AMICI, Giovanni Battista

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 2 (1960)

AMICI, Giovanni Battista

Giorgio Abetti

Nacque il 25 marzo 1786 a Modena, dove fu istruito nella matematica da Paolo Ruffini; compiuti rapidamente i corsi all'università di Bologna, ottenne il diploma di ingegnere-architetto nel 1807. Tre anni dopo venne nominato professore di geometria e algebra nel liceo di Modena; qualche anno dopo, dal 1815, insegnò nella facoltà di filosofia dell'università della stessa città geometria, algebra e trigonometria sferica. Nel 1825, con decreto ducale, restò professore dispensato dall'insegnamento per occuparsi soltanto delle invenziom e costruzioni di strumenti ottici e di ricerche astronomiche e naturalistiche. Come successore dell'astronomo O. L. Pons, l'A. venne chiamato a Firenze dal granduca Leopoldo Il per dirigere l'osservatorio astronomico del R. Museo di fisica e storia naturale, situato allora nella Specola di Via Romana, adiacente a palazzo Pitti. Tenne tale ufficio sino al 1859, quando per la sua avanzata età il governo toscano gli affidava, con la nomina di professore onorario di astronomia, l'incarico delle osservazioni microscopiche del Museo fiorentino.

L'A. lavorò fino agli ultimi giorni della sua vita e fu conosciuto come "professante in segreto principi liberali". Fu infatti nominato prefetto dell'Istruzione pubblica dal governo provvisorio del 1831. Partecipò sempre attivaniente ai congressi che, da quello del 1839 a Pisa, si tennero in Italia e che muovevano da intenti liberali oltre che scientifici.

L'A. fu ottico eminente nell'epoca in cui i notevoli perfezionamenti delle teorie ottiche portarono alla costruzione di specchi, lenti e strumenti sempre più perfezionati. Non si arrestò alle sue geniali invenzioni, ma le mise in pratica con osservazioni astronomiche e botaniche.

Già nel 1811 il Reale Istituto di Milano lo premiava con una medaglia che portava l'iscrizione "A Giambattista Amici per telescopio pari all'Herscheliano",e infatti le sue prime costruzioni ottiche furono telescopi a riflessione del tipo "cassegrain", sull'esempio di quelli di William Herschel, e microscopi catadiottrici. A questi fu condotto dando la disposizione delle parti ottiche come per un telescopio newtoniano rovesciato.

Poiché l'A. desiderava rendere i cannocchiali astronomici sempre più perfezionati e precisi, dopo aver lavorato parecchi specchi parabolici, approfondì lo studio delle lenti acromatiche e costruì un nuovo micrometro a lente bipartita per la misura delle distanze delle stelle doppie e dei diametri dei pianeti. Lo stesso micrometro, applicato a piccoli cannocchiali acromatici, era adatto per misure topografiche. Seguendo lo stesso concetto costruì il cannocchiale da lui chiamato "iconantidiptico",nel quale le immagini di un oggetto appaiono procedere in direzioni contrarie, così che nelle osservazioni astronomiche poteva eliminare il reticolo ed evitare l'illuminazione artificiale del campo, ciò che è di notevole vantaggio quando si tratti di osservare astri al limite della potenza del telescopio.

L'A. era in corrispondenza con G. Santini, direttore dell'osservatorio di Padova, col padre Secchi, direttore dell'osservatorio del Collegio Romano, col padre Piazzi, direttore degli osservatori di Palermo e di Napoli, col fisico Mossotti. e col suo allievo e successore G. B. Donati che apprezzavano e usavano i suoi strumenti. L'A. stesso già nel 1820 iniziava con questi osservazioni astronomiche del diametro del sole, di eclissi, di Giove e di Saturno e loro satelliti, di comete, come quella di Halley e donò uno dei suoi micrometri a separazione di immagini al Santini, il quale se ne servi per le sue note ricerche sulla massa di Giove. Il Donati poté fare le sue scoperte delle righe di Fraunhofer sugli spettri stellari, come egli stesso riferisce, con uno spettroscopio speciale suggeritogli dall'Amici. Notevoli e storici sono i due obiettivi astronomici che egli poté costruire avendo acquistato in Francia i dischi di vetro ottico necessari allo scopo. Questi hanno i diametri, rispettivamente, di 28 cm con distanza focale di 530 cm e di 24 cm con distanza focale di 320 cm. Il primo di questi, presentato alla terza riunione degli scienziati italiani (Firenze 1841), fu, anni dopo, montato equatorialmente in Arcetri e ambedue sono stati usati fino ai nostri giorni dagli astronomi di quell'osservatorio.

