CORDINI, Giovanni Battista

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 29 (1983)

CORDINI, Giovanni Battista (Battista da Sangallo detto il Gobbo)

Pier Nicola Pagliara

Nacque a Firenze nel 1496 da Bartolomeo di Antonio di Meo, bottaio, e da Smeralda Giamberti, sorella dei celebri architetti Giuliano e Antonio il Vecchio, detti da Sangallo dalla contrada fiorentina in cui abitavano. Più noto come Battista da Sangallo detto il Gobbo, fu fratello minore del famoso architetto Antonio da Sangallo il Giovane. Un'ipotesi arbitraria lo aveva addirittura identificato con un fratello ancor meno noto, Francesco (G. Giovannoni, Lo stato civile di Antonio da Sangallo il Giovane, in Palladio, V [1937], p. 178; Id., 1959, p. 87).

Francesco di Bartolomeo Cordini, che da un documento riguardante la composizione della famiglia di Bartolomeo Cordini al 1504 risulta avere a quella data 14 anni (G. De Angelis d'Ossat, L'autore del codice londinese attribuito ad Andrea Coner, in Palladio, n.s., I [1951], pp. 97 s.), riceveva dalla Fabbrica di S. Pietro un salario di 5 ducati al mese dal 1521 al 1524 (Frey, 1910, p. 73); nel 1524 è ricordato come "suto suvrastante" nei conti della stessa Fabbrica, e nell'anno seguente è ricordato per lavori nella casa del Carcere Tulliano (ibid., p. 75). Francesco collaborò con Antonio il Giovane, assieme al fratello Giovanni Battista, anche nella costruzione del soffitto ligneo di S. Maria della Quercia a Viterbo, di cui Antonio aveva assunto l'incarico nel 1518, ed è menzionato in occasione di un pagamento nel 1525 (C. Pinzi, Memorie e documenti inediti..., in Arch. stor. d. arte, III [1890], p. 325).

Nel 1526 "Francesco di Bartolommeo da Santo Ghallo" ricevette come sovrastante un altro pagamento dalla Fabbrica di S. Pietro (Frey, 1910, p. 83) e il 1° apr. 1529 un mandato di 5 ducati d'oro è destinato al magistro Francesco de Sangallo "ratione suorum salariorum de mense aprilis 1527" (Roma, Arch. della Fabbrica di S. Pietro, I piano, serie Armadi, vol. 8, f. 32v). Nel 1536-38, nell'elenco dei salari erogati dalla Fabbrica, il computista F. Meleghino ricorda Baldassarre da Siena ed un "Franciscus da Sangallo" (F. Cordini?) entrambi "fabricantibus presidentes" con un salario di 60 ducati annui (Frey, 1912, p. 16). Èanche possibile che sia ancora F. Cordini il "Francesco da Sangallo muratore" pagato nel 1552 per lavori nella sede dell'Arciconfraternita di S. Giovanni Decollato (R. E. Keller, Das Oratorium..., Roma 1976, p. 16).

Il corpus dei disegni del C., insieme ai suoi studi vitruviani, alle collaborazioni documentate con Antonio il Giovane, all'unica opera di architettura finora nota che abbia progettato autonomamente ed alle poche e scarne testimonianze di contemporanei (Vasari, Pier Luigi Farnese [cfr. A. Ronchini, in Atti e mem. delle RR. Deputaz. di storia patria per le provincie modenesi e parmensi, II (1864), pp. 462 s.], lo studioso di Vitruvio Guillaume Philandrier [G. Philandri, In decem libros M. Vitruvii Pollionis ... annotationes, Romae 1544, p. 169]), sono i principali elementi disponibili per ricostruirne l'identità.

