DELLA TORRE, Giovacchino

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 37 (1989)

DELLA TORRE, Giovacchino (Toriani, Turriani, Ioachim de Venetiis)

Renzo Ristori

Nacque a Venezia, da cospicua famiglia, nel 1416 o nel 1417, come si desume dalla sua epigrafe sepolcrale in S. Maria della Minerva.

Mancano notizie sul primo periodo della sua vita e non si hanno testimonianze certe sul suo ingresso, che dovette aver luogo fra il 1430 e il 1435, fra i domenicani conventuali dei Ss. Giovanni e Paolo di Venezia. Nel 1450 e fino al 1452 studiava teologia in quel convento. Nel maggio 1452 ottenne la licenza per andare alla scuola di Rialto tenuta da Paolo della Pergola e da questa l'anno successivo passò allo Studio teologico di S. Agostino di Padova, dove conseguì il dottorato in teologia il 22 febbr. 1459. Il 1º ott. 1461 era lettore di teologia in S. Agostino e negli anni successivi (fino al 1465 circa, ma forse anche più tardi) insegnava metafisica nel collegio padovano degli artisti. Questi precedenti gli aprirono la strada ad una felice carriera nell'Ordine domenicano: fu priore nel convento dei Ss. Giovanni e Paolo nel 1465-1469 e nel 1475-1476, inquisitore per la diocesi di Vicenza (ma alcune testimonianze parlano della diocesi di Venezia) nel 1474, provinciale della provincia di S. Domenico (o della Lombardia inferiore) dal 15 febbr. 1479 al 21 luglio 1482, e definitore (cioè consigliere ufficiale) del provinciale di S. Domenico nel giugno 1486.

Il 6 ag. 1486 ebbe la reggenza dell'Ordine domenicano come vicario generale (e in questa veste fece parte della commissione di teologi che nel marzo 1487 condannarono tredici tesi delle Conclusiones di Giovanni Pico della Mirandola); infine fu eletto con voto unanime, e con ogni probabilità con l'appoggio del governo veneto, maestro generale nel capitolo di Venezia il 2 giugno dello stesso anno 1487. Di severi costumi personali, nella guida dell'Ordine fu accorto ed operoso e in più occasioni si mostrò favorevole agli osservanti. È stato spesso scritto, per altro, che la sua debolezza di carattere lo mise in difficoltà nell'esercizio della sua caricà e specialmente nelle vicende nelle quali fu protagonista il Savonarola.

A quelle vicende è infatti soprattutto legato il nome del D., i cui primi rapporti con il frate si riferiscono al ritorno di lui a Firenze, nel maggio 1490, a seguito delle sollecitazioni di Lorenzo il Magnifico. In seguito il D., in pieno accordo con il cardinale Oliviero Carafa, autorevole protettore dei domenicani, lo aiutò nelle pratiche per la separazione (ottenuta con il breve papale del 22 maggio 1493) del convento di S. Marco dalla Congregazione lombarda. Passato S. Marco alle sue dirette dipendenze, il D., probabilmente anche con l'intento di limitare lo strapotere dei Lombardi, favorì in più modi il Savonarola: il 15 nov. 1493 gli conferì i poteri di provinciale, nel 1494 permise l'aggregazione a S. Marco dei conventi domenicani di Fiesole e di Pisa, e il 28 maggio 1495 approvò la creazione della Congregazione di S. Marco e la elezione a suo vicario generale del Savonarola. Anche dopo che Alessandro VI aveva manifestato la sua disapprovazione per quest'ultimo e gli aveva proibito la predicazione con il breve dell'8 settembre di quell'anno, sembra che il D., sempre in accordo col Carafa, mantenesse il suo precedente atteggiamento. Nonostante il persistere delle censure papali, egli fu infatti a Firenze alla fine del gennaio 1496 e si adoprò, secondo i desideri del frate, per la riforma del convento di S. Domenico di Prato e per la creazione del monastero fiorentino di S. Caterina. Nei mesi successivi, però, le sue opinioni si modificarono sensibilmente. Forse già durante il soggiorno a Firenze del gennaio, come riferì il 23 maggio 1498 ai frati di S. Marco, in un colloquio riservatissimo aveva rimproverato, l'uso della profezia (espressamente vietato ai predicatori domenicani il 18 maggio 1494 dal capitolo generale di Ferrara) al Savonarola, che gli avrebbe ribattuto di parlare delle cose future per diretta ispirazione divina. Alla fine di marzo, insieme con altri curiali, il D. dava informazioni negative al papa sulle mosse del frate, e il 3 aprile fu con ogni probabilità fra i quattordici teologi domenicani che a grande maggioranza consigliarono di agire efficacemente contro di lui. Egli dovette poi trovarsi d'accordo con il piano di Francesco Mei (ma anche del Carafa e di un gruppo di cardinali e prelati tenuti ad occuparsi della questione) che con la creazione della Congregazione tosco-romana (istituita poi con il breve papale del 7 nov. 1496) era rivolto a privare della sua autonomia il Savonarola ed a ridurlo al silenzio. L'aspra controversia, che rese inoperante quel breve provocò le violente rimostranze dei Carafa e confermò le preoccupazioni del D., che da allora parve sempre più disposto ad assecondare le direttive della Curia. Dopo la scomunica papale del 12-13 maggio 1497, secondo quanto dichiarò il Savonarola il 23 apr. 1498, durante il suo secondo processo, il D. avrebbe pubblicato anche una sua censura, e nel giugno successivo, come scrisse l'oratore fiorentino Alessandro Bracci, era fra quelli che fomentavano le ire di Carafa per i fatti dei mesi precedenti.

