GIOLITO DE' FERRARI

Enciclopedia Italiana (1933)

GIOLITO DE' FERRARI

Giannetto Avanzi

. Celebre famiglia italiana di librai e di tipografi, la cui attività durò ininterrotta dal 1483 al 1606, principalmente in Trino di Monferrato, loro luogo d'origine, e in Venezia. L'uso invalso in tempi recenti pronunzia Giòlito, contrariamente alla retta pronunzia antica che è Giolìto.

Il primo tipografo trinese di questo nome fu Bernardino detto Stagnino (s'ignora la data di nascita). La sua attività ebbe inizio col 1483 in Venezia e continuò per tutto il primo quarantennio del sec. XVI. Raramente nelle sue edizioni indicò i cognomi di famiglia, ma esistono libri in cui è chiaramente espresso il suo casato. Dal 1520 al 1522 si hanno sue stampe datate da Trino, ma poi riprende a esercitare la tipografia in Venezia fino al 1537, anno probabile della sua morte. Si conoscono di lui circa 150 edizioni, la maggior parte in-folio; pregevole è l'edizione completa, nella traduzione latina, delle opere d'Aristotele (Venezia 1489). L'impresa da lui più usata è l'effigie di S. Bernardino.

Segue cronologicamente Giovanni il Vecchio (s'ignora la data di nascita). È il prototipografo di Trino; dal 1508 al 1523 esercita l'arte della stampa nella propria casa col favore di Guglielmo IX marchese del Monferrato, dando in luce una trentina di edizioni, in maggioranza grandi volumi d'argomento legislativo, impressi in caratteri gotici; fu anche associato lungamente con il conterraneo Gerardo De Zeis. In seguito si portò a Venezia in qualità di libraio ed è probabile che ponesse la sua attività e il suo concorso finanziario al servizio del congiunto Bernardino Stagnino. Nel 1534, reduce da Venezia, apre in Torino una nuova stamperia per uso di quella università, ma l'officina torinese, dopo aver stampato nel corso del 1535 alcuni libretti popolari e scolastici e, nel gennaio 1536, l'Orlando Furioso, è costretta a chiudersi per l'avvenuta occupazione francese della città. Giovanni ripara nuovamente a Venezia dove appare stampatore in proprio negli anni 1538-39 con edizioni del Boccaccio, del Petrarca e con l'edizione originale dei Dialoghi piacevoli di N. Franco (1539). Nel 1540 è da porsi la data della sua morte.

Il nome dei G. raggiunge il maggior fastigio con Giovanni Gabriele, detto Gabriel, figlio di Giovanni il Vecchio e nato poco oltre il primo decennio del sec. XVI. Libraio e tipografo di una prodigiosa attività, dominò nel campo editoriale buona parte del suo secolo: la sua bottega in Venezia detta la Libreria della Fenice (a cui più tardi si aggiunsero succursali a Napoli, a Bologna, a Ferrara e altrove) fu uno dei centri librarî più importanti d'Italia. L'attività personale di G. ha inizio col 1536 e arriva sino al 1578. Dapprima (1536-40) egli appare come un semplice coadiutore del Padre per lo smercio delle edizioni che questi faceva stampare a proprie spese da altri tipografi e, dal 1538, nella propria tipografia di Venezia. Col 1541, e fino a una prima parte del 1550, Gabriele esercita l'arte impressoria da solo; in detto anno riapre la stamperia paterna rimasta qualche tempo inoperosa e il suo nome è segnato la prima volta nella ristampa dei Dialoghi piacevoli di N. Franco del 1541. Gl'inizi di questa attività furono assai modesti; la stamperia fece uso di caratteri di altri tipografi, ma poi fu largamente provvista di caratteri nuovi, di fregi, d'iniziali figurate tanto da poter dare alle proprie edizioni spiccate caratteristiche di novità assai bene accolte dai lettori. Per una parte del 1550 e fino al 1556 G. fu associato coi fratelli, come appare stampato nelle edizioni di quegli anni, ma la partecipazione dei congiunti nell'azienda deve ridursi ad un accomodamento fra G. e i suoi fratelli che mette fine a una lite circa il patrimonio paterno, senza alcuna ingerenza di questi ultimi nella direzione della stamperia e della libreria. A metà circa del 1556 e fino al 1578, G. sottoscrive nuovamente da solo le proprie edizioni, prova che i fratelli si disinteressavano completamente dell'azienda, mentre qualcuno di essi, come a esempio un Giovanni Francesco, riapre nel 1562, in Trino, una piccola stamperia durata alcuni anni. Se il fiore della stamperia giolitina è da porsi fra il 1545 e il 1555, anche negli anni successivi G. ebbe una produzione tipograficamente migliore di quella degli stampatori del tempo e quanto mai intensa. Ma a datare dal 1569 l'operosità del tipografo diminuisce sempre più d'importanza e di numero fino alla sua morte avvenuta nei primi mesi del 1578.

