GIRALDI, Giovan Battista

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 56 (2001)

GIRALDI, Giovan Battista (Cinzio Giovan Battista)

Simona Foà

Nacque a Ferrara nel novembre del 1504 da Cristoforo, proveniente da una famiglia ferrarese che vantava remote origini fiorentine; la madre apparteneva alla famiglia dei Mombelli, nobili del Ducato di Savoia. Fin da giovane e, secondo quanto egli stesso afferma in un epigramma, per volontà di una donna aveva aggiunto accanto al nome l'epiteto "Cynthius" (Ad Ioannem Stancharium, in Cynthii Ioannis Baptistae Gyraldi Ferrarienis, De obitu divi Alfonsi Estensis principis invictiss. Epicedion Hercules Estensis dux salutatis. Sylvarum liber unus…, Ferrariae, ex Officina Francisci Roscii, 1537, c. kiiii).

In una data non precisata del terzo decennio del Cinquecento iniziò a frequentare lo Studio ferrarese, nella facoltà di arti e medicina; seguì lezioni di logica, fisica, medicina, filosofia morale e retorica. Agli anni universitari risalgono i primi interessi per le lettere e gli esordi poetici: nella Biblioteca Ariostea di Ferrara (Fondo Antonelli, ms. 370) si conserva un componimento latino incompiuto sul corpo umano, la cui composizione risale a quel periodo. Nel giugno del 1531 conseguì la laurea, avendo come promotori i medici Ludovico Bonaccioli e Antonio Maria Canani; nello stesso anno iniziò l'insegnamento nello Studio in qualità di lettore e nel 1534 ottenne la cattedra di filosofia. Accanto all'insegnamento, il G. professò l'attività di medico e fu tra coloro che assistettero Ludovico Ariosto durante la malattia che nel 1533 lo condusse alla morte.

Nel 1532 era già entrato all'interno di questioni cruciali di retorica e di critica letteraria, con una lettera, datata 25 giugno, a Celio Calcagnini sul problema dell'imitazione. La lettera Super imitatione fu stampata nella già citata raccolta latina del 1537 De obitu divi Alfonsi Estensis (dal quaderno n al duerno p), insieme con la risposta del Calcagnini in forma di commentario e una lettera di Lilio Gregorio Giraldi sullo stesso argomento.

In questi stessi anni il G. compose alcuni componimenti encomiastici in latino in occasione della morte di Alfonso I e dell'incoronazione di Ercole II. La revisione del poemetto in esametri dedicato a Ercole II fu occasione della seconda fra le polemiche che scandirono la vita del Giraldi. Egli inviò il poemetto a Marco Antonio Antimaco, professore di greco presso lo Studio ferrarese, perché lo leggesse e lo correggesse, ma questi si sentì offeso per l'eccessiva considerazione nella quale erano stati tenuti dal G. gli insegnamenti di Celio Calcagnini, mentre il suo nome non veniva mai ricordato. L'Antimaco rimandò quindi indietro il poemetto al G., accompagnandolo con un epigramma, al quale il G. replicò a sua volta con altri epigrammi: la polemica durò tre giorni e i componimenti furono ben 29. Infine, il G. raccolse tutti i testi con l'intenzione di inviarli a Celio Calcagnini, corredati da una lettera di spiegazione: il manoscritto (ora a Ferrara, Bibl. Ariostea, Fondo Antonelli, ms. 331) non venne però inviato, forse per la sopravvenuta volontà, da parte del G., di chiudere definitivamente la polemica senza rischiare di aprirne un'altra.

