MAGINI, Giovanni Antonio

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 67 (2006)

MAGINI, Giovanni Antonio

Ugo Baldini

Nacque a Padova il 14 giugno 1555. Della famiglia, non agiata, sono noti solo i nomi del padre, Pasquale, e di un fratello, Sebastiano. In una lettera a G. Galilei del 19 dic. 1610 (in Ed. naz. delle opere di G. Galilei, X, p. 492) M. Hasdale affermava che il M. aveva studiato medicina a Padova, ma il suo nome non compare nella matricola dell'ateneo (che però ha lacune intorno al 1580). Di certo si laureò in arti a Bologna il 10 giugno 1579.

La laurea a Bologna influì forse sugli interessi del M., perché delle due cattedre di matematica, quella tenuta da E. Danti verteva su astronomia e astrologia. Il M. si mosse poi in quest'area, il che potrebbe denotare un influsso di Danti, ma non accennò mai a un rapporto con lui. Fu forse in parte autodidatta, perché nelle Ephemerides si disse cultore di astronomia "ab ineunte adulescentia" e dalle prime opere mostrò possesso totale delle tecniche di calcolo di Copernico e di E. Reinhold, poco presenti in Danti.

Anche per gli anni Ottanta, pur segnati dalle prime pubblicazioni, manca documentazione. Probabilmente il M. insegnò privatamente tra Bologna e il Veneto. Nel 1582 pubblicò a Venezia, presso D. Zenaro, le Ephemerides coelestium motuum ad annos XL, ab anno Domini 1581 usque ad annum 1620.

L'opera, non basata sulle tavole alfonsine ma sulle Prutenicae di Reinhold, usate solo in parte dal matematico G. Moleto, fu la migliore del genere in Italia (forse in Europa) nel tardo Cinquecento, rivelando nel M. un calcolatore di primo livello. A una Animadversio contro le Ephemerides novae di J. Stade (Colonia 1560) seguirono due trattatelli, sulle basi dell'astrologia e l'uso delle effemeridi, stampati a parte in italiano (Introduzioni astrologiche, Venezia 1582) e infine le effemeridi annue, quasi solo astronomiche. L'opera ebbe diverse edizioni e ristampe latine e italiane, alcune abbreviate (Venezia 1583, 1599, 1607, 1609, 1612, 1616; Francoforte 1608, 1610).

Nel 1585 il M. pubblicò a Venezia, sempre presso D. Zenaro, le Tabulae secundorum mobilium coelestium sui moti dei pianeti, che dedicò a Gregorio XIII e al figlio Giacomo Boncompagni. Quando, morto Danti, il Senato di Bologna cercò un successore, egli si candidò insieme con Galileo, che ebbe sostenitori autorevoli; tuttavia il 4 ag. 1588 fu scelto il M., appoggiato da C. Clavio, matematico del Collegio romano, conosciuto nel 1585.

La scelta non fu miope: agli estesi lavori del M., funzionali ai programmi della cattedra, Galileo opponeva solo alcuni teoremi inediti su centri di gravità di solidi. E presto il M. si fece valere: nel 1592 fu confermato per sei anni con stipendio accresciuto; nel 1597 a vita, con un altro aumento di stipendio; nel settembre del 1610, quando, partito Galileo da Padova, gli fu offerta la sua cattedra, ottenne a Bologna un'ulteriore gratifica per la stampa delle opere.

Nello Studio di Bologna il M. trattò, in cicli triennali, la geometria euclidea, la teoria dei pianeti e l'Almagesto (note sul libro III degli Elementi sono a Milano, Biblioteca Ambrosiana, Mss., A.71.P inf., cc. 97-106). Tenne corsi privati e formò allievi (G. Aleni, poi missionario gesuita in Cina, A. Ronco, G. Capponi, G.A. Roffeni, A. Zoboli); alcuni, come il maestro, pubblicarono pronostici astrologici annui, detti "taccuini".

