GIARDINO

Enciclopedia dell' Arte Antica (1960)

GIARDINO

G. Lugli
L. Guerrini
L. Guerrini
G. Lugli
J. Auboyer
L. Guerrini
G. Lugli
J. Auboyer

Vicino Oriente. - Gli antichi decantarono come una delle meraviglie del mondo i grandi g. di Babilonia, sospesi su colossali terrazze artificiali poggiate su pilastri e vòlte. Diodoro (iii, 10) e Strabone (xvi, 1, 5) ce ne conservarono ampie descrizioni. Gli scavi fatti nel palazzo di Sargon a Khorsābād e in quello presunto di Nabucodonosor non hanno fornito molti elementi per la ricostruzione di questi g. e soprattutto delle vòlte sottoposte.

Sembra che queste fossero fatte di mattoni ben seccati al sole, uniti con malta, a conci radiali, oppure col sistema degli strati aggettanti. Su queste vòlte a più ripiani poggiavano terrapieni di notevole spessore, su cui erano piantati alberi disposti in viali rettilinei con decorazione di statue e con sfondi di pareti istoriate a rilievo. Per evitare che l'infiltrazione delle grandi piogge, che si rovesciavano in quelle regioni specialmente durante l'estate, nuocesse alla stabilità delle vòlte, si usava spalmare queste di bitume e resina e talvolta rivestirle di lamine di piombo. Così i g. durarono molti secoli ed erano ancora in piena efficienza sotto i re di Persia (v. babilonia).

Quando Lisandro andò ambasciatore presso Ciro il Giovane a Sardi (408 a. C.) ebbe ad ammirare la bellezza degli alberi, l'ordine della loro disposizione, la simmetria dei viali e delle aiuole, la varietà e la soavità dei profumi. Lo stesso Ciro aveva disegnato la forma del suo g. e prescelte le piante (Xenoph., Oecon., iv, 21).

(G. Lugli)

Giardino-paradiso (παράδεισος). Traduzione greca del vocabolo persiano pairadaëza, che indicava i giardini privati dei monarchi persiani (imitati da quelli assiri: cfr. i rilievi di Assurbanipal): essi erano posti nelle immediate vicinanze dei palazzi residenziali, autonomi, per lo più recinti completamente da muri o portici. Presentavano una parte coltivata a fiori e alberi disposti in rigoroso ordine e simmetria (carattenstica derivata dai giardini orientali: si veda ad esempio il palazzo di Sennacherib ad Assur) e di una parte boscosa, selvaggia, con corsi d'acqua, uccelli e altri animali, vere riserve di caccia della corte.

La conoscenza di questi g.-paradiso per i Greci inizia al principio del V sec. a. C. (v. iscrizione in Dittenberger, Syll., 2); la più antica descrizione dettagliata è in Senofonte (Oecon., iv, 20 ss.) - che verrà poi ripresa da Cicerone (De senectute, 59) che riferisce la visita dello spartano Lisandro nel 408 al g.-paradiso che Ciro il Giovane possedeva a Sardi. Ancora Senofonte (Anab., i, 2, 7) ricorda i g.-paradiso dello stesso Ciro in Frigia, quelli di Farnabazo (Ellen., iv, 1, 15-16) e le battute di caccia (Cyrop., I, 3, 4). L'entusiasmo di Alcibiade per i g.-paradiso di Tissaferne sarà ricordato da Plutarco (Alcib., 24). L'occupazione da parte di Alessandro Magno - e in seguito dei suoi successori - dei g.-paradiso del Gran Re è menzionata da Quinto Curzio (vii, 2, 22; viii, 1, ii) e da Ateneo (xii, 537). Descrizioni di g.-paradiso persiani continuano negli autori greci e latini sino ad epoca bizantina (v. elenco in Pauly-Wissowa, s. v. Gartenbau).

Un'imitazione diretta da parte dei Greci si avrà però solo nella seconda metà del III sec. a. C., insieme a una accettazione di molte usanze persiane, il che provocherà i rimproveri e le invettive di Crisippo (Plut., Contr. St., xxi, 1044 c-d). A differenza però del g.-paradiso persiano, completamente autonomo, in Grecia sempre è presente un motivo architettonico (piccolo santuario, ecc.) al centro della composizione, che giustifica la presenza del giardino (Martin). Il Grimal, invece, vede una derivazione diretta dai g.-paradiso orientali già nei giardini di Dionisio il Vecchio a Reggio (Plin., Nat. hist., xii, 7; Theophrast., Hist. plant., hen., iv, 5, 6) e di Gerone a Siracusa (Athen., xii, 542 a).