Nel campo dei microscopi, lasciati in disparte i catadiottrici, l'A. si diede al perfezionamento dei microscopi diottrici acromatici, immaginando anche, nel 1847, il sistema di immersione della superficie inferiore dell'obiettivo e aumentando così in modo molto notevole la potenza del microscopio. Costruì inoltre sestanti, circoli ripetitori e meridiane, camere lucide e inventò il prisma a visione diretta, universalmente noto col nome di "prisma di Amici" col quale a mezzo di tre prismi, due di crown e uno di flint, si ottiene la dispersione della luce senza deviazione del raggio incidente.

L'A. morì a Firenze il 10 apr. 1863.

Quando l'A. si accinse alla costruzione di sistemi ottici di altissima precisione e di potenza superiore a quella allora normale, il calcolo ottico era addirittura rudimentale, il vetro ottico era disponibile in ben poche specie e la lavorazione era affidata all'abilità dei "maestri",ossia all'empirismo, perché ancora non si avevano nozioni sulla tolleranza con cui dovevano essere realizzate le forme geometriche delle superfici, tolleranza che oggi sappiamo essere dell'ordine del decimillesimo di millimetro. Mancavano del tutto i metodi di controllo che costituiscono il patrimonio essenziale della tecnica moderna: cioè metodi capaci di rivelare difetti dell'ordine di grandezza della tolleranza suddetta. È quindi da guardare con stupore un uomo come l'A., che da solo riuscì a selezionare vetro ottimo, a calcolare obbiettivi acromatici eccellenti per cannocchiali e per microscopi, a realizzarli con la precisione che si raggiunge nelle migliori costruzioni ottiche odierne.

La lente presentata dall'A. alla riunione degli scienziati italiani del 1841 era una autentica meraviglia: si trattava della lente positiva dell'obbiettivo di 28 cm. di diametro, che poi per quasi un secolo ha lavorato nel maggior telescopio dell'osservatorio astrofisico di Arcetri. In quell'epoca era il secondo obbiettivo del mondo per grandezza; per bontà si doveva dire veramente eccellente, come è risultato dai collaudi fatti in tempi molto recenti.

Occupandosi dei sistemi di ottica microscopica, l'A. dapprima studiò il microscopio catadiottrico, che avendo un obbiettivo costituito da uno specchio concavo, è esente da aberrazione cromatica; ma poi l'A. passò decisamente a costruire obbiettivi costituiti di lenti e ne calcolò con precisione ammirevole l'acromatismo. Non solo, ma con la geniale introduzione della lente emisferica frontale e con la tecnica dell'immersione egli raggiunge potenze a cui nessuno era ancora arrivato.

Questi elementi sono tuttora utilizzati nei più potenti obbiettivi da microscopio.

In quel periodo, in cui il microscopio composto stava passando avanti al microscopio semplice, che per quasi due secoli aveva regnato incontrastato, l'A. contribuì in modo determinante alla affermazione del nuovo strumento, non soltanto calcolando e lavorando obbiettivi eccellenti e di potenza mai raggiunta prima, ma anche dotando le parti ottiche del corredo metallico rigido e preciso, come era necessario perché la potenza dei nuovi strumenti venisse pienamente valorizzata.

L'A. ha legato il suo nome anche ad altri dispositivi ottici di concezione veramente geniale, anche se semplici nella loro struttura; dispositivi che hanno avuto e hanno tuttora larghissima applicazione negli strumenti e nella tecnica ottica. Si può ricordare il micrometro a lente bipartita, per la misura delle distanze delle stelle e del diametro dei pianeti.