Il docente di astronomia era tenuto a pubblicarli, per uso civico; il M. lo fece con pseudonimi, cosicché ne è noto uno solo, stampato a nome Lodovico Bonhombra (Discorso astrologico delle mutationi de' tempi, et de i più notabili accidenti sopra l'anno 1607, Bologna 1607). Anche in questo testo il M. superò i canoni usuali, affermando la necessità di calcoli esatti e del confronto tra figure astrali ed eventi climatici per serie prolungate di anni. Restano invece più di trenta traduzioni di altri suoi pronostici (spesso manomessi, riferiti ad anni successivi o tratti dalle Ephemerides) apparsi in Germania, Olanda e Inghilterra fino al secolo XVIII, che fecero di lui quasi un emblema del genere.

Nell'opera successiva, Novae coelestium orbium theoricae (Venetiis, D. Zenaro, 1589; ristampata a Magonza nel 1608), tentò di inquadrare nel cosmo geocentrico fenomeni e misure astronomiche introdotti da Copernico, aggiungendo una sfera celeste alle dieci tradizionali. L'aumento del numero delle sfere, in atto dal Medioevo, appariva ormai a molti un espediente ad hoc, ma per i difensori del geocentrismo era una strada obbligata; perciò la proposta del M. fu accolta da Clavio ed ebbe successo fino all'ascesa del modello di T. Brahe.

Nel 1589 visitò a Mantova la biblioteca del duca, Vincenzo Gonzaga, ricca di opere scientifiche, e la sua raccolta di strumenti. Pensò allora di offrire al duca i propri servigi e gli dedicò un'opera di trigonometria (De planis triangulis liber unicus, De dimetiendi ratione per quadrantem, et geometricum quadratum, libri quinque, Venetiis, B. Ciotti, 1592), alla quale erano uniti uno scritto su due strumenti matematici di sua concezione e una Tabula tetragonica, che circolò anche isolata.

Oltre ad alcuni risultati notevoli, l'opera usò il punto (o virgola) per separare le parti intera e decimale di un numero; l'uso fu anche in Clavio, ed è incerto chi lo introdusse, ma certamente le opere del M. lo diffusero. Il De dimetiendi ratione è parsa la migliore opera italiana di trigonometria applicata prima del sec. XVII.

Nel 1590 Gellius Sascerides, un emissario di Brahe, recò al M. il De mundi aetherei recentioribus phaenomenis, chiedendogli di fare osservazioni per Brahe. A tal fine il M. realizzò un sestante, oltre al quadrante e al quadrato geometrico descritti nel De dimetiendi. Di questi strumenti realizzò più esemplari (un quadrante quasi identico con il suo nome è a Oxford; uno fu a Stoccolma; uno di attribuzione meno certa è a Amburgo). Essi (uno fu costruito da un olandese, Arnoldus de Arnoldis) sono notevoli per concezione e finezza di gradazione; scale trigonometriche sul retro ne consentivano l'uso per misure.

Il rapporto con Brahe definisce il M. nella scienza italiana, in particolare rispetto a Galileo. Nel De planis triangulis lodò l'"hypothesis" geo-eliocentrica di Brahe (senza accettarla apertamente) e il suo piano di osservazioni accurate, anche se la loro esposizione (nei Progymnasmata del 1602) avrebbe minato le basi delle sue effemeridi e tavole e il sistema delle Novae theoricae. Indusse poi Clavio a rinviare un'opera di teoria dei pianeti in attesa delle nuove misure.

Tuttavia il programma scientifico del M. fu estraneo sia alla pratica di osservazioni secondo i modelli di Brahe, sia al tema della struttura del Cosmo posto da Copernico. Fu astronomo "matematico" nel senso antico di costruire modelli di calcolo che, assunti i valori osservati da altri per certe grandezze, consentissero previsioni il più possibile in accordo con i fenomeni; perciò non incise sugli sviluppi centrali della disciplina. Eppure il M. fu stimato da Brahe e J. Kepler, e fu tra i primi in Europa a studiarli; in Italia li comprese più a fondo di ogni altro, Galileo incluso. Fu matematico tradizionale, ma assorbì gli sviluppi recenti in trigonometria e nei metodi di calcolo, da Viète ad A. van Roomen; le sue tavole numeriche, imponenti e analitiche, rivelano un formidabile calcolatore.

