LUSIERI, Giovanni Battista

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 66 (2006)

LUSIERI, Giovanni Battista

Ilaria Sgarbozza

Non si hanno notizie sulla famiglia di questo pittore nato a Roma tra il 1751 e il 1755.

Secondo quanto riportato nell'iscrizione di una lapide commemorativa collocata all'ingresso della chiesa inglese di Atene, il L. morì nel 1821 all'età di settant'anni, mentre J. Fullner nel suo Narrative of a tour through some parts of the Turkish Empire (1829) lo ricorda deceduto settantaquattrenne (Spirito, p. 109).

La pochezza dei dati al riguardo è giustificata dalla riscoperta critica relativamente recente del pittore, che è coincisa con la vendita all'asta, sul mercato londinese, di venti acquerelli provenienti dalla collezione di T. Bruce, settimo conte di Elgin (Sotheby's, 30 giugno 1986). Non si hanno notizie della sua vita privata e professionale precedenti al 1779, quando firmò, datandola, la Veduta di Roma da Monte Mario (collezione privata: Spirito, n. 6, p. 116). In quell'anno egli risulta pienamente inserito negli ambienti dei grand-tourists inglesi presenti nella capitale e in contatto diretto con l'architetto scozzese J. Byres, tra i più attivi mercanti d'arte: per suo tramite il collezionista P. Yorke commissionò al L. sei vedute di Roma, perdute, tra le quali va tuttavia forse inserita la Veduta di Roma dagli orti della pineta Sacchetti (Malibu, J.P. Getty Museum). Tra il 1779 e il 1781 è da collocarsi la prima produzione di paesaggi ideali, della quale sopravvivono due fogli autonomi (New York, Metropolitan Museum of art) e una dozzina di acquerelli (nell'album di disegni conservato nella collezione Elgin a Broomhall, Dunfermline, in Scozia: Spirito, pp. 150, 154 s.); è inoltre accertato il contatto con il pittore svizzero L. Ducros, socio e disegnatore di G. Volpato, in compagnia del quale il L. ritrasse dal vero i monumenti classici di Roma e dei suoi dintorni.

Per entrambi l'osservazione della natura e dell'antico appare ispirata da rigorosi intenti documentari, orientati a cogliere gli effetti distruttivi del tempo sulle murature aggredite dalla vegetazione (per esempio nelle tre versioni delle Terme di Caracalla, collezione privata: ibid., nn. 1-3, p. 115). Estranee alla resa degli effetti pittoreschi o sublimi, le vedute romane appaiono come esemplari testimonianze di una tecnica esecutiva già condotta a perfezione: il L. utilizzò fogli di carta di grandi dimensioni sui quali furono tracciati segni a matita dal tratto finissimo, delineando in prima istanza i contorni entro cui stendere successivamente l'acquerello, in progressione dai toni più chiari del fondo a quelli più scuri del primo piano. Fu proprio la straordinaria capacità dell'artista di disegnare dal vero e di definire con esattezza il profilo della città e delle sue emergenze monumentali a favorire la collaborazione con altri pittori: F. Spirito ha ipotizzato (pp. 15-17) l'intervento del L. nell'ideazione della Veduta di Roma da Monte Mario di J.P. Hackert (già Berlino, Staatliche Museen, Kupferstichkabinett). La consonanza di opinioni in merito alla teoria e alla pratica della pittura sembra peraltro accomunasse i due artisti, che incentrarono le rispettive ricerche sull'imitazione fedele del dato naturale, sulla trascrizione topografica, sul primato del disegno e sulla cura del dettaglio.

Il L. si trasferì a Napoli tra la fine del 1781 e l'inizio del 1782. Sono i Memoirs del pittore inglese T. Jones (Viaggio d'artista() a fornire le principali informazioni circa il soggiorno dell'artista nella capitale borbonica. Residente in vicolo del Canale (sulla strada per Capodimonte) almeno dal giugno del 1782, il L. risulta tra i principali animatori del circolo di artisti inglesi di stanza in città, in contatto con J.R. Cozens e Jones, con i quali organizzava escursioni fuori porta per realizzare studi dal vero.