Interessante in modo particolare il prisma a visione diretta, molto utile nelle ricerche di spettros copia stellare, e il prisma a deviazione costante. Costruì anche numerosi sestanti, circoli ripetitori e meridiane, nonché camere lucide e si cimentò anche nella costruzione di obbiettivi fotografici di grande luminosità.

V. RonchiDegli strumenti ottici inventati o perfezionati da lui stesso l'A. si servì anche per ricerche proprie nel campo della biologia. Per la patologia vegetale è da ricordare una memoria del 1852, nella quale espose i risultati di ricerche fatte sulla crittogama della vite (Oidium).

Egli dimostrò fra l'altro che la specie che attacca la vite è diversa da quella che infesta altre piante, quali il luppolo, la rosa, ecc., descrisse gli organi riproduttivi dell'oidio, e alla fine espresse l'opinione, oramai accettata per molti funghi patogeni, che la causa della malattia sia dovuta a una tossina prodotta dal fungo e circolante poi nel corpo della pianta parassitata. Del 1854 sono le osservazioni su una malattia del frumento, detta rachitide, cui seguirono altri studi sul seccume delle foglie del gelso e sul calcino del baco da seta.

L'A. si occupò brevemente anche di istologia animale (fibre muscolari degli insetti, sangue della rana, dell'uomo, ecc.).

Più numerose e importanti sono le osservazioni e scoperte dell'A. nel campo della istologia e fisiologia vegetale.

Nel 1774 B. Corti aveva scoperto la circolazione del plasma entro le cellule internodali di una specie di Chara; l'A. riprese tale studio e l'estese ad altre piante, in particolare alla Naias minor (Caulinia fragilis); siccome disponeva di microscopi più perfezionati di quelli del Corti, poté togliere qualche errore in cui era caduto questi, illustrare meglio le modalità del movimento e cercarne una spiegazione. Con altre ricerche completò l'anatomia delle Charae e particolarmente degli organi riproduttivi di queste alghe, e recò un contributo alla conoscenza delle Oscillarie. Parecchi dei tratti fondamentali dell'anatomia della foglia si devono all'A.: così con le ricerche sull'epidermide delle foglie dimostrò fra l'altro che questa è un tessuto proprio, diverso dal parenchima sottostante. Studiò poi quegli organi così importanti per la vita delle piante che sono gli stomi, sulla natura dei quali, all'epoca delle ricerche dell'A., si avevano molte idee inesatte; egli ne dimostrò la reale esistenza e ne spiegò la costituzione, nonché il modo di funzionamento, riconoscendone l'attitudine ad allargarsi e a restringersi a seconda delle condizioni esterne (luce, umidità). Altri lavori dell'A. riguardano le cripte stomatifere delle foglie dell'oleandro, la speciale struttura degli stomi a vestibolo della Cycas revoluta e diverse particolarità della struttura dei vasi.

Ma la scoperta più importante e ricca di conseguenze dell'A. è quella del tubo pollinico, che lo trasse successivamente a scrutare e a chiarire l'intimo processo della fecondazione delle piante (pubblicazioni 1823, 1830, 1843 e 1847).

Le opinioni che allora si avevano su come avvenisse la fecondazione delle piante superiori erano svariatissime, contraddittorie e tutte errate: chi ammetteva che i grani pollinici entrassero interi nello stilo e scendessero fino all'ovulo, chi credeva che scendesse solo il loro contenuto; altri immaginava che gli embrioni dei semi risiedessero nei corpiccioli stessi del grano pollinico, usciti dal quale passassero a depositarsi negli ovuli; non mancavano opinioni anche più erronee e strane. Nel 1821 l'A. vide formarsi un tubicino (che egli chiamò budello)a spese dei grani di polline depositatisi sugli stignii della Portulaca oleracea;da qui ebbe inizio la serie delle ricerche con le quali egli dimostrò che il tubo polliico s'interna nello stilo e scende lentamente fino all'ovulo, penetrando in questo attraverso il micropilo e versando nell'ovulo stesso il suo contenuto. Quest'ultimo precisamente si fonde con la cellula femminile (oosfera) che nell'ovulo preesiste all'atto fecondativo. Queste scoperte furono subito contraddette dai più insigni cultori di fisiologia francesi e tedeschi, nonostante che alcuni valentissimi botanici, come U. von Mohl, W. Hofmeister e R. Brown, con ripetute osservazioni confermassero le vedute dell'A. Per trent'anni furono avversate le vedute dell'A.: così M. Schleiden, illustre botanico tedesco, sostenne per molto tempo ancora, insieme con altri studiosi, che la punta estrema del budello era il vero embrione (teoria dell'inglese S. Morland, del 1703, detta pollinismo); ossia lo Schleiden veniva con ciò a negare l'essenza stessa dell'atto fecondativo, cioè l'esistenza di due elementi sessuali differenti che nella fecondazione si fondono insieme.

