MALVITO, Giovan Tommaso

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 68 (2007)

MALVITO (de Sumalvito), Giovan Tommaso

Valerio Da Gai

Figlio dello scultore comasco Tommaso, non si conosce la data della sua nascita, avvenuta a Como o a Napoli: nei documenti l'allocuzione "de Neapoli", città dove svolse gran parte della sua attività artistica, è sempre accompagnata da quella "de Como" o "de Coma". In alcuni casi ricorre solo quest'ultima indicazione (Abbate, 1974, p. 474).

La formazione avvenne verosimilmente nell'ambito della bottega paterna. Il 4 marzo 1506 s'impegnò, con altri quattro membri dell'atelier, a concludere entro il 15 maggio dello stesso anno un altare per Giovanni Miroballo, già avviato dal padre e destinato alla chiesa di S. Francesco a Castellammare di Stabia (Speranza). Il complesso scultoreo fu successivamente smembrato e ricollocato presso la chiesa di S. Maria di Loreto a Quisiana.

L'unica opera che si può riferire a lui con certezza è la Tomba per Giovannello de Cuncto, segretario dei re aragonesi, e la moglie Lucrezia Filangieri de Candida, nella cappella di S. Onofrio della chiesa di S. Maria delle Grazie a Caponapoli, eseguita tra il 1517 e il 1524.

Dai termini del contratto il monumento doveva avere come modello quello della cappella Caracciolo di Vico in S. Giovanni a Carbonara a Napoli, terminato dagli spagnoli Bartolomé Ordoñez e Diego de Siloe nel 1516; mentre l'umanista Jacopo Sannazzaro e l'architetto Giovanni Mormando avrebbero dovuto svolgere il ruolo di supervisori (Capasso; Bernich).

Secondo la critica il Sepolcro de Cuncto si colloca in un momento piuttosto avanzato dell'attività artistica del M., il quale aveva ormai acquisito piena autonomia rispetto agli stilemi della cultura paterna, legata ancora sostanzialmente a esperienze provinciali di derivazione lombarda. Dal punto di vista formale il M. mostra di avere meditato sui modelli del classicismo toscano e romano, quali Antonio Rossellino, Benedetto da Maiano (Morisani, 1941, p. 15) e Raffaello (Abbate, 1992, p. 59), affinando una particolare capacità nella rappresentazione della figura umana. È stato inoltre ravvisato nelle raffigurazioni dei defunti un modellato più incisivo e nervoso, avvicinato a quello di Ordoñez e di Siloe. L'idea di rappresentarli con il capo appoggiato a una mano in stato di pensoso abbandono, costituisce un'innovazione nell'ambito dell'iconografia funeraria a Napoli, precedentemente solo accennata nella tomba di Sante Vitaliano presso il chiostro di S. Maria la Nova, sempre da riferire all'officina malvitesca (ibid., pp. 79 s.).

Sulla base di tale opera è stata avviata la ricostruzione del suo catalogo, che ha ormai raggiunto una dimensione tale da far considerare il M. uno dei protagonisti della produzione scultorea a Napoli nei primi tre decenni del secolo.

La sua mano è stata innanzitutto rilevata nell'ambito dei cantieri diretti dal padre, almeno a partire dal Monumento sepolcrale per Francesco Carafa (1487), dove gli viene riferita la statua di S. Pietro, in cui però è riscontrabile ancora la rigidezza del tratto tipica del padre (Abbate, 1974, p. 493 n. 42).

Decisamente più ampio è stato giudicato il suo apporto nell'ambito della decorazione del succorpo del duomo di Napoli, eseguita tra il 1497 e il 1508 su commissione del cardinale Oliviero Carafa. In particolare gli sono stati attribuiti i putti reggistemma nel sottarco dell'ingresso dell'abside e il S. Aspreno sul soffitto (Id., 1992, p. 57). È ancora aperta la questione circa la paternità della scultura del cardinale orante, di mirabile intensità psicologica e finezza di modellato, che ormai esclusa dal catalogo del padre è stata invece assegnata al M. o a un artista romano (Id., 1981, p. 101).

Sempre di mano del M. sarebbero i due angeli che affiancano la Madonna della Misericordia nella lunetta del portale della chiesa dell'Annunziata (ibid., p. 94), ora rimontato presso l'ingresso del cortile dell'ospedale, eseguito nel 1500 dal padre con gli scultori Pietro Belverte e Giovanni da Nola. Del già citato altare Miroballo di Castellammare di Stabia, gli è stato riferito l'angelo orante di sinistra (Muñoz, p. 96; Speranza, pp. 262 s.).

Alla morte del padre, avvenuta verosimilmente nel 1508, il M. ne rilevò la bottega. Il passaggio di consegne potrebbe essersi determinato nell'ambito dei cantieri della Tomba di Ettore Carafa in S. Domenico Maggiore, che la critica ritiene sia stata ultimata nel 1511 dal M., e del già citato Sepolcro di Sante Vitaliano e di Ippolita Imparato nel chiostro di S. Maria la Nova (Morisani, 1941, pp. 17 s.; Abbate, 1992, pp. 70-72).

È stato ipotizzata una collaborazione, all'inizio del secondo decennio del Cinquecento, tra il M. e lo scultore Giovanni da Nola, probabilmente avviata per la Tomba di Galeazzo Pandone in S. Domenico Maggiore del 1514 (Abbate, 1977).

L'opera è stata attribuita al M. (Morisani, 1941, pp. 19 s.), eccetto che per la decorazione della lunetta da riferire al nolano (Abbate, 1977, p. 51). Tale collaborazione sarebbe stata continuata anche per il Sepolcro di Rainaldo Del Doce e successivamente per quello di Giovan Battista Del Doce (1519 circa) entrambi in S. Domenico Maggiore (Id., 1974, pp. 476, 493, n. 48).

Il Sepolcro di Aniello Arcamonio in S. Lorenzo Maggiore, sebbene documentato nel 1513 come di Antonino De Marco, presenta tali analogie formali e iconografiche con quello de Cuncto da far ritenere che il M. sia successivamente subentrato a De Marco nell'esecuzione dell'opera (Id., 1977, pp. 51, 53 n. 12, e 1992, p. 80).

Sempre in quegli anni il M. dovette completare le tombe di Gian Luigi Artaldo (Muñoz, p. 93) e di Troilo Carafa (Abbate, 1974, p. 493 n. 46).

Al 1517 invece è datato il Monumento sepolcrale di Giovanni Parrino in Ss. Severino e Sossio riferito al M. per le stringenti somiglianze riscontrate con quelli Artaldo e Arcamonio (Id., 1992, p. 8). Il M. con la sua bottega dovette inoltre operare presso il portale della chiesa dell'Annunziata di Aversa, commissionato nel 1518 da Jacopo Mormile (Pane, p. 150).

All'attività più tarda risalgono, invece, il Sepolcro per il vescovo Giovan Maria Poderico in S. Lorenzo Maggiore del 1525 (Abbate, 1992, p. 84 n. 31); quello di Giovan Jacopo Del Tocco nel duomo di Napoli (Morisani, 1941, pp. 18 s.), dove l'artista raggiunse esiti di grande intensità drammatica soprattutto nella raffigurazione del gruppo divino e nei due putti reggifiaccola; nonché i monumenti funebri per Leonardo Tomacelli in S. Domenico Maggiore e Paride Longobardo in S. Chiara, entrambi datati al 1529 (Abbate, 1977, pp. 51, 53).

Non si conoscono la data e il luogo di morte del Malvito.

Fonti e Bibl.: G. Filangieri, Documenti per la storia, le arti e le industrie delle provincie napoletane, III, Napoli 1885, pp. 89-91; IV, ibid. 1888, pp. 37 s., 149-153, 156; B. Capasso, Appunti per la storia delle arti a Napoli, in Arch. stor. per le provincie napoletane, VI (1881), 1, pp. 531-542; E. Bernich, Il monumento di Giovannello de Cuncto nella chiesa di S. Maria a Caponapoli e il suo architetto e scultore, in Napoli nobilissima, XIV (1905), pp. 151-153; A. Muñoz, Tommaso Malvito da Como e suo figlio G. T., in Bollettino d'arte, III (1909), pp. 89, 93, 95-98; O. Morisani, Saggi sulla scultura napoletana del Cinquecento, Napoli 1941, pp. 15-20; R. Causa, Contributi alla conoscenza della scultura del Quattrocento a Napoli, in Sculture lignee nella Campania (catal.), a cura di F. Bologna - R. Causa, Napoli 1950, p. 121; O. Morisani, Considerazioni sui Malvito da Como, in Arte e artisti dei laghi lombardi. Atti del Convegno, Varenna( 1957, a cura E. Arslan, I, Como 1958, pp. 270-274; F. Abbate, Problemi della scultura napoletana del Quattrocento, in Storia di Napoli, IV, Napoli 1974, pp. 474-477, 493; Id., Su Giovanni da Nola e G.T. M., in Prospettiva, 1977, n. 8, pp. 48-53; R. Pane, Il Rinascimento nell'Italia meridionale, II, Milano 1977, ad ind.; F. Abbate, Le sculture del "succorpo" di S. Gennaro e i rapporti Napoli-Roma tra Quattro e Cinquecento, in Bollettino d'arte, LXVI (1981), 11, pp. 89-108; Id., La scultura napoletana nel Cinquecento, Roma 1992, ad ind.; F. Speranza, La bottega di Tommaso Malvito e l'altare di Giovanni Miroballo a Castellammare di Stabia, in Studi di storia dell'arte, III (1992), pp. 257-278; C. Restaino, La certosa di S. Lorenzo: acquisti e proposte, in Archeologia e arte in Campania, Salerno 1993, pp. 177-179; A. Migliorato, Tra Messina e Napoli: la scultura del Cinquecento in Calabria da Giovan Battista Mazzolo a Pietro Bernini, Messina 2000, pp. 75-77, 86-88; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XXIII, p. 601.

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