Come si evince dall'album di disegni conservato nella collezione Elgin di Broomhall (Spirito, pp. 150-166), il pittore trascrisse meticolosamente i motivi paesaggistici sulla carta, ricorrendo a ripetuti sopralluoghi e a continue verifiche. Si deve forse proprio all'estenuante lunghezza dei tempi di esecuzione il fatto che in qualche caso la fascia del primo piano risulti incompiuta, occupata solo dalle sagome delle figure e degli alberi, come nel Golfo di Baia (collezione privata: ibid., n. 25, p. 124) e nella Veduta di Lacco a Ischia (Broomhall, collezione Elgin). Un certo interesse etnografico sembra peraltro guidare la matita del L. nella rappresentazione dei contadini e delle donne napoletane, ritratte a figura intera in decine di fogli e tali da costituire una galleria di modelli utilizzabili all'occorrenza.

Al primo anno di permanenza nella città partenopea risale la Veduta di Napoli da Capodimonte (collezione privata: ibid., n. 13, p. 119), un acquerello firmato e datato che, sul modello di una tela di A. Joli, propone un'immagine massimamente descrittiva della città e del suo golfo, chiuso ai lati dalla mole di Castel Sant'Elmo e dalla penisola sorrentina, con Capri al centro, sullo sfondo, in posizione preminente. Estranea ai toni drammatici e caratterizzata da un luminoso nitore, l'opera inaugura una stagione di intensa attività (fino al 1799), trascorsa prevalentemente al servizio della regina Maria Carolina d'Asburgo Lorena e dell'ambasciatore britannico sir W. Hamilton, a contatto con il tedesco W. Tischbein, oltre che con Hackert. Replicate numerose volte a distanza di anni, le vedute del L. ritraggono l'aspetto della città (nei suoi scorci diversificati), dei suoi dintorni (soprattutto i Campi Flegrei), dei principali siti archeologici (Paestum) e delle residenze borboniche di recente fondazione (il palazzo di Portici e la reggia di Caserta); documentano inoltre, in una profusione di varianti iconografiche, le celebri eruzioni del Vesuvio del 1787 e del 1794. Quelle commissionate da Hamilton - e in particolare la Veduta di Napoli da palazzo Sessa a Pizzofalcone, ottenuta dalla giustapposizione di sei fogli di carta (Malibu, J.P. Getty Museum) - segnano la definitiva conquista del mercato inglese. Il prestigio goduto presso il diplomatico giustifica d'altronde il trasferimento del L. in Sicilia nel 1799, a seguito della famiglia reale in fuga da Napoli. Fu proprio grazie all'intermediazione di Hamilton che il pittore incontrò a Messina (il 18 ottobre) l'ambasciatore britannico a Costantinopoli, quel lord Elgin (Thomas Bruce, settimo conte di Elgin e undicesimo conte di Kincardine) che, in procinto di avviare una campagna di rilevamenti sull'Acropoli di Atene, lo reclutò in qualità di disegnatore e di soprintendente dei lavori, con uno stipendio annuo di 200 sterline. Nei successivi anni il L. fu così incaricato dapprima di coordinare il gruppo di architetti e formatori alle prese con le misurazioni e i calchi del Partenone (aprile - agosto 1801) e poi di supervisionare le delicate operazioni di distacco delle metope e degli altri rilievi (agosto 1801 - marzo 1802), occupandosi successivamente dell'imballaggio delle casse dirette in Inghilterra (marzo 1802 - ottobre 1804). Sostenuto dall'alleanza anglo-ottomana, il L. promosse inoltre scavi in altri punti di Atene, al Pireo e in Attica, dissotterrando un'enorme quantità di monete e di vasellame, finché lo spostamento del favore turco verso Napoleone non lo costrinse alla momentanea fuga dalla città (aprile del 1807). Infine, mentre il dibattito sulla legittimità del "saccheggio" del Partenone coinvolgeva i più acuti viaggiatori di stanza ad Atene, il L. si ritirava dall'attività imprenditoriale, scontando il declino finanziario di Elgin e le continue pressioni di L. Fauvel, agente antiquario dell'ambasciatore francese a Costantinopoli. Quando nel 1812 George Byron, reduce dalla Grecia, lo definiva nel Childe Harold's pilgrimage "l'agente delle devastazioni" (The poetical works of lord Byron, II, London 1851, p. 111), il L. era quasi interamente dedito al mestiere di accompagnatore turistico. Se dalla corrispondenza scambiata con Elgin (conservata a Broomhall: Spirito, pp. 168-175) si arguisce infatti che la pittura restava il suo principale interesse, soltanto tre risultano essere le opere portate a compimento negli anni del soggiorno ateniese, tra esse Il monumento di Filopappo (Broomhall, collezione Elgin) e L'angolo sud-est del Partenone dopo la rimozione di alcune metope (Edinburgo, National Gallery of Scotland). L'impegno artistico del L. è accertato comunque fino agli anni estremi: cade nel 1819 la richiesta al governo britannico di un finanziamento per la realizzazione di una galleria di vedute dell'acropoli, da esporre nella sala del British Museum a corredo dei marmi Elgin.