Pesarono probabilmente sul D. le preoccupazioni per la disciplina all'interno dell'Ordine e forse anche i suoi sentimenti di veneziano - voci raccolte dal Malipiero lo dicevano una spia di Venezia -, contrario alla politica filofrancese dei savonaroliani fiorentini.

Quando gli eventi precipitarono e il Savonarola fu arrestato e sottoposto ai processi nell'aprile 1498, il D. comminò la scomunica contro i frati di S. Marco e contribuì in tale modo a convalidare l'azione degli inquisitori. Infine, con lo spagnolo Francisco Remolins e alcuni rappresentanti del governo fiorentino, come commissario papale partecipò al cosiddetto processo ecclesiastico che si concluse con la condanna a morte e con l'esecuzione (la mattina del 23 maggio) del Savonarola, di fra' Silvestro Maruffli e di fra' Domenico Buonvicini. Gli interrogatori furono condotti, con l'impiego della tortura, dal Remolins, un duro magistrato (era auditore del governatore di Roma) abituato alle crudeli procedure giudiziarie del tempo, e pare che il D., che fra l'altro non fu presente agli interrogatori tenuti la mattina del 22 maggio, avesse una parte del tutto secondaria negli avvenimenti di quei giorni. Partecipò però alla riunione del 22 sera in cui fu decisa formalmente la sentenza di morte e il 23, subito dopo l'esecuzione dei tre frati, sottoscrisse con il Remolins (e forse dettò, in un testo piuttosto elaborato che rivela la mano di un buon latinista) una impietosa relazione al papa corredata di retoriche espressioni di esultanza per la morte del Savonarola. In segno di ringraziamento, il governo fiorentino fece coniare una medaglia con il suo ritratto su disegno di Iacopo della Sassetta.

Recatosi poi a Ferrara, prima del 10 giugno, a detta del Sanuto vi fu a stento salvato dalle mani di alcuni seguaci del frate che volevano punirlo del comportamento tenuto a Firenze; e per gli stessi motivi, sempre in quei giorni, Giovan Francesco Pico della Mirandola gli rivolse aspre accuse e lo mise in grande imbarazzo. Questi particolari contrastano con una opinione largamente diffusa, secondo la quale il D., pur coltivando nel suo intimo sempre simpatia e ammirazione per il Savonarola, solo per debolezza si sarebbe lasciato coinvolgere nelle iniquità del processo del maggio 1498; giova anche ricordare, a questo proposito, la sdegnata lettera contro i cultori della memoria del personaggio da poco giustiziato che scrisse a fra' Iacopo di Sicilia il 22 giugno.

Il D. morì a Roma il 1º ag. 1500 e fu sepolto nella chiesa della Minerva, dove è ritratto in piedi in un affresco della cappella Carafa di mano di Filippino Lippi.

