GIOACCHINO DA FIORE

Federiciana (2005)

GIOACCHINO DA FIORE

GGian Luca Potestà

Nato verso il 1135, dopo un periodo di formazione nella Curia regia a Palermo e un viaggio in Terrasanta, ritornò in Calabria, di cui era originario, e divenne monaco e abate di Corazzo prima del 1177. Risalgono al 1176 i più antichi appunti riguardanti la concezione della storia (Genealogia), di particolare interesse in quanto rivelano la sua precoce abitudine di scandire e illustrare l'ermeneutica storica attraverso il ricorso a figure e diagrammi (sia inseriti nel corpo degli scritti, sia allestiti autonomamente e raccolti nel Liber figurarum). Per mostrare l'intima saldatura esistente fra storia del popolo d'Israele e storia della Chiesa, G. paragona la prima a un tronco di fico su cui si trova innestata, all'altezza del re Ozia e del profeta Isaia, la vite del Nuovo Testamento. Le due storie sono corrispondenti per numero di generazioni.

Nel frattempo l'abate si adoperava per affiliare Corazzo all'Ordine cistercense. Risultati vani i tentativi compiuti presso le abbazie della Sambucina e di Casamari, l'affiliazione si realizzò infine per tramite di Fossanova.

A Casamari (1182-1184 ca.) G. si dedicò allo studio della teologia trinitaria e interpretò un oscuro testo profetico presso la Curia papale.

Nella successiva fase di rinnovato conflitto fra l'Impero di Federico I e il papato di Lucio III e di Urbano III, suggerì alla Chiesa romana una linea arrendevole, venendo per questo attaccato dall'anziano e influente abate Goffredo di Auxerre, già segretario di Bernardo di Clairvaux. La risposta di G. è racchiusa in un breve scritto noto come Intelligentia super calathis ('Interpretazione dei cestini', in riferimento alla visione di Geremia 24 dei due canestri contenenti fichi buoni e cattivi). Come i fichi buoni del profeta, anche la Chiesa romana deve stare in basso e disporsi a una nuova 'cattività babilonese', sottomettendosi all'Impero e abbandonando piani di resistenza armata destinati comunque al fallimento. L'Intelligentia propone una strategia politica, mirante ad attenuare i motivi di conflitto con l'Impero, e insieme una concezione vicissitudinaria della storia, per cui il conseguimento di un'autentica libertà presuppone il passaggio attraverso la 'confusione' di un'umile servitù.

La caduta di Gerusalemme (1187) dette impulso alla sua visione apocalittica, che dalle vicende in atto trasse motivi per intensificare gli annunci relativi all'incombere dell'Anticristo (v.). Contro la concezione tradizionale (legata ai nomi di Gerolamo, dello PseudoMetodio e di Adsone di Montier-en-Der), che lo collocava in Oriente, l'abate spiegò a Riccardo Cuor di Leone, mentre era a Messina in attesa di partire per la crociata (inverno 1190-1191), che l'Anticristo era già nato in Occidente e di lì a poco si sarebbe manifestato a Roma. Nel Prologo della Concordia Novi ac Veteris Testamenti, la prima delle tre grandi opere a essere conclusa (entro il 1196), si presenta come la sentinella chiamata ad avvertire la Chiesa romana dell'avvicinarsi del nemico. La 'concordia' è un sistema interpretativo della storia che, ponendo in parallelo serie di avvenimenti pertinenti rispettivamente alla discendenza di Israele e alla Chiesa, consente di decifrare alla luce del passato il processo in corso e di prevederne gli esiti ultimi. Rispetto alla tradizione escatologica improntata dalla ricerca dei segni terribili dell'Anticristo, G. si caratterizza per la convinzione che, dopo la venuta di costui, debba dispiegarsi un'età sabatica in terra, di cui scorge un preannuncio nel passo di Apocalisse 20 riguardante l'incarcerazione di Satana "per mille anni". In realtà, più che il celebre passo apocalittico, erano state le speculazioni teologiche ed ecclesiologiche a spingerlo, fin dalla prima redazione (anni Ottanta) del grande trattato trinitario successivamente denominato Psalterium decem cordarum, a riconsiderare in prospettiva ternaria l'originario schema binario della Genealogia. Mosso dalla duplice esigenza di conferire rilievo alla Trinità e in particolare all'azione dello Spirito Santo e di valorizzare ruolo e funzioni dell'ordo dei monaci nella Chiesa e nella società, articolò la storia in tre grandi epoche: lo stato dei coniugati, attribuito al Padre, l'epoca dell'Antico Testamento posta sotto la natura e sotto la legge; lo stato dei chierici, attribuito al Figlio, l'epoca del Nuovo Testamento posta sotto la grazia; lo stato dei monaci, attribuito allo Spirito, l'epoca dell'interpretazione spirituale dell'Antico e del Nuovo Testamento posta sotto una grazia maggiore (ovvero 'più ampia') rispetto a quella dell'epoca di Gesù Cristo, ancora segnata dalla carnalità nella comprensione del mistero divino celato nelle Scritture.