In settanta dei quasi centosettanta disegni (tra certi ed incerti) collocati sotto il nome del C. nel Gabinetto dei disegni degli Uffizi è stata riconosciuta (Burns, 1965-66; Buddensieg, 1975) la mano di un suo cugino, Giovan Francesco da Sangallo, mentre il codice Coner del Museo Soane di Londra, attribuitogli (G. De Angelis d'Ossat, L'autore del codice..., cit., pp. 94-98)in base ad un poco convincente confronto di scritture, gli è stato tolto per essere fondatamente assegnato (Buddensieg, 1975)ad un altro disegnatore del circolo sangallesco, Bernardo della Volpaia. Del pari il C. non ha niente a che fare con i disegni del taccuino del Museo Wicar a Lilla, già assegnati a lui ed al cugino Aristotele da Sangallo (H. Geymüller, Raffaello ... architetto, Milano 1884, pp. 60, 68, 75, 88, 91 ss., 95, 98, 106; A. Nesselrath, Das "Michelangelo Skizzenbuch" in Lille, in Kunstchronik, XXXVI [1983], 102, pp. 46-47; G.De Fabriczy, in Arch. stor. dell'arte, s. 6, IV [1893], p. 109), mentre rimane perlomeno dubbia l'attribuzione allo stesso C. di un gruppo di disegni collegati con architetture michelangiolesche, diviso tra la Graphische Sammlung di Monaco ed altri musei (B. Degenhart, Dante, Leonardo und Sangallo, in Römisches Jahrbuch für Kunstgeschichte, VII [1955], pp. 210 s., 279, 287; Zentai, 1971).

Caduta l'attribuzione del disegno degli Uffizi A 273 (la pianta iniziale di villa Madama), dei disegni per la Zecca Vecchia e per la casa Ferrari-Del Pozzo (Buddensieg, 1975; C. L. Frommel, Villa Madama ..., in Römisches Jahrbuch ..., XXVII [1975], pp. 64-68; Id., 1973, II, pp. 34) 176), per ricordare solo qualcuno dei più noti, non rimane alcun disegno del C. per architetture civili realizzate a Roma da Antonio il Giovane o in cui quest'ultimo partecipi alla progettazione. Raramente vi sono più di uno o due disegni di sua mano per una stessa opera del fratello, ed a volte si tratta della redazione in pulito di progetti ai quali invece Antonio il Giovane dedica molti studi grafici. Più che prender parte regolarmente alla preparazione dei progetti del fratello, il C., dapprima, deve aver avuto un ruolo non ben definito nelle imprese di cui questi assumeva l'incarico come costruttore; in seguito ha misurato e stimato lavori diretti da Antonio e lo ha frequentemente sostituito nella conduzione di cantieri lontani da Roma, prestandogli così un aiuto che Vasari considerava prezioso e misconosciuto. Oltre la metà dei disegni del C. conservati agli Uffizi riguardano architetture antiche; anche qui si trovano a volte note ed indicazioni di mano di Antonio il Giovane (A 716, 1024; Bartoli, VI, p. 72) che rivelano come egli lo indirizzasse e ne utilizzasse l'abilità di rilevatore attento, preciso e minuzioso per arricchire la propria documentazione sull'architettura classica.

Un rilievo dall'antico su cui Antonio il Giovane ha annotato "Batista" fornisce una delle prime testimonianze della presenza a Roma dell'autore, che in una data imprecisata aveva raggiunto il fratello maggiore trasferitovisi dal 1503. Poco dopo il 1513-15 il C. ha infatti disegnato un rilievo della cornice del tempio dei Castori sul verso di un foglio (A 1181) sul cui recto in precedenza Bernardo della Volpaia aveva annotato un rilievo meno preciso dello stesso soggetto, corretto poi da Antonio il Giovane e quindi ricopiato con le correzioni nel codice Coner dallo stesso Bernardo tra il 1513 ed il 1515 (Buddensieg, 1975, p. 94).

Non è invece databile con sicurezza una pianta (A 177) per la cappella del Corpus Domini in S. Feliciano a Foligno, che sviluppa e completa la soluzione accennata da Antonio da Sangallo il Giovane nell'A 877; rimane del pari dubbia l'attribuzione (Giovannoni, 1959. p. 221) d'una pianta per S. Giovanni dei Fiorentini (A 175), comunque successiva al concorso del 1518.