Prima del 1537 il G. aveva sposato Fulvia Tarsia de' Bardelli, dalla quale ebbe sei figli. Tra il 1540 e il 1541 fece parte dell'Accademia degli Elevati, che si riuniva presso la casa del fondatore, Alberto Lollio, e che cessò le sue attività nel 1541 a causa della morte del suo esponente più importante, Celio Calcagnini. Nel 1540 la raccolta De obitu divi Alfonsi Estensis del 1537 venne ristampata, con alcune variazioni, con il nuovo titolo di Poematia (Basilea, in officina Roberti Winter; la data 1544, che molto spesso si trova a indicare questa ristampa, è in realtà riferita a una Bucolica di A. Geraldini, stampata a Basilea dal Winter, che accompagna sempre l'edizione del 1540 delle opere giraldiane). Grazie anche alla fama raccolta come poeta latino, alla morte del Calcagnini il G. venne chiamato dallo Studio a ricoprire la cattedra di retorica, che mantenne fino all'anno accademico 1562-63. Abbandonò quindi definitivamente la medicina per dedicarsi interamente alla letteratura. Dei corsi di insegnamento di retorica restano alcune prolusioni (Ferrara, Bibl. Ariostea, Fondo Antonelli, ms. 377) dedicate a opere di Cicerone (De oratore, Pro M. Coelio); il primo corso di retorica, nel 1541, fu inaugurato con una prolusione sul De natura deorum. Con il 1541 iniziò anche un periodo di intensissima attività letteraria, ed ebbe luogo il definitivo passaggio dal latino al volgare: la prima, e più famosa tragedia del G., l'Orbecche, venne scritta in due mesi e rappresentata per ben tre volte nel 1541 a Ferrara, di fronte alla corte estense, che ne aveva finanziato gli allestimenti. In seguito venne messa più volte in scena, nel 1543, probabilmente, a Parma; nello stesso 1543 fu pubblicata per la prima volta (Venezia, in casa de' figliuoli d'Aldo) e altre edizioni seguirono nel corso del XVI secolo.

All'interno del panorama del teatro tragico italiano del Cinquecento, l'Orbecche rappresenta il superamento dei tentativi di elaborare una nuova tragedia di stampo classicista intrapresi in passato da G.G. Trissino, con la Sofonisba, e dai tragici fiorentini, in nome di una istanza di rappresentazione più diretta della realtà delle passioni umane. A questo fine, il G., oltre a rappresentare quello che è stato definito l'"orrido", mettendo in scena, come nell'Orbecche, perfino il suicidio della protagonista, si giovò, per questa come per le tragedie successive, di alcune innovazioni strutturali, tra le quali la non pedissequa osservanza delle regole aristoteliche e la divisione in cinque atti, ognuno con il suo prologo.

Il successo dell'Orbecche indusse il G. a comporre nuove tragedie: in poco tempo, tra la fine del 1541 e il 1543, scrisse e vennero messe in scena la Didone, la Cleopatra e l'Altile, con le quali si precisano i caratteri della nuova tragedia che egli voleva realizzare.

In particolare, con l'Altile il G. introduce un altro elemento importante all'interno della struttura tragica, ossia il lieto fine, che renderà alcune delle tragedie giraldiane più propriamente delle tragicommedie. Si precisa inoltre lo stretto rapporto tra la scrittura del testo, che, come nel caso della Cleopatra, viene richiesto e seguito nella sua elaborazione dallo stesso duca Ercole II, e il momento della messa in scena, sorvegliata in prima persona dal Giraldi.

Del 1543 è l'opuscolo De obitu Flaminii Ariosti ad Gabrielem patrem (Ferrara, per Franciscum Rubeum), contenente un discorso e alcuni componimenti poetici dedicati al giovane Flaminio Ariosto, attore nelle tragedie giraldiane, ucciso con una pugnalata a Ferrara, durante le feste in onore di Paolo III in visita nella città, poco prima di partecipare alla rappresentazione dell'Altile. Datata 26 apr. 1543, ma composta, come è stato ipotizzato dallo Horne, forse alcuni anni più tardi, è anche la Lettera intorno al comporre delle comedie e delle tragedie, indirizzata a Giulio Ponzio Ponzoni, allievo del G. nello Studio ferrarese e attore nelle opere teatrali del maestro. La Lettera fu stampata, con alcune modifiche, insieme con un altro scritto teorico del G., il Discorso intorno al comporre de i romanzi, nel 1554. Nel 1543 il G. scrisse la lettera dedicatoria - indirizzata al cardinale e patrono dei carmelitani Nicolò Rodolfo - della seconda edizione delle Disputationes adversus lutheranos, opera del frate carmelitano Giovan Maria Verrati (Venezia, Comin da Trino, 1544); un'annotazione del G. si trova anche all'inizio delle Super sermone Domini in monte enarrationes dello stesso Verrati (Venezia, ad signum Spei, 1547).

