GIORGIO d'Antiochia

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 55 (2001)

GIORGIO d'Antiochia

Fulvio Delle Donne

Mancano notizie precise sui primi anni della sua vita, ma possiamo affermare con una certa sicurezza che proveniva da Antiochia e che nacque, probabilmente nel penultimo decennio dell'XI secolo, dal matrimonio di Michele e Ninfa - chiamata anche Teodula (serva di Dio), forse a indicarne la successiva monacazione - morta nel 1140. Dalla moglie Irene ebbe i figli Giovanni, Simeone e Michele: quest'ultimo, come il padre, acquisì il titolo di emiro.

Sulla sua giovinezza ci forniscono notizie i cronisti arabi at-Tigiānī e Ibn Haldūn, dai quali ricaviamo che svolse mansioni di tipo finanziario ed erariale in diverse città della Siria. L'abilità con cui ricoprì tali incarichi e la pratica acquisita nell'esercizio della computisteria spinsero il principe Tamīm ibn al-Mu‛izz a chiamare lui e il padre a Mahdia (Tunisia, circa 70 km a nord di Sfax) e ad affidargli l'amministrazione dell'Erario che sotto la sua direzione migliorò sensibilmente. Alla morte di Tamīm, però, temendo l'ostilità del suo successore, Yaḥya, G., approfittando dell'allentamento della vigilanza in un venerdì dedicato a preghiere solenni, scappò su una nave siciliana alla volta di Palermo, dove trovò rifugio presso Ruggero II, a cui preventivamente aveva offerto i propri servigi. La notizia non sembra però del tutto attendibile, dal momento che at-Tigiānī colloca la fuga immediatamente dopo la morte di Tamīm, avvenuta nel febbraio del 1108, ma a quel tempo Ruggero non era ancora uscito dalla minorità. Comunque, sempre secondo questo cronista, in Sicilia G. fu impiegato nella riscossione delle imposte da ‛Abd Allāh il Cristiano (ma M. Amari vorrebbe correggere questo nome in quello di ‛Abd ar-Raḥmān, che viene citato poco oltre nella cronaca), e, poi, guidò un'ambasceria in Egitto, senza dubbio di carattere commerciale, riportando un successo tale da fargli guadagnare il favore del sovrano normanno.

Dai documenti siciliani apprendiamo, invece, che nel 1114 G. esercitava la modesta mansione di stratigoto di Giattini (l'attuale San Giuseppe Iato, in provincia di Palermo), ufficio che non aveva nulla a che fare con quelli di tipo finanziario fino ad allora ricoperti. Nel luglio-agosto 1123 lo troviamo poi investito di compiti ben più impegnativi, essendo incaricato di guidare, insieme con ‛Abd ar-Raḥmān il Cristiano (da identificare con l'amiratus Cristodulo), le 300 navi, con a bordo 30.000 uomini e 1.000 cavalli - ma queste cifre, fornite da at-Tigiānī, sembrano senz'altro eccessive - che avrebbero dovuto prendere Mahdia. Le fonti arabe riferiscono che la flotta, spinta da una tempesta, approdò dapprima a Pantelleria, per arrivare poi nei pressi della costa africana, dove gettò l'ancora il 21 luglio. I Siciliani presero il castello di ‛Ad Dīmās e l'isola di ‛Al ‛Ahāsī, ma furono poi costretti a una precipitosa fuga, da cui si salvò solo un terzo della flotta, mentre i 100 soldati che erano stati lasciati a presidio del castello di ‛Ad Dīmās furono massacrati. La spedizione, evidentemente affidata a G. per la sua conoscenza dei luoghi, si risolse, dunque, in una catastrofe completa.

In un documento datato al 1124 (edito da L.-R. Ménager, Amiratus, App. II, doc. n. 16, pp. 191 s.), sulla cui autenticità, però, non ci può essere certezza a causa di espressioni eccessivamente celebrative, che rimandano a situazioni successive alla morte del più influente, all'epoca, ammiraglio Cristodulo, G. viene nominato per la prima volta col titolo di emiro. Altri cinque documenti datati al 1124-27 e in cui pure si attribuisce a G. quello stesso titolo, pur presentando elementi dubbi, sembrano tuttavia riflettere, nei contenuti, situazioni storicamente reali. È probabile, quindi, che la nomina risalga proprio a quel periodo.

