GIOVANNI AGOSTINO da Lodi

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 56 (2001)

GIOVANNI AGOSTINO da Lodi (Pseudo Boccaccino)

Lucia Simonetto

Non si conoscono gli estremi biografici di questo pittore originario di Lodi, "filius quondam domini Antonii" (Shell, 1994); ma a giudicare dai pochi documenti rinvenuti e dalla sua produzione, dovette risiedere e operare tra Milano e Venezia nel periodo compreso fra l'ultimo decennio del Quattrocento e l'inizio del terzo del Cinquecento.

La provenienza lodigiana è certificata da una firma autentica ("Ioh[ann]es Augustinis laudesis") presente in un piccolo dipinto con i Ss. Pietro e Giovanni (Milano, Pinacoteca di Brera; Malaguzzi Valeri, 1912), da un'iscrizione, probabilmente cinquecentesca ("Joa Agustin da Lodi"), visibile su di un disegno, di ubicazione ignota, con la rappresentazione di una figura allegorica la cui autografia è incontrovertibile (Simonetto, 1988) e da due documenti (Boselli; Shell, 1995) nei quali si rivela la presenza nel 1504 e nel 1511, rispettivamente a Venezia e a Milano di "Maestro Augustino de Lode pictore" e di "Dominus magister Augustinus de Laude".

Il nome di G. non compare nelle antiche guide delle due città e neppure in altre fonti cinquecentesche, tradizionali punti di partenza per ogni indagine sulla pittura rinascimentale. Similmente, nessun documento o testimonianza pittorica è stata rintracciata fino a oggi nella cittadina lombarda.

Il pittore è tuttavia ben conosciuto dagli studiosi anche con il nome di Pseudo Boccaccino, appellativo inventato da Bode, e perpetuato dai più dubbiosi (Suida, 1956; Zeri) sulla sua reale identità quale consueto riferimento dell'artista fino a oggi.

Lo studioso tedesco, partendo dall'unico dipinto datato (MCCCCC), la Lavanda dei piedi (Venezia, Gallerie dell'Accademia), abbozzò per primo un minuscolo catalogo di opere (undici) strettamente legate fra loro, riconducibili a un anonimo autore lombardo, chiaramente influenzato da Leonardo, della scuola di Boccaccio Boccaccino. Di qui l'origine del soprannome.

L'elenco delle opere di G. fu in seguito ampliato con l'apporto di altri studiosi (Thode; Frizzoni, 1897, 1909; Paoletti - Ludwig; Berenson, 1907; Fogolari; Gamba; Suida, 1920, 1929; Salmi; Bercken) agevolati, anche in tempi più recenti (Suida, 1956; Berenson, 1968; Binaghi Olivari; Moro), dalla particolare facilità di attribuzione dei suoi lavori. Dopo un primo tentativo di riconoscerlo in Niccolò Appiani (Lermolieff; Elenco…; Ricci; Malaguzzi Valeri, 1908; Frizzoni, 1909; Suida, 1929) - misterioso pittore al quale finora nessuna opera è stata attribuita con certezza (Shell, 1995) -l'identificazione, corretta e definitiva, avvenne solo nel 1912, quando Malaguzzi Valeri scoprì nella collezione Bazzero di Milano l'unico dipinto firmato di G., i Ss. Pietro e Giovanni (Milano, Pinacoteca di Brera), che corrisponde totalmente ai modi e allo stile dello Pseudo Boccaccino e del quale già si conosceva la copia, oggi a Monaco (Alte Pinakothek; Suida, 1907; Frizzoni, 1909). È invece priva di ogni fondamento l'identificazione di G. con quell'Agostino Milanese menzionato da Lomazzo (Trattato dell'arte, Milano 1584, in Scritti sulle arti, a cura di R.P. Ciardi, II, Firenze 1973-74, p. 236) come discepolo del Bramantino (Bartolomeo Suardi), autore, con Bernardino Zenale, degli affreschi per la cappella della Maddalena nella chiesa del Carmine di Milano (Diz. biogr. degli Italiani, I, Roma 1960, p. 485, s.v. Agostino Milanese) avanzata in un primo tempo da Modigliani e sostenuta anche di recente da Moro. O ancora quella di Boselli, che replicando l'opinione di Lanzi (Storia pittorica della Italia [1809], a cura di M. Capucci, II, Firenze 1970, pp. 289, 296 s.; III, ibid. 1974, p. 40) lo riconosce identico a quell'Agostino delle prospettive, bolognese, ricordato dalle fonti (A. Masini, Bologna perlustrata, Bologna 1666, p. 612) come famoso pittore prospettico attivo intorno al 1525, lo stesso che, secondo J. Schlosser (Die Kunstliteratur [1924], Firenze 1977, p. 145), avrebbe insegnato a Dürer nel 1506 la "prospettiva occulta". Tale congettura avrebbe portato Gioseffi a sopravvalutare la reale portata storica di G. che, a conferma di una tendenza (Lucco, 1978; Moro) contrastata più volte da Ballarin (1995), fu considerato il tramite più diretto del leonardismo a Venezia, in rapporto alla formazione di Giorgione (Giorgio da Castelfranco).