(L. Guerrini)

Grecia. - In Grecia, l'esistenza di g. è attestata già coi poemi omerici: oltre al g. della reggia di Alcinoo (Od., vii, 112 ss.) coltivato a frutteto con vigna e orto; a quello di Laerte (Od., xviii, 359 ss.) dove pure prevalgono alberi da frutto; al g. in cui viveva la ninfa Calipso (Od., v, 63), sono menzionati altri κῆποι e ὄρχατοι (Il., xiv, 123 ss. e xxi, 257 ss. e passim; Od., i, 187; xxiv, 205 e passim); e si può notare, sia pure da questi accenni alquanto sommarî, come in Grecia si abbia già nel periodo arcaico la distinzione tra il g. privato, inteso per lo più come orto e frutteto, in cui l'arte della coltivazione consiste quasi unicamente nella disposizione delle piante in filari regolari e nel raggruppamento di esse secondo il tipo e la conformazione del terreno; e il g. o boschetto sacro annesso ai santuari, adorno di rocce, grotte, cascatelle e giochi d'acqua.

In Erodoto (viii, 138 ss.) c'è il primo accenno a un'estensione coltivata a rose: si tratta dei leggendarî g. del re Mida in Macedonia, che visse nella prima metà del VII sec. a. C.; in seguito col nome di Midae roseta si indicava una speciale qualità di rose di serra.

La città greca classica e in parte ellenistica, non contempla nella propria urbanistica "spazi verdi", e porta solo un debole contributo all'architettura di parchi e giardini pubblici. Purtuttavia g. esistevano, ma non in modo autonomo, bensì sempre associati a un elemento architettonico di importanza maggiore. Esistevano infatti g. domestici, modesti orti con fiori e piante da frutta, non dissimili da molti dei nostri giorni, annessi alla casa. Intorno alla metà del IV sec. si ha notizia (Dittenberger, ii, 590) della casa con g. di proprietà di Demostene. Nella Commedia Nuova (il cui ricordo si può avere dalle pagine di Plauto), si fa continuamente menzione alla κηπαία ϑύρα. Accanto a questi è attestata sin dai tempi più remoti l'esistenza di g. facenti parte di santuarî (κῆποι o ἀλσοί). Pindaro (Ol., ix, 27) menziona il κᾶπος delle Cariti, nella Pit., v, 22, il g. di Afrodite a Cirene e nella Pit., ix, 53, quello di Zeus pure a Cirene. Famoso era ad Atene il santuario di Afrodite ἐν κήποις (Plin., Nat. hist., xxvi, 16; Lucian., Imag., iv, 6; Paus., i, 19, 2 e C. I. A., i, 273) posto fuori città (v. atene). Entro i limiti cittadini era invece, ad Atene, il boschetto sacro posto ai lati dello Hephaisteion, rinvenuto durante gli scavi della Scuola Americana nell'Agorà; per ottenere ciò, fu appositamente scavata la roccia, e nei buchi disposti in file regolari, furono posti vasi non grandi, ripieni di terra. In questo caso pare si trattasse di vite. Un altro boschetto, dedicato ad Eracle, è ricordato a Taso (I. G., xii, Suppl. 353). È sempre presente, in questi casi, la preoccupazione di armonizzare il g. con le strutture architettoniche dell'edificio.

Pausania nomina numerosi santuari divini o eroici (alle Ninfe, a Demetra, ad Apollo, a Dioniso, ad Eracle, ecc.) il cui tèmenos era adorno di cipressi, platani e allori. E non solo nella Grecia continentale, giacché da fonti o iscrizioni si ha notizia di g. connessi con santuari a partire dalla seconda metà del V sec. in Caria, Taso, Calcide, Pergamo, ecc. Oltre a questi due tipi di g., si hanno anche, specialmente a partire dal IV sec., g. associati ai ginnasi: si tratta per lo più di gruppi di alberi al di sotto dei quali erano aiuole fiorite, o veri e proprî spazî verdi, non chiusi tra muri, ma inquadrati nel paesaggio. A causa del clima e della costruzione arida e pietrosa del suolo, venivano molto coltivati alberi da ombra, come platani, pioppi, o cipressi, di cui si ammiravano quelli secolari piantati da Cimone nell'Accademia di Atene (Plut., Gim., 13). Celebri furono i g. di Licurgo e di Teofrasto intorno al Liceo di Atene, e quelli di Epicuro sulla via dell'Accademia. Teofrasto fu il primo filosofo e maestro che diede l'esempio di insegnare passeggiando tra i viali ombrosi, o sotto i portici decorati con opere d'arte, alla vista di g. fioriti (da qui il nome di "peripatetico" dato al suo insegnamento).

