DORIA, Giovanni Battista

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 41 (1992)

DORIA, Giovanni Battista

Maristella Cavanna Ciappina

Nacque verso il 1470, presumibilmente a Genova. primogenito di Agostino fu Domenico Bartolomeo e di Soprana Grimaldi di Nicolò. Ebbe due fratelli, Giacomo e Nicolò, e una sorella, Maria, poi sposa di Giovan Francesco Fieschi di Ambrogio : La carriera politica dei D., nei primi anni del sec. XVI, fu favorita prima dal padre e dallo zio Giovanni Doria e poi dal ricco suocero Battista Lomellini, che contribuì ad avvicinarlo, tra il 1512 e il 1514, ai Fregoso e, in seguito, nel 1528, nel momento cruciale della conquista del potere, ad Andrea Doria.

Il D. aveva cominciato relativamente tardi la sua carriera pubblica, comparendo la prima volta tra gli ufficiali delle Compere di S. Giorgio nel 1508, un anno dopo il fallimento del dogato popolare di Paolo da Novi e il ripristino della sovranità francese in Genova; ma nel 1509 era già eletto tra gli Anziani, carica ai vertici dell'apparato politico (e che sarà chiamato ad occupare altre due volte, nel 1519 e nel tragico 1522, all'epoca del sacco di Genova).

Nel 1510, mentre la città si preparava a sostenere l'attacco dei Fregoso e della lega antifrancese voluta da Giulio II, il D. fu incaricato di incontrare il cardinale Federico Sanseverino, acceso sostenitore dei Francesi (e poi uno dei promotori del concilio di Pisa). Ma due anni dopo la posizione politica del D. (in questo periodo sempre ambiguamente oscillante, come del resto quella di tutta la classe dirigente della città, tesa a mantenere i vecchi equilibri interni pur nel variare delle alleanze esterne) appare capovolta: infatti, l'8 nov. 1512 fu eletto ambasciatore a Roma con Luigi Fregoso, Sinibaldo Fieschi e Quilico Cavallo.

L'ambasceria doveva esprimere a Giulio II il consenso di Genova a stipulare l'accordo con la Firenze della restaurata signoria medicea, accordo che il cardinale Giovanni de' Medici e Francesco Cibo avevano già sollecitato per incarico pontificio; come contropartita, gli ambasciatori dovevano impetrare dal pontefice soccorsi più consistenti delle cinque galee già inviate per liberare la città dall'assedio della fortezza della Lanterna.

Il fatto che il D. fosse ormai legato ai Fregoso è confermato dalla sua elezione come primo membro dell'ufficio di Balia che un Gran Consiglio straordinario aveva ritenuto opportuno formare alla fine del 1513, considerate le mutate condizioni internazionali. Il ruolo progressivamente emergente del D. è anche confermato dal suo inserimento nella ambasceria al nuovo pontefice Leone X: ambasceria la cui gestazione fu laboriosissima (durò più di un anno) e vide continui rimaneggiamenti dei componenti fino alla formazione definitiva che ricevette le istruzioni da Ottaviano Fregoso nel maggio 1514.

Gli ambasciatori (tra gli altri, il suocero del D., Battista Lomellini) dovevano rinnovare l'obbedienza di Genova al papa e chiedergli segretamente altri soccorsi per l'assedio della Lanterna. Ricevuti da Leone X il 2 giugno, furono violentemente attaccati durante l'udienza dall'ambasciatore del re di Francia, il vescovo di Marsiglia Cl. de Seyssel, che, rivendicando la sudditanza di Genova al suo re, dichiarava illegittima l'autonoma dichiarazione di obbedienza. Ma il D. e i colleghi difesero con energia il loro diritto di ambasciatori di una città libera.

Negli anni successivi il D. divise i propri incarichi tra il settore specificatamente politico (nell'ufficio di Balia, almeno fino al temporaneo ritorno degli Adorno) e quello economico (nelle Compere di S. Giorgio, nell'ufficio dei Mercanti, in quello delle Tele), finché tra il 1525 e il 1527 fu nominato prima commissario e poi governatore di Corsica, mentre Genova subiva nuovi attacchi francesi che, nell'agosto del '27, avrebbero conseguito la cacciata di Antoniotto Adorno e il recupero della città.

Il D. ritornò dalla Corsica, che sembra avesse retto con equilibrio (come confermerebbe urla lapide che i Corsi murarono sul palazzo del governatore in Bastia), trovando Genova, sotto il governo del patrizio milanese Teodoro Trivulzio cui Francesco I aveva affidato la reggenza, fiaccata dalla carestia e dalla peste e drammaticamente coinvolta nel conflitto franco-spagnolo. A questo punto la scelta del D., probabilmente per precise direttive del suocero, fu per Andrea Doria. Quando l'ammiraglio, l'11 sett. 1528, entrò vincitore nel porto, mentre il Trivulzio si chiudeva nella fortezza, il D. e il suocero furono tra i quattro deputati a lui inviati dal Senato genovese.

Ovviamente le varie fonti interpretano in maniera partigiana questa missione: quelle filodoriane indicano nel D. e nel compagni dei patrioti, ora in funzione attiva (il D. e gli altri avrebbero già preparato la città ad accogliere il "liberatore") ora in funzione passiva (venivano a prendere ordini); altre limitano il loro ruolo a mediatori neutrali; ma quasi tutte sottolineano il rapporto privilegiato instaurato da Andrea col D., al quale solo, chiamato in disparte, avrebbe manifestato intero il suo piano di conquista ad ogni costo. Rientrata la legazione in città, fu il suocero del D. a sostenere in Gran Consiglio il progetto doriano così come fu pronto a fornire, insieme con Sinibaldo Fieschi e Lorenzo Cibo, le somme più consistenti ad Andrea appena proclamato "liberatore".

