il fatto che i salari in riso per i samurai e i funzionari e le rendite di molti dei loro signori crescono molto più lentamente del livello dei loro consumi e del costo della vita, tenuto conto degli obblighi sociali cui il mantenimento della loro dignità li obbliga. Le scarse capacità e le scelte politiche ed economiche sbagliate dei governanti portano a un forte indebitamento dell’amministrazione shogunale, che a sua volta si riflette in un innalzamento dei livelli di tassazione sugli han, sui contadini e sul commercio, o su forme di prestito forzoso imposto a feudatari, samurai e gilde.

I problemi finanziari dell’amministrazione centrale e l’impoverimento crescente degli han e dei samurai, di basso o alto rango, si sommano alle sempre più frequenti rivolte contadine contro le tasse e i prelievi forzosi imposti dal governo o dai signori nel loro stesso feudo, spesso capeggiate da samurai impoveriti e senza padrone: particolarmente importanti sono le rivolte del biennio 1836-1837, che portano all’occupazione e distruzione di interi centri urbani, ma negli ultimi cento anni del potere dei Tokugawa sono censite circa 2.500 rivolte contadine.

Nel 1836, Ieyoshi assume la carica di shogun, da cui si è dimesso il padre, radicalmente contrario a ogni riforma, e promuove l’ascesa politica di MizunoTadakuni che, come influente membro del Consiglio degli Anziani, a partire dal 1841, avvia un programma di riforme con lo scopo di risanare l’economia nazionale e arrestare il dissesto delle finanze del bakufu (ovvero il governo shogunale). Il suo programma si basa in parte sugli stessi presupposti dei precedenti tentativi di riforma avviati nel Settecento: richiamo alla tradizione di austerità del Bushido e condanna delle spese suntuarie che hanno indebitato gli han e la stessa casata dello shogun; riduzione delle spese del governo centrale; riduzione del suo personale; razionalizzazione dell’amministrazione. A queste misure si affiancano provvedimenti volti a eliminare i monopoli e i privilegi concessi ai grandi mercanti e alle loro corporazioni (spesso in cambio di prestiti al governo) che, insieme a un controllo politico dei prezzi e una riduzione forzosa delle affittanze dei terreni e dei salari pubblici, hanno lo scopo di contenere l’inflazione. A fianco alle riforme, Mizuno tenta anche di mettere sotto il controllo del bakufu i feudi situati nei dintorni di Edo e Osaka, compensando con altre terre le casate coinvolte dal provvedimento, tra le quali i tre principali vassalli fudai dello shogun. Le misure intraprese non riescono però a ottenere altro risultato che accrescere l’ostilità e le critiche verso il regime Tokugawa e ne indeboliscono il sostegno anche tra i tradizionali sostenitori.

Il periodo bakumatsu

Il periodo bakumatsu, o fine del bakufu, è caratterizzato da un progressivo avvicinamento alla crisi finale del regime che si dimostra sempre più incapace di prendere una precisa direzione nelle scelte politiche ed economiche, a causa delle spinte contrastanti degli interessi interni al Paese, ma anche per la disobbedienza da parte di alcuni dei principali han, e per la critica diffusa e sempre più aggressiva nei confronti del potere centrale. Se fino ad allora le rivolte contadine e la drammatica situazione d’indebitamento di molti samurai di ogni condizione, unite alle critiche verso le inefficienze del bakufu e l’ostilità crescente di alcuni feudatari, non riescono a creare una coerente e unitaria opposizione, sono la sempre più aperta autonomia politica di alcuni grandi feudi e l’apertura del Paese alle relazioni con gli occidentali che precipitano la crisi. Gli han di Choshu, Satsuma, Tosa e Hizen, tentano di rispondere alle inefficienze del sistema approntando programmi di riforma autonomi, nel tentativo di ridurre il proprio indebitamento e di creare basi più solide per una futura crescita dei propri possedimenti.

Satsuma da tempo sfidava il divieto di commercio con gli stranieri, e offriva copertura alle attività di contrabbando e di pirateria giapponesi lungo le coste dell’Asia Orientale. È dunque attraverso le proprie relazioni estere e lo sviluppo del commercio che tenta di rispondere alla crisi interna. Choshu avvia invece una serie di riforme che in parte richiamano quelle di Mizuno per quanto riguarda i tagli alle spese interne e il richiamo a una maggiore austerità nei costumi, oltre a una generale razionalizzazione amministrativa, guardando soprattutto all’agricoltura e a una sua modernizzazione.

