GIORDANO da Clivio

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 55 (2001)

GIORDANO da Clivio

Irene Scaravelli

Nacque a Clivio, borgo situato nella pieve di Arcisate, nei pressi di Varese, presumibilmente verso la fine del sec. XI da una famiglia nobile del contado.

L'unica fonte che parla delle vicende che coinvolsero G. è l'Historia Mediolanensis di Landolfo di S. Paolo (Landolfo iuniore), opera fortemente influenzata dalla vita del suo autore - maltrattato nei suoi beni, ideali e affetti dall'arcivescovo Grossolano e da G., suo successore - e perciò caratterizzata da palesi intenzioni denigratorie nei confronti dei due presuli.

G. fu ordinato suddiacono dall'arcivescovo di Milano Grossolano, al quale, afferma velenosamente Landolfo, piacque "blanda facies eius speciei". In un primo momento abbracciò il partito del contestato presule milanese: sappiamo infatti, da un fugace cenno dell'Historia (pp. 13 s.), che G. fu tra coloro che nel sinodo romano del 1105 chiesero la reintegrazione di Grossolano da parte di papa Pasquale II. Come molti altri giovani milanesi di alto rango, volle completare i suoi studi in Francia; un allontanamento da Milano gli dovette anche servire per allentare il ricordo della sua adesione alla parte di Grossolano, in un momento in cui, nonostante il parere a lui favorevole espresso da Roma, le sorti dell'arcivescovo non volgevano al meglio. Appunto da Saint-Gilles, in Provenza, dove sembra abbia insegnato retorica, G. fu richiamato a Milano per iniziativa dell'arcidiacono Alderico da Carimate e del vicedominus Olrico da Corte. Il 1° sett. 1111 fu ordinato presbitero dal vescovo di Genova Arialdo: Grossolano, la cui presenza in città continuava a suscitare incidenti sempre più gravi, era stato convinto a compiere un pellegrinaggio in Terrasanta e, in sua assenza, come già in altre occasioni il vescovo genovese aveva provveduto alle ordinazioni.

Con Grossolano ancora in Oriente si decise della sua sorte: su iniziativa di due rappresentanti laici del Comune, Guazzone Comino e Amizone da Sala, si riunì una commissione composta da un egual numero di sostenitori di Grossolano e di suoi oppositori. Il 1° genn. 1112 la giunta inquirente sentenziò che Grossolano non poteva essere legittimamente considerato arcivescovo ed elesse perciò un altro presule nella persona di G. (ibid., pp. 18 s.).

Se è vero - come dice Landolfo (ibid., p. 19) - che fu Alderico da Carimate ad assumersi la responsabilità dell'elezione di G., occorre tenere in debito conto la sua strategia. Arcisate, luogo di nascita sia di G. sia di Alderico (anche Carimate apparteneva alla giurisdizione pievana di Arcisate), era un territorio di confine tra le diocesi di Milano e Como, tra le quali perdurava un acceso antagonismo. Milano, vincendo Como, avrebbe conquistato il controllo di alcuni importantissimi passi alpini verso l'Europa centrale ed eliminato una pericolosa rivale in campo economico. Se ammettiamo che Alderico mirasse a una azione di forza da parte di Milano in quella zona, è più che naturale che appoggiasse chi, per origine e interessi, avrebbe potuto condividere la sua politica. E Alderico fu lungimirante: negli ultimi anni d'episcopato, infatti, fu proprio l'intervento di G. ad accelerare l'inizio della guerra contro Como. A Milano, d'altro canto, era necessario sedare il conflitto, già protrattosi troppo a lungo, con l'indesiderato Grossolano. Sembrò dunque opportuna l'elezione di un personaggio che pareva disposto a favorire l'azione delle forze laiche e del Comune ed era insieme accetto a Roma e sufficientemente indipendente dal papa per non mettere a repentaglio le autonomie cittadine.

La consacrazione non poté avvenire subito. Solo nel febbraio giunsero a Milano Landolfo d'Asti, Arialdo di Genova e Mainardo di Torino per rendere omaggio quali suffraganei. Ma mancavano, oltre ad altri vescovi, Azzone d'Acqui e Arderico di Lodi (già vicario di Grossolano mentre costui era in Terrasanta): non si poteva quindi procedere regolarmente al rito, come fece notare Landolfo d'Asti. Fu in questa occasione che Azzone d'Acqui scrisse direttamente all'imperatore spiegando la sua assenza e la sua opposizione alla nuova nomina. Per parte sua il vescovo di Asti, per non assumersi la responsabilità di una consacrazione irregolare, fuggì nottetempo, ma G. lo catturò, e lo costrinse a partecipare, il giorno seguente, alla cerimonia (ibid., pp. 19 s.). Per concedere inoltre al neoconsacrato il pallio, simbolo dell'autorità metropolitica, papa Pasquale II chiese a G. un giuramento di fedeltà che l'arcivescovo non accettò subito di prestare. Solo in seguito al ventilato ritorno di Grossolano dall'Oriente, G. si rassegnò a obbedire e comunque il pallio gli fu consegnato in un modo poco ortodosso (6 dic. 1112): Mainardo di Torino lo depose sull'altare di S. Ambrogio da dove G. lo prese e, "absentibus ordinariis et primiceriis", lo indossò (ibid., p. 22). Finalmente in possesso delle prerogative archiepiscopali, G. stipulò con Bernardo vescovo di Pavia un patto di pace e vicendevole aiuto (ibid., p. 20).