Il L. morì ad Atene il 4 febbr. 1821.

Il naufragio nel quale incapparono i beni personali dell'artista - appartenenti a Elgin e per questo imbarcati alla volta dell'Inghilterra nel 1828 - impedisce di fare chiarezza sugli ultimi sviluppi del suo iter creativo, che, stando alle testimonianze dei contemporanei, sembra non aver subito trasformazioni.

Fonti e Bibl.: La maggior parte delle informazioni biografiche e bibliografiche sul L. sono in F. Spirito, L., Napoli 2003. Si veda inoltre: Viaggio d'artista nell'Italia del Settecento: il diario di Thomas Jones (1798), a cura di A. Ottani Cavina, Milano 2003, pp. 10, 13, 22, 140, 155, 188, 202; C.I. Williams, L.'s surviving works, in The Burlington Magazine, CXXIV (1982), pp. 492-496; All'ombra del Vesuvio: Napoli nella veduta europea dal Quattrocento all'Ottocento (catal.), a cura di G. Briganti - N. Spinosa, Napoli 1990, pp. 41 s., 144-149, 262, 277, 298, 406-408; C. Knight, I Lusieri di Hamilton, in Napoli nobilissima, XXXI (1992), 3-4, pp. 81-86; J. Gage, L., Hamilton and the palazzo Sessa, in The Burlington Magazine, CXXXV (1993), pp. 765 s.; N. Spinosa - L. Di Mauro, Vedute napoletane del '700, Napoli 1993, pp. 28, 33, 35, 38, 123-139, 160-162, 172 s., 175-177, 181 s., 202 s., 206, 300; Grand Tour. Il fascino dell'Italia nel XVIII secolo (catal., Roma), a cura di A. Wilton - I. Bignamini, Milano 1997, pp. 24, 136, 149, 155, 174 s.; C. De Seta, Vedutisti e viaggiatori in Italia tra Settecento e Ottocento, Torino 1999, pp. 23 s., 39, 52 s., 82-85, 104, 111; Un paese incantato. Italia dipinta da Thomas Jones a Corot (catal., Parigi-Mantova 2001), a cura di A. Ottani Cavina, Milano 2002, pp. 70-75; C. Nordhoff, rec. a F. Spirito, L. (2003), in The Burlington Magazine, CXLVI (2004), p. 697; Imago urbis Romae: l'immagine di Roma in età moderna (catal., Roma), a cura di C. De Seta, Milano 2005, pp. 40 s., 113, 192; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XXIII, p. 478 (s.v. Lusieri, Titta).

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