A rafforzare l’opposizione al regime contribuiscono in maniera decisiva anche gli intellettuali che, dal secolo precedente, hanno avviato un recupero della tradizione shintoista, esaltando la figura dell’imperatore nella creazione e difesa dell’identità del popolo giapponese: oltre a rappresentare il simbolo dell’unità del Paese, egli è anche la prova dell’eccezionalità e superiorità del suo popolo che, come lui e tramite lui, può vantare una discendenza divina. L’esaltazione della sua figura divina, contrapposta alla figura terrena dello shogun, accompagna i moniti riguardanti le minacce rappresentate dai contatti con le altre nazioni e l’appello a difendere e affermare la superiorità giapponese con una azione aggressiva ed espansiva che prevenga iniziative analoghe da parte degli stranieri. Nella cosiddetta “scuola di Mito” si concentrano molti degli intellettuali e dei samurai che si richiamano a questo orientamento, radicalizzando in senso xenofobo e violento le loro posizioni negli ultimi anni di vita del regime, e trovando protezione da parte di ambienti della corte imperiale a Kyoto, dove molti di loro si trasferiscono, e nello han di Choshu.

L’apertura del Giappone e la fine del bakufu

La ripresa forzata delle relazioni ufficiali con il mondo esterno fa da catalizzatore dell’opposizione e conduce alla crisi finale del regime Tokugawa. Vietate nel XVII secolo, le relazioni con l’estero, in realtà, non sono state del tutto interrotte: agli Olandesi è concesso di risiedere a Dejima, un’isola artificiale davanti a Nagasaki. Tale presenza è decisiva perché tramite loro viene introdotta la conoscenza degli sviluppi scientifici, tecnologici e politici europei. Lo studio dell’olandese fornisce la chiave di accesso a queste conoscenze e gli studi delle questioni riguardanti le relazioni con gli occidentali assumono perciò il nome di “studi olandesi”. Se alcuni traggono da questi la convinzione che sia necessario mettere il Paese allo stesso livello dello sviluppo occidentale, altri insistono sulle minacce potenziali create dalla superiorità tecnologica e militare degli stranieri, timori accresciuti con la prima guerra dell’oppio (1839-1842).

Nei primi decenni del secolo si succedono le occasioni di incontro e scontro con Russi, Britannici e Americani. Sono questi ultimi ad avviare la svolta decisiva con l’invio nel 1853 di una piccola squadra navale al comando del commodoro Perry che nel 1854 impone il trattato di Kanagawa, che prevede l’apertura di relazioni ufficiali e garanzie per il rifornimento e l’assistenza per le navi statunitensi che si trovassero a fare scalo in Giappone: non viene però toccata la questione del commercio. Negli anni seguenti si apre una difficile partita che vede il bakufu fronteggiare a un tempo le sempre maggiori pressioni degli stranieri per estendere le concessioni e l’accesa, violenta opposizione interna allo shogun accusato di debolezza verso i “barbari”.

Nel 1858 un nuovo trattato di amicizia e di commercio sottoscritto con gli Stati Uniti apre le porte ai cosiddetti “trattati ineguali” con le altre potenze, che impongono con la minaccia della forza l’apertura al commercio estero. Le tensioni interne e il precipitare delle relazioni con gli stranieri per una serie di incidenti sfociano nel 1863 nel bombardamento britannico di Kagoshima, mentre, tra il 1864 ed il 1866, il tentativo del bakufu di risolvere con la forza il contrasto con Choshu si conclude con una sconfitta. La morte nello stesso anno dello shogun e l’ascesa a imperatore di Mutsuhito convincono Choshu, Satsuma e gli altri han dissidenti a passare all’azione, con l’appoggio del nuovo regnante: il 3 gennaio 1868 viene proclamata la Restaurazione dei poteri imperiali, l’abolizione della carica di shogun e la requisizione delle terre dei Tokugawa. La capitale viene ribattezzata Tokyo e vi si trasferisce la corte imperiale. Da quel momento l’imperatore assume per il suo regno il nome di Meiji, “governo illuminato”, e dà l’avvio a una ampia azione riformatrice.