Propriamente g. con carattere monumentale e pubblico si hanno nel mondo greco solo in età ellenistica. La città che presenta la maggior ricchezza e grandiosità di g. è Alessandria, la quale adibì a parchi estese zone di terreno: intorno al palazzo reale, presso il Ginnasio e l'Ippodromo, nel territorio ad E della città. Con g. erano adorni anche edifici come il Serapeum e il Museum. Preziose notizie si hanno, leggendo Ateneo (v, 196), nella descrizione delle feste in onore di Tolomeo II. Non mancano in età ellenistica g. anche a Rodi (Plin., Nat. hist., xxxv, 101 ss.) e a Cnido (Plin., op. cit., xxxvi, 83) dove si ha notizia che l'architetto Sostratos, al tempo di Tolomeo II, costruì per la prima volta una pensilis ambulatio.

La Sicilia fu ricca di g. già dai tempi arcaici; è noto come Gerone avesse fatto installare sul ponte della sua nave g. sospesi, ornati con piante rare e fogliame ombroso.

(L. Guerrini)

Roma. - Fino agli ultimi decennî del sec. II a. C. l'hortus ebbe uno scopo essenzialmente pratico; si coltivava il terreno soltanto per ricavarne gli alimenti necessari al vitto giornaliero, ma senza ornamenti superflui. Tanto i g. della città quanto le ville della campagna rappresentavano per i sobri cittadini dei tempi più antichi un capitale da mettere a profitto mediante la coltivazione. Occorre giungere fino all'età di Varrone perché il concetto del tutto utilitario dell'orto subisca una prima trasformazione.

Nel suo trattato De re rustica Varrone infatti assegna già una certa parte alla coltivazione dei fiori, destinati ad ornare gli altari degli dèi e i sepolcreti dei congiunti.

Nell'età di Silla avviene una netta divisione tra la villa rustica e la villa signorile; la prima rimane specialmente nel suburbio e nelle campagne, la seconda nelle città o nei dintorni di esse. Anche il nome fu allora parzialmente modificato: col singolare hortus si usò designare il primo tipo, detto anche villa; col plurale horti il secondo, forma complessa di edifici e giardini. Fu questa una conseguenza dell'agiatezza derivata a un ordine di cittadini dal governo delle province e dai bottini delle guerre sociali e civili. In Pompei si ammirano tuttora alcuni g. di questo periodo nei peristili delle case del I e del II Stile, ricostruiti con assoluta fedeltà in base all'esame del terreno, che ha permesso di riconoscere dai resti delle radici la posizione e la natura delle piante. Un aiuto notevole forniscono a questo scopo le pitture di g. che gli stessi antichi ci hanno lasciato, come ad esempio quelle della Villa di Livia a Prima Porta sulla via Flaminia, del così detto Auditorio di Mecenate sull'Esquilino, e delle Case dei Vetti e degli Amorini dorati a Pompei.

In genere lo spazio riservato al g. era diviso secondo linee rette e simmetriche: il centro era costituito da un piazzale con fontana, dal quale avevano principio i viali maggiori, possibilmente diritti e ortogonali fra loro: ai lati dei viali correvano lunghi filari di rosmarino e di mirto, tagliati all'altezza del petto di un uomo, per permettere di spingere lo sguardo liberamente verso la campagna; a dati intervalli, e soprattutto agli incroci dei viali, erano erme e statue marmoree, sedili e vasi finemente lavorati, con piante odorose.

Il desiderio di adornare la villa con g. crebbe verso la fine della Repubblica, specialmente per opera di Lucullo e di Sallustio. Lucullo, ricco per eredità paterna e arricchitosi ancor più nelle guerre contro Mitridate e contro Tigrane d'Armenia, si era preparato nel ritiro degli ultimi anni una villa sontuosa sul monte Pincio, la prima di tal genere a Roma. E poco dopo Sallustio, di ritorno dalla sua propretura nella Numidia, cominciava la costruzione di quei giardini fra il Quirinale e la porta Collina, che dovevano essere anche in seguito i più grandi e i più ricchi del mondo romano.