La dedica del De dimetiendi a Gonzaga sortì l'effetto. Dopo il 1592 ogni estate il M. fu a Mantova, dove costruì strumenti, suggerì i momenti astrologici opportuni per certe iniziative, pronosticò eventi; procurò a Gonzaga testi di magia naturale e medico-alchemici; intorno al 1599 iniziò l'insegnamento delle matematiche ai principi Francesco e Ferdinando. Non fu invece sentito per problemi propri dei matematici di corte, quelli di acque o di ingegneria militare e civile: quando Galileo trattò col duca per entrare al suo servizio come matematico (1603-04), il M. non protestò (anche se ironizzò sul fallimento della trattativa) e il rapporto coi Gonzaga proseguì.

Quando la bolla di Sisto V Coeli et terrae (1586) rafforzò il divieto dell'astrologia giudiziaria, in pubblico il M. si limitò alla teoria, ai metodi di calcolo e, in sede applicativa, alla parte lecita, l'astrologia "naturale" (su eventi naturali e umani di portata collettiva), mentre della giudiziaria (su eventi della vita individuale, specie se dovuti ad atti volontari) trattò di rado e in via d'esempio. Questa cautela, cenni sull'incertezza dei "giudizi" e il permesso della congregazione dell'Indice di usare certi testi a fini di studio gli evitarono la proibizione delle opere e procedimenti da parte del S. Uffizio, ma, secondo una lettera di G.V. Pinelli e due di Van Roomen a Clavio tra il 1596 e l'inizio del 1597, sarebbe stato convocato dall'Inquisizione romana; mancano riscontri e il suo nome non compare nei verbali della congregazione, ma i documenti della congregazione dell'Indice mostrano che i suoi scritti furono esaminati. La sua fede nella scientificità dei pronostici appare però nei "giudizi" scritti per i Gonzaga o per altri, anche a pagamento. In lui l'astrologia non fu un mero residuo, essendo fondata su un naturalismo non giunto a esiti eterodossi in religione ma attento, come quello di un Cardano, alle basi organiche della psiche. Scrisse per Vincenzo Gonzaga un trattatello di Metoposcopia (divinazione del carattere e destino di un individuo dal disegno delle rughe su fronte e volto). Il testo, dopo che una stampa avviata a Bologna nel 1605 fu sospesa, circolò manoscritto fino a che G.B. Spontoni, trovatolo tra le carte del padre Ciro, lo pubblicò col suo nome (C. Spontoni, Metoposcopia, overo commensuratione delle linee della fronte, Venetia 1626). Pur connesso ai testi fisionomici e chiromantici del Rinascimento (una lettera del M. a G.B. Della Porta su questi temi è in Milano, Biblioteca Ambrosiana, Mss., S.94 sup.), ha sapore positivistico per cenni "statistici" ai nessi tra tratti somatici e comportamentali, soprattutto quelli devianti. Il M. ebbe anche interessi alchemico-magici (lesse Lullo) e forse anche cabalistici, attestati però solo indirettamente a causa della scomparsa dei suoi libri e delle sue carte.

Dal 1590 circa il M. lavorò a un'edizione della Geographia di Tolomeo (Geographiae universae tum veteris tum novae absolutissimum opus duobus voluminibus, Venetiis, S. Galignani, 1596): nel primo il testo originale e il commento del M. al libro I; nel secondo le 27 tavole geografiche originali e 37 moderne, tratte soprattutto da G. Mercator e A. Ortelius.