Nella vita del D. esiste a questo punto un vuoto di informazioni: ma benché non appaia nelle magistrature tra il 1528 e il 1536, anno in cui venne estratto senatore, il 4 genn. 1537 fu assunto alla carica ducale (quattro anni prima rivestita dal suocero, a conferma della riconoscenza di Andrea). Al suo pronto insediamento, il successivo 12 gennaio, presenziarono Andrea e l'ambasciatore imperiale, mentre Agostino Centurione tenne l'orazione ufficiale; gli ovvi toni celebrativi di questa furono ulteriormente amplificati, molti decenni dopo, nell'orazione di Ansaldo Cebà per l'incoronazione del nipote del D., Agostino Doria. Si ascrive a merito del dogato del D. l'esecuzione del progetto di ampliamento e fortificazione delle mura della città, già avviato dal predecessore del D., Cristoforo Grimaldi, e tornato di drammatica attualità nel momento in cui la guerra franco-imperiale e la minaccia turca accrescevano insicurezze e paure (e le difese intanto potevano raggiungere anche la villa del principe Andrea Doria a Fassolo). Rimase invece incomprensibile il celebrato atto di clemenza del D. verso un giovane, tale Peregro Borzoni, reo di alto tradimento, condannato a morte e graziato in considerazione della giovane età. Durante il dogato del D. sostarono a Genova, nel 1538, Paolo III e Carlo V provenienti dal convegno di Nizza: il D. colse l'occasione per chiedere al pontefice provvedimenti per i conventi femminili, la cui riforma fu subito affidata dal papa al vicario generale Marco Cattaneo.

Eletto procuratore perpetuo secondo la prassi abituale, nel D. degli anni successivi al dogato sembrano prevalere interessi di tipo religioso, dal restauro o costruzione di chiese (condotti col suo predecessore Cristoforo Grimaldi) alle transazioni con Ordini religiosi (in particolare coi domenicani di Savona, cui erano stati distrutti chiesa e monastero per far posto alle fortificazioni) fino ad una ambasceria a Roma insieme col cognato Giovan Battista Lomellini, ancora sul problema dei conventi femminili. Del resto, sotto il suo dogato, le cronache religiose avevano registrato l'apparizione della Madonna al contadino savonese Antonio Botta e l'inizio della costruzione del grande santuario della Misericordia, voluto dal D. e dal Senato.

Morì a Genova nel 1554 e fu sepolto nel coro della chiesa di S. Domenico.

Dal matrimonio con Geronima Lomellini non nacquero figli; numerosa prole ebbe invece il fratello del D., Giacomo, padre di due futuri dogi (Nicolò nel 1579 e Agostino nel 1601) e nonno di un terzo (Giovan Stefano nel 1633). Come succede per quasi tutti i componenti le grandi famiglie di questo periodo, la presenza di omonimi contemporanei può provocare equivoci nell'attribuzione di cariche e attività: per il D. sono almeno quattro gli omonimi, figli rispettivamente di Gregorio, Giovan Giacomo, Giovanni e Francesco. Così, se non sembra che ci sia ragione di mantenere distinte nell'indice del Senarega il Giovanni Battista senza patronimico e il successivo, indicato appunto fu Agostino, va invece distinto nell'indice del Gioffré l'ambasciatore a Roma del 1512 e 1514, che è sicuramente il D., dal banchiere operante a Lione nei primi due decenni del secolo e che nel 1507 partecipò al pagamento dei 200.000 scudi imposti da Luigi XII a Genova e nel 1519 contribuì ad un prestito di 56.000 scudi a Francesco I. Ciò che fa escludere l'identificazione di questo banchiere col D. non sono ragioni ideologiche o cronologiche (i nobili genovesi mercanti-finanzieri, spesso ambigui nella apparente contraddittorietà tra operazioni politico-pubbliche ed economico-private, sono figure troppo consuete), ma la titolarità della ditta di credito, condivisa da Giovanni Battista Doria con un Paolo Doria che potrebbe essere il fratello e fare di entrambi due figli di Giovan Giacomo.

Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Genova, Mss., 10, c. 117v; Genova, Bibl. civ. Berio, m.r. X, 2, 168: L. Della Cella, Famiglie di Genova, II, c. 50; B. Senarega, Commentaria de rebus Genuensibus, in Rer. Ital. Script., 2ed., XXIV, 8, a cura E. Pandiani, ad Indicem; G. Bonfadio, Annali di Genova, Genova 1759, II, p. 399; F. Casoni, Annali della Repubblica di Genova, Genova 1800, II, p. 124; N. Battilana, Genealogie delle famiglie nobili di Genova, Genova 1825, I, p. 52; F. M. Accinelli, Compendio delle storie di Genova, Genova 1851, I, p. 84; F. Donaver, Storia della Repubblica di Genova, Genova 1913, II, p. 151; L. Levati, I dogi biennali di Genova, Genova 1930, I, pp. 26-31 (con bibl.); D. Gioffré, Gênes et les foires de change, Paris 1960, ad Indicem; G. Guelfi Camajani, Il Liber nobilitatis Genuensis, Firenze 1965, p. 156.

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