La tipografia e la libreria di Gabriele hanno un'importanza di primo ordine nella storia letteraria d'Italia del sec. XVI, poiché egli fu editore della maggior parte degli scrittori più in voga ai suoi tempi: P. Aretino, P. Bembo, N. Franco, L. Dolce, E. Bentivoglio, B. Tasso, A. Lollio, G. B. Giraldi, A. F. Doni, G. Muzio, G. Parabosco, G. e O. Landi, B. Cavalcanti e molti altri. Pernio e fondamento del suo traffico furono i libri in volgare, interrompendo egli, senza timore, la tradizione che riteneva gli autori latini e greci unici esponenti della cultura e della letteratura. Ma tre autori furono soprattutto prediletti e prescelti da Gabriele e il numero di queste edizioni giolitine dimostra chiaramente un largo successo: il Petrarca con 22 edizioni delle Rime (1542-1560), il Boccaccio con 9 edizioni del Decamerone (1542-1552) e l'Ariosto con 28 edizioni dell'Orlando Furioso (1542-1560), senza contare le altre opere degli stessi autori. Mutati i tempi per effetto della Controriforma, che investiva in pieno con rigori e censure l'esercizio della stampa, G. annullò quasi del tutto la produzione dei libri di letteratura profana e iniziò una nuova e fortunata attività con lo stampare traduzioni d'autori greci e latini, in maggior parte storici, e opere ascetiche e di materia religiosa. Messosi per questa via, egli aveva divisato di stampare una raccolta di storici sotto il titolo di Collana historica, ma non gli riuscì, per varie ragioni, di portare l'impresa a buon fine. Tuttavia egli diede il primo esempio in Italia di pubblicazioni a forma di collezione e secondo un piano metodico, che poi ebbe in tempi posteriori innumeri applicazioni e vaste affermazioni. Anche nella categoria dei libri religiosi G. ebbe buon intuito nella scelta e, lasciando in disparte i monumentali testi biblici coi loro commenti e le voluminose opere di teologia, stimò maggiormente proficuo e utile lo stampare, sempre in volgare, compendiosi testi di pietà, d'istruzione e di pratica religiosa. Di essi formò anzi una raccolta in due serie di diverso formato, intitolata: Ghirlanda spirituale, suddivisa in Fiori; la stampa fu iniziata nel 1568 con l'edizione di Tutte le opere del padre Luigi di Granata, ma la serie in 4° non andò oltre al quattordicesimo volume e quella in formato 12° si fermò al dodicesimo volume.

Le edizioni di G., secondo gli Annali del Bongi (a cui il Faccio fece poche e insignificanti aggiunte), sommano a 817 sulle 945 registrate e in cui sono comprese quelle appartenenti a Giovanni il Vecchio e agli eredi di G. Certo tutta questa immensa produzione ha un valore disuguale, ma un giudizio complessivo non può fare a meno di affermare che essa è pregevole per l'aspetto grafico, ben proporzionata nei formati dall'antico in 8° a un 12° un po' allungato e, in maggioranza, impressa su ottime carte. Gabriele usò caratteri corsivi e tondi e frequentemente capilettera figurati; in diverse edizioni intercalò buone silografie e incisioni in rame (specialmente nelle opere del Boccaccio, del Petrarca, dell'Ariosto). Fin dai suoi tempi gli fu rimproverata la poca correzione delle sue edizioni, ma quando si pensi che queste occupano un posto ragguardevole fra i testi di lingua usati per il Vocabolario della Crusca il giudizio deve essere indubbiamente assai mitigato. Fra i più bei libri stampati da G. vanno particolarmente ricordati: le Rime di G. Parabosco (1547); le Rime di Tullia d'Aragona (1549); Opera... nella quale s'insegna a scrivere di frate Amphiareo da Ferrara (1554); fra i più rari: Lettere amorose di G. Parabosco (1545 e 1546); alcune edizioni del Furioso (1542, 1543, 1545, 1546, 1547, 1548, ecc.), La Sofonisba di G. dal Carretto (1546); L'Horatia di P. Aretino (1546); Discorso sopra... Orlando Furioso di L. Terracina (1549); Il Decamerone del Boccaccio (1550); Discorsi di N. Machiavelli (1550); Il Roffiano di L. Dolce (1551); il Dante del 1555, ecc.