Il M. aggiunse descrizioni e spiegazioni alle tavole moderne. Notevoli, in particolare, quelle relative alle carte dell'America e dell'Estremo Oriente (le seconde edite a Douay nel 1605, 1607, 1611: Histoire universelle des Indes orientales. Diviseé en deux livres). L'edizione complessiva fu ristampata a Colonia nel 1597 e nel 1608 e, in latino o in italiano, a Venezia (1598, 1599, 1608, 1616), ad Arnhem (1617) e a Padova (1620, 1621).

La rete dei corrispondenti scientifici del M. fu notevole. Circa cento lettere inviategli, tra gli altri, da Brahe e la sua cerchia, Kepler, I. Altobelli, Th. Finck, Clavio, Ortelius, Van Roomen, B. Cristini, F. Stelluti, Galileo, C. Scheiner, G. Biancani, M. Oddi, finirono nell'archivio della famiglia Malvezzi de' Medici di Bologna, da dove le trasse A. Favaro. Quanto alle sue lettere, a parte quelle a Brahe, Kepler, Galileo, Clavio, sembrano perlopiù perdute (alcune sono in Venezia, Biblioteca naz. Marciana, Mss. ital., cl. X, 400; una del 1600 è nell'Arch. di Stato di Mantova, Arch. Gonzaga, F.II.68; una in Modena, Biblioteca Estense, Autografi Campori).

Nel 1607 pubblicò a Venezia il De astrologica ratione, ac usu dierum criticorum, seu decretoriorum; ac praeterea de cognoscendis et medendis morbis ex corporum coelestium cognitione (rist. Francoforte 1608), una sintesi di "astrologia medica". Nel 1609, a Bologna, seguì un'opera più impegnativa, il Primum mobile duodecim libris contentum, in quibus habentur trigonometria sphaericorum, ac praeterea magnus trigonometricus canon , ac magna primi mobilis tabula.

Era uno sviluppo delle Tabulae primi mobilis (Venezia 1604; trad. ital., ibid. 1606), dedicate a Rodolfo II, che avevano esposto gli elementi della trigonometria piana e sferica e dato tavole delle relative funzioni (ma solo per l'uso astrologico e con accuratezza inferiore). I libri I-IV del Primum mobile riguardano la trigonometria teorica, i V-XII le applicazioni. Le Tabulae generales e il Magnus canon circolarono anche separati; un'apparente nuova edizione dell'opera (Bologna 1631) fu in realtà una contraffazione della prima. La teoria del primo mobile (rotazione diurna degli astri sulla volta celeste) comportava trasformazioni tra misure di angoli e lineari; l'opera illustrò le applicazioni in astronomia, gnomonica e geografia con tale estensione da avere al suo tempo pochi analoghi; le tavole (estese a "sinus secundus", "tangens secunda" e "secans secunda", cioè coseno, cotangente e cosecante) divennero canoniche per gli specialisti. Il Magnus canon, sul calcolo di triangoli sferici, anch'esso con vaste ricadute applicative, fu ristampato a parte a Francoforte nel 1610, con testo rivisto e una Isagoge di anonimo.

Tra il 1600 e il 1610 il M. curò soprattutto un progetto di cartografia dell'Italia. Iniziò la raccolta dei dati verso il 1594, ricorrendo ai governi (spesso tramite Gonzaga, date le remore alla divulgazione di dati riservati) e a informatori locali (G.F. Sagredo, C. Marsili), ai quali dedicò alcune carte.

Costruì 60 carte regionali, per circa un quinto basate sulle migliori esistenti (quelle di G. Gastaldi, Mercator e Ortelius e quelle di Danti in Vaticano, che studiò in un viaggio a Roma nel 1597), e per il resto sui dati ricevuti. Arricchì molto i dettagli orografici e idrografici, con margini di errore mai superiori a un grado, e curò particolarmente i confini politici. Pur non basato sistematicamente su misure astronomiche, il lavoro fu insuperato fino a fine secolo e influente fino all'alba della cartografia geodetica. In modo spesso sottaciuto lo ripresero autori come J. Hondius, J. Bleau, J. Janson, G.M. Visscher, P. de Zetter.