I dati biografici relativi al D. fanno pensare che ai suoi tempi egli fosse considerato un uomo di grande cultura. In una lettera della fine del 1489 il Ficino gli esprime viva amicizia e si rivolge a lui come a persona di profonda erudizione; il Sansovino lo menziona fra gli scrittori veneti e ricorda le sue lezioni su Aristotele, e Leandro Alberti, che doveva averlo conosciuto di persona, lo annovera fra i più noti oratori domenicani.

I suoi primi studi furono rivolti alla filosofia e alla teologia nell'ambito degli insegnamenti tradizionali: nel 1451, mentre si preparava a passare alla scuola di Paolo della Pergola, copiò il De modis significandi di Duns Scoto e il Tractatus formalitatum di Francesco di Meyrennes in un codice, probabilmente perduto, che un tempo era nella biblioteca del convento dei Ss. Giovanni e Paolo (cfr. Gargan, p. 105). All'epoca del suo insegnamento a Padova appartengono verosimilmente due opere (un Tractatus de trascendentibus una raccolta di Commentaria in octo libros Physicorum ad mentem s. Thomae), anch'esse perdute, delle quali si hanno notizie piuttosto incerte solo attraverso la testimonianza del Rovetta, che afferma di aver visto la prima a Venezia, nella biblioteca del convento di S. Domenico di Castello. Più tardi, sotto l'influenza della cultura umanistica, approfondì lo studio delle lingue antiche, acquistando in questo campo conoscenze che gli procurarono grande prestigio fra i contemporanei. Espressione di questi interessi sono in particolare l'attenzione dedicata ad alcuni mss. greci presi in prestito dalla Biblioteca Vaticana fra il 1490 e il 1494 e le due redazioni autografe di poco dissimili (ora nei codd. Gr. X. 17 e 18 della Bibl. naz. Marciana di Venezia: cfr. Mioni, pp. 51 s.) di un Lexicon graeco-latinum che non si sa se sia opera originale o copia di uno o più testi di altri autori. Eccellenti qualità di latinista egli rivelò poi nel suo ricco e pregevole epistolario (cfr. Quétif-Echard, p. 870). La manifestazione più significativa della sua passione per gli studi e della sua adesione agli ideali umanistici fu l'importante raccolta di codici greci e latini (quasi tutti passati in epoca moderna alla Marciana) che egli si procurò con grandi spese in un lungo arco di tempo. Per essa, e per i codici donati a Venezia dal Bessarione nel 1469, si proponeva - il progetto fu accettato dal Senato veneto con una deliberazione del 2 giugno 1494, ma poi non ebbe seguito per circostanze non chiare - di provvedere con i suoi mezzi alla costruzione, nel convento dei Ss. Giovanni e Paolo, di una suntuosa biblioteca. Questo ambizioso progetto è una ulteriore prova dei profondi legami che per tutta la sua vita il D. ebbe con Venezia.

Numerose lettere e ordinanze del D. sono state pubbl. (per esteso o in regesto) in: V. Mattii, "Apologetico" di frate G. Savonarola..., Siena 1864, pp. 69 s.; A. Gherardi, Nuovi docc. e studi intorno a G. Savonarola, Firenze 1887, passim; Registrum litterarum [pro Provincia Teutoniae] J. Turriani, 1487-1500...,a cura di B. M. Reichert, Leipzig 1914, pp. 1 ss.; Registrum litterarum [pro Provincia Saxoniae] J. Turriani, 1487-1500..., a cura di G. M. Löhr, Köln-Rhein 1952, pp. 11 ss.; M. T. Casella-G. Pozzi, Francesco Colonna. Biografia e opere, Padova 1959, I, pp. 35, 38, 117; II, pp. 152 s.; R. Creytens, Les vicaires généraux de la Congrégation dominicaine de Lombardie (1459-1531), in Arch. fratrum praedicatorum, XXXII (1962), pp. 241 ss., 277 ss.; L. Gargan, Lo Studio teologico e la biblioteca dei domenicani di Padova nel Tre e Quattrocento, Padova 1971, pp. 31 ss. La lettera inviata dal D. e dal Remolins al papa il 23 maggio 1498 fu pubbl. a Roma, nel 1521, in un raro opuscolo cit. dal Gherardi (p. 16), e poi da A. G. Rudelbach, Hier. Savonarola und seine Zeit, Hamburg 1835, pp. 494 ss., e da altri.

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