Il dibattito sullo svolgimento dell'attività artistica di G., iniziato con rigore scientifico nel corso di due giornate di studio dedicate al pittore (Padova, 11 giugno 1985; Milano, 15 apr. 1988), e che ha fornito agli studiosi preziose informazioni su cui lavorare, è tuttavia lontano dall'essere concluso. Dubbi e incertezze campeggiano ancora sulla scansione cronologica delle sue opere a causa, principalmente, delle poche date certe.

Il più antico documento ricollegabile, sia pure per via indiretta, alla prima attività veneziana di G. - la Pala dei barcaroli ora nella chiesa di S. Pietro Martire a Murano - è datato 25 marzo 1492, e riguarda un accordo, già stabilito a voce il 9 nov. 1491, fra i "barcaroli del traghetto", proprietari del dipinto, e i padri agostiniani di S. Cristoforo dell'isola omonima per la costruzione del loro altare nella chiesa (Simonetto, 1988). La commissione ufficiale, di cui però nulla sappiamo, dovette seguire di lì a poco.

Primo incarico pubblico di G., la Madonna col Bambino in trono fra i ss. Giovanni Battista, Ambrogio, Agostino e Giorgio, manifesta una formazione milanese avvenuta sulla scorta di Donato Bramante, del Bramantino, di Leonardo e di Giovanni Antonio Boltraffio, amalgamata alla cultura figurativa veneziana di Antonello da Messina, di Giovanni Bellini e di Alvise Vivarini. Primo esempio, dunque, di fusione fra la tradizione veneta e le nuove esperienze prospettiche del Bramantino, l'opera è tuttavia estremamente importante anche perché ci conferma la presenza dell'artista a Venezia in anni precedenti al 1504, forse già nella prima metà degli anni Novanta (Id., 1983-84).

Ha così inizio una ragguardevole serie di opere eseguite, sia per le chiese, sia per i privati, in anni giudicati cruciali per la contemporanea presenza a Venezia di numerosi artisti "foresti" (Pietro Vannucci detto il Perugino, Boccaccio Boccaccino [Boccaccino Boccacci], Albrecht Dürer, Andrea Solario, Francesco di Paolo da Montereale), in parte lombardi di ascendenza leonardesca, e di Leonardo stesso.

La medesima radice bramantesca e bramantinesca compare anche nel S. Girolamo di Brescia (Pinacoteca Tosio Martinengo) e nei due santi del quadro firmato di Brera.

Il volto liscio e dolce di un giovane riccioluto, contrapposto a quello rugoso di un vecchio calvo, soggetto molto caro anche a Leonardo, appare in controparte, ma più ammorbidito nel segno, nella Lavanda dei piedi del 1500, la cui derivazione dal Cenacolo appare pacifica, e ne rappresenta anzi una prima risposta in chiave quattrocentesca e bramantinesca. Come pure da Leonardo proviene la rappresentazione di apostoli a mezza figura a gruppi di tre della quasi contemporanea Sacra conversazione (Venezia, Gallerie dell'Accademia), con la quale G. si mette in dialogo con Giorgione, che nello stesso giro di anni dipingeva Le tre età della Galleria Palatina di Firenze.

