RICCIOLI, Giovanni Battista

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 87 (2016)

RICCIOLI, Giovanni Battista

Maria Teresa Borgato

RICCIOLI, Giovanni Battista (al secolo Galeazzo). – Nacque il 17 aprile 1598 a Ferrara o nel circondario, come risulta da vari documenti (lui stesso si definisce ferrariensis) anche se non è stato tuttora rintracciato l’atto di battesimo. Il padre Giovanni Battista e la madre Gaspara Orsini erano entrambi originari del comune di Bondeno. La famiglia era assai benestante, e Riccioli padre lasciò erede universale il collegio dei gesuiti di Ferrara (1634), con l’usufrutto alla moglie e una rendita vitalizia al figlio.

Il 6 ottobre 1614, a sedici anni, Galeazzo entrò come novizio nel collegio dei gesuiti di Novellara, dove cambiò il suo nome in quello del padre. Dopo due anni intraprese gli studi al collegio di Ferrara dove studiò retorica. Dopo un periodo di insegnamento nei collegi di Piacenza e Imola, si trasferì per studiare filosofia al collegio di Parma (1620-23). Qui fu allievo di Giuseppe Biancani, che era lettore di matematica e che lo avviò allo studio dell’astronomia. Dopo un anno di insegnamento di retorica a Piacenza, Riccioli tornò a Parma per proseguire gli studi superiori di teologia (1624-28). Nell’inverno del 1627-28 fu ordinato sacerdote e chiese di essere inviato come missionario in Cina ma non gli fu concesso; si dedicò quindi all’insegnamento e alla ricerca scientifica. Al collegio di Parma rimase altri quattro anni, insegnando logica, poi fisica e metafisica (1628-32). Sono di questo periodo i primi esperimenti sui gravi cadenti e i pendoli con Niccolò Cabeo. Seguirono alcuni spostamenti con diversi incarichi nei collegi provinciali della Compagnia (1632-33: maestro dei novizi a Bologna; 1633-34: insegnante di logica e matematica a Mantova; 1634-35: confessore in Modena; 1635-36: professore di teologia scolastica a Parma). Nella primavera del 1638 terminava la prima delle sue opere data alle stampe, la Prosodia.

Con suo iniziale disappunto, fu trasferito a Bologna, a insegnare teologia scolastica, prima nel seminario di S. Ignazio per un biennio, quindi al collegio di S. Lucia, dove rimase quasi senza interruzione (solo nell’anno 1645-46 era prefetto degli studi a Parma) per il resto della sua vita e della sua carriera scientifica (1636-45: professore di teologia scolastica; 1645-47: prefetto degli studi; 1647-48: lettore di matematica). A Bologna Riccioli attrezzò un osservatorio astronomico con telescopi, quadranti, sestanti e altri strumenti tradizionali, e portò avanti, con la collaborazione ventennale di Francesco Maria Grimaldi e di altri confratelli, una serie impressionante di osservazioni e misure sