Giga

Enciclopedia Dantesca (1970)

giga

Raffaello Monterosso

Sul valore poetico della similitudine di Pd XIV 118 (E come giga e arpa, in tempra tesa / di molte corde, fa dolce tintinno / a tal da cui la nota non è intesa), si v. la voce ARPA. Da un punto di vista strettamente organologico (poiché il termine designa qui solamente uno strumento musicale, e non ha alcun riferimento all'omonimo tempo di danza, facente parte della Suite sei e settecentesca), è difficile individuare con esattezza lo strumento stesso, il quale s'inserisce nella vasta e confusa famiglia degli strumenti ad arco medievali. La stessa etimologia appare incerta (cfr. Battisti-Alessio, Dizionario). Due le spiegazioni principali del termine: o come soprannome di una particolare forma di ribeca, incurvata a volta, sì da assomigliare al cosciotto di un montone (gigot in francese), o da fonti antico-tedesche, come sviluppo del verbo geigen (muovere su e giù) con evidente allusione al movimento dell'arco; ma la prima etimologia è fortemente inficiata dal fatto che il termine gigot non ricorre nella lingua francese prima del XV secolo. E sintomatico tuttavia che l'associazione della g. alla grossolana immagine animalesca sia avvenuta quando, nel basso Medioevo e in età rinascimentale, la g., perduta la sua antica nobiltà, era divenuta strumento musicale caratteristico dei giullari, e poteva quindi, senza alcuna irriverenza, identificarsi con altro oggetto casualmente dotato dello stesso nome.

I più comuni strumenti ad arco medievali erano, oltre alla g., la crotta, la ribeca, la lira e la viella. Ogni strumento possedeva caratteristiche di costruzione e acustiche nettamente differenziate; tuttavia - e in questo consiste una delle maggiori difficoltà dell'organologia medievale - a ogni termine non corrisponde sempre e in ogni caso lo stesso tipo di strumento. A differenza di quanto avvenne a partire dal Rinascimento, quando, ad es., ‛ violino ' designò in ogni caso uno strumento sostanzialmente sempre uguale a sé medesimo, salve le differenze determinate dalla maggiore o minore eccellenza del liutaio, nel Medioevo lo stesso termine g. poteva essere usato per indicare l'uno o l'altro membro della famiglia degli archi; per di più, anche ammesso di riuscire a ipotizzare un modello fondamentale di g., esso subiva modificazioni anche sostanziali, in rapporto non solo alle diverse epoche, ma anche alle tradizioni organologiche e soprattutto musicali proprie di ogni singola area culturale. Con queste cautele, si può descrivere la g. come uno strumento munito di un numero variabile di corde, messe in vibrazione da un arco (accessorio divenuto di uso generale nel sec. XI). Tuttavia, nel caso specifico, non è per nulla certo che D. pensasse proprio a uno strumento eccitato dall'arco. Il fatto che la g. sia accostata all'arpa, le cui corde erano e sono pizzicate, e soprattutto la globalità dell'immagine poetica, dominata dalla sensazione, vaghissima perché indistinta, del dolce tintinno, sembrano indurre, contro l'evidenza della documentazione filologica, a vedere e a ‛ sentire ' la g. dantesca come uno strumento dal suono pizzicato anziché vibrato. Eventualità non totalmente da escludere, sempre per il motivo fondamentale della confusione terminologica degli strumenti medievali, di cui s'è detto.

La g. si trova ampiamente e frequentemente citata specialmente nelle letterature nordiche (saghe, canti e leggende popolari), spesso associata alla viella. La foggia generale dello strumento è piriforme: ampiamente tondeggiante nella parte inferiore e con il fondo convesso, si assottiglia verso il manico, ove s'innesta la tastiera. È molto dubbio che esistessero anche i tasti: l'ipotesi avanzata da qualche studioso moderno, che fossero i tasti l'elemento distintivo della g. nei confronti di altri strumenti più o meno simili, quali la ribeca o la viella, non è, allo stato delle nostre attuali conoscenze, dimostrabile. Anche sul numero delle corde non possediamo alcun elemento preciso. Talora, anche in fonti medievali, la g. sembra avere una sola corda (e così la disegna W. Apel, col pericolo d'ingenerare nel lettore moderno la certezza che la g. possedesse una sola corda, a differenza della ribeca raffigurata dallo stesso autore con tre corde, mentre la testimonianza dantesca fa esplicita menzione di molte corde); altrove, il teorico che il Coussemaker (Scriptorum de musica Medii Aevi, I 152) pubblica col nome di Hieronimus de Moravia, descrive uno strumento simile alla g., ma col nome di " rubeba ": " Est autem rubeba musicum instrumentum habens solum duas cordas sono distantes a se per diapente, quod quidem, sicut et viella, cum arcu tangitur ". Descrizioni più precise si trovano in Martin Agricola (Musica instrumentalis deutsch) e in Michael Praetorius (Syntagma musicum, vol. II); le quali tuttavia, sia per la loro tarda datazione (rispettivamente 1529 e 1618), sia perché si riferiscono a uno strumento ormai standardizzato e simile al moderno violino, non sono di rilevanza alcuna ai fini della citazione dantesca.

Bibl. - C. Sachs, Reallexicon der Musikinstrumente, Berlino 1913, sub v. Rebec; Enc. Ital. XVII; H. Panum, The stringed instruments of the Middle Ages, Londra s. a. [1939], 390-402; Die Musik in Geschichte und Gegenwart, IV, Kassel e Basilea 1955, 1613-1615; W. Apel, Harvard Dictionary of Music, Cambridge (Usa) 1958, 800.