Il pittore, pur continuando a lavorare a Venezia, ma probabilmente grazie a saltuari rientri in patria, era in contatto con gli ambienti artistici di Milano. È questa, forse, la ragione che sta all'origine del suo linguaggio così singolare ed eterodosso. Solo in questo modo è possibile spiegare un'opera piuttosto eccentrica nel suo catalogo, come la Deposizione di Cristo (Poznań, Museo nazionale), eseguita poco dopo la Lavanda. Oppure l'Angelo annunciante e un Evangelista raffigurati nella portella d'organo oggi a Berlino (Gemäldegalerie). Questo è uno dei lavori più raffinati di G., per lo studio particolareggiato dei panneggi, il colore smagliante, i volti del tutto tipici. Contemporanei sembrano all'apparenza i Ss. Giovanni Battista e Girolamo (Venezia, sacrestia della chiesa di S. Stefano), per i quali Lucco (1996) scorge un rapporto anche più stretto.

Maturato dalle esperienze, nel corso dei primi anni del nuovo secolo, il linguaggio di G. appare progressivamente svilupparsi in senso dialettico con l'ambiente veneziano. Al naturalismo espressivo di Leonardo abbina una grazia nella composizione e una struttura paesaggistica aperta, la cui origine è sicuramente veneta nel segno di Giovanni Bellini e di Giorgione, e forse, nel caso del Matrimonio mistico di s. Caterina e donatore (Venezia, sacrestia della chiesa di S. Stefano), anche di Boccaccio Boccaccino (Ballarin, 1995).

Le figure, impostate a piramide sul primo piano, lasciano libero lo sfondo mentre compaiono gli avvenenti ritratti dei donatori. Sono spesso "sacre conversazioni" a mezza figura, concepite nello stesso tempo e con lo stesso proposito: l'uso devozionale privato, come documenta l'acquisto a Venezia il 14 dic. 1504 di un quadro di G., pagato 5 ducati d'oro da parte del gentiluomo bresciano Giovanni Paolo Averoldi (Boselli). Di questo dipinto si sono perse le tracce; sono tuttavia riferibili allo stesso periodo: la Madonna col Bambino tra due devoti (Napoli, Galleria nazionale di Capodimonte), la Madonna col Bambino, un donatore e due angeli (Venezia, Pinacoteca di S. Lazzaro degli Armeni), la Madonna col Bambino e un angelo (Gazzada, presso Varese, Museo di Villa Cagnola), la Madonna con il Bambino tra i ss. Giuseppe e Lucia (Berlino, Gemäldegalerie), e l'Adorazione dei pastori con l'angelo che suona il liuto (Allentown, PA, Allentown Art Museum), vero capolavoro, con il quale traduce, in modo del tutto personale, le influenze di Giorgione (Natività Allendale, Washington, National Gallery) e di Francesco Francia (Francesco Raibolini; Natività Bentivoglio, Bologna, Pinacoteca nazionale), congiungendo Venezia, Milano e Bologna (Ballarin, 1995).

La presenza folgorante di Albrecht Dürer (1505-07) e le sue opere lasciate nella città sono all'origine di quell'esplosione di cromatismo, di quella monumentalità di impianto delle figure avvolte in voluminosi drappeggi e di quelle stravaganze anticlassiche - elementi fra i più tipici del linguaggio di G. - visibili nel Trittico di Bribano (Belluno, Museo civico), che deve essere disancorato da quel 1502, anno della consacrazione dell'oratorio dei Ss. Nicolò e Rocco per il quale era stato eseguito, e più convincentemente avvicinato al 1506 circa.

Allo stesso momento dovrebbero appartenere anche la Madonna con il Bambino tra i ss. Simeone e Girolamo (Venezia, Gallerie dell'Accademia), alla quale si legano facilmente lo studio con la Testa di bambino a matita nera del Louvre (Baudequin); i Ss. Giovanni Evangelista e Matteo con l'angelo (El Paso, TX, Museum of art) e la Madonna col Bambino tra s. Girolamo e una santa, un angelo e un devoto di collezione privata (Simonetto, 1988, a cui si fa riferimento ove non diversamente indicato), nel quale le singolari rocce dello sfondo - una sorta di firma per molte opere di G. -, del tutto simili a quelle di due tavolette di Madrid (Paesaggio con Pan e Siringa e Paesaggio con Ladone e Siringa, Museo Thyssen-Bornemisza), finiscono per rivelare un nuovo, più moderno, interesse per il paesaggio, qui protagonista, derivato da Dürer, Giorgione e Lorenzo Lotto.

