BOVIO, Giovanni Antonio

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 13 (1971)

BOVIO, Giovanni Antonio

Gaspare De Caro

Nacque a Bellinzago Novarese dopo il 1560. Il 29 giugno del 1589 entrò nell'Ordine carmelitano, vestendone l'abito nel convento di Asti. Secondo il Serry, avrebbe fatto parte in precedenza della Compagnia di Gesù, ma la notizia non è confermata e non pare probabile: forse fu suggerita al Serry dalle esplicite simpatie gesuitiche del B. e dalle posizioni assunte poi da lui nella controversia teologica tra gesuiti e domenicani a proposito dell'opera del Molina. Divenuto maestro di teologia, insegnò nei conventi dell'Ordine a Milano, Napoli e Roma. Fu quindi chiamato alla cattedra di metafisica della Sapienza e in tale qualità divenne ben noto a Clemente VIII, che lo nominò membro della Congregazione dell'Indice.

A questo periodo di insegnamento vanno riferiti probabilmente alcuni scritti del B. ricordati dai suoi biografi e rimasti peraltro inediti: Annotazioni alle opere teologiche del carmelitano Giovanni Bacone, un De speculorum admirabili virtute tractatus e In universam philosophiam commentaria.

Avocata a Roma dal papa la questione dell'ortodossia di Luis de Molina e della sua opera sulla Concordia liberi arbitrii cum gratiae donis, che aveva già suscitato in Spagna aspre polemiche tra gesuiti e domenicani, e costituita sotto la presidenza del cardinale Ludovico Madruzzo la speciale commissione consultiva "De auxiliis", incaricata di riferire al pontefice sui termini della polemica teologica, il B. fu chiamato a farne parte il 13 marzo del 1598, quando già la commissione era al lavoro da due mesi, probabilmente per equilibrare la preponderanza dei partigiani dei domenicani, che al principio era stata assoluta. In effetti il B. ebbe un peso rilevante nelle discussioni della commissione, e più ancora nei risultati dei lavori.

Sebbene in minoranza, insieme con il procuratore generale degli agostiniani Giovanni Battista Piombino, egli fronteggiò validamente gli orientamenti sfavorevoli al Molina degli altri membri della commissione, opponendo alla condanna domenicana forti riserve di pertinenza alle specifiche formulazioni del teologo spagnolo e ottenendo così da Clemente VIII che i gesuiti, sino allora rimasti ufficialmente estranei ai lavori della commissione, fossero direttamente ascoltati da essa. Tuttavia la commissione concluse i suoi lavori, il 31 ag. 1601, confermando la sua opposizione alle tesi del Molina, senza però che Clemente VIII si decidesse a una condanna definitiva.

La partecipazione alla controversia non estraniava tuttavia il B. dalla vita dell'Ordine: nel 1600, infatti, era stato eletto provinciale d'Inghilterra, carica meramente onorifica, naturalmente, poiché i rapporti dei carmelitani con i cattolici inglesi erano allora puramente teorici, ma che sembra testimoniare la solidarietà dell'Ordine con il B., impegnato nelle dure polemiche della commissione. In questo stesso anno era stata anche pubblicata a Venezia una versione italiana condotta dal B. di uno scritto dello spagnolo J. Gracián, Della disciplina regolare.

Riaperte da Paolo V le discussioni sulla dottrina del Molina, e più in generale sulle interpretazioni contrapposte dei gesuiti e dei domenicani della questione della grazia, il B. rinnovò l'antica, tenace difesa delle posizioni gesuitiche. Ancora una volta, al momento della conclusione dei lavori, alla fine del 1606, il B. rimase in minoranza nella commissione, anzi ora addirittura fu il solo ad opporsi alla condanna del Molina che coinvolgeva l'intera dottrina gesuitica della grazia. Il suo parere fu articolato nelle opere Ad examen primum libri Molinae de concordia septem scripta, che rimase inedita; Epistola ad Paulum V,qua suam definienda auxiliorum controversia sententiam dicit, che fu pubblicata ad Anversa nel 1609, e Idea Bullae iussu Pauli V Pontificis Maximi meditatae,pro finienda auxiliorum controversia, edita a Roma nel 1606.

Il B. caldeggiava una decisione moderata da parte del papa, che consentisse alle diverse correnti ideologiche di continuare a coltivare le proprie opinioni sulla questione della grazia, che egli non riteneva ancora sufficientemente matura perché si potesse arrivare a una definizione univoca. Il B. suggeriva inoltre considerazioni di opportunità che dovevano avere la più grande influenza sul pontefice: riteneva infatti il B. che la condanna delle posizioni gesuitiche consigliata dagli altri membri della commissione avrebbe irreparabilmente compromesso il prestigio della Compagnia di Gesù, che era pur sempre all'avanguardia nella difesa e nella propagazione della fede, sollevando e in parte anche autorizzando gli attacchi degli eretici. Del resto egli stesso confessava notevoli perplessità a proposito della dottrina domenicana della volontà libera, mentre gli sembrava che l'interpretazione gesuitica, nelle stesse formulazioni del Molina, non fosse così esposta ai dubbi ed alle difficoltà dei teologi imparziali. Perciò il B. consegnava al pontefice il citato Idea Bullae, abbozzo di un documento pontificio definitorio soltanto delle dottrine che incontravano il consenso unanime di tutte le scuole teologiche cattoliche, in modo da lasciare "perire la memoria di questa contesa, che tutti i buoni desidererebbero non fosse mai sorta" (Pastor, XII, p. 177): conclusione soltanto apparentemente oggettiva e disinteressata, poiché proprio i gesuiti accusavano i domenicani di aver messo a rumore il mondo cattolico con i loro violenti attacchi al Molina.

