MASI, Giovan Battista

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 71 (2008)

MASI, Giovan Battista

Laura Turchi

– Nacque a Parma alla fine del 1574 o all’inizio del 1575, da Cosimo, segretario di Alessandro Farnese poi duca di Parma, e da Laura Costa da Pontremoli, primogenito di nove figli.

Non è noto se il M. abbia seguito il padre in Fiandra, mentre è sicuro che nel 1595 soggiornasse a Roma. Nel 1597 conobbe Clelia, figlia di Pomponio Torelli, conte di Montechiarugolo, governatore del duca Ranuccio Farnese e, come suo padre Cosimo, personaggio di spicco all’epoca di Alessandro Farnese. Il matrimonio combinato fra Clelia e il M. dai rispettivi genitori fu rinviato per volontà di Torelli, sia perché il M. conduceva vita indisciplinata sia perché era necessario prima trovare una moglie adatta a Pio Torelli, dichiarato erede dal padre con diritto di primogenitura. Clelia rimase pertanto a lungo educanda nel monastero delle suore di S. Agostino, fino al 1604, quando furono celebrate le nozze, seguite dalla nascita di un erede, Cosimo, e nel 1605 dalla morte della sposa.

Al periodo del lungo fidanzamento appartengono sia un quadro di Pomponio Torelli commissionato dal M. nel 1602 a Cesare Aretusi sia un lungo fascio di lettere scritte dal M. a Clelia (1602-03), nelle quali egli si lascia sfuggire imprudenti considerazioni sul duca e il suo governo, tacciandolo di tirannia.

Alla morte del padre (settembre 1600), che lo aveva dichiarato erede universale con diritto di primogenitura, il M. si trovò a doverne saldare gli ingenti debiti, che ammontavano a 431.649 lire di Parma, riuscendone a pagare 408.084.

Per far fronte a quella situazione il M. fu costretto a vendere, il 6 luglio 1604, il feudo di San Michele di Tiorre a Gian Antonio e Lelio Sozzi, oltre a molte terre allodiali ad Arola, Grattarola, San Lazzaro, Barbiano, Felino, San Michele di Sotto e l’utile dominio dei beni siti a Paderno, beni mobili e gioielli. Il 15 apr. 1606, per sanare pendenze derivanti ancora da operazioni finanziarie condotte dal padre, vendette al tesoriere generale Bartolomeo Riva una porzione del dazio grosso di Parma per il valore complessivo di 2156 lire di Parma, che era stata acquistata nel 1597 da Cosimo Masi. Nel 1599 il padre aveva inoltre manifestato l’intenzione di comprare il feudo di Felino per 29.500 ducati, di cui 10.000 da consegnarsi subito alla Camera ducale con l’avallo del duca. Il 15 marzo 1608 il M. portò a termine le intenzioni del padre e comprò la contea di Felino dal cardinale Francesco Sforza, ma essendo privo di liquidi fu costretto a chiedere al duca Ranuccio di farsi garante dell’operazione e di versare quindi in Roma a nome suo allo Sforza 27.000 scudi romani in nove rate semestrali da 3000 scudi. In cambio il M. cedette al tesoriere Riva il corrispondente dei canoni dovutigli dai contadini di Felino dando in garanzia tutti i propri beni.

Privo di un incarico a corte e impossibilitato a pagare i debiti contratti dal padre, nonché i propri con la Camera ducale per l’acquisto di Felino, legato a doppio filo ai Torelli – in modo speciale a Pio e Paolo, fratelli di Clelia –, il M. era, come loro, avversario del maestro di campo generale Nicolò Cesis. Dai Torelli fu coinvolto, ancora all’epoca del proprio fidanzamento, in numerose vicende penali, da cui lo salvarono soltanto l’intervento della madre e del futuro suocero. Il M. divenne anche un frequentatore della casa della contessa Barbara Sanseverino Sanvitale e di quella del conte Alfonso Sanvitale, entrando a far parte di quello schieramento nobiliare ostile al duca Ranuccio, alla sua disinvolta politica di acquisizioni e confische di beni feudali e alla normativa con cui Ranuccio andava limitando le prerogative della feudalità nel Ducato, a cominciare dalle Constitutiones del 1594.

Nel 1611 il nome del M. venne fatto nel processo intentato per stregoneria a Gragnano nel Piacentino contro Elena e Claudia Colla, già favorite ducali e accusate da un tribunale ducale appositamente costituito con la complicità del vescovo di Parma, Papirio Picedi, di malefici atti a impedire al duca di procreare. Il M. sarebbe stato il mandante dei malefici insieme con Alfonso Sanvitale, Pio Torelli e sua moglie Ginevra Bentivoglio, il conte Alberto Canossa e il conte Orazio Simonetta, secondo marito di Barbara Sanseverino Sanvitale. Quando il processo contro le Colla fu formalizzato nel 1614, la vita del M. si era però già conclusa.

Insieme con Pio Torelli, il M. era infatti stato il primo a essere coinvolto da Gianfrancesco e Alfonso Sanvitale nella congiura che costoro andavano preparando contro il duca tra il 1610 e il 1611 per evitare che entrasse in possesso di Colorno, antico feudo Sanseverino passato per via materna a Girolamo Sanvitale con l’assenso di Ottavio Farnese (1577). L’intenzione era di uccidere Ranuccio, prima durante il battesimo del principino Alessandro (nato nel 1610), poi mentre si trovava all’abbazia di Fontevivo, con poco seguito armato. I Sanvitale sostennero nelle loro confessioni che la motivazione del coinvolgimento del M. stava sia nella sua capacità di radunare uomini d’arme in Parma sia perché il sito di Felino, a sud di Sala (terra dei Sanvitale), consentiva di accogliere un buon contingente armato senza allontanarsi troppo dalla capitale.

Arrestato il 10 nov. 1611, il M. fu interrogato più volte a partire dal giorno seguente, finché il 3 genn. 1612 – per timore della tortura – confessò, venendo messo a confronto col cognato Pio Torelli, che costrinse a confessare a sua volta. Rispettivamente il 1° e il 30 dic. 1611 il M. aveva confessato la propria colpevolezza anche in altri due reati. In effetti, gli erano stati addebitati (ma senza essere provati), numerosi reati di sangue commessi fra il 1606 e il 1611; vennero invece provate dalle sue ammissioni una pasquinata contro la cortigiana Flavia Caraffina e un’ampia confessione scritta di suo pugno tre anni prima, in cui con sensibilità casuistica ammetteva ogni sorta di reati penali, sessuali e contro la religione. Fu condannato a morte insieme con Barbara Sanseverino Sanvitale, Girolamo, Gianfrancesco e Alfonso Sanvitale, Benedetta Pio, Pio Torelli, Girolamo da Correggio, Teodoro Scotti e Orazio Simonetta.

Il M. morì a Parma il 19 maggio 1612 decapitato sulla pubblica piazza insieme con altri sei fra i principali protagonisti della congiura e fu sepolto nell’oratorio di S. Giovanni Decollato in Parma.

Com’è noto, la congiura fu ordita in un momento di particolare tensione fra i Farnese e la Spagna. Mira del duca Ranuccio fu quindi sostenere di fronte alla Spagna e al papa che i congiurati avevano avuto l’appoggio di altri principi italiani, tutti nominati da Gianfrancesco Sanvitale, ossia i duchi di Mantova, Modena e il conte di Mirandola, sobillati da Carlo Emanuele I di Savoia in una segreta alleanza antispagnola; questo sarebbe servito non solo a rinsaldare i rapporti col re di Spagna, ma anche a giustificare l’entità delle confische predisposte dal tribunale ducale, presieduto dal consigliere Filiberto Piozasco, e di cui era però membro anche l’auditore camerale Fulgenzio Luzi. Con atto dell’11 dic. 1614 la madre del M. e il fratello Alessandro, che avevano cercato di salvare dalla confisca i beni dotali della donna e le prerogative patrimoniali dei fratelli e delle sorelle del M., nonché del figlio Cosimo, cedettero alla Camera ducale tutti i diritti su Felino; la Camera destinò quindi a pagare i debiti del M. e di suo padre tutti i beni allodiali della famiglia, posti a San Michele di Tiorre, Pannocchia, Torchiara, Corcagnano, Villa di Felino, Paderno, Sant’Agata Cortemaggiore e Roccabianca, tranne due possessioni a Pannocchia e una a San Michele di Tiorre.

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