A questo punto la splendida Cena in Emmaus (Milano, collezione privata) si colloca a mezza strada fra la prima fase veneta e quella lombarda.

Unica opera su tela, raffinatissima nella tecnica (Natale), da una parte sembra dipendere da un modello, distrutto, di Giovanni Bellini, tradotto in seguito da Marco Marziale (1506, Venezia, Gallerie dell'Accademia e Berlino, Gemäldegalerie); dall'altra è probabilmente da mettere in relazione con un prototipo perduto del Salvator mundi e con la seconda redazione della Vergine delle rocce (Londra, National Gallery) di Leonardo, dalla quale deriva la rotazione prospettica della mano del Cristo. Alcuni personaggi in piedi presentano le caratteristiche dei ritratti reali; due disegni della Biblioteca Trivulziana di Milano sono stati giustamente messi in relazione con essi (Bora, 1987).

G. è documentato a Milano il 14 maggio 1511 e risulta abitare - come Marco d'Oggiono - nella parrocchia di S. Eufemia (Shell, 1995). Il rientro, che potrebbe coincidere, visti gli esiti artistici, con il ritorno di Leonardo nella città lombarda (1506-13), era tuttavia già ipotizzabile all'altezza della Santa martire (Milano, collezione privata) e delle Ss. Maria Maddalena e Marta (Verona, Museo di Castelvecchio), parti laterali di un trittico (Simonetto, 1988) la cui provenienza è testimoniata dalle copie a figura intera conservate al Museo della Certosa di Pavia (Giacomelli Vedovello).

Tutte le opere di questo secondo periodo lombardo ruotano intorno a tre, o probabilmente, quattro importanti e prestigiose commissioni.

Si tratta della Cena in Emmaus (Milano, collezione privata), eseguita verosimilmente, viste le dimensioni, per il refettorio di un convento, non sappiamo però se veneto o della Lombardia; del Trittico della Certosa di Pavia, realizzato forse già allo scadere del primo decennio del secolo; della pala di S. Giacomo a Gerenzano (Varese), lavoro tra i più ampi della sua produzione con la quale porta in terra lombarda la tradizionale "sacra conversazione" veneta; e del polittico, commissionato dal vescovo di Bobbio Battista Bagarotti morto nel 1522 (termine ante quem; Simonetto, 1988), già sull'altare maggiore della chiesa milanese di S. Maria della Pace, di cui ci rimane l'Adorazione dei magi e il Battesimo di Cristo (Milano, Pinacoteca di Brera), dipinti in collaborazione con il coetaneo Marco d'Oggiono. La ricerca pittorica di G. di questi anni tende continuamente a forzare, in direzione anticlassica, espressiva ed eccentrica - generata dalle influenze nordiche e padane (fenomeni manifestati, peraltro, fin dalle opere più antiche) - i limiti convenzionali dell'insegnamento di Leonardo, trovando momenti di stretto contatto con i rappresentanti più famosi della sua scuola milanese.

Certamente lombarde sono altre opere di Giovanni Agostino.

Si possono ricordare: l'Adultera tra due sgherri nota già dal 1927 (Bergamo, collezione privata; Malaguzzi Valeri; Moro); la curiosa Salomè con la testa del Battista (Milano, Raccolta Gallarati Scotti) assegnatagli da Romano con una datazione intorno al 1512; la Sacra Famiglia in un paesaggio (già Oldenburg, Galleria granducale; Simonetto, 1988); l'Adorazione dei magi (già Londra, Collezione Graham); il singolare Martirio di s. Sebastiano (collezione privata); il Cristo e l'adultera (collezione privata); e la Sacra Famiglia di Parigi (Louvre). Alcuni di questi lavori si conoscono solo grazie a riproduzioni fotografiche, a volte molto vecchie e illeggibili. L'analisi ne risulta perciò limitata e compromessa.