Bisogna arrivare al 10 febbr. 1522 per trovare menzione del "mastro fiorentino Battista da Sangallo" in un documento che riguarda un pagamento per lavori nella rocca di Montefiascone (O. Fasolo, Contributo ad Ant. e G. B. da Sangallo, in Quaderni dell'Ist. di storia dell'architettura, I [1961], 31-48, pp. 159-68).

I lavori, cui accenna Vasari nella vita di Antonio il Giovane, dovevano essere stati decisi ed iniziati alla fine del 1516, come risulta sia da un'epigrafe nel cortile sia da una lettera di D. Buoninsegni a Michelangelo dell'11 dicembre di quell'anno (Il carteggio di Michelangelo..., a cura di P. Barocchi-R. Ristori, I, Firenze 1965, p. 230).Consistettero nella costruzione di un ordine di pilastri arcuati, con paraste tuscaniche addossate, sui quattro lati di un cortile rettangolare all'interno della rocca preesistente, e probabilmente nell'aggiornamento della difesa con l'aggiunta di un baluardo sul cantone più esposto.

Dal 1523 in poi il C. può aver eseguito il disegno A 1653, raffigurante il tabernacolo dell'Immagine di Ponte in uno stato diverso da quello attuale e quindi considerato o un disegno di progetto, preparato per Antonio, o un rilievo antecedente ad una trasformazione (Giovannoni, 1959, p. 380; Frommel, 1971, I, p. 131).

Nel 1525 il C. diede licenza per il già ricordato pagamento riguardante la costruzione del soffitto intagliato di S. Maria della Quercia presso Viterbo. Frattanto dovette occuparsi anche dell'esecuzione del palazzo Farnese a Gradoli, completato probabilmente verso la fine degli anni '20, poiché vi si nota qualche particolare - in specie la semplificazione delle cornici marcapiano nel tratto in cui si inseriscono nei cantonali a bugne - che non si trova prima di quegli anni in opere di Antonio il Giovane.

Per il palazzo di Gradoli forse il C. ha avuto una parte più consistente del solito nella progettazione oltreché nell'esecuzione, dal momento che gli unici due disegni noti su questo palazzo (Uffizi, A 296 e A 1320) sono di sua mano.

Nel 1526, quando Antonio da Sangallo il Giovane andò ad ispezionare le rocche di Romagna col Sanmicheli, forse venne accompagnato anche dal fratello minore.

Una copia della relazione sui provvedimenti da prendere per rafforzare le rocche, preparata in quell'occasione, fu infatti considerata in parte di mano del C. quando fu rinvenuta e segnalata in un opuscolo anonimo (Intorno alla relazione delle rocche della Romagna pontificia fatta nel 1526..., Roma 1855, pp. 7, 10). La collezione a cui apparteneva fu poi dispersa; questa copia però quasi sicuramente coincide con un manoscritto acquistato ed edito a Milano da L. Beltrami nel 1902 (Relazione sullo stato delle rocche di Romagna stesa nel 1526 ...). Beltrami non menziona il C., ma le particolarità fonetiche che distinguono il testo da lui pubblicato da quello annotato in alcuni disegni sullo stesso tema, conservati agli Uffizi, di mano di Antonio da Sangallo il Giovane, sono tipiche del C. ed anche qualche scritta sui disegni riprodotti (pp. 26, 34) sembra della mano del Gobbo.

Nel 1530 troviamo il C. ricordato in un libro dei conti per la copertura in piombo della cupola della basilica di Loreto (Giovannoni, 1959, p. 192), un incarico come imprenditore che Antonio il Giovane aveva ricevuto nel 1528-29. Nel giugno dell'anno seguente il fratello maggiore delegò il C. a rappresentarlo a Montecassino per assegnare ad A. Solosmeo l'esecuzione, secondo un proprio disegno, del sepolcro di Piero de' Medici da realizzare nell'abbazia (A. Caravita, I codici... a Montecassino, III, Montecassino 1870, pp. 88, 91; E. Scaccia Scarafoni, in Bollett. d'arte, s. 4, XV [1962], pp. 70-72).