Nell'agosto del 1113 Grossolano fece ritorno in città e la situazione divenne piuttosto confusa: gli arcivescovi erano due, entrambi confermati dal papa e provvisti di pallio. Le fazioni scatenarono allora una vera e propria guerra civile che non risparmiò mezzi e risorse, dalla corruzione al sangue. Infine si decise di rimettere la questione a Roma. L'11 marzo 1116 Pasquale II optò per G., in quanto l'avvenuta traslazione di Grossolano da Savona a Milano non era canonicamente giustificabile non avendo portato alcuna utilitas alla Chiesa, anzi avendole nuociuto (ibid., p. 26). Grossolano doveva dunque tornare alla sua sede primitiva e G. era il legittimo arcivescovo di Milano.

Dopo la conferma papale G. compì il primo intervento sulle successioni vescovili in sedi di importanza strategica per Milano, deponendo Armanno di Gavardo dalla carica di vescovo di Brescia e consacrando il già eletto Villano (ibid., pp. 26 s.). Successivamente G. manifestò la sua fedeltà al pontefice che lo aveva preferito a Grossolano con la scomunica - pronunciata solennemente dal pulpito di S. Tecla - dell'imperatore Enrico V (ibid., p. 27). Anche la riconquistata armonia tra le forze cittadine ebbe occasione di manifestarsi pubblicamente di lì a poco, tra gennaio e febbraio del 1117. Furono convocati in città da G. e dai consoli i vescovi suffraganei e i rappresentanti delle città lombarde. Per paura del terremoto che aveva appena provocato gravi danni, la riunione si fece all'aperto, nel grande brolo dell'arcivescovo. Su due palchi costruiti per l'occasione sedettero sull'uno l'arcivescovo, i suffraganei, gli abati, gli ecclesiastici, sull'altro i consoli e gli esperti di diritto (ibid., pp. 27 s.). Posti sullo stesso piano nel simbolico apparato scenografico della cerimonia, i due gruppi lavorarono insieme con la soluzione di alcuni problemi politici e religiosi che interessavano la città. Forse già durante questa assemblea G. intervenne nella successione vescovile nella sede suffraganea di Cremona, rimuovendo dalla carica il vescovo filoimperiale Ugo da Noceto per sostituirgli il candidato locale Oberto da Dovara, non senza pretendere da quest'ultimo un giuramento di fedeltà (ibid., p. 39). Un documento datato 4 luglio 1117 rivela i nomi dei consoli che presumibilmente parteciparono anche all'assemblea del brolo, ed è la prima volta in Milano che un atto ufficiale li nomina.

G. intervenne in modo deciso nella vita regolare del clero: il 16 febbr. 1116, ancora prima che il papa lo confermasse in carica, G. aveva concesso a Stefano, prevosto dei decumani della cattedrale iemale di S. Maria Maggiore, le offerte fatte dai fedeli all'altare di S. Biagio, situato nella stessa chiesa, perché se ne servissero per la loro vita comune. Sempre in questa direzione occorre pensare che G. abbia operato nel 1119, quando accettò di confermare ai canonici di S. Giovanni Battista in Monza il godimento delle prebende di alcuni feudi, già concesso da Anselmo IV. Il 3 nov. 1119, inoltre, G. pose fine alla controversia che da una settantina d'anni opponeva il clero decumano ai cappellani. Questi ultimi, che officiavano le chiese di più recente fondazione, chiedevano di essere equiparati nel godimento di certi beni ai decumani, i quali esercitavano la cura d'anime e assicuravano l'officiatura liturgica ordinaria nelle undici chiese matrici e nelle dieci cappelle più antiche e venerate di Milano. Il documento con cui G. negò ai cappellani i diritti del clero decumano, con la sua particolareggiata elencazione delle chiese e delle cappelle soggette ai due distinti gruppi di ecclesiastici, è un fedele ritratto della Chiesa milanese agli inizi del XII sec. (Giulini, 1855, pp. 84-88).

L'ultima ingerenza di G. in una successione episcopale, questa volta a Como, città comunque estranea alla provincia metropolitica milanese, diede avvio a una guerra che si protrasse per quasi dieci anni (1118-27) e che rappresentò, insieme con quella con Lodi (1107-11), una delle prime manifestazioni di espansionismo comunale. Già da qualche anno la Chiesa comasca era indebolita da uno scisma: a Guido dei Grimoldi di Cavallasca, canonicamente eletto e gradito al papa, era stato opposto Landolfo da Carcano, già scomunicato a causa della sua nomina imperiale, che apparteneva a una nobile famiglia capitaneale milanese, legata all'arcivescovato da vincoli feudali. Quando nel 1118 la popolazione di Como si sollevò a favore di Guido e imprigionò Landolfo, sia G. sia il Comune milanese decisero di aprire le ostilità in difesa di quest'ultimo.