Il M. affidò i disegni a incisori stranieri con esperienze specifiche: dal 1595 circa al 1600 A. de Arnoldis e il fratello Jakob, poi l'inglese Benjamin Wright. La parte più personale del suo lavoro fu di raccordare le carte di partenza, diverse per scala, criteri, esattezza, simboli, orientamento. Nel 1608 dedicò a Francesco Gonzaga una somma delle 60 carte regionali su scala 1:250.000 - 1:300.000 (Italia nova), in più fogli uniti su tela, disegnata da Wright. Il progresso più evidente si ebbe per la descrizione dell'Italia meridionale, che si approssimò di molto al suo reale profilo. Il M. pensò anche a tavole regionali storiche con commenti fisici, politici, amministrativi e statistici, dei quali restano appunti.

La stampa delle carte in forma di atlante iniziò alla fine del 1616, ma il M. morì prima che fosse completata; fu proseguita dal figlio Fabio, ancora adolescente, che offrì l'opera a Ferdinando Gonzaga (Italia di Gio. Ant. Magini data in luce da Fabio suo figliuolo, Bologna 1620). Seguirono due ristampe bolognesi (nel 1630 e, con piccole varianti, nel 1642) e numerose altre anche fuori d'Italia.

Nel 1610 fu affidato al M. un altro impegno, il controllo delle sconcertanti osservazioni telescopiche di Galileo: circoscritto nel tempo ed esterno alle linee guida della sua attività, ma influente nel giudizio storico su di lui. La concorrenza nel 1588 aveva forse lasciato scorie: i rapporti dei due con Sagredo e Santini mostrano che erano in contatto con gli stessi ambienti e la comunanza di ruolo e interessi doveva aver prodotto incontri e scambi d'idee; tuttavia fino al 1610 non corrisposero, e le menzioni reciproche furono rare. Il ritardo di Galileo nel pubblicare lavori scientifici impegnativi consolidò nel M. un senso di superiorità, non scalfito dal Sidereus nuncius, opera che fu letta dal M. nel marzo del 1610.

In aprile Galileo fu a Bologna, recando con sé un telescopio, col quale il M. e altri tentarono di osservare i satelliti di Giove ma, stando a un resoconto a Kepler del boemo M. Horky, allievo del M., e a una lettera del M. stesso, senza successo. Il M. espresse allora scetticismo anche in lettere a corrispondenti esteri, segnalate a Galileo da Praga ma non conservate e quindi non esattamente valutabili. Nel giugno-luglio, a Venezia (dove probabilmente incontrò di nuovo Galileo), il M. accolse parte delle osservazioni di Galileo, pur mantenendo rapporti con F. Sizzi, autore di una Dianoia astronomica (Venezia 1611) che dubitava ancora dei satelliti di Giove. Entro il settembre, anche per conferme avute da Kepler, accettò più ampiamente le novità del Nuncius; in quel mese, nel definitivo ritorno a Firenze, Galileo si fermò nuovamente da lui, fornendogli altri elementi. Da allora il M. si mosse nella propria ottica, quella della geometria (non della fisica) celeste: scrisse che non importava la priorità nelle osservazioni, ma la loro interpretazione matematica, e iniziò a osservare i satelliti di Giove per calcolarne le effemeridi (cui lavorava anche Galileo). Risulta che lo fece anche per la Luna e, in seguito, per le macchie solari (che trasmise a C. Scheiner, rivale di Galileo nell'interpretazione di quel fenomeno), ma il suo interesse per questi aspetti fisici non sembra esser durato molto e non portò risultati precisi. In seguito ebbe con Galileo contatti epistolari più frequenti e formalmente cordiali (gli mostrò la "pietra di Bologna", un solfato di bario luminescente sul quale Galileo lavorò a lungo), ma molto meno continui di quelli con Kepler, il cui programma di ricerca era più affine al suo.