Il 20 febbr. 1532 è sempre il C. che rilascia al procuratore dell'abbazia ricevuta del pagamento per un modello da farsi per la stessa tomba. I numerosi disegni preparatori per il mausoleo, che nel progetto eseguito diverrà una tomba a parete collocata nel transetto della chiesa, sono quasi completamente di mano di Antonio il Giovane, con scritte di Giovanni Battista.

Nel disegno degli Uffizi A 182v è accennata una soluzione scartata, con tre volumi sovrapposti sormontati da una piramide, che nello stesso periodo il C. rielabora nel progetto della tomba di Ludovico Grati Margani nella chiesa dell'Aracoeli a Roma (Arch. di Stato di Roma, Notai della R. C. A., vol. 222, c. 186: notaio Fr. Attavanti, 30 sett. 1532: è finora l'unico contratto del C. per un lavoro in proprio).

Il C. è presente come testimone alla stipula del contratto, con cui l'esecutore Bernardino di Giacomo della diocesi di Como s'impegna a fabbricare e scolpire entro l'aprile dell'anno seguente questa tomba, alta 22 palmi, secondo un disegno o modello "factum per magistrum Baptistam de Sancto Gallo". Sia lo schema, tre prismi sovrapposti di larghezza degradante con un andamento piramidale che ricorda le pire funerarie romane, sia il disegno delle singole parti rivelano un'ispirazione archeologica. Il blocco inferiore è destinato all'epigrafe, il secondo accoglieva in un incavo il busto del defunto, mentre il terzo blocco, con spigoli ornati da teste d'ariete da cui pende una ghirlanda, è una parafrasi dell'ara funeraria di Sestio Eutropo, che allora si trovava proprio all'Aracoeli. La composizione termina al quarto livello con una statua di Cristo benedicente inserita in una nicchia; il tipo è abbastanza inconsueto a Roma in quegli anni.

Negli anni compresi tra il sacco di Roma (1527) e la morte di Clemente VII (1534) Antonio il Giovane, che secondo Vasari (V, p. 463) era a quel tempo impegnato in cinque opere importanti ("La fortezza di Fiorenza, quella di Antona, l'opera del Loreto, il palazzo apostolico, et il pozzo d'Orvieto"), poté far fronte efficacemente a tanti impegni "per l'aiuto portogli da Batista". A Loreto la presenza del C. è confermata dai documenti, la sua partecipazione ai lavori per la fortezza da Basso a Firenze, il cui incarico ad Antonio il Giovane risale al 1531, è attestata invece dagli accurati disegni degli Uffizi A 315, 316, 1659.

Nello stesso periodo C. realizzava una lunga serie di misure e stime per conto della Fabbrica di S. Pietro nei cui documenti è citato dapprima, a partire dal 1530, per pagamenti destinati a suo fratello Antonio (Archivio d. Fabbrica di S. Pietro, I piano, serie Armadi, vol. 4, f. 15r). Nel 1531 misura lavori nella "Cappella grande" (ibid., vol. 8, f. 43rv), nel '32 nella stessa cappella ed in luoghi vari (ibid., serie I, vol. 45, ff. 22, 23) e nel '34 restauri del campanile (ibid., serie Armadi, vol. 8, ff. 52-53). Nel 1535 stima lavori misurati da Meleghino nella "Cappella della Madonna" (Frey, 1912, p. 11), nel '36 misura e stima lavori nella "Tribuna grande" (Arch. d. Fabbrica di S. Pietro, I piano, serie 1, vol. 14, n. 55) e nel '37 riparazioni al tetto della sacrestia (Frey, 1912, p. 15). Nel 1538 con Bernardino della Mirandola misura e stima lavori di legname e di ferro (Frey, 1912, p. 10) e nell'anno seguente, da solo, lavori nella "cappella del re di Francia" (Arch. d. Fabbr. di S. Pietro, I piano, serie 1, vol. 14). Dal 1541 al '44 seguono molte misure e stime di lavori in pietra, alcune eseguite con G. Mangone, per le quali il C., che non era retribuito con un salario fisso, riceve una percentuale (0,5%) sul valore delle opere stimate (ibid., f. 384v, 385, 388, 389 e Frey, 1912 pp. 6, 97). La sua attività di misuratore riguarda, oltre alla basilica vaticana, il palazzo di S. Marco (Frey, 1909, 1910, 1912); nel 1536 lo troviamo autore anche della misura e stima del tamburo e della cupola di S. Eligio degli Orefici (M. Zocca, Cupole del Rinascimento in Roma, in Atti del Convegno naz. di storia dell'architettura, Firenze 1939, pp. 102 ss.).