Nella suesposta controversia è apparsa anche la grandezza d'animo dell'A.: in risposta all'attacco sprezzante e ingiusto dello Schleiden (che rimproverava all'A. di essere un ignorante di fisiologia e un presuntuoso che aveva voluto mescolarsi in ricerche e studi a lui estranei) l'A. gli preparò e gli mandò uno dei suoi microscopi più perfetti, col quale l'avversario "avrebbe potuto fare osservazioni più esatte" In occasione della prima riunione degli scienziati italiani, che si tenne a Pisa nell'ottobre 1839, nella terza adunanza della sezione di botanica, l'A. lesse la sua memoria sulla fecondazione delle piante e fece vedere i suoi preparati al microscopio; ma, dato il grande numero di interessati, l'A. presentò pure un modello in cera, eseguito sotto la sua guida da L. Calamai, rappresentante un ramo con foglie e fiori di zucca e particolari, ingranditi, delle parti sessuali, e nel quale era rappresentato con esattezza ed evidenza tutto il decorso del processo fecondativo; questo cimelio storico si conserva nell'Istituto botanico di Pisa e una copia in quello di Firenze. Dopo pochi anni l'A. ebbe la soddisfazione di constatare che, avendo fatto i suoi avversari ampia ritrattazione, le sue vedute erano universalmente riconosciute. Non è quindi solo la scoperta del tubo pollinico, come comunemente si afferma, che si deve all'A., ma è l'essenza stessa e tutto il processo della fecondazione, che egli rivelò e mise in evidenza.

Giustamente quindi U. von Mohl, che in tali questioni era la più grande autorità tedesca del tempo, nell'elogio scritto con affetto e ammirazione subito dopo la morte dell'A. affermava che "il talento di lui appariva tanto più splendido nel campo delle ricerche botaniche in quanto trattava di una scienza che gli era estranea, dove fece scoperte così ragguardevoli che il suo nome occuperà uno dei posti più notevoli nella storia della botanica". Al nome dell'A. è stato dedicato il genere Amici a della famiglia delle Leguminose.

G. Lusina

Nel 1858 l'A. descrisse con esattezza una sottile stia che suddivide i dischi chiari, isotropi, delle fibre muscolari striate. La stria era già stata osservata da Leeland e Dobie nel 1848, ed è nota come "stia di Amici", o teloframma. Poiché talvolta i vari dischi e zone della fibra muscolare striata sono indicati con lettere alfabetiche, la stia di A. è anche denominata "stia Z". Essa corrisponde alla sezione ottica di una membrana, che attraversa tutto il disco chiaro della fibra muscolare striata e si salda al sarcolemma. Il teloframma è rigido, inestensibile e si altera meno degli altri componenti la fibra.

