CASAREGI, Giovanni Bartolomeo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 21 (1978)

CASAREGI, Giovanni Bartolomeo

Nicola Merola

Nato a Genova, da famiglia comitale, nel 1676 e cresciuto in un ambiente ricco di molteplici stimoli culturali - il padre, Giandomenico, era un apprezzato giureconsulto e addirittura celebre doveva divenire nello stesso campo il fratello Giuseppe Lorenzo Maria, il C. si distinse precocemente per l'abilità di versificatore e per la sicurezza del giudizio critico.

A ventitré anni. seguendo l'esempio del suo maggiore conterraneo Chiabrera, si trasferì a Roma, dove, oltre a essere annoverato tra gli Arcadi, riscosse un notevole successo personale, con una presenza continua e vivace a tutte le più importanti "conversazioni" della città. È in questa fase che divenne amico e consigliere del Menzini, il quale sottoponeva al suo giudizio e al suo consiglio i propri versi, mentre dal canto suo ne indirizzava in senso sempre più chiaramente arcadico il gusto. La Difesa delle tre canzoni degli occhi e di alcuni sonetti e vari passi delle Rime di Francesco Petrarca dalle opposizioni del signor L. A. Muratori, Lucca 1709, pubblicata dal C. in collaborazione con i corregionali G. T. Canevari e A. Tommasi, testimonia però di una presa di posizione autonoma sia pure all'interno, di quel "contrasto di due mentalità, di due tendenze, implicite nel movimento arcadico, che avrà nel corso del secolo altre e più clamorose manifestazioni" (M. Fubini, Dal Muratori al Baretti, Bari 1968, p. 27). Tornò a Genova dal 1705 al 1716.

Ma fu nel 1717 con il passaggio a Firenze che la sua fama finì per consolidarsi sia grazie alla moltiplicazione e al rafforzamento di significativi vincoli di amicizia - che ormai lo legavano a personaggi ragguardevoli come Crescimbeni, Guidi Filicaia, Manfredi, Zappi, Martelli, Baruffaldi, Salvini, Zanotti, oltre ai già nominati Menzini e Muratori -, sia grazie alla maturazione di una più risentita e relativamente autonoma vena di petrarchismo arcadico, che andò via via depurando dalla facilità cantabile e leziosa di un erotismo che peraltro si intuisce (essendo stata distrutta la sua produzione di versi amorosi) meno tiepido di quel che allora fosse in uso, assumendo toni e scegliendo argomenti più austeri, tra il politico, il sacro e il morale.

Ammesso all'Accademia Fiorentina e, dopo il 1717, a quella della Crusca, per la quale ultima curò lo spoglio dell'opera di Paolo Segneri, e divenuto lettore di filosofia morale nello Studio locale, attese alla composizione di versi toscani e alla traduzione del De partu Virginis del Sannazzaro, per l'insistenza e l'incoraggiamento di Anton Francesco Gori, stampandoli in Firenze rispettivamente con il titolo di Sonetti e canzoni toscane (1741) e con quello di Partodella Vergine (1740). Lo stesso Gori, oltre a curare la prefazione alla raccolta poetica dell'amico, ne caldeggiò la dedica al Metastasio, presso il quale si fece anzi personalmente mallevadore dell'iniziativa.

Ritenuti generalmente dai contemporanei il suo capolavoro, i XII sonetti polifemici - costruiti su un fortunato motivo delle Metamorfosi ovidiane, e prima ancora teocriteo, già sfruttato nella Lira dal Marino e recuperato dagli Arcadi - denunciano una certa fiacchezza nell'invenzione, anche se mettono in luce una insistita elaborazione linguistica e una tendenza al grottesco che raggiungono effetti non del tutto scontati. La mostruosa deformità del ciclope e l'abnorme tenzone amorosa che intorno a quella deformità viene fatta ruotare non si traducono infatti in una rappresentazione mossa e vivace, ma permettono al poeta di assumere un inedito piglio linguistico, energico e persino suscettibile di soluzioni quasi realistiche.

Ciò spiega in che senso la dominante petrarchesca, alla quale vengono fermamente ricondotti in tutta la raccolta i vari modelli accessori, possa svolgersi in un dettato radicalmente intellettualistico e per tal via addirittura originale. Il suo è un razionalismo moralistico capace di accensioni ancora controriformistiche, che il C. trasferisce in una dimensione tutta intellettualistica e cerebrale, come ben vide A. Baratta (Elogi di liguri illustri, a cura di L. Grillo, Genova 1846, II, p. 371): "Castamente imaginoso nella scelta delle sue idee, esso non permetteva alla sua Musa che voli ragionevoli, i quali non disgiungessero dalla nobile audacia della Poesia, il dovere sacro e preciso di imitare la natura per essere veri, ingannare e piacere".

Riguardo alle traduzioni, tra cui ricorderemo quella dei Proverbi di Salomone, Firenze 1751, va detto che si tratta di esperienze abbastanza estranee alla voga settecentesca, sia per la scelta dei soggetti - anche se sul De partu si era già misurato addirittura Alessandro Guidi -, sia soprattutto per l'intento esclusivo di edificazione. Nella prefazione alla traduzione dei Proverbi, che citiamo dall'edizione di Prato del 1794, comprendente, sotto il titolo di Poesie del conte G. B. Casaregi Accademico della Crusca, oltre alla traduzione dei Proverbi e quella del Parto, le poesie dell'edizione fiorentina del 1741, si può anzi leggere una significativa giustificazione della scelta per i versi, che non è certo originale ma conferma ulteriormente l'atteggiamento del C. nei confronti della letteratura in genere: "il vero condito dalla poetica armonia più altamente s'insinua e s'interna nella memoria degli uomini" (p. 116).

Tornato a Genova nei suoi ultimi anni, il C. vi promosse la fondazione di un'Arcadia ligure. Morì tuttavia nella prediletta Firenze, dove già riposava il fratello, il 23 marzo 1755.

Fonti e Bibl.: Novelle letterarie, I (1740), coll. 385, 641;XVI (1755), col. 257; P. Metastasio, Tutte le opere, a cura di B. Brunelli, Milano 1953, III, pp. 197, 201, 203 s., 227, 1205 s.;G. M. Crescimbeni, Istoria della volgar poesia, Venezia 1780, III, p. 273;G. M. Cardella, Compendio di storia d. bella lett. greca latina e italiana, III, Milano 1827, p. 86; F. L. Mannucci, Il Petrarca in Arcadia, Genova 1905, pp. 20-28; A. Salza, La lirica (Dall'Arcadia ai tempi moderni), Milano s.d., pp. 73-75;G. Natali, Il Settecento, Milano 1929, ad Ind.; A. Beniscelli, G. B. C. e la prima Arcadia genovese, in Rass. d. letter. ital., LXXX (1976), pp. 362-85.

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