L’epoca Meiji 

La restaurazione Meiji si configura come una rivoluzione dall’alto, volta a riformare lo Stato e ad avviarne la modernizzazione per metterlo in condizione di resistere alla pressione degli occidentali. Gli obiettivi della riforma vengono enunciati dall’imperatore nel marzo del 1868 con il Giuramento sui cinque articoli, in cui si indica la volontà di modernizzare il Paese e di allargare la base del potere attraverso la promessa di una costituzione e l’istituzione di una assemblea nazionale (alla sua convocazione, però, si rinuncia nel 1869); la volontà di garantire un libero dibattito pubblico sulle riforme; l’adozione di un sistema giuridico che recepisca le norme internazionalmente accettate; il sostegno allo studio della cultura e della scienza occidentali.

Le principali riforme che vengono avviate riguardano l’abolizione dei feudi e lo scioglimento dei samurai come classe distinta; allo stesso tempo si prevede di dare pieno diritto di cittadinanza alle altre componenti della società giapponese su basi di eguaglianza giuridica. La riforma dell’esercito, con l’introduzione della coscrizione obbligatoria, e la riforma fiscale sono due delle riforme che assumono maggiore rilievo, incontrando nel Paese una forte resistenza che sfocia in aperta rivolta. La riforma fiscale, oltre a portare avanti il processo di monetizzazione dell’economia, favorisce la formazione di grandi proprietà terriere a causa delle difficoltà dei piccoli proprietari a sostenerne il peso e per via dell’indebitamento che si rende necessario per procurarsi il denaro per il pagamento delle tasse. È proprio la tassa fondiaria la leva su cui poggia l’azione economica del governo, finanziando così l’avvio dell’industrializzazione in settori strategici e l’acquisto di tecnologie e macchinari all’estero. In assenza di un ceto di imprenditori preparati e disposti a investire nello sviluppo industriale, per circa un ventennio è lo Stato ad assolvere questa funzione, consentendo una rapida crescita dell’economia, a prezzo però dell’impoverimento dei contadini. Tra il 1881 e il 1885 le industrie di Stato, eccettuate quelle militari, vengono cedute ai privati a condizioni molto agevolate, gettando le basi per la nascita dei futuri grandi conglomerati monopolistici, gli zaibatsu.

Il nuovo assetto istituzionale e l’avvio dell’espansione 

Nel 1885 viene costituito un governo di gabinetto, guidato da un primo ministro che riceve il suo mandato dall’imperatore e sovrintende alle attività dei ministri. L’11 febbraio 1889 viene promulgata la costituzione, ispirata al modello tedesco, che attribuisce al regnante un ruolo centrale del nuovo assetto istituzionale, con ampi poteri politici, di controllo e legislativi. Il governo risponde solo a lui e non al parlamento, che è composto da una Camera dei pari, per la nobiltà, e una Camera dei rappresentanti, eletta a suffragio ristretto e dotata del solo potere di veto sulla legge di bilancio. Dopo la prima fase di apertura e infatuazione per le idee occidentali, la Costituzione del 1889 rappresenta un ritorno alla tradizione ampiamente ispirato a idee confuciane e allo shintoismo, la religione ancestrale riscoperta a partire dal XVIII secolo, esaltando la figura divina dell’imperatore e riportando i giapponesi allo status di sudditi. Il Rescritto imperiale sull’educazione del 1890, distribuito in tutte le scuole, formula l’ideologia ufficiale del nuovo regime completando idealmente il processo di restaurazione.

La tensione verso una espansione dell’impero è costante, al fine di ottenere il rispetto internazionale e garantire una maggiore sicurezza della nazione: negli anni Settanta, il Giappone impone alla Corea di aprirsi al commercio e annette le isole Ryukyu. Numerosi intellettuali esaltano il carattere di esclusivismo e “purezza” etnico-razziale del popolo giapponese e, influenzati dal darwinismo sociale allora in voga, invocano la necessità dell’espansione militare come chiave per la sua stessa sopravvivenza. Ci si rende conto anche dell’importanza che l’espansione può avere per garantire la coesione interna appellandosi all’esaltazione della nazione in guerra, come si vedrà nel 1894-1895 in occasione della guerra sino-giapponese. Questa, scoppiata per il controllo della Corea, vede una rapida affermazione del Giappone, sancita dal trattato di Shimonoseki dell’aprile del 1895, che riconosce al vincitore anche l’annessione di Taiwan, oltre a una enorme compensazione finanziaria da parte della Cina. Il conflitto sancisce il superamento dei trattati ineguali e il riconoscimento internazionale della emergente potenza giapponese, che diventa il riferimento per molti nazionalisti e riformatori asiatici. In un certo senso è possibile affermare che con il 1895 per il Giappone ha inizio il XX secolo e una nuova fase della sua storia.

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