Opere: Osservazioni sulla circolazione del succhio nella Chara, in Mem. d. Soc. Ital. delle Scienze, XVIII, Fisica, Modena 1820 (gli est. recano l'anno 1818), pp. 183-204, e I tav., riportato anche in vari periodici stranieti; Descrizione di un nuovo micrometro, in Mem. di matem. e di fisica d. soc. ital. delle scienze, XVII (1816), Verona, pp. 344-359, tav. I; De' microscopi catadiottrici, in Mem. di matem. e di fisica d. soc. ital. delle scienze residente in Modena, fasc. I delle Mem. di fisica, XVIII (1820), Modena, pp. 107-124, tav. I; Osservazioni sulla circolazione del succhio nella Chara, ibid., pp. 183-202, I tav.; Sopra le Camere Lucide, Bologna 1819, pp. 1-11, tav. 1; Memoria sopra un cannocchiale iconantidiptico, in Mem. di matem. e di fisica d. soc. ital. delle scienze residente in Modena, XIX (1821), Modena, pp. 113-120; Memoria sulla costruzione di un cannocchiale acromatico senza lenti eseguito con un sol mezzo refringente, ibid., pp. 121-137, tav. I; Sur un nouvel instrument de réflexion, in Corresp. astron. geogr., hydrogr. et statist. du baron de Zach, VI, 1822, Gênes, pp. 554-560; Osservazioni microscopiche sopra varie piante, in Mem. di matem. e di fisica d. soc. ital. delle scienze residente in Modena, Fasc. I delle Mem. di fisica, XIX (1823), Modena, pp. 234-286, tavv. 6; Sur les micromètres prismatiques, in Corresp. astron., geogr., hydrogr. et statist. du baron de Zach, VIII, 1823, Genes, pp. 67-75; Sur la mesure des étoiles doubles, ibid., pp. 216-218; Sur la finesse des divisions dans les instrumens d'astron., ibid., IX, 1823, Genes, pp. 237-239; Nouveau micrométre intermédiaire, ibid., IX, 1823, Genes, pp. 517-534; Limites de la visibilité des divisions sur les instrum. d'astronom.,:bid., XII, 1825, Genes, pp. 334-347; Observations des satellites de Jupiter en plein jour, ibid., pp. 539-552; Descrizione di alcune specie nuove di Chara ed osservazioni microscopiche sulle medesime, in Mem. d. R. Accad. di scienze, lettere e d'arti di Modena, I, parte Il (1827), Modena, pp. 199-221, tavv. 5; Altre sette specie di Oscillarie, ibid., XIX (1829), Modena, p. XLVIII; Observations sur l'accroissement des Végétaux, in Annales des sciences naturelles, XXI, 1830, Paris, pp. 92-101; Note sur le mode d'action du pollen sur le stigmate; extrait d'une Lettre de M. Amici à M. Mirbel, ibid., pp. 329-332; Lettres du docteur Amici d M. Mirbei, qui en a donné communication à l'Académie des Sciences, dans sa séance du 28 mars 1831, ibid., XXII, 1831, Paris, pp. 426-432; Beschreibung eines neuen Nivellir-Instruments, in Annalen der Physik und Chemie, herausgegeben zu Berlin von J. C. Poggendorff, XXVIII, 1833, Leipzig, pp. 108-115; Descrizione di un nuovo circolo ripetitore in altezza ed in azimuth, in Mem. d. R. Accad. di scienze, lettere e d'arti di Modena, torno I - parte 4 (1833), Modena, pp. 25-33, tav. 1; Ueber die Farbenzerstreunung in einem und demselben Mittel, in Annalen der Physik und Chemie, herausgegeben zu Berlin von Y. C. Poggendorff, XXXV, 1835, Leipzig, pp. 609-620; Descrizione di alcuni istrumenti da misurare gli angoli per riflessione, in Mem. di matem. e di fisica d. soc. ital. delle scienze residente in Modena, XXI (1837), Modena, pp. 142-174, tavv. 2; Descrizione di un nuovo Istrumento per livellare, in Continuazione degli atti dell'I. e R. Accademia Economico-Agraria di Firenze, XV, 1837, Firenze, pp. 123-128; Sopra alcuni Istrumenti che servono a conoscerere le situazioni parallele all'Orizzonte, ibid., pp. 129-136; Nota sull'esistenza del