Gabriele ebbe sicuramente una raccolta personale di libri, ma la sua attività di bibliofilo è ancora assai poco conosciuta. Certo è che nella collezione Grenville Kane di New York è conservato un manoscritto di Svetonio del sec. XV in una legatura del Cinquecento sui cui piatti si vede impressa in oro la fenice adottata da G. come marca tipografica e le iniziali G. G. Alcuni altri volumi con l'impresa della fenice ma senza le iniziali sono conosciuti: il Cicerone aldino in 8 volumi (Venezia 1540-41), un Plutarco in-folio (Basilea 1555), e un Omero (Basilea 1549) in 8°.

La continuazione della stamperia di Gabriele fu assunta alla sua morte dai due figli Giovanni (circa 1554-circa 1591) e Giovanni Paolo (s'ignorano le date di nascita e di morte) che seguitarono a ristampare i libri di religione ormai tradizionali della bottega, pochi aggiungendone di nuovi e d'importanti per merito scientifico e letterario. Ma dopo la morte di Giovanni la tipografia si avvia rapidamente alla fine. Giovanni Paolo fece partecipi dell'azienda i nipoti, orfani di Giovanni, ma le edizioni si susseguirono scarse e intermittenti fino al 1606 in cui apparve la quarta edizione della seconda parte della Cronica de' Frati minori di fra Marco da Lisbona, ultimo volume che rechi il nome e l'impresa dei G. Un altro stampatore della famiglia fu Comino (s'ignorano le date di nascita e di morte), maggiormente noto sotto il nome di Comin da Trino. È ritenuto, ma senza prove decisive, cugino di Gabriele e il nome è, forse, un diminutivo di Cosimino, che più tardi ebbe a mutarsi in cognome. Stampò in Venezia dal 1540 al 1568; nel 1542 prestò caratteri della sua officina a Gabriele per la stampa dell'Interpretatione dei sogni di Artemidoro Daldiano.

La marca tipografica più usata dai G. rappresenta una fenice risorgente dal fuoco, ai piedi della quale si svolge un nastro con il motto: Semper eadem. L'insegna è sovente incorniciata da chimere, festoni, putti, cariatidi e sormontata da una testa d'angelo. Fu la marca tipica di Giovanni il Vecchio e di Gabriele che vi apposero anche le iniziali del loro nome, ma fu usata alternativamente dallo Stagnino e da Comin da Trino e, prima, da altri tipografi non appartenenti alla famiglia.

Bibl.: Un solo catalogo officiale è a noi pervenuto: Indice copioso e particolare di tutti li libri stampati dalli Giolito in Venetia sino all'anno 1592, Venezia s. a. (1592) e descrive evidentemente il fondo di magazzino vendibile a quell'epoca. È in ordine alfabetico del nome (non del cognome) degli autori: mancano in esso moltissime delle edizioni giolitine (non vi è citata, ad es., nessuna ediz. dell'Ariosto) da ritenersi pertanto completamente esaurite alla data 1592. V. inoltre: S. Bongi, Annali di Gabriel G. d. F., Roma 1890-95, voll. 2 (fondamentale); C. Sincero, Trino e i suoi tipografi, Torino 1897; G. Fumagalli, Lexicon typogr. Italiae, Firenze 1905, s. v. Venezia; G. Faccio, I tipografi vercellesi e torinesi dei secoli XV e XVI, notizie ed elenchi, in Illustrazione e cataloghi del Museo Camillo Leone di Vercelli, I, Vercelli 1910, pp. 27-97; F. Cosentini, G. F. Bernardino detto Stagnino, in Gli incunabuli ed i tipografi piemontesi del sec. XV, Torino 1914, pp. 46-60 (elenco di edizioni); G. Fumagalli, I gioliti, in Il Risorgimento grafico, XIII (1916), pp. 181-192, 239-248; W. Nachod, Gabriel G., in Zeitschrift für Bücherfreunde, n. s., XXII (1930), pp. 93-98; L. Donati, Un esemplare della "Commedia" di Giov. G. con le incisioni del Botticelli, in La bibliofilia, XXXI (1929), pp. 361-64.