Del M. privato non si sa molto. Sposò in età avanzata una Angela Poggi di Grado ed ebbe almeno sei figli: Fabio (il maggiore, nato nel 1602); Barbara; Libera (poi suor Angela Renata); uno di nome ignoto, morto entro il 1609; Carlo; Francesco (fattosi domenicano col nome paterno). Tutti morirono giovani e la famiglia si estinse. Il M. amò il cibo e il bere, e non fu alieno dai piaceri amatori. Cercò il guadagno con lezioni private, vendita di strumenti, consulenze astrologiche, le ristampe delle fortunate Ephemerides e il tenere a pensione allievi privati. Usò commercialmente anche il suo studio degli specchi concavi sferici, ispirati ai classici specchi ustori di Archimede, avviato da un inedito di E. Ausonio che attrasse anche l'attenzione di Galileo e del quale il M. pubblicò un'elaborazione (Theorica speculi concavi sphaerici, Bologna 1602), discussa da Kepler.

Nel 1611 il M. pubblicò a Bologna Breve istruttione sopra l'apparenze et mirabili effetti dello specchio concavo sferico, che ebbe una traduzione francese (Paris 1620) e una ristampa (Bologna 1628). Il carico familiare e le spese per la stampa delle opere (in particolare dell'Italia) incisero sulle sostanze del M., che non morì ricco.

La corrispondenza con Kepler iniziò nel 1601 e si intensificò dall'inizio del 1610, quando gli inviò un giudizio sull'Astronomia nova, della quale colse tra i primi le novità nei metodi di calcolo e gli incrementi di esattezza, pur non accettando l'opzione copernicana (la respinse fino alla morte; è però possibile che in questa chiusura pesasse il decreto di proibizione del marzo 1616). Nel marzo del 1610 Kepler gli propose un lavoro congiunto: egli avrebbe steso tavole dei moti planetari (le future Rudolphinae) collimanti con le osservazioni di Brahe; dalle tavole il M. avrebbe calcolato le effemeridi per 80 anni, a partire dal 1583. La proposta tentò il M., ma comportava un trasferimento non breve a Praga; inoltre il finanziamento di Rodolfo II non fu garantito, né vi fu accordo sulla divisione di spese e proventi; così morì un'iniziativa che forse avrebbe potuto accelerare la ricezione delle idee di Kepler. Tuttavia in questa direzione il M. fornì un contributo a lungo quasi ignorato. Nel 1614 pubblicò a Venezia un Supplementum ephemeridum, ac tabularum secundorum mobilium (rist. Francoforte 1615), che adeguava le sue effemeridi e le tavole planetarie del 1585 ai progressi recenti. In particolare, dalla teoria e dalle tavole sommarie di Kepler per il moto di Marte il M. trasse tavole più elaborate e, secondo studi recenti, quasi equivalenti a quelle poi fornite da Kepler stesso nelle Rudolphinae.

Questo virtuosismo non significò però un'evoluzione fisico-cosmologica di fondo, non solo rispetto all'eliocentrismo ma anche alle concezioni alchemiche e astrologiche. Negli ultimi anni il M. lavorò a rifare su basi "ticoniche" le Tabulae primi mobilis del 1604, per uso solo astrologico; l'opera, che alla sua morte era rimasta incompleta, fu pubblicata a Bologna nel 1619 da un allievo, A. Ronco (Tabulae novae iuxta Tychonis rationes quibus directionum conficiendarum brevior ac facilior ars traditur); l'anno successivo un altro allievo, A. Zoboli, la ripubblicò dopo aver completato le tavole (Ad librum posthumum Ioan. Antonii Magini Posthema, Vicenza 1620; nello stesso anno uscì in traduzione italiana a Padova). Nel 1615, mentre il M. lavorava a queste tavole, lo scozzese David Lindsay gli mostrò la De aequinoctiorum anticipatione diatriba di G.G. Scaligero (Parigi 1613), nella quale si sosteneva che la precessione degli equinozi, nota prima di Tolomeo, era solo un fraintendimento di date e misure di osservazioni antiche. Stupito che una tale tesi non fosse confutata (solo dopo apprese che altri vi stavano lavorando), nell'estate il M. iniziò l'elaborazione di una risposta aspra a Scaligero, ma morì prima di poterla pubblicare; essa apparve postuma con un'avvertenza di Lindsay (Confutatio Diatribae Ios. Scaligeri de aequinoctiorum praecessione, Romae 1617; rist. Venezia 1619).

