BUONAMICI, Giovan Francesco

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 15 (1972)

BUONAMICI, Giovan Francesco

Giancarlo Savino

Nacque nel 1526 da Pietro di Matteo e da Clemenza Rocchi a Prato, dove la famiglia paterna si era trasferita nel sec. XV da Pimonte in val di Sieve. Della giovinezza niente si sa oltre al fatto che ebbe per maestro Agnolo Firenzuola. Percorse la carriera ecclesiastica ottenendo nel 1551 prima ancora dell'ordinazione sacerdotale, il titolo di canonico della collegiata pratese. Nello stesso anno, l'8 aprile, si laureò in utroque iure allo Studio di Pisa, dove per sei anni aveva seguito i corsi di eminenti professori, come Giovan Francesco Vergio di Pavia, Pietro Antonio di San Gimignano e i fiorentini Niccolò Guicciardini e Giovan Battista degli Asini.

La professione religiosa lo indusse a trasferirsi il 1º febbr. 1554 a Roma, dove si procurò l'amicizia di Antonio Massa da Gallese e la protezione del cardinale Federico Cesi, ambedue utili per l'assegnazione della pieve di Bacchereto da parte di Paolo IV il 23 maggio 1555, giorno dell'elevazione al pontificato, e anche per il mantenimento della pieve stessa di fronte all'opposizione del pratese Iacopo Polverini, auditore del duca Cosimo, che l'aveva reclamata per il figlio Giovanni. La sentenza sulla questione che ne nacque, pronunciata dal commissario apostolico Bartolomeo Giugni, fu favorevole al B. per l'interessamento dei suoi protettori, e anche per la morte dell'avversario.

Da Roma si allontanò il 23 sett. 1556 preoccupato dal pericolo che incombeva sulla città per la guerra tra il papa e Filippo II di Spagna (le truppe del duca d'Alba erano alle porte), tomando a Prato. La sosta nella sua città durò meno di un anno: nell'agosto del 1557 era chiamato a Orvieto al servizio del governatore monsignor Giovanni Battista Orsini, arcivescovo di Santa Severina in Calabria; per suo incarico e col titolo di vicario, il B. compì il lungo e difficile recupero delle terre calabre dell'arcivescovato occupate dai commissari regi del duca d'Alba. Dalla Calabria tornò a Roma il 3 nov. 1558 e raggiunse subito dopo a Fermo l'arcivescovo, cui già da tempo aveva comunicato la rinunzia al vicariato.

Per interessamento del Gallese tenne l'ufficio di vicario generale d'Imola per conto del cardinale Girolamo Dandino dal 15 febbraio al 4 dic. 1559 quando, nel corso del conclave, il cardinale morì. Fece appena in tempo ad arrivare a Prato che gli giunse, ancora dal Gallese, una nuova chiamata a Roma per ricevere il vicariato di Rieti. A Rieti rimase circa due anni, non senza disagio per il difficile carattere del vescovo Osio; tornò di nuovo a Roma il 12 genn. 1562. Il 10 maggio dello stesso anno ottenne il suddiaconato e il 23 il presbiterato; il 16 dicembre accettò sempre dal Gallese, infaticabile protettore, il vicariato della diocesi di Spoleto retta dal vescovo Fulvio Orsini; assunse il nuovo incarico il 30 maggio 1563.

Il desiderio di rivedere i vecchi genitori e i fratelli, dopo una lontananza da casa durata otto anni, lo spinse a tornare a Prato anche per una sosta assai breve, dal 1º al 25 nov. 1567. Intanto gli era giunto l'invito di assumere il vicariato di Padova, ma la prospettiva di un impiego più cospicuo e dei vantaggi che sarebbero potuti derivargli dall'influentissimo cardinal Pisani non bastò a fargli lasciare monsignor Orsini, da cui si allontanò solo ai primi del 1575 per ragioni di salute e con manifesto dispiacere del vescovo e del clero di Spoleto.

Tuttavia, era appena tomato a Roma che i cardinali del S. Uffizio lo inviarono commissario a Sermoneta in una causa per reati di apostasia, stregoneria, eresia e simonia. Finalmente nel 1579, rimasto vacante un posto di canonico nella sede arcivescovile di Firenze retta da Alessandro de' Medici, il B. ottenne la dignità canonicale e l'ufficio di primo penitenziere, subito convertito in quello più autorevole di vicario.

Il peso degli anni, che incominciava a farsi sentire, veniva attenuato da periodici riposi nella villa di famiglia a S. Gaudenzio e dall'indugio negli studi prediletti fin dall'adolescenza; il 6 ott. 1585 mandava al fratello Buonamico la Brieve storia della terra di Prato. Ma la salute, ormai da tempo vacillante, non poté essere più recuperata. Di ritorno a Firenze, dopo un effimero miglioramento, morì il 21 ott. 1587 e fu sepolto nella città natale nella chiesa di S. Agostino.

La vita del B. può essere ripercorsa attraverso l'autobiografia e le lettere che, provenienti dall'Archivio antico del Comune (Miscellanee e carte private, vol. 3), siconservano ora nell'Archivio di Stato pratese; la Brieve storia (giudicata benevolmente da Cesare Guasti) trovasi tra le carte Benini della Biblioteca Roncioniana. Il B. scrisse altresì poesie ed epigrammi latini (di cui qualche esempio si legge a stampa nella raccolta Carminum illustrium poetarum italorum, Firenze 1719-26, 113 c. 392), e, memore degli antichi insegnamenti del Firenzuola, compose anche rime in volgare. Saggi tuttora inediti sono reperibili nel ms. II. IV. 600 della Biblioteca Nazionale di Firenze e nel Moreniano 118.

Bibl.: G. M. Mazzucchelli, Gli Scrittori d'Italia, II, 4, Brescia 1763, pp. 2319; [C Guasti], Bibliogr. pratese compilata per un da Prato, Prato 1844, pp. 54-55; R. Nuti, Il can. G. F. B., in Arch. stor. pratese, XV (1937), pp. 26-35, 149-156.

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