Tre i ritratti: quello di Giovane con una freccia (già Genova, collezione Viezzoli) - soggetto molto caro a Boltraffio tradotto secondo i modi di Bramantino - si può accostare pacificamente ai personaggi della Cena in Emmaus (Milano, collezione privata), come pure quello di Giovinetta (già Milano, Raccolta Soranzo; Frizzoni, 1909) sorella della Santa martire (Milano, collezione privata) del Trittico della Certosa e perciò concepito nello stesso tempo; il Ritratto di uomo del Metropolitan Museum of art di New York (Gardner) è, invece, in bilico tra Bartolomeo Veneto, Altobello Melone, Bernardino de' Conti e Andrea Solario.

Pregevoli e insolite sono alcune Madonna colBambino, in particolare quella di Baltimora (Walters Art Gallery) fortemente mutuata da Bramantino; quella di Nashville (George Peabody College for teachers) più veneta, affine alle due tavolette di Madrid (Museo Thyssen-Bornemisza) e forse per questo precedente, e quella più tarda di Milano (Pinacoteca di Brera), dalla colorazione potente e luminosa, impreziosita e intensificata da un tratteggio dorato sul velo della Vergine tipico dei lavori conclusivi di G., quali la Santa martire e s. Maria Maddalena e la Pietà, entrambe in collezione privata (Simonetto, 1988).

Non sembra da escludere un breve rientro a Venezia anche all'epoca della tarda Pietà con i ss. Giovanni Evangelista e Girolamo e donatore (Venezia, Galleria Franchetti, Ca' d'oro), dove si può scorgere una sorta di revival dei motivi bramantineschi e principalmente veneti riferibili al secondo decennio del secolo.

Il più importante conoscitore dell'opera grafica di G. è stato Pouncey (Simonetto, 1988). A lui si deve la maggior parte delle attribuzioni dopo quelle iniziali del Suida (1920, Busto di giovane con lunghi capelli, Venezia, Gallerie dell'Accademia) e di Ragghianti (Angelo annunciante, Rennes, Musée des beaux-arts et d'archéologie).

Sono spesso disegni a gesso rosso - tecnica usata da Leonardo negli anni del primo soggiorno milanese - raffiguranti piccoli studi di volti ripresi dalle più varie angolazioni e a volte con chiari intenti realistici. Alcune di queste attribuzioni, riferibili alla prima attività veneziana di G. (Testa di vecchio di profilo e Testa di giovane di tre quarti, New York, Pierpont Morgan Library, Janos Scholz Collection; Testa di giovane sorridente, Cambridge, MA, Harvard University, Fogg Art Museum; Testa di giovane di tre quarti, Parigi, Louvre), dal raffinato chiaroscuro sfumato, evidenziano un forte leonardismo in buona parte perduto nella stesura a olio. Uno studio a gesso rosso con Due teste di bimbo e di giovinetto (Milano, Biblioteca Ambrosiana) è collegabile al bambino della tavola centrale del Trittico di Bribano. Gli altri disegni assegnati da Pouncey a G. sono: il Busto di ragazzina di fronte (ibid.); la Figura maschile (Chatsworth, Devonshire Collection) avvicinabile alla Cena in Emmaus; la Figura maschile di profilo rivolta a destra e il Profilo maschile rivolto a sinistra (Milano, Biblioteca Ambrosiana), il Busto virile di tre quarti (Dresda, Staatliche Kunstsammlungen, Kupferstich-Kabinett). Significative sono pure le attribuzioni di Baudequin: il Volto maschile di tre quarti di ubicazione ignota, e la Figura maschile di tre quarti venduta da Christie's (Londra, 19 apr. 1988) pubblicate da Bora (1998).

Non si conosce l'anno di morte di Giovanni Agostino da Lodi. Tuttavia la sua attività non dovette andare oltre il terzo decennio del Cinquecento (Simonetto, 1983-84). La Fiorio (1998) ha ultimamente ipotizzato, senza alcun sostegno documentario, che G., come Marco d'Oggiono, Andrea Solario e forse Bernardino de' Conti, morì di peste a Milano nel 1524.

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