Dopo il 1610 la salute del M. peggiorò, anche per una calcolosi renale della quale soffriva da anni. Morì a Bologna l'11 febbr. 1617 e fu sepolto nella chiesa di S. Domenico; sulla tomba fu apposta un'iscrizione di Roffeni, che è conservata.

Nel testamento indicò la propria biblioteca come cespite da non alienare se non per porzioni e solo se necessario per il sostentamento e gli studi dei figli. Il 12 aprile il primogenito Fabio informò un nobile di Mantova che l'Inquisizione bolognese intendeva confiscare tutti i libri astrologici e alchemici del M., e chiese che il duca Ferdinando intercedesse per tenerli presso di sé ma di fatto lasciandoli alla famiglia. Una lettera al duca della moglie del M. (12 marzo 1623) mostra che Gonzaga aveva avanzato la richiesta ed essa era stata accolta, ma che la minaccia per i libri e i manoscritti eterodossi del M. ritornava a seguito di una nuova Bolla pontificia; la risposta del duca è ignota, ma forse questa volta il sequestro avvenne, perché i libri e le carte sembrano perduti. Tra i pochi manoscritti residui riferibili al M. sono: Observationes in genituris in Roma, Biblioteca Casanatense, Mss., 35; note di geografia e astronomia, un oroscopo di G. Boncompagni, lettere, tavole e altri oroscopi in Biblioteca apost. Vaticana, Mss. Boncompagni, F.1, J.38; aggiunte al commento di V. Nabod al libro III del Quadripartitum di Tolomeo a Gent, Centrale Bibliotheek der Rijksuniversiteit, Mss., 345.