budello nel polline, in Biblioteca Italiana ossia Giornale di Letteratura, scienze ed arti compilato da vari letterati, Milano, Tomo O, XXV (1840), pp. 237-274; Sul processo col quale gli ovuli vegetabili ricevono l'azione fecondante del polline, in Atti d. prima Riunione degli Scienziati ital., Pisa 1840, pp. 136-141; Sulla circolazione che si osserva negli internodi della Chara, ibid., pp. 149-152; Opinione relativa all'ascensione della linfa nelle piante, ibid., p. 165; Sulla presenza dei pori nei vasi delle Conifere e sulla loro struttura, ibid., p. 166; Comunicazione su un nuovo cannocchiale, in Atti d. terza Riunione degli Scienziati ital., Firenze 1841, pp. 200-201; Sulla fecondazione delle piante (Cucurbita pepo), in Atti d. quarta Riunione degli Scienziati ital., Padova 1843, pp. 279 s.; Osservazioni sugli zoospermi della Chara, ibid., pp. 284 s.; Nuove osservazioni sugli storni del Cereus Peruvianus, ibid., pp. 327 s.; Sulla struttura degli storni, in Atti d. sesta Riunione degli Scienziati ital., Milano 1845, p. 513; Sulla fecondazione delle Orchidee, in Atti d. ottava Riunione degli Scienziati ital., Genova 1847, pp. 542-549; Nota in risposta al primo articolo dello Schleiden dal titolo: Bemerkung zur Bildungsgeschichte des vegetabilischen Embryo, ibid., pp. 551 s.; Note sur un appareil de polarisation, in Annales de chimie et de physique, p. 3, XII (1844), Paris, pp. 114-117; Description du petit microscope achromatique, ibid., pp. 117-120; Osservazioni microscopiche sulla malattia dell'uva, in Continuazione degli atti della R. Accademia economico-agraria dei Georgofili di Firenze, XXX, 1852, Firenze, pp. 405-406; Sulla malattia dell'uva, ibid., pp. 454-467; Nota sopra alcune "Nuove fave e veccie" ammalate, ibid., XXXI, 1853, Firenze, p. 292; Sulla malattia della foglia del gelso, detta fersa o seccume, ibid., n. s., vol. I, 1853, Firenze, pp. 72-79; Lettera sugli elementi parabolici approssimati della Cometa, in Annali di scienze matematiche e fisiche, V, 1854, Roma, pp. 148-149; Meridiana iconantidiptica, in Il Nuovo Cimento, Giornale di fisica, di chimica..., I, 1855, Pisa, pp. 44-50; Di un nuovo microscopio portatile, in Il Tempo (1858), pp. 161-165; Sulla fibra muscolare, ibid., II, pp. 328-338; Sulla natura dei corpuscoli ovoidali dei semi e dei Bachi da seta affetti d'atrofia, in Annali di chimica applicata alla medicina..., s. 3, XXXV (1862), Milano, pp. 315-317; Alcune osservazioni ed esperienze sopra la linfa che in primavera geme dalla vite (comunicazione fatta il 7 maggio 1829), in Mern. d. R. Accad. di scienze, lettere e d'arti di Modena, XIX (1879), Modena, pp. XXVII-XXVIII; Dimostrazioni al microscopio di organismi animali e vegetali, ibid., p. XLIX.

Bibl.: U. von Moli, Giambattista A.,in Botazische Zeitung, XXI, Beilage zu No. 34, Leipzig 1863, pp. 1-8; P. A. Saccardo, Il primato degli Italiani nella botanica, Padova 1839, p. 62; G. B. De Toni, Di una interessante scoperta del modenese G. B. A. e de' suoi progressi, in Ann. d. R. univ. di Modena, Modena 1906, p.39; G. Briosi, G. B. A. Cenno sull'opera sua, e ritratto, in Atti d. Ist. botanico dell'univ. di Pavia, s. 2, XI (1908), pp. III-XXVI, con bibi.; G. B. De Toni, G. B. A., in A. Mieli, Gli scienziati italiani, I, I, Roma 1923, pp. 78-83 (con bibi. completa dell'A.); B. Longo, Sopra un cimelio della scoperta di G. B. A. sulla fecondazione delle piante, in Atti d. Soc. toscana di scienze naturali, Pisa 1928 (estr. di pp. 16 e 1 tav.).

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