Le successive notizie sulla vita di G. ce le riferisce Alessandro di Telese e sono relative al febbraio del 1131, quando Ruggero II incaricò lui e l'ammiraglio Giovanni, figlio dell'ammiraglio Eugenio e padre di un altro ammiraglio Eugenio, di attaccare via mare Amalfi, poi conquistata, insieme con Capri, Guallo, Trivento e Ravello. Ma l'affermazione definitiva di G. dovette aver luogo nel 1133, nel momento, cioè, in cui comincia a sparire dai documenti il nome di Cristodulo. Al febbraio di quell'anno, infatti, risalgono due documenti in cui G. viene menzionato come "admiratus admiratorum" e come "ἄϱϰων τῶν ἀϱϰόντων ϰαὶ ἀμηϱᾶϚ τῶν ἀμηϱάδων".

Si è discusso molto sul significato di tali espressioni, ed è stato merito soprattutto di L.-R. Ménager se esse sono state perentoriamente liberate dalla confusione generata dalla coincidenza con i titoli presenti in altre tradizioni amministrative. Innanzitutto, nel Regno normanno di Sicilia i compiti connessi con l'ufficio dell'ammiraglio, che deriva da quello dell'emiro arabo, appaiono di tipo squisitamente amministrativo e sicuramente non militari e navali, anche se spesso - e lo si può vedere anche con G. - capitava che il comando della flotta regia finisse col diventare una mansione preminente. L'espressione "admiratus admiratorum", poi, sembra essere una semplice forma superlativa, giustificata dalla volontà di diversificare il titolare dagli altri ammiragli che vennero creati contemporaneamente almeno dal 1117, e non trova, invece, corrispondenza con quella islamica di "amīr al-umarā", emiro degli emiri appunto, titolo che investiva di poteri straordinari: del resto, G. nelle sue sottoscrizioni e nel suo sigillo si definisce solamente ammiraglio. Infine, l'altro titolo, quello di "arconte degli arconti", risulta essere il corrispettivo del nostro "primo ministro", e l'ipotesi appare avvalorata dalle fonti arabe, che menzionano tutte il nostro G. come visir.

L'ascesa di G. appare scandita dalle imprese militari da lui guidate tra il 1134 e il 1149, che segnano anche il passaggio a una più aggressiva politica di espansione mediterranea del sovrano normanno. Nel 1134 e nel 1135 G. venne inviato contro Pisa e ancora nel 1135 circa contro Gerba, nel golfo di Gabes, che egli conquistò, assicurando al Regno vantaggi strategici e nuovi fertili possedimenti, e liberando, al contempo, quel tratto di mare dai corsari musulmani che proprio lì avevano posto le basi. Nel 1143 attaccò Tripoli, alla guida di 300 cavalieri, ma con scarso successo; l'impresa venne nuovamente tentata nel 1146 e, approfittando della discordia nata tra i nemici, si risolse, il 18 giugno, con la presa della città. In questa conquista vengono messi in luce propositi che vanno ben oltre la scorreria e il saccheggio: infatti, per il tramite di G. furono presi provvedimenti organizzativi e amministrativi da cui si evince l'intenzione di allargare all'Africa i confini del Regno, così come da Ruggero era stato lungamente vagheggiato.

Nel 1147-48 G., approfittando della debolezza dell'Impero bizantino, impegnato, in quel momento, anche a tenere a bada le truppe crociate in transito per la Terrasanta, dopo essere salpato da Brindisi, infestò le isole del Peloponneso, occupò Corfù, arrivò alla punta del Peloponneso, depredò le coste dell'Etolia e dell'Acarnania, e, infine, entrato nel golfo di Corinto, invase la Beozia e arrivò a saccheggiare le ricche Tebe e Corinto. La flotta, poi, tornò in Sicilia con il bottino, e subito ripartì, per portare le scorrerie fino ad Atene e all'isola di Eubea. Sembrava che ormai l'attenzione normanna fosse tutta rivolta a compiere conquiste in Grecia, quando i rivolgimenti politici avvenuti a Gabes prospettarono a Ruggero la possibilità di mettere a frutto quanto pazientemente preparato nei decenni precedenti, e gli fecero condurre nuovamente la flotta contro gli Arabi. G., quindi, nel 1148 partì con circa 300 navi dalla Sicilia e giunse a Pantelleria per riordinare le squadre e organizzare l'assalto contro Mahdia. Egli aveva l'intenzione di arrivare di sorpresa, di notte, ma l'improvviso alzarsi del vento gli permise di giungere sulla costa africana solo a giorno fatto, il 22 giugno. Fallita la sorpresa, G. mandò a dire all'emiro Al-Ḥasan, principe della città, che era venuto per rimettere sul trono di Gabes il principe Muḥammad ibn Rashīd, per cui gli chiedeva truppe ausiliarie. Al-Ḥasan preferì quindi fuggire, sapendo di non poter resistere a eventuali attacchi, anche a causa di una grande carestia che affliggeva la regione; l'esercito normanno, allora, si abbandonò, senza incontrare ostacoli, al saccheggio. Dopo aver rimesso in ordine le cose di Mahdia, nel giro di una settimana venne mandata un'armata a Sfax e un'altra a Susa. Quest'ultima il 1º luglio fu presa senza combattere, perché abbandonata dal principe Alì; Sfax, invece, resistette più a lungo, ma capitolò comunque il 12 luglio e fu costretta a riconoscere la sovranità di Ruggero, così come Gabes. In meno di un mese, dunque, nel nome del re di Sicilia, fu conquistato tutto il tratto di costa africana che va da Tripoli a Capo Bon.