Fonti e Bibl.: Le lettere del M. ai Gonzaga e a funzionari di corte (1596-1616) sono conservate nell'Archivio di Stato di Mantova, Arch. Gonzaga, E.XXX, 3, bb. 1165-1171 (regesto in M. Ravelli, La scienza "giudiziale" di G.A. M. al servizio della casa Gonzaga, tesi di laurea, Università di Bologna, a.a. 1997-98). A. Favaro, Carteggio inedito di Ticone Brahe, Giovanni Keplero e di altri celebri astronomi e matematici dei secoli XVI e XVII con G.A. M. tratto dall'Archivio Malvezzi de' Medici in Bologna, Bologna 1886, pp. 3-184, 477-514; Id., Supplemento al carteggio di Ticone Brahe con G.A. M. nell'archivio Malvezzi de' Medici, in Atti e memorie della R. Deputazione di storia patria per le provincie di Romagna, VII (1889), pp. 142-153; Id., C. Marsili e la successione di G.A. M. nella lettura di matematica nello Studio di Bologna, ibid., XXII (1906), pp. 411-480; Id., Galileo e il M. aspiranti ad una lettura nello Studio di Bologna, in Atti del R. Istituto veneto di scienze, lettere ed arti, LXXXII (1922-23), pp. 145-155; Edizione nazionale delle opere di G. Galilei, I-XX, Firenze 1890-1909, ad indices; I rotuli dei lettori legisti e artisti dello Studio bolognese dal 1384 al 1799, a cura di U. Dallari, II, Bologna 1899, pp. 231, 242, 246, 250, 253, 256, 260, 265, 268, 272, 275, 279, 282, 286, 289, 293, 297, 300; J. Kepler, Gesammelte Werke, München 1949-55, XIV-XVII, ad indices; C. Clavius, Corrispondenza, a cura di U. Baldini - P.D. Napolitani, Pisa 1992, II-VI, ad indices; G.A. Magini, Italia, a cura di A. Ventura, Lecce 1995; L. Thorndike, A history of magic and experimental science, New York 1923-58, V-VI, ad indices; J. Ginsburg, On the early history of the decimal point, in Scripta mathematica, I (1932), pp. 84 s.; Id., Predecessors of M., ibid., pp. 168 s.; M.T. Gnudi, L'oroscopo di G. Tagliacozzi nell'opera di G.A. M., in Riv. di storia delle scienze mediche e naturali, XLIII (1952), pp. 335-344; P. Riccardi, Biblioteca matematica italiana, Milano 1952, I, coll. 64-71; T. Tomba, Osservazioni sulla corrispondenza tra G.A. M. e G. Keplero, in Physis, II (1960), pp. 232 s.; M. Fanti, In margine ai centenari di Keplero e Copernico. Il ritrovamento del carteggio di Keplero, di Tichone Brahe e altri celebri scienziati con G.A. M., in L'Archiginnasio, LXIII-LXV (1968-70), pp. 512-516; L. Campedelli, M., G.A., in Dictionary of scientific biography, IX, New York 1974, pp. 12 s.; G. Aquilecchia, La sconosciuta "metoposcopia" di G.B. Della Porta, di una differenziata del Cardano e di quella del M. attribuita allo Spontoni, in Filologia e critica, X (1985), 2-3, pp. 307-324; Id., "In facie prudentis relucet sapientia": appunti sulla letteratura metoposcopica tra Cinque e Seicento, in Giorn. critico della filosofia italiana, LXV (1986), 3, pp. 310-330; A. Clarke, Metoposcopy: an art to find the mind's construction in the forehead, in Astrology, science and society: historical essays, a cura di P. Curry, Woodbridge 1987, pp. 171-196; G. Aquilecchia, Nuovi appunti sulla "Metoposcopia" di G.A. M., in Quaderni veneti, VIII (1988), pp. 109-130; G. Baffetti, Galileo candidato all'Alma Mater, in Il Carrobbio, XVI (1990), pp. 55-60; Id., Il "Sidereus nuncius" a Bologna, in Intersezioni, XI (1991), pp. 477-500; U. Baldini, La teoria astronomica in Italia durante gli anni della formazione di Galileo, in Alle origini della rivoluzione scientifica, a cura di P. Casini, Roma 1991, pp. 56-58; G.L. Betti, G.A. M. e i suoi allievi A. Ronco e G.A. Roffeni, in L'Archiginnasio, LXXXVI (1991), pp. 205-232; E. Peruzzi, Critica e rielaborazione del sistema copernicano in G.A. M., in Giorn. critico della filosofia italiana, LXXXII (1991), pp. 357-368; F. Bonoli - M. Zuccoli, On two sixteenth-century instruments by G.A. M. (1555-1617), in Nuncius, XIV (1999), pp. 201-212; S. Dupré, Mathematical instruments and the "Theory of the concave spherical mirror": Galileo's optics beyond art and science, ibid., XV (2000), pp. 551-588 (in partic. pp. 568-571); J.R. Voelkel - O. Gingerich, G.A. M.'s "Keplerian" tables of 1614 and their implications for the reception of Keplerian astronomy in the seventeenth century, in Journal for the history of astronomy, XXXII (2001), 108, pp. 237-262; O. Selva, L'Italia di G.A. M., in Imago Italiae, a cura di L. Lago, Trieste 2002, pp. 669-772; M. Bucciantini, Galileo e Keplero. Filosofia, cosmologia e teologia nell'età della Controriforma, Torino 2003, ad ind.; E. Casali, Le spie del cielo. Oroscopi, lunari e almanacchi nell'Italia moderna, Torino 2003, pp. 26-29; P. Pizzamiglio, L'astrologia in Italia all'epoca di Galileo Galilei (1550-1650), Milano 2004, pp. 97-103, 134 s., 138-143, 174-177.

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