Tra la fine del 1543 e gli inizi del 1545 compose l'Egle, che doveva, nelle intenzioni del G., rinnovare la fortuna del dramma satiresco greco.

L'Egle, scritta negli endecasillabi sciolti mutuati dalla nuova tragedia volgare, venne rappresentata per la prima volta il 24 febbr. 1545, alla presenza del duca Ercole II, e, successivamente, il 4 marzo dello stesso anno. L'Egle fu stampata senza indicazioni né di luogo né di data, ma probabilmente tra il 1545 e il 1547 (il Rhodes ipotizza che sia stata impressa a Venezia da Nicolò Boscarini poco dopo il marzo del 1545); si conservano inoltre una prima stesura manoscritta autografa e un esemplare della princeps con postille e correzioni autografe del Giraldi. Collegata all'Egle e alla fortuna del dramma pastorale, in particolare a Ferrara, alla metà del XVI secolo, è una Favola pastorale della quale restano solo alcuni frammenti, scritta dal G. in una data imprecisata, ma probabilmente dopo la rappresentazione e la pubblicazione dell'Egle. I frammenti della Favola pastorale vennero pubblicati e studiati dal Carducci e, più di recente, in rapporto con l'Egle e con una Lettera sovra il comporre le satire atte alla scena, da Carla Molinari.

Nei primi mesi del 1547 il G. venne eletto segretario ducale da Ercole II. Ancora nel 1547 uscì la raccolta di poesie in volgare Le fiamme (Venezia, G. Giolito, 1547, ma vi sono anche esemplari datati 1548), contenente poesie d'amore e d'occasione composte tra gli anni della gioventù e l'anno della pubblicazione. Nel 1548 venne composta e messa in scena una nuova tragedia, Gli Antivalomeni, mentre è del 1549 la composizione dell'unica commedia composta dal G., Gli Eudemoni, tramandata da un manoscritto autografo (Ferrara, Bibl. Ariostea, Fondo Antonelli, ms. cl. I.407). Di altre tre tragedie (Selene, Euphimia,Epitia) non si conoscono con precisione né la data di composizione né le circostanze delle messe in scena; l'Arrenopia venne invece composta e rappresentata nel 1563, poco prima della partenza del G. da Ferrara.

Del 1549 è la composizione del Discorso intorno al comporre dei romanzi, che uscì a stampa nel 1554 (Venezia, G. Giolito e fratelli), con la dedica a Ercole II d'Este e a Bonifacio Ruggeri, consigliere segreto del duca di Ferrara, e venne inviato dal G. al Pigna, "discipulo optimo atque carissimo", come si legge in un epigramma posto all'inizio del volume. La pubblicazione del trattato diede luogo alla più nota fra le polemiche che videro coinvolto il G.: lui e il suo allievo entrarono in disputa su chi di loro due per primo avesse trattato modernamente dei romanzi, e in particolare dell'Orlando furioso di Ludovico Ariosto. Il G. sosteneva che il Pigna, nei suoi Romanzi, ne' quali della vita et della poesia dell'Ariosto si tratta, usciti a Venezia presso lo stampatore Vincenzo Valgrisi nello stesso anno del Discorso, il 1554, aveva ripreso argomenti da lui trattati nei corsi universitari dei quali il Pigna era stato studente. Questi, d'altro canto, negava al G. la paternità dell'idea di trattare dei romanzi e lo accusava di essersi appropriato delle sue argomentazioni, dato che conosceva gli scritti dell'allievo già nella loro forma manoscritta. I documenti relativi alla polemica (due lettere del G. al Pigna e una lettera del Pigna al G.) vennero raccolti in un opuscolo (che talvolta si trova legato al Discorso) pubblicato probabilmente nello stesso 1554, a Ferrara o a Venezia, dallo stampatore F. Marcolini.