Al pari di eminenti personaggi fiorentini residenti a Roma, tra cui numerosi artisti, il C. si associò all'Arciconfraternita di S. Giovanni Decollato e come ufficiale di questa compagnia fu, a detta del Vasari (VII, p. 16), uno dei committenti dei dipinti realizzati da Jacopino del Conte nella sede della Confraternita tra il 1536 ed il '37 e dell'affresco della Visitazione dipinto nell'oratorio nel 1538 da F. Salviati (che vi ritrasse anche il C. a sinistra, accanto all'altro ufficiale committente, sulla scala in primo piano: cfr. R. E. Keller, Das Oratorium von S. Giovanni Decollato, Roma 1976, pp. 16, 32).

Negli anni successivi il C. alternò alle collaborazioni col fratello qualche iniziativa più o meno indipendente. Dal 1537 in poi, a fianco di Antonio il Giovane, partecipò alla progettazione ed alla direzione dei lavori per la nuova cinta fortificata di Roma, che iniziò con la costruzione del baluardo Ardeatino e di altre opere sul lato sud delle mura.

Una probabile svista nel manoscritto (Firenze, Bibl. naz., II-I-278, commento alla pianta XXXIV) e poi nell'edizione postuma del trattato di architettura militare di Francesco de Marchi (Della architettura militare, Brescia 1599, f. 78v), in cui si cita due volte un "Maestro Gio. da Sangallo" uomo famosissimo in tempo di papa Paolo terzo" a proposito dell'invenzione di un nuovo tipo di disposizione dei baluardi e delle fortificazioni romane, aveva indotto (Ravioli, 1863)a sopravvalutare la parte avuta dal C. nell'ideazione di queste opere, ma diverse prove hanno poi confermato che il ruolo principale è stato sempre svolto da Antonio, anche se il contributo del C., attestato da documenti e disegni (Uffizi A 288, 289), èforse più consistente che in altre occasioni.

Un foglio di studi per queste fortificazioni è stato inserito dal C. in un incunabolo di Vitruvio (Roma, Bibl. Corsiniana, Inc. 50 F. 1) per potervi annotare commenti al testo con un rilievo di pal. Gaddi in Banchi, che pertanto dovrebbe essere stato disegnato anch'esso verso la fine degli anni '30. Il rilievo fu fatto per un fine imprecisato per conto degli Strozzi, ai quali allora apparteneva il palazzo; sempre dagli Strozzi "Battista da Sangallo architetto" è pagato nel 1540 per più disegni forniti per lavori da farsi nel casale di Lunghezza e nel maggio dell'anno seguente vi stima le opere realizzate (Pagliara, 1972, p. 51; C. Pini-G. Milanesi, La scrittura di artisti italiani..., Firenze 1876, commento alla tav. 140).

In un'altra architettura militare, la Rocca Paolina di Perugia (dal 1540) Antonio il Giovane si valse ancora del fratello per rilevare l'edilizia preesistente nei disegni degli Uffizi, A 1034 e 1035, a lui attribuiti. Ma il C. ormai riceveva anche incarichi indipendenti come "mastro capomuratore", in società con Giacomo da Brescia, per intonacare la volta dell'aula regia (1542) e per altri lavori nei palazzi apostolici a Roma dal 1542 al 1547 (Bertolotti, 1892, pp. 284 s.; Frey, 1909). In un contratto stipulato il 3 febbr. 1545 per lavori da eseguire nella chiesa di S. Anastasia in Roma si richiede che la qualità di uno sperone di consolidamento sia giudicata da Battista da Sangallo (Roma, Biblioteca Casanatense, ms. 4056, ff. 35v-36r).