Comincia l'arte del giardinaggio vera e propria: l'opera del topiarius, giardiniere, non si limita più alla sola coltivazione delle piante, ma si preoccupa di dare a queste, mediante il taglio delle foglie e dei rami, anche un aspetto artistico. Questa moda speciale, opera di veri artisti, era chiamata opus topiarium, e gli ingegnosi lavori eseguiti prendevano il nome di viridia tonsa o nemora tonsilia. Gli alberi più adatti allo scopo erano i sempreverdi, cioè il bosso, il cipresso e il leccio: venivano tagliati secondo figure geometriche (sfere, prismi, piramidi, coni) oppure in modo da rappresentare divinità, animali e paesaggi fantastici disponendoli con arte in vasti piazzali e lungo i viali, si arrivava talvolta a comporre intere scene di caccia, flotte di navi, ed episodi della guerra troiana o delle peregrinazioni di Ulisse. C'informa Plinio il Giovane che nella sua villa in Umbria, per mezzo di viridia tonsa, erano stati espressi a grandi lettere il nome dell'artefice e quello del padrone. L'invenzione dell'opus topiarium è un merito attribuito da Plinio (Nat. hist., xii, 13) al romano G. Matius dell'ordine equestre, vissuto verso la fine del sec. I a. C.

Altra forma di giardino preferita dai Romani era lo xystus, che consisteva in un complesso di viali e aiuole racchiusi in uno spazio limitato: il nome traeva origine dal greco ζυστός, che significa passaggio coperto, poiché la condizione principale dello xystus era quella di essere fornito di portici o di viali ombrosi. Si poneva quindi di preferenza entro i peristili, nelle palestre delle terme e nei quadriportici dietro i teatri. I più ampi viali dello xystus erano chiamati ambulationes; in essi si poteva essere trasportati in lettiga, di solito riparati da una fitta cortina di fronde intrecciate.

Durante l'Impero la passione per i g. e per le ville crebbe a dismisura; non vi era Romano di una certa condizione sociale che non possedesse una o più ville in campagna o al mare: i dintorni di Roma verso l'E e il S, la Sabina, la Campania, erano i luoghi preferiti. A seconda dell'importanza della villa, tra i viali e i g. veniva costruito un gran numero di edifici, portici, esedre, fontane, tempietti, ecc. Il più usato era la porticus addossata di solito ad un altro edificio o a un muraglione sostruttivo, con un lato riparato e l'altro aperto con colonne sul g. verso S o O. Derivazione del portico era il portico coperto o cryptoporticus (v. criptoportico). Altro edificio frequente è l'hippodromus, nome dato in origine al luogo dove si eseguivano le esercitazioni dei cavalli, ma che rimase poi come un semplice g. della stessa forma. Gli ippodromi, potevano essere tanto in muratura, come quello del Palatino, quanto in vegetazione, come quello famoso che Plinio il Giovane ci descrive (Epist., v, 6, 32) nella sua villa in Umbria. Una caratteristica delle ville romane era l'abbondanza d'acqua, raccolta per mezzo di lunghe condutture in ampi ricettacoli; questi si ponevano di solito sulla parte più elevata, perché l'acqua potesse accedere anche nei piani alti degli edifici e specialmente nelle terme e nei ninfei.

Gli alberi usati dagli antichi per i loro g. erano press'a poco quelli stessi che usiamo noi oggi, come sappiamo da Plinio e dalle antiche pitture sopra ricordate: tra gli "alberi silvestri" erano l'abete, il faggio, il castagno, il pino silvestre, l'elce, il pioppo, la quercia e il rovere; "alberi urbani", detti dagli antichi anche mites, erano invece il platano, il pino fruttifero, la palma, l'olivo, il cipresso, ecc. La quercia, il leccio, l'abete e il pino, col loro fitto fogliame, erano preferiti per i grandi parchi; il pino e il cipresso si usavano anche in lunghe cordonate e a intervalli radi per fare da coronamento ai viali; il cipresso poi aveva lo speciale ufficio di rompere l'aria e quindi si poneva a confine dei g. verso N, donde il concetto, tuttora diffuso in Italia, del cipresso come divisione di proprietà. Anche gli alberi da frutto avevano parte importante nell'ornamento dei giardini. Nelle grandi ville era loro riservato un luogo speciale sulla collina (pometum), vicino all'oliveto e alla vigna, ma nelle ville minori venivano collocati nell'interno stesso del g., assai graditi nel mezzo delle aiuole dei fiori, tra i cespugli di lauro e di mirto, oppure frammisti con alberi da ombra sui piazzali. Al loro tronco si usava avvolgere piante rampicanti, che si tendevano poi da un albero all'altro mediante canne, in modo da formare ombrosi pergolati (pergulae).

Per il lavoro di rifinitura e di abbellimento si usavano gli arbusti e le piante molli: il lauro, nobile e sacro, nei boschetti attornianti i simulacri delle divinità, il bosso tagliato in mille guise nei lavori di topiaria; il mirto e il rosmarino per bordura dei viali a guisa di verdi parapetti; l'acanto intorno alle fontane, presso ninfei e i loggiati; il capelvenere nell'interno dei ninfei, intorno a getti di acqua e alle nicchie adorne con statue; il basilico, il miglio, il loto, l'antillide e le altre piantine basse sui prati, ai margini dell'aiuole e a ridosso delle siepi.

In Roma, durante l'Impero, le località per i g. privati erano il Pincio, detto per antonomasia collis hortorum, e l'Esquilino. Sul Pincio oltre ai famosi g. di Lucullo, erano quelli degli Anici, dei Pinci che diedero nome al colle, quelli dei Domizi presso la Piazza del Popolo e altri minori. Sull'Esquilino fondò per primo una villa Mecenate, l'amico di Augusto, il quale bonificò l'ampia regione tra la Porta Esquilina e il colle Oppio, prima occupata da un sepolcreto popolare; il suo esempio fu seguito da altri nobili romani e liberti imperiali, quali L. Elio Lamia, T. Statilio Tauro, Pallante, liberto di Claudio, Epafrodito, liberto di Nerone, e nel sec. III dall'imperatore Licinio Gallieno, cui va attribuito forse il grande ninfeo, detto tempio di Minerva Medica. Celebri erano anche i giardini Variani, preferiti da Eliogabalo, fra la Porta Maggiore e la chiesa di S. Croce in Gerusalemme. Numerose ville sorgevano nel Trastevere, tra cui vanno ricordate quelle di Antonio e di Cesare, la quale ultima passò per testamento del dittatore in proprietà del popolo. Infine nel centro della città erano coltivati g. entro i portici, le terme, e i templi: come quelli di Pompeo, nel Campo Marzio, quelli che attorniavano il mausoleo di Augusto e quelli attigui allo stagno e alle terme di Agrippa: a fianco dell'Iseo Campense era una piccola villa publica, per ritrovo di coloro che si recavano nei vicini Saepta a votare.

(G. Lugli)

Estremo Oriente. - L'amore degli Orientali per i g., costante attraverso i secoli, si rivelò tuttavia sotto forme diverse. Nell'Iran e in India i g. furono concepiti come vaste riserve di caccia, nelle quali gli animali vivevano liberamente e la cui pace veniva di tanto in tanto turbata dai cavalieri. Erano innanzi tutto luoghi di divertimenti, sistemati con gran cura. Il terreno veniva scelto in base alla sua configurazione: tra l'altro era necessario che nella cinta prevista passasse un corso d'acqua: ne era talvolta deviato il corso, si scavavano stagni, laghi, bacini artificiali, che servivano da piscine e da vivai. La loro superficie era coperta di fiori di loto e talvolta venivano costruiti in mezzo all'acqua dei padiglioni, ove si davano appuntamenti galanti. Il giardino era pure provvisto di terrazzi, la terra di apporto vi formava dei giardini pensili. In India venivano persino elevate colline artificiali, che rendevano il g. anche più attraente. Accessori in gran numero erano sparsi in questi parchi: colonne che servivano di posatoio agli uccelli addomesticati e sulle quali i pavoni facevano la ruota; altalene sospese tra gli alberi dal folto fogliame; panchine disposte negli ombrosi boschetti e sulle quali ci si poteva stendere per rinfrescarsi.

Ma il concetto che le genti dell'Estremo Oriente hanno del g. si esprime particolarmente nei g. cinesi e ancor più, in quelli giapponesi. Concetto che risale ad un'epoca lontana ed è basato sul principio di creare l'impressione di un paesaggio reale e perfetto, qualunque sia lo spazio di cui si dispone. La perfezione ideale essendo rappresentata da un paesaggio con un'isola, il che richiede acqua, rocce e costruzioni sparse come dal caso, il g. giapponese, che ebbe architetti celebri, è costituito da alberi di diverse essenze, accuratamente scelti, i cui profili sono spesso corretti o tagliati; tra i tronchi serpeggiano sentieri, cosparsi di sabbia o pavimentati da piastrelle, volutamente staccate l'una dall'altra e di forme irregolari. Circa nel centro del giardino si trova uno stagno, naturale o artificiale, in mezzo al quale sorge un'isola. Questa contiene spesso un padiglione, dal tetto ricurvo; essa è allacciata alla riva da ponti di legno o di pietra, o anche da viali costruiti su palafitte. I diversi tipi di g. rispondono a schemi determinati, ai quali si rimane il più possibile fedeli. Si ricerca anzi tutto d'ottenere la varietà nell'armonia; la più ricercata fantasia regna nella disposizione e nella forma delle rocce, nella sistemazione delle cascate, dei bacini, delle sorgenti, dei pozzi e dei ruscelli, nella costruzione di lanterne decorative in pietra, metallo, legno e porcellana, nell'utilizzazione delle scale; padiglioni e portici (tori) sono disseminati nei boschetti; alberi vengono raggruppati in ragione della loro forma e del colore del loro fogliame; la sabbia è utilizzata come un importante elemento decorativo. Grande raffinatezza si rivela anche nella scelta dei fiori e dei muschi che, qui e là rallegrano il g.; l'arte dell'innesto già in epoca lontana giunse ad un alto grado di perfezione.

(J. Auboyer)

Bibl.: Opere generali: Lafaye, in Dict. Ant., 1899, III, p. 276 ss.; s. v. Hortus; id., ibid.; p. 357 ss., s. v. Topia; H. Olck, in Pauly-Wissowa, VII, 1912, c. 768 ss., s. v. Gartenbau; H. L. Gothein, Geschichte der Gartenkunst, Jena 1914, 2 v.; G. Gromort, L'art des Jardins, Parigi 1934, 2 vol. Giardini-paradisi: P. Grimal, Les jardins romains, Parigi 1943, pp. 74, 84, 86; K. Galling, in Pauly-Wissowa, XVIII, 1949, c. 1131 ss., s. v. Paradeisos; R. Martin, L'Urbanisme dans la Grèce antique, Parigi 1956, p. 250. Giardini greci: R. Wäntig, Haine und Gärten in griech. Altert., 1893; M. L. Gothein, in Ath. Mitt., XXXIV, 1909, p. 103 ss.; D. B. Thompson, in Hesperia, VI, 1937, p. 396 ss.; M. Launey, in Bull. Corr. Hell., LXI, 1937, p. 380 ss.; Ch. Picard, in Revue Arch., XI e XII, 1938, p. 102 ss. e 245 ss.; H. Koch, in Studies D. M. Robinson, St. Louis, I, 1951, p. 356 ss.; M. R. Lalomia, in La Parola del Passato, 1958. Giardini romani: L. Jacono, Osservazioni sui viridari pompeiani, Pompei 1910 (depositato inedito nella biblioteca del museo di Napoli); G. Lugli, in Boll. Ass. Arch. Rom., 1918, p. 27 ss.; id., in E. De Ruggiero, Diz., III, 1919, pp. 933-1027; P. Grimal, op. cit., con bibl. prec.; A. Maiuri, in Boll. d'arte, 1952, p. 5 ss.; M. M. Gabriel, Livia's Garden-Room at Prima Porta, New York 1955, p. 10 ss. (identifica le varietà delle piante riprodotte nelle pitture). Giardini dell'Estremo Oriente: W. Chambers, Traité des édifices, meubles, habits, machines et utensiles des Chinois, comprenant une description de leur temples, maisons, jardins, Londra 1757; Jiro Harada, The Gardens of Japan, Londra 1928; O. Sirén, Gardens of China, New York 1949-50; Tetsuro Joshida, Gardens of Japan, New York 1957, p. 7 ss.; D. Graham, Chinese Garden, New York 1939.

(L. Guerrini - G. Lugli - J. Auboyer)

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