In verità, il G., nel periodo in cui preparava per la stampa il suo Discorso, aveva egli stesso già composto gran parte di un romanzo cavalleresco, l'Ercole, e il Discorso, secondo quanto il G. afferma in una lettera a Bernardo Tasso del 10 ott. 1557, aveva principalmente la funzione di presentare il suo poema e di farne risaltare la novità all'interno del panorama letterario contemporaneo. Si tratta, infatti, di un poema eroico, dal chiaro intento encomiastico, in cui si narrano le gesta di Ercole. Il poema rimase incompiuto (il G. ne scrisse solo 26 canti sui 48 progettati), probabilmente a causa della morte di Ercole II, ma venne pubblicato nel 1557 (Dell'Hercole canti ventisei, Modena, A. Gadaldini, 1557).

L'ultima polemica letteraria importante che vide tra i protagonisti anche il G. fu quella relativa alla tragedia Canace, composta da Sperone Speroni probabilmente sulla scia del successo delle tragedie giraldiane. Al G. è stato infatti attribuito il Giudizio d'una tragedia di Canace e Macareo con molte utili considerazioni circa l'arte della tragedia e d'altri poemi, pubblicato nel 1550 a Lucca presso V. Busdrago, ma composto forse intorno al 1548. Dopo la difesa della Canace, composta dallo Speroni in seguito alla pubblicazione del Giudizio, il G. inviò nel 1558, sullo stesso argomento, una nuova lettera in latino allo Speroni. L'editrice moderna del Giudizio e degli altri scritti sulla Canace, Christina Roaf, ritiene che il G. abbia composto tutte queste opere di critica aristotelica, quindi anche la Lettera intorno al comporre delle comedie e delle tragedie e il Discorso intorno al comporre de i romanzi, usando forse il commento alla Poetica aristotelica di Robortello (1548), e che abbia poi alterato le date per far credere di essere stato il primo ad adoperare la Poetica di Aristotele.

Dal 1554, anno della fondazione, il G. partecipò alle attività dell'Accademia ferrarese dei Filareti, che si riuniva in casa di Alfonso Calcagnini. Nel 1556 pubblicò una storia di Ferrara e degli Este (De Ferrara et Atestinis principibus commentariolum ex Lilii Gregorii Giraldi epitome deductum, Ferrara, per Franciscum Rubeum, 1556), ricavata da appunti di Lilio Gregorio Giraldi. Durante il periodo in cui fu segretario di Ercole II, il G. compì alcune ambascerie a Venezia, in occasione delle quali tenne tre delle orazioni che di lui ci sono state tramandate: la prima fu pronunciata il 17 giugno 1553, Oratio ad sereniss. Venetiarum principem Marcum Antonium Trevisanum Venetiae publice habita XIII cal. Iulii MDLIII (Venezia, G. Giolito e fratelli, 1553); la seconda un anno dopo, e venne ristampata insieme con la prima e con un elogio funebre di Francesco I re di Francia, Orationes ad serenissimos Venetiarum principes, Marcum Antonium Trivisanum, Franciscum Venierum in funere Francisci christianiss. Gallorum regis (Venezia, G. Giolito, 1554); la terza, pronunciata in una data non precisata, è conservata manoscritta nella Biblioteca Ariostea di Ferrara (Fondo Antonelli, ms. 377). Una quarta orazione, del 1559, doveva essere recitata in un'ambasceria che non si tenne a causa della morte del duca Ercole II (incompiuta, è conservata a Ferrara, ibid., ms. 377).

La morte del duca, nel 1559, causò la perdita dei favori del G. presso la corte estense: tra il 1559 e il 1561 il Pigna prese progressivamente il suo posto nella Cancelleria ducale, costringendolo quasi a lasciare Ferrara per trovare un'altra occupazione.

La questione dei rapporti tra il G. e la corte estense, e soprattutto con Ercole II, è stata fra le più dibattute dalla critica: considerando le due posizioni estreme, qui necessariamente semplificate, il G. è stato considerato sia un puro esecutore della volontà del principe, che arrivava addirittura a scegliere in prima persona i soggetti e le modalità di scrittura e di esecuzione delle sue opere (Lebatteux), ovvero, all'opposto, un intellettuale che cercò, soprattutto attraverso l'esperienza di scrittore tragico, di mettere in scena il disagio dell'uomo del suo tempo di fronte alle costrizioni imposte dal potere politico e religioso (Ariani). Particolarmente dibattuta, e ancora lontana dall'essere risolta, è la questione del rapporto tra il G. e le istanze riformiste che si manifestavano nella Ferrara di Renata di Francia. Se da una parte, come abbiamo visto, il G. si preoccupava di scrivere prefazioni a scrittori di provata fede controriformista, dall'altra, nel 1562, in una lettera al vescovo di Modena Egidio Foscarari difese Ludovico Castelvetro sospetto d'eresia.

Nel 1563 il G. si trasferì con la famiglia a Mondovì, chiamato dal duca Emanuele Filiberto di Savoia, che nel 1560 vi aveva fondato uno Studio: qui insegnò umanità per due anni. A Mondovì, presso la stamperia di Lorenzo Torrentino, fece stampare i due volumi degli Ecatommiti, la raccolta di novelle alla quale aveva lavorato sin dagli anni giovanili (De gli Hecatommithi di M. Giovambattista Gyraldi Cinthio nobile ferrarese, nel Monte Regale, appresso Lionardo Torrentino, 1565).

Interrotta la composizione delle novelle negli anni intorno alla laurea, il G. aveva ripreso la scrittura della sua raccolta intorno al 1560, per portarla a compimento nel 1565 con la pubblicazione. La prima edizione è l'unica che mantenga la struttura originaria, così come era stata voluta dall'autore. Gli Ecatommiti presentavano, infatti, oltre a centotredici novelle disposte in dieci giornate, la cornice (che si apre con una descrizione del sacco di Roma del 1527), componimenti poetici, dediche e, al centro della struttura, esattamente tra la quinta e la sesta deca, i tre dialoghi Dell'allevare et ammaestrare i figliuoli nella vita civile, già composti intorno al 1550. La struttura originaria venne stravolta dalle edizioni posteriori, sia quelle pubblicate nel XVI secolo, sia quelle successive (la più recente, Torino 1853-54). Alcune delle novelle degli Ecatommiti presentano la stessa storia di sette tragedie giraldiane, anche se non si può stabilire con precisione se sia stato composto prima il testo narrativo o quello teatrale: si tratta di Orbecche, Altile, Antivalomeni, Selene, Eufimia, Epitia, Arrenopia. Da novelle degli Ecatommiti provengono anche le trame di due tragedie shakespeariane: Otello deriva dalla settima novella della terza giornata, Misura per misura dalla quinta novella della ottava giornata, che narra la storia di Epitia. Gli Ecatommiti, che pure vennero considerati per l'intento moralizzatore che li permea un tipico frutto della letteratura controriformistica, furono inclusi nell'Indice dei libri proibiti pubblicato a Parma nel 1580.

Alla trattatistica sul comportamento appartiene il Discorso intorno a quello che si conviene a giovane nobile et ben creato nel servire un gran principe, composto a Mondovì su richiesta del figlio Lucio Olimpio nel 1565 e pubblicato nel 1569 con dedica a Pietro Battista Lomellini, suo allievo (Pavia, appresso Girolamo Bartoli, 1569). Ancora a questi anni appartiene la composizione delle Sui temporis historiae, rimaste incomplete e inedite (Ferrara, Bibl. Ariostea, Fondo Antonelli, ms. 377), e il progetto di completamento dell'Ercole. Nel 1565 da Mondovì lo Studio venne spostato a Torino, dove il G. si trasferì e rimase dal 1566 fino al 1568, quando il duca soppresse la cattedra di insegnamenti letterari. Da Torino, il 20 luglio 1567, il G. inviò una lettera a Vincenzo Troni, con la quale accompagnava il dono di un esemplare del Discorso del 1554, con aggiunte e correzioni autografe, approntate forse in prospettiva di una nuova stampa, e, in appendice, l'autografo della Lettera sovra il comporre le satire atte alla scena (la lettera al Troni e l'esemplare postillato con la Lettera sono ora nella Bibl. Ariostea, Fondo Antonelli, ms. cl. I.90).

Ancora alla ricerca di un luogo in cui creare una scuola, come confessa in una lettera a Piero Vettori, il G. si trasferì quindi a Pavia, dove insegnò arte oratoria e partecipò alle attività dell'Accademia degli Affidati. Prendendo spunto dalla notizia del terremoto che nel 1571 aveva colpito Ferrara, scrisse un componimento in esametri dal titolo De naturae largitate in humanum genus contra Plinii sententiam, e ancora del 1571 è la riconciliazione con il Pigna per via epistolare. Nell'agosto del 1573, a causa delle cattive condizioni di salute, decise di ritornare a Ferrara.

A Ferrara il G. morì nel dicembre 1573 e fu sepolto all'interno della sua casa.

Il G. ha intrattenuto rapporti epistolari con molti suoi contemporanei (tra i principali corrispondenti, oltre ai duchi di Ferrara e ai membri della corte, furono B. Tasso, P. Vettori, F. Bolognetti, B. Cavalcanti, P. Giovio, B. Varchi), ma le sue lettere non sono mai state raccolte in forma organica. Edizioni moderne sono quelle di G. Campori, Lettere di Giovambattista Giraldi Cinzio, estratto da Atti e memorie delle Rr. Deputazioni di storia patria per le provincie modenesi e parmensi, VIII (1875); Lettere inedite di Giovambattista Giraldi Cinzio, a cura di V. Cian, Torino 1894.

La notevole rilevanza della figura del G. all'interno della cultura tardocinquecentesca non solo italiana è comunque confermata dalla sua fortuna presso Lope de Vega, nonché dalla immediata e notevole circolazione delle opere del G. in Francia anche in traduzione. La raccolta delle nove tragedie del G. fu pubblicata per cura del figlio Celso: Tragedie…, Venetia, G.C. Cagnacini, 1583. La commedia Gli Eudemoni è stata pubblicata a cura di G. Ferraro, Ferrara 1877. Edizioni moderne delle tragedie sono: Orbecche, in Il teatro italiano, II, La tragedia del Cinquecento, a cura di M. Ariani, 1, Torino 1977, pp. 79-184; Cleopatra tragedia, a cura di M. Morrison - P. Osborn, Exeter 1985; Altile. The birth of a new dramatic genre in Renaissance Ferrara, a cura di P. Osborn, Lewiston, NY- Queenston, Ont. 1992. Gli Scritti critici sono stati ripubblicati a cura di C. Guerrieri Crocetti, Milano 1973; il Super imitatione in Trattati di poetica e retorica del Cinquecento, a cura di B. Weinberg, I, Bari 1970, pp. 199-204 (la lettera a Bernardo Tasso è ibid., II, ibid. 1970, pp. 453-476). La prolusione ferrarese sul De natura deorum di Cicerone è edita in L. Dondoni, Una pagina inedita di filologia umanistica: la "Praelectio in de natura deorum Ciceronis libros" di G. G. Cinzio, in Atti della Accademia naz. dei Lincei. Rendiconti della cl. di scienze morali, storiche e filologiche, XXIX (1974), 7-12, pp. 557-569; il De naturae largitate in humanum genus contra Plinii sententiam, in Id., G. G. Cinzio ferrarese, maestro d'arte oratoria a Pavia, ibid., XXXII (1977), 1-2, pp. 3-16. Dell'Egle esiste un'edizione anastatica della princeps del 1545 (Urbino 1980); inoltre, è edita criticamente in Egle. Lettera sovra il comporre le satire atte alla scena. Favola pastorale, a cura di C. Molinari, Bologna 1985. Gli scritti della polemica con il Pigna sono editi in Documenti intorno alla controversia sul libro de' romanzi con G.B. Pigna, in G.B. Giraldi, Scritti estetici, a cura di Giulio Antimaco [S.E. Camerini], II, Milano 1864, pp. 151-166 (ed. anast. Bologna 1975). Gli scritti sulla Canace sono editi in S. Speroni, Canace e scritti in difesa - G.B. Giraldi, Scritti contro la Canace. Giudizio ed epistola latina, a cura di C. Roaf, Bologna 1982. La prima parte della lettera al Foscarari in difesa del Castelvetro in L. Frati, Di alcune lettere ad Egidio Foscarari, in Arch. stor. italiano, LXXIV (1916), vol. I, 1, pp. 146 s.; la seconda parte in P.R. Horne, Reformation and Counter-Reformation at Ferrara: Antonio Musa Brasavola and G., in Italian Studies, XIII (1958), pp. 62-82; le postille, aggiunte e correzioni al Discorso del 1554 sono pubblicate con l'edizione del Discorso negli Scritti estetici, a cura di G. Antimaco, I, Milano 1864. M. Messina avrebbe individuato, in un manoscritto posseduto da un privato, una raccolta di rime prevalentemente amorose di vari autori del XVI secolo messa insieme dal G. durante tutto il corso della sua vita, ma nel contributo non vengono date prove della effettiva autografia del codice (M. Messina, Rime del XVI secolo in un manoscritto autografo di G.B. G. e di B. Tasso, in La Bibliofilia, VII [1955], pp. 108-147).

Fonti e Bibl.: B. Cavalcanti, Lettere edite e inedite, a cura di C. Roaf, Bologna 1967, pp. 311-313; Nuovi documenti relativi ai docenti dello Studio di Ferrara nel sec. XVI, a cura di A. Franceschini, Ferrara 1970, ad ind.; G. Antonelli, Indice dei manoscritti della Civica Biblioteca di Ferrara, parte I, Ferrara 1884, ad nomen; A. Bertolotti, Varietà archivistiche e bibliotecarie, in Il Bibliofilo, X (1889), 9-10, p. 145; S. Bongi, Annali di Gabriel Giolito de' Ferrari, Roma 1890-95, ad ind.; C. Bonardi, Lo Studio generale a Mondovì (1560-1566), Torino 1895, pp. 118-125, 192 s.; G. Carducci, Su l'Aminta del Tasso. Saggi tre. Con una pastorale inedita di G., Firenze 1896, pp. 115-129; A. Angeloro, Le tragedie di G., Cagliari 1901; G. Bertino, Gli Hecatommiti di Giraldi Cinzio. Saggio critico-estetico, Sassari 1903; R. Piccioni, Vita di G. G. con una appendice di documenti inediti, seguita da un breve studio sopra l'Egle del medesimo, in Atti e memorie della Deputazione ferrarese di storia patria, XVIII (1908), pp. 105-231; C. Segré, Le fonti italiane dell'"Otello", in Nuova Antologia, 16 febbr. 1909, pp. 553-570; C. Guerrieri Crocetti, G.B. G. ed il pensiero critico del sec. XVI, Milano-Genova-Roma-Napoli 1932; M. Messina, Rime del XVI secolo in un manoscritto autografo di G.B. G. e di B. Tasso, in La Bibliofilia, VII (1955), pp. 108-147; P.R. Horne, The tragedies of Giambattista Cinthio, Oxford 1962 (recens. di C. Dionisotti in Giorn. stor. della letteratura italiana, CXL [1963], pp. 114-121); R. Bruscagli, G.B. G.: drammaturgia ed esperienza, in Atti e memorie della Deputazione ferrarese di storia patria, s. 3, XV (1972), pp. 1-84; L. Berthé de Besaucèle, G. 1504-1573. Étude sur l'évolution des théories littéraires en Italie au XVIe siècle, a cura di A. Rochon, Paris 1974, pp. 243-312; C. Molinari, La vicenda redazionale dell'"Egle" di G.B. G. Cinzio, in Studi di filologia italiana, XXXVII (1979), pp. 295-343; C. Lucas, De l'horreur au "lieto fine". Le contrôle du discours tragique dans le théâtre de G.B. G. Cinthio, Roma 1984; D.E. Rhodes, The printer of G.'s "Egle", in Italian Studies, XLI (1986), pp. 82-84; S. Villari, Per l'edizione critica degli Hecatommiti, Messina 1988; C. Molinari, Caratteri del Boiardo lirico nella verseggiatura tragico-satirica di G.B. G., in Studi di filologia italiana, XLVIII (1990), pp. 43-80; Schifanoia, 1991, n. 12 (numero monografico dedicato al G.); S. Jossa, Rappresentazione e scrittura. La crisi delle forme poetiche rinascimentali (1540-1560), Napoli 1996; S. Benedetti, Accusa e smascheramento del "furto" a metà Cinquecento: riflessioni sul plagio critico intorno alla polemica tra G.B. Pigna e G.B. G. Cinzio, in Furto e plagio nella letteratura del classicismo, a cura di R. Gigliucci, Roma 1998, pp. 233-261; P.O. Kristeller, Iter Italicum, I-VI, ad indices.

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