MARZANO, Giovan Battista

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 71 (2008)

MARZANO, Giovan Battista

Daniela Santoro

– Figlio di Marino, duca di Sessa e principe di Rossano, e di Eleonora, figlia di Alfonso V d’Aragona, re di Napoli, nacque a Sessa nel 1459.

Il 27 giugno 1458 era morto Alfonso: la successione del figlio naturale Ferdinando al trono di Napoli, confermata nel testamento, si rivelò di non facile attuazione e solo il 4 febbr. 1459 Ferdinando I fu incoronato a Barletta. Nel Regno, nonostante il giuramento di fedeltà dei baroni, perdurava un clima di sospetti, con la minaccia angioina costantemente presente: scoppiarono varie rivolte baronali che si legarono alle rivendicazioni di Giovanni d’Angiò, duca di Lorena, figlio di Renato, presentatosi nel golfo di Napoli con una flotta franco-genovese nell’ottobre 1459. Con Giovanni si schierarono i più importanti principi napoletani, che suscitarono contro Ferdinando la ribellione di baroni e terre: il principe di Taranto Giovanni Antonio Orsini e il padre del M., Marino, che accolse il duca a Sessa.

Nel corso della cerimonia in cui fu battezzato il M., che in onore del duca fu chiamato Giovan Battista, Marino prestò solenne giuramento al duca.

La situazione conflittuale innescata dall’adesione di Marino al duca Giovanni era aggravata dalla parentela tra Ferdinando e Marino, che ne aveva sposato la sorella. Divampata la rivolta in Abruzzo e Puglia, Ferdinando – che si appoggiava al papa e al duca di Milano Francesco Sforza – nella primavera 1460 iniziò la controffensiva e raggiunse la Terra di Lavoro per fronteggiare Marino. A Teano, il 29 maggio 1460, un abboccamento fissato da Marino si rivelò una trappola per Ferdinando, vittima di un attentato. Scampato al pericolo, il 7 luglio 1460 il re subì una pesante sconfitta a Sarno; buona parte dei baroni venne a patti, non però Marino nella cui casa era rientrato Giovanni d’Angiò, precedentemente fuggito verso Manfredonia.

Seguirono fasi alterne e altalenanti sino a quando – poco prima che Giovanni d’Angiò abbandonasse definitivamente il Regno nell’agosto 1463 – Ferdinando marciò contro Sessa e il 5 luglio 1463 sconfisse Marino; tra agosto e settembre i due arrivarono a una pace, sancita dalla promessa di matrimonio tra il M. e Beatrice, figlia di Ferdinando, da celebrarsi, vista la giovanissima età dei due (quattro anni il M., sei Beatrice), in un secondo tempo. La bambina, all’atto del fidanzamento, il 7 sett. 1463, fu consegnata dal re a Marino e alla moglie Eleonora per essere allevata con il M. a Sessa.

L’accordo si rivelò fragile: l’anno seguente tra i due cognati ci furono nuovi contrasti; l’8 giugno 1464 Marino, spogliato dei suoi beni, fu catturato con l’accusa di tradimento e condotto in carcere a Castelnuovo dove, poco dopo, lo raggiunse il piccolo M., «bellissimo fanciullo» (de Commines, p. 245), unico figlio maschio: estrema crudeltà di Ferdinando, a evitare che qualcuno in futuro potesse vendicare Marino. La moglie Eleonora con le tre figlie e Beatrice, promessa sposa del M., furono trasferite nel castello di Aversa.

Poco dopo Beatrice tornò dal padre: sciolto il fidanzamento, avrebbe sposato il re d’Ungheria Mattia Corvino. Le sorelle del M. vennero fatte sposare a baroni devoti alla casa d’Aragona, Eleonora ottenne dal fratello il permesso di abitare a Capua nel castello delle Pietre, residenza di famiglia.

Entrato in carcere a cinque anni, il M., che ebbe a scontare l’ulteriore colpa «d’avere avuto il nome dell’odiato Giovanni d’Angiò» (Regis Ferdinandi…, p. 363), ne uscì, morto Ferdinando I, trentuno anni dopo. Il 24 febbr. 1495 Carlo VIII era entrato a Napoli: prima di fuggire a Ischia, il figlio di Ferdinando, Ferdinando II (Ferrandino), avrebbe liberato quanti si trovavano ancora in prigione per le passate vicende politiche. Il M. «fu cavato di prigione tutto canuto, e bianco» (Summonte, p. 449), abbrutito dalla solitudine e dal dolore.

Una sera di quella fine di febbraio 1495, si racconta, il M. si presentò a Capua e alla madre che si era rivolta a lui nella convinzione si trattasse del marito, il M. con un sorriso mesto rivelava la propria identità e si gettava tra le sue braccia.

Nutrito, anche attraverso i racconti in carcere del padre, dall’odio verso la casa d’Aragona, nessuna riconciliazione fu possibile con Ferdinando II; temprato dai lunghi anni di prigionia, il M. si schierò con i Francesi di Carlo VIII. La restante parte della sua vita, altrettanto drammatica, si svolse all’insegna di una ferma rivendicazione di titoli e proprietà ma né da Ferdinando II né da Carlo VIII riuscì a ottenere la restituzione dei feudi di famiglia che sin dal 1464, quando il M. e il padre erano stati imprigionati, erano passati ad altri: il principato di Squillace era stato concesso dal re al fratello Federico ed era poi passato a Sancia, figlia naturale di Alfonso II; il principato di Rossano a Isabella, figlia di Alfonso, sposa del re di Polonia.