Intanto, però, nel 1148, l'Impero bizantino, stretto un nuovo effimero patto di alleanza con i Veneziani, si andava riorganizzando e la sua flotta giunse ad assediare Corfù. G., prontamente inviato nel mare greco, si diresse verso Costantinopoli, nella speranza di attirare le navi bizantine e di allentare l'assedio dell'isola da lui poco prima conquistata. Presso capo Maleas riuscì a eludere la squadra dell'ammiraglio greco Curupo, che gli dava la caccia, e avanzò nell'Egeo, entrò nel Bosforo e arrivò di fronte a Costantinopoli. Le milizie furono sbarcate e furono saccheggiati i villaggi costieri. Addirittura, dalle proprie navi, i Normanni giunsero a dardeggiare con saette infuocate le finestre del palazzo imperiale. L'imperatore Manuele, tuttavia, pur sapendo minacciata la sua capitale, non abbandonò l'assedio di Corfù, e G., visto fallire il suo piano, si allontanò da Costantinopoli, che sapeva di non poter prendere con i mezzi a sua disposizione; si imbatté nuovamente nella flotta di Curupo, con cui si scontrò riuscendo a trovare scampo e a liberare anche il re di Francia Luigi VII, che era stato catturato da Curupo mentre tornava dalla crociata in Palestina. Approdò, infine, in Calabria, portando a termine la sua ultima impresa, gloriosa forse, ma fallimentare nei risultati, tanto più che, intanto, nell'estate del 1149, dopo un anno di strenua resistenza, Corfù cadeva.

Nonostante che gli scrittori musulmani esaltino molto le virtù strategiche di G., attribuendogli il merito di ogni trionfo in Africa e in Levante, e arrivando a dire che dopo di lui le armi siciliane si arrestarono perché Ruggero non seppe come rimpiazzarlo, bisogna dire che le imprese navali da lui guidate non furono sempre fortunate: forse il re Ruggero lo impiegò tanto di frequente in virtù dell'ottima conoscenza delle regioni dell'Africa mediterranea.

A quanto ci riferisce Ibn al-Athīr, G., afflitto da numerose malattie, morì nell'anno 546 dell'Egira, corrispondente al periodo che va dal 20 apr. 1151 al 7 apr. 1152. Questa notizia, unita a quella fornita dal suo ampiamente celebrativo epitaffio tumulario, che colloca la sua morte all'anno ab origine bizantino 6659, che coincide con i mesi inclusi tra il settembre 1150 e l'agosto 1151, ci permette di concludere che G. morì tra l'aprile e l'agosto del 1151.

Così come Cristodulo, e come altri grandi ministri del Regno normanno, anche G., nel corso della sua prestigiosa carriera, ebbe modo di favorire monasteri legati alla disciplina basiliana - dato che era greco di origine - e anche di istituirne egli stesso. Nel 1127 fondò il convento di S. Michele di Mazara e nel 1143, quando era ormai all'acme della sua carriera, a Palermo, la chiesa di S. Maria, più tardi detta "dell'Ammiraglio", ma nota anche con il nome di Martorana, che, per l'impianto architettonico e i pregevoli mosaici, notevoli anche dal punto di vista ideologico-politico, costituisce un'importantissima espressione dell'arte siculo-normanna.

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