I due fratelli si ritrovano associati quando, insieme ad altri artisti, supplicano Paolo III di ratificare la concessione di una cappella nel Pantheon in cui nel 1542 venne fondata la Congregazione dei Virtuosi al Pantheon (C. L. Visconti, Sulla istituzione della insigne ... Congregazione pontificia dei Virtuosi al Pantheon, Roma 1869, p. 16). Il C. è menzionato nell'elenco dei "Virtuosi" defunti tra il 1543 ed il 1600 (Statuto dell'insigne Congregazione dei Virtuosi al Pantheon, Roma 1839, pp. 8, 45); non compare invece nel "libro delle congregazioni dal 1543 al 1587" (J.A.F. Orbaan, Virtuosi al Pantheon. Archivalische Beiträge zur römischen Kunstgeschichte, in Repertorium für Kunstwissenschaft, XXXVII [1915], pp. 21 ss.).

Gli studi sul trattato di Vitruvio, che rimangono l'opera più nota e nel complesso più apprezzata del C., erano già iniziati da tempo, forse anche prima che Antonio il Giovane nel 1531 scrivesse la prefazione ad una propria traduzione del De architectura che anch'egli aveva in programma.

I risultati del lavoro del C. su Vitruvio si trovano in gran parte alla Biblioteca Corsiniana in Roma e comprendono due redazioni della traduzione (cfr. nella stessa biblioteca, senza segnatura: Vitruvius, De architectura libri decem, facsimile dell'editio princeps a cura di R. Peliti, traduzione in volgare di Giambattista da Sangallo, a cura di F. Petrucci Nardelli con introd. di A. Petrucci, 1967, inedito: prime bozze dell'introduz. corrette il 12 apr. 1969).La più antica (Cors. 1846)e anche la più estesa: si interrompe al cap. XII del X libro ed è scritta quasi interamente di mano del C. su carte con filigrane usate a Firenze nel 1514-29.Insoddisfatto di questa versione, il C. ne fece una seconda (Cors. 2093) che arriva al termine del libro VI, scritta anch'essa quasi tutta di sua mano su carte con filigrana in uso nel terzo decennio del secolo.

Alcune minute, sempre autografe, della prosecuzione di questa traduzione si trovano a Firenze nella Biblioteca Laurenziana (Ashb. 639, cc. 109-151;Pagliara, 1982)e sono databili al decennio tra il 1535 ed il '45. Parallelamente il C. ha corredato di disegni delineati accuratamente un esemplare dell'edizione di Sulpicio del De architectura (1486), conservato anch'esso alla Corsiniana. La traduzione, nonostante il forte impegno interpretativo del Sangallo, non si può dire riuscita. La grande esperienza pratica dell'architettura non ha potuto supplire del tutto alle sue scarse conoscenze della lingua latina, e molte volte il testo non è realmente compreso.

Invece nelle illustrazioni, in cui non risente delle difficoltà di esprimere in lingua scritta i risultati dei propri studi, il C., grazie soprattutto ad una vasta conoscenza dell'architettura antica, indagata attraverso il rilievo dei monumenti, dimostra di saper comprendere ed integrare il testo vitruviano. I risultati, senza precedenti, rivelano un'aderenza all'architettura classica che anticipa quella dell'edizione di Daniele Barbaro (1556)e che sorprende ove si confronti il lavoro del C. con le edizioni di fra Giocondo (1511) e di Cesariano (1521).È da dire però che il suo lavoro era stato preceduto dalle indagini su Vitruvio e sull'architettura antica compiute nell'ambiente romano da Bramante, da Raffaello e da Peruzzi, che purtroppo, diversamente dalle sue, non si sono conservate in un corpus unitario. Inoltre poteva valersi di tutte le esperienze della cerchia sangallesca: da quelle di Giuliano, che nel 1488aveva progettato un palazzo ispirato dalla descrizione vitruviana della "domus" a quelle di Giovan Francesco e di Antonio il Giovane, che avevano collaborato con Raffaello negli anni cruciali dal 1516 al '20.In particolare i disegni del C., nei temi affrontati e nel modo di risolverli, sono legati alle architetture di ispirazione vitruviana progettate da Antonio il Giovane.