Mentre ancora durava la guerra, nella primavera del 1120, G. si recò a Tortona, per incontrarvi il papa Callisto II che ritornava a Roma dalla Francia. In questa occasione l'11 aprile, domenica delle palme, consacrò nella sede tortonese il vescovo eletto Pietro.

G. morì il 4 ottobre di quello stesso 1120; fu sepolto in S. Ambrogio.

Il giorno è celebrato nelle Notae S. Mariae Mediolanensis e nei necrologi di S. Tecla e di Monza; l'anno risulta dal computo degli anni di carica segnalati nel Catalogus archiepiscoporum Mediolanensium: 8 anni 9 mesi 3 giorni, vale a dire dal 1° genn. 1112 al 4 ott. 1120.

G. fu sepolto in S. Ambrogio e presso la sua tomba, secondo quanto testimonia Beroldo, l'arcivescovo e il clero si recavano a pregare il primo giorno di quaresima e ogni anno per questa pia incombenza ricevevano una somma di denaro. Il suo successore, Olrico da Corte, fu eletto il 17 nov. 1120.

Fonti e Bibl.: Landolfo di S. Paolo, Historia Mediolanensis, a cura di C. Castiglioni, in Rer. Ital. Script., 2ª ed., V, 3, pp. 14, 18-20, 22-24, 26-31, 39; Ekkehardus Uraugiensis, Chronicon, a cura di G. Waitz, in Mon. Germ. Hist., Scriptores, VI, Hannoverae 1844, p. 250; Catalogus archiepiscoporum Mediolanensium, a cura di L.C. Bethmann - W. Wattenbach, ibid., VIII, ibid. 1848, p. 105; Notae S. Mariae Mediolanensis, a cura di Ph. Jaffé, ibid., XVIII, ibid. 1863, p. 385; Necrologium Modoetiae, in A.F. Frisi, Memorie della Chiesa monzese, III, Monza 1777, p. 134; Necrologium S. Theclae Mediolanensis, ibid., p. 149; G. Giulini, Memorie spettanti alla storia… di Milano ne' secoli bassi, VII, Milano 1857, pp. 81-88; Udalrici Bambergensis Codex, a cura di Ph. Jaffé, in Bibliotheca Rer. Germ., V, Berlin 1869, p. 288 (epistola di Azzone d'Acqui); Beroldo, Ecclesiae Ambrosianae Mediolanensis kalendarium et ordines saeculi XII, a cura di M. Magistretti, Mediolani 1894, p. 133 n. 13; P.F. Kehr, Regesta pontificum Romanorum. Italia pontificia, VI, 1, Berolini 1913, nn. 134-139 p. 55; Gli atti del Comune di Milano fino all'anno 1216, a cura di C. Manaresi, Milano 1919, n. 1 pp. 3 s. (placito del 4 luglio 1117); G. Giulini, Memorie…, III, Milano 1855, pp. 25-108; F. Savio, Gli antichi vescovi d'Italia dalle origini al 1300 descritti per regione, II, La Lombardia, I, Milano, Firenze 1913, pp. 472-475; G. Schwartz, Die Besetzung der Bistümer Reichsitaliens… 951-1122, Leipzig-Berlin 1913, p. 86; G.L. Barni, Milano verso l'egemonia, in Storia di Milano, III, Milano 1954, pp. 298-333; R. Rossini, Note alla Historia Mediolanensis di Landolfo iuniore, in Raccolta di studi in memoria di G. Soranzo, Milano 1968, pp. 465-480; G. Rossetti, Origine sociale e formazione dei vescovi del Regnum Italiae nei secc. XI e XII, in Le istituzioni ecclesiastiche della societas christiana dei secc. XI-XII. Diocesi, pievi e parrocchie.Atti della VI Settimana internazionale di studi,… 1974, Milano 1977, pp. 79-81; L. Fasola, Vescovi, città e signorie (secc. VIII ex.-XV), in Chiesa e società. Appunti per la storia delle diocesi lombarde, a cura di A. Caprioli - A. Rimoldi - L. Vaccaro, Brescia 1986, pp. 79-136; H. Keller, Gli inizi del Comune in Lombardia: limiti della documentazione e metodi di ricerca, in L'evoluzione delle città italiane nell'XI secolo, a cura di R. Bordone - J. Jarnut, Trento 1988, pp. 48 s.; A. Ambrosioni, Milano e i suoi vescovi, in Milano e il suo territorio in età comunale (secc. XI-XII)Atti dell'XI Congresso internazionale di studi sull'Alto Medioevo, Milano… 1987, Spoleto 1989, pp. 301-304; O. Capitani, Da Landolfo seniore a Landolfo iuniore: momenti di un processo in crisi, ibid., pp. 589-622; A. Ambrosioni, Dagli albori del sec. XII alla vigilia dell'episcopato di Galdino, in Diocesi di Milano, I, a cura di A. Caprioli - A. Rimoldi - L. Vaccaro, Brescia 1990, pp. 202-207.

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