Spinto dalle polemiche monastiche e dalla convinzione dell'imminenza dell'Anticristo e del terzo stato, lasciò infine il governo di Corazzo e, insieme al compagno Raniero da Ponza, monaco di Casamari, avviò una nuova forma di vita eremitica sulla Sila, dando all'insediamento la denominazione simbolica di 'Fiore' (1189-1190). Come si apprende dalla Vita composta da un monaco anonimo vicinissimo al "nostro Mosè" (Grundmann, 1997, p. 183), gli inizi furono difficili per la dichiarata ostilità di alcuni emissari di Tancredi, impadronitosi del Regno dopo la morte di Guglielmo II. L'abate ottenne infine il favore del sovrano, espresso in un privilegio, non conservatosi, a sostegno dell'eremo. Poco dopo scendeva in Italia Enrico VI, per ottenere a Roma la corona imperiale e per assumere il governo del Regno contro il pretendente normanno (1191). In tale fase incerta e drammatica per il papato, favorevole a Tancredi ma timoroso della reazione imperiale, G. fu tra gli alti ecclesiastici del Mezzogiorno particolarmente aperti alla causa degli Svevi e tra i più pronti a ottenerne il favore. Dal 1194 prima il sovrano, poi la moglie Costanza e infine il piccolo Federico II dotarono di privilegi S. Giovanni in Fiore, contribuendo in modo decisivo al primo sviluppo della nuova congregazione florense (v. Florensi), riconosciuta da papa Celestino III nel 1196.

Negli ultimi anni l'abate portò a compimento le opere principali: conclusa la Concordia, nel breve trattato De ultimis tribulationibus modificò il calendario degli avvenimenti finali fissato nei capitoli conclusivi di essa; rivide e corresse lo Psalterium fino alla vigilia della morte; completò infine la terza grande opera, il Commento all'Apocalisse (Expositio in Apocalypsim), dopo avervi lavorato per oltre quindici anni e averne fornito abbozzi in forma di sermoni e di introduzioni (Enchiridion super Apocalypsim, Liber Introductorius). Numerosi altri scritti, nati prevalentemente dall'attività sermocinale, sono in effetti semplici 'contenitori' di appunti e abbozzi (l'esempio più significativo è offerto in questo senso dal De vita et Regula sancti Benedicti) ovvero testi rimasti incompiuti (Tractatus super quatuor Evangelia). L'avvento di Innocenzo III segnava peraltro l'affermarsi di linee teologico-politiche divergenti da quelle lungamente perseguite dall'abate. Prudentemente, poco prima della morte (1202) stese una lettera testamentaria, in cui rivendicava la sua intenzione ortodossa, attenuava i possibili motivi di conflitto con la Chiesa romana, sottomettendo gli scritti e la propria memoria al giudizio di quest'ultima. Iniziava da quel momento la sua controversa fortuna. Mentre la cifra teologica venne offuscata dalla condanna della dottrina trinitaria emessa dal IV concilio lateranense (1215; v.), la fama di profeta crebbe nel sec. XIII grazie alla vasta letteratura pseudoepigrafica (v. Profetismo) e all'appropriazione del messaggio da parte dell'Ordine dei Minori.

Fonti e Bibl.: K.-V. Selge, Elenco delle opere di Gioacchino da Fiore, "Florensia", 3-4, 1989-1990, pp. 25-35. Successivamente sono stati criticamente pubblicati o ripubblicati i seguenti testi di G.: Id., Ein Traktat Joachims von Fiore über die Drangsale der Endzeit: 'De ultimis tribulationibus', ibid., 7, 1993, pp. 7-35; Gioacchino da Fiore, Dialogi de prescientia Dei et predestinatione electorum, a cura di G.L. Potestà, Roma 1995; M. Kaup, De prophetia ignota. Eine frühe Schrift Joachims von Fiore, Hannover 1998; G.L. Potestà, Die Genealogia. Ein frühes Werk Joachims von Fiore und die Anfänge seines Geschichtsbildes, "Deutsches Archiv für Erforschung des Mittelalters", 56, 2000, pp. 55-101; Gioacchino da Fiore, Tractatus super quatuor Evangelia, a cura di F. Santi, Roma 2002. H. Grundmann, Gioacchino da Fiore. Vita e opere, a cura di G.L. Potestà, ivi 1997 (raccoglie in traduzione italiana i tre saggi: Neue Forschungen über Joachim von Fiore, Marburg 1950 [Nuove ricerche su Gioacchino da Fiore, pp. 1-100]; Zur Biographie Joachims von Fiore und Rainers von Ponza, "Deutsches Archiv für Erforschung des Mittelalters", 16, 1960, pp. 437-546, poi in Id., Ausgewählte Aufsätze, II, Stuttgart 1977, pp. 255-360 [Per la biografia di Gioacchino da Fiore e Raniero da Ponza, pp. 101-202]; Kirchenfreiheit und Kaisermacht um 1190 in der Sicht Joachims von Fiore, "Deutsches Archiv für Erforschung des Mittelalters", 19, 1963, pp. 353-396, poi in Id., Ausgewählte Aufsätze, pp. 361-402 [Libertà della Chiesa e potere imperiale intorno al 1190 nella visione di Gioacchino da Fiore, pp. 203-242]); M. Reeves-B. Hirsch-Reich, The 'Figurae' of Joachim of Fiore, Oxford 1972; M. Reeves, The Influence of Prophecy in the Later Middle Ages. A Study in Joachimism, Notre Dame-London 19932; G.L. Potestà, Gioacchino da Fiore, Bari 2004. V. De Fraja, Gioacchino da Fiore: bibliografia 1969-1988, "Florensia", 2, 1988, pp. 7-59; C. Caputano, Gioacchino da Fiore: bibliografia 1988-1993, ibid., 8-9, 1994-1995, pp. 45-110; M. Rainini, Gioacchino da Fiore: bibliografia 1994-2001, ibid., 16-17, 2002-2003, pp. 103-163.

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