È collegato al De architectura un ultimo scritto del C., una lettera a Paolo III, redatta dopo la morte del fratello, in cui, con argomenti tratti dalla teoria vitruviana ed allegando un brano della propria traduzione di Vitruvio, critica il progetto michelangiolesco del cornicione di palazzo Farnese (S. Meller, Zur Entstehungsgeschichte des Kranzgesimses am Palazzo Farnese..., in Jahrb. der Preussischen Künstsamml., XXX[1909], pp. 6 ss.).

La lettera e conosciuta in due esemplari, entrambi autografi: una minuta più completa nella Biblioteca Laurenziana di Firenze (Ashb. 639, f. 148r) ed una conservata nella Biblioteca Estense (Autografoteca Campori, Buonarroti Michelangelo, n. 1; v. anche, per l'erronea attribuzione a Michelangelo, Pagliara, 1982, pp. 28 s.). L'argomentare pedantemente vitruviano della lettera non trova un corrispondente altrettanto rigido nella pratica del C. e di Antonio il Giovane, i quali anche negli ultimi anni hanno, sempre temperato con varie deroghe il richiamo a Vitruvio. Si può ritenere che la lettera sia mossa, oltre che dal sincero desiderio di difendere l'ispirazione con cui il palazzo Farnese era stato progettato da Antonio il Giovane, anche dalla speranza di ereditarne gli incarichi. A questo fine, infatti, è rivolta anche una lettera che, a richiesta del C., Pier Luigi Farnese scrisse il 29 ott. 1546 (A. Ronchini, in Atti e mem. d. RR. Deputaz. di storia patria per le prov. modenesi e parmensi, II [1864], pp. 462 s.) al proprio ambasciatore a Roma perché ottenesse dal papa che fossero trasmessi a questo architetto, gli incarichi già del fratello e fossero allo stesso affidati in tutela i nipoti; in questo modo Pier Luigi sperava di poter più facilmente acquistare i libri e i disegni di Antonio, che invece finirono successivamente nella raccolta del granduca di Toscana.

Il C. lasciò gli scritti vitruviani in eredità all'Arciconfraternita di S. Giovanni Decollato, dove restarono per circa due secoli finché non li riscoprì G. G. Bottari: sono oggi in gran parte alla Corsiniana.

Gravemente ammalato alla data del testamento (19 ott. 1548; pubbl. in Bertolotti, 1892, p. 324: Arch. di Stato di Roma, Arch. Notari A. C., vol.6149, not. Reydettus Ludovicus, f. 434; minuta a Roma, Bibl. Apost. Vaticana, Vat. lat. 11.173, f. 94), il C. morì nello stesso giorno e fu sepolto il 20 ott. 1548 in S. Giovanni dei Fiorentini (Roma, Arch. del Vicariato, S. Giovanni dei Fiorentini, Battesimi, I [1532-74], f. 109v).