Nonostante la sua posizione minoritaria, il parere del B. - anche per gli interventi di Roberto Bellarmino e di Francesco di Sales in favore di una conclusione moderata della vicenda - ebbe la più grande influenza sul pontefice, che in effetti lo accolse come base per la sua soluzione della controversia.

Un altro rilevante contributo alle polemiche che impegnarono il pontificato di Paolo V il B. diede intervenendo a più riprese nella vicenda sarpiana. Il B. esordì nella "guerra di scritture" replicando al Trattato dell'interdetto del Sarpi con una Risposta... alle considerazioni del P. M. Paolo da Venezia,sopra le censure della Santità di papa Paolo V contra la Repubblica di Venetia, pubblicata a Roma nel 1606 e ristampata a Colonia l'anno successivo, nella quale respingeva puntualmente le interpretazioni canonistiche e giurisdizionali del teologo della Repubblica veneta sulla questione del foro ecclesiastico, dei benefici, dell'Indice e del diritto d'asilo, ribadendo la validità delle ragioni pontificie e sostenendo la necessità dell'interdetto, per concludere con una esortazione "ai fratelli e padri in Cristo dilettissimi, a non cercare scuse nei peccati, ma a conoscere oramai la verità e provvedere ai casi propri".

Al B. replicò il principale discepolo e collaboratore del Sarpi, il servita Fulgenzio Micanzio, con uno scritto che fu il più importante tra quelli redatti in difesa del Trattato sarpiano, e al quale del resto lo stesso Sarpi non fu estraneo, la Confirmatione delle considerationi del P. M. Paolo di Venetia contra le oppositioni del R. P. M. Gio. Antonio Bovio, pubblicata a Venezia nel 1606. La replica del Micanzio non mise a tacere il B., il quale anzi si sentì indotto a rinnovare la polemica dal fermo atteggiamento del doge e del Senato veneziano, che sembravano respingere ogni esortazione alla moderazione e al compromesso. La risposta del B., in forma di lettera al priore del convento carmelitano milanese, fu immediata e apparve alle stampe contemporaneamente a Milano, Ferrara e Firenze, in quello stesso anno 1606, col titolo di Lettera... al reverendo padre maestro Paolo Rocca... nella quale si discorre per modo di annotazioni sopra a due lettere del Doge et Senato di Venezia:l'opera tuttavia non aggiunge molto allo scritto antisarpiano precedente, sebbene le sue numerose edizioni contemporanee testimonino che nella Curia pontificia le si dovette attribuire una notevole efficacia propagandistica.

Il 29 genn. 1607 Paolo V elesse il B. alla dignità episcopale, assegnandogli la diocesi di Molfetta. A questa promozione il teologo carmelitano era destinato già da qualche tempo: se ne parlava infatti apertamente in Curia sin dal periodo dei grandi dibattiti dell'anno precedente nella commissione "De auxiliis", ed era del resto un degno premio alle fatiche polemiche del B., anche se al momento della nomina il pontefice decurtò la mensa vescovile rnolfettese della rilevante somma di 1.000 ducati d'oro annui. Eppure rimane il dubbio che sotto l'apparenza del premio il vescovato molfettese costituisse per il B. un vero e proprio esilio: è sorprendente infatti che un teologo e un polemista di così sperimentato valore si allontanasse definitivamente dalla Curia e non partecipasse più in seguito alle polemiche dottrinali e giurisdizionali, né avesse più alcun incarico di rilievo al di fuori dei suoi compiti pastorali nella piccola diocesi pugliese; ma sulle ragioni di questo definitivo appartarsi del B., e su una sua eventuale disgrazia presso il pontefice e la Curia, nonesistono notizie.

A Molfetta il B. prese subito ad assolvere con molto zelo ai suoi doveri episcopali: nel giugno del 1608 emanò infatti un editto De vita et honestate clericorum, immancabile manifesto di buoni propositi riformatori, e nel 1609 convocò il sinodo diocesano. In realtà la sua amministrazione della diocesi non ebbe alcun episodio di rilievo e trascorse per un quindicennio in una tranquillità opaca che doveva suggerire al B. penosi raffronti con lo splendore della corte romana e con l'eminenza dei compiti affidatigli dalla Curia. Solo conforto doveva essergli l'erudizione: è rimasta una sua Breve historia dell'origine,fondazione e miracoli della divota chiesa di Santa Maria de' Martiri di Molfetta, che fu pubblicata postuma, a Napoli nel 1635, da G. de Luca.

Morì a Molfetta il 12 ag. del 1622.

Fonti eBibl.: P. Sarpi, Istoria dell'interdetto e altri scritti editi e inediti, a cura di G. Gambarin, Bari 1940, III, p. 256; J. H. Serry, Historia congregationum de auxiliis divinae gratiae sub summis Pontificibus Clemente VIII et Paulo V, Antverpiae 1709, App., pp. 141-156; C. de Villiers, Bibliotheca carmelitana, I, Orléans 1752, coll. 729-731; G. M. Mazzuchelli, Gli Scrittori d'Italia, II, 3, Brescia 1762, p. 1924; G. De Luca, Storia di Molfetta, Giovinazzo 1884, pp. 12, 17; F. Scaduto, Stato e Chiesa secondo fra' Paolo Sarpi e la coscienza pubblica durante l'interdetto di Venezia del 1606-1607, Firenze 1885, pp. 158 s., 183 s.; L. Apostolo, G. A. B. di Bellinzago Novarese,vescovo di Molfetta, Novara 1901; L. von Pastor, Storia dei papi, XI, Roma 1929, pp. 562 s.; XII, ibid. 1930, pp. 174-177; P. Gauchat, Hierarchia catholica..., IV, Monasterii 1935, p. 238.

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