Privo di averi, oppresso dalla sorte avversa, il M. lasciò Napoli e si recò in Calabria, dove accettò l’ospitalità del nipote Francesco d’Aragona Piccolomini, vescovo di Bisignano. Sposò l’erede di un’importante famiglia calabrese, Franceschella Lentini, figlia del barone di San Calogero e di Calimera, discendente da Alaimo Lentini, uno dei promotori del Vespro. Dalle nozze, avvenute a Tropea – da cui avrebbe avuto origine il ramo Marzano di Monteleone – nacquero quattro figli: Marino, morto bambino; Stefano, che sposò Anna Suriano di una nobile famiglia di Crotone; Scipione, che sposò Vittoria Grimaldi nobildonna genovese e si stabilì a Seminara; il primogenito Roberto, che sposò prima Violante Tocco di Tropea e poi Giulia Concublet figlia di Covella Ruffo e del marchese d’Arena.

Il M. passò quindi a Mesiano, tra gli stenti. Amareggiato dalle ristrettezze e dal confronto con fasti e successi dei suoi avi, decise di cambiare l’arme di famiglia: la croce nera potenziata in campo d’oro fu sostituita con un leone rampante che tra le zampe alzate tiene una croce nera potenziata, allusione alla rassegnazione e alla forza d’animo con le quali il M. sosteneva miserie e difficoltà impostegli dalla vita (i discendenti, non molto tempo dopo, ripresero lo stemma principale della casa).

Dopo un nuovo scontro tra Francesi e Spagnoli, Ferdinando il Cattolico, giunto a Genova il 1° nov. 1506, si recò a Napoli dove fu convocato un Parlamento generale con tutti i baroni: in quell’occasione il M. – che continuava a risiedere in Calabria – costituì suoi procuratori il nipote vescovo di Bisignano e il maggiordomo Antonio Martorano, barone di Cannalonga, per prestare in suo nome omaggio al re. Anche a Ferdinando II, come ai sovrani che lo avevano preceduto, il M. fece arrivare la sua voce per reclamare il possesso delle proprietà paterne e – ricordo di un passato illustre di fronte a un presente misero – si intitolava «duca di Sessa, conte di Squillace, principe di Rossano, conte d’Alife e conte di Montalto». Nemmeno questa volta le sue richieste trovarono ascolto.

Secondo Campanile il M., persa ogni speranza di restituzione dei beni di famiglia, certo che nemmeno i suoi figli sarebbero riusciti a riottenere le proprietà, tentò un’altra via: nel 1508 – a fare sì che a qualcuno dei parenti fosse concessa almeno parte dei feudi – fece donazione del principato di Squillace, con le terre pertinenti, a Gismondo, figlio di Giovanni Antonio Marzano, sperando che il re acconsentisse alla donazione; ma Ferdinando il Cattolico rifiutò di convalidarla.

A Campanile si devono notizie riguardanti la parte finale della vita del M., smentite da altri storici: alla venuta nel Regno di Carlo VIII, il M. sarebbe stato liberato da Ferdinando II e portato a Mazara in Sicilia, dove avrebbe sposato Costanza d’Avalos, vedova di Federico Del Balzo; si sarebbe quindi recato a Roma e qui avrebbe vissuto grazie all’aiuto di Giovanni Giordano Orsini; sarebbe morto senza figli.

È probabile che il M., stanco di una vita di stenti e amarezze, sia morto poco dopo; secondo alcuni studiosi avrebbe vagato per il Regno, e sarebbe morto a Bracciano nell’agosto 1508.

Fonti e Bibl.: I Diurnali del duca di Monteleone, a cura di M. Manfredi, in Rer. Ital. Script., 2ª ed., XXI, 5, p. 208; G.G. Pontano, De bello Neapolitano…, Neapoli 1509; Id., Le guerre di Napoli…, Venetia 1544, p. 82; J. Zurita, Anales de la Corona de Aragón, a cura di A. Canellas López, VII, Zaragoza 1977, pp. 525 s.; S. Ammirato, Delle famiglie nobili napoletane, Fiorenza 1580, I, p. 191; F. Campanile, Dell’armi, overo Insegne dei nobili…, Napoli 1618, p. 141; Ph. de Commines, Delle memorie…, Venezia 1640, pp. 245 s.; F. Della Marra, Discorsi delle famiglie estinte, Napoli 1641, pp. 254 s.; G.A. Summonte, Dell’historia della città e Regno di Napoli, III, Napoli 1675, pp. 439, 449; G.B. Marzano, Memorie storiche intorno alla famiglia Marzano, Pisa 1874, pp. 16, 20, 22-26; Regis Ferdinandi primi Instructionum Liber, a cura di L. Volpicella, Napoli 1916, pp. 231, 242, 244, 363, 406; Storia di Napoli, Firenze 1974, IV, 1, p. 243; G. Galasso, Il Regno di Napoli. Il Mezzogiorno angioino e aragonese, in Storia d’Italia (UTET), XV, 1, Torino 1992, p. 664; Enc. biografica e bibliografica «Italiana», C. Argegni, Condottieri, capitani, tribuni, II, p. 233.