Fonti e Bibl.: G. Vasari, Le vite, a cura di G. Milanesi, V, Firenze 1880, pp. 463, 472 s.; VII, ibid. 1881, p. 16; G. Bottari, Raccolta di lettere sulla pittura, scultura e architettura, IV, Roma 1764, pp. 95 s.; C. Ravioli, Notizie sui lavori d'architettura dei nove da Sangallo, Roma 1863, pp. 16 s., 22, 33, 35-46; P. N. Ferri, Indice ... dei disegni di architettura ... nella Galleria degli Uffizi, Roma 1885, ad nomen;A. Bertolotti, Nuovi doc. intorno all'arch. Antonio da Sangallo il Giovane e alla sua famiglia, in Il Buonarroti, IV (1892), pp. 284 ss., 324; G. Clausse, Les Sangallo, Paris 1902, II, pp. 278, 281 s., 342 ss.; III, pp. 281-88; V. Federici, Autografi d'artisti dei secc. XV-XVII, in Arch. d. R. Società romana di storia patria, XXX (1907), pp. 494 S. (arbitrato del C. in data 5 febbr. 1544 su una casa vicina a S. Giovanni dei Fiorentini); K. Frey, Studien zu M. Buonarroti und zur Künst seiner Zeit, in Jahrbuch der Preussischen Kunstsammlungen, XXX (1909), suppl., pp. 150, 156, 168 (docum. su lavori nei palazzi vaticani in anni vari); Id., Zur Baugeschichte des St. Peter, ibidem, XXXI (1910), suppl., p. 90; XXXIII (1912), suppl., pp. 6, 10 s., 14 s., 20 s., 25, 69, 74, 85, 97 (documenti sui lavori come misuratore, stimatore e costruttore in S. Pietro e nei palazzi vaticani [1535-44]); C. Hülsen, Il libro di Giuliano da Sangallo..., Leipzig 1910, II, p. XXXVI, A. Bartoli, I monumenti antichi di Roma nei disegni degli Uffizi di Firenze, IV, Firenze 1919, tavv. 301-340; VI, ibid. 1922, passim e pp. 92-104; P. Fontana, Osservaz. intorno ai rapporti di Vitruvio colla teoria dell'architettura del Rinascimento, in Miscell. di storia d. arte in on. di I. B. Supino, Firenze 1933, pp. 311-20; G. K. Loukomski, Les Sangallo, Paris 1934, pp. 130 ss.; J. S. Ackerman, The Cortile del Belvedere. Città del Vaticano 1954, pp. 71, 208, 214; G. Giovannoni, Antonio da Sangallo il Giovane, Roma 1959, passim;G. S. Hamberg, G. B. da Sangallo detto il Gobbo e Vitruvio, in Palladio, n s., VIII (1958), pp. 15-21; H. Burns, A Peruzzi Drawing in Ferrara, in Mitteil. des Kunsthistor. Institutes in Florenz, XII (1965-66), pp. 254-58; P. Portoghesi, Roma nel Rinascimento, Milano s. d., I, p. 200; II, pp. 421 s., 447, 453, 463, 502; R. Zentai, Un dessin de G. B. Sangallo et les projets de fresques de la Chapelle Médicis, in Bull. du Musée Hongrois des Beaux-Arts, XXXVI (1971), pp. 7992; P. N. Pagliara, L'attività edil. di Antonio da Sangallo il Giovane, in Controspazio, IV (1972), pp. 26-32, 53, 55; C. L. Frommel, Der römische Palastbau der Hochrenaissance, Tübingen 1973, I, pp. 45, 55, 78, 131, 133; II, pp. 5, 140, 201, 204; L. Salerno-L. Spezzaferro-M. Tafuri, Via Giulia, Roma 1973, pp. 206, 403; C. L. Frommel, Raffaello e il teatro alla corte di Leone X, in Boll. d. Centro internaz. di studi Andrea Palladio, VI (1974), p. 181; E. Galdieri, Una malnota fabbrica Sangallesca: il pal. Farnese di Gradoli, in Boll. d'arte, LX (1975), pp. 143 s.; T. Buddensieg, Bernardo della Volpaia und Giovanni Francesco da Sangallo. Der Autor des Codex Coner und seine Stellung im Sangallo Kreis, in Römisches Jahrbuch für Kunstgeschichte, XV (1975), pp. 89, 93 s., 103-108; L. Marcucci, Giovanni Sulpicio e la prima edizione del De Architectura di Vitruvio, in Studi e docc. di architettura, VIII (1978), pp. 193 ss.; P. N. Pagliara, Alcune minute autogr. di G. B. da Sangallo..., in Architettura Archivi, I (1982), pp. 25-51 (con completa bibl. sulle carte vitruviane del C.); O. Vasori, I monumenti antichi in Italia nei disegni degli Uffizi, Roma 1981, pp. 156-79; I. Campbell, Scamilli Inpares: a Problem in Vitruvius, in Papers of the British School at Rome, XLVIII (1980), p. 21; S. Deswarte, Francisco de Hollanda et les études vitruviennes en Italie, in A introduçâo da arte da Renascenca na península ibérica, Coimbra 1981, p. 232; H. Günther, Porticus Pompei, in Zeitschrift für Kunstgeschichte, XLIV[1981], pp. 364 s., 373 s.; U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, XXIX, p. 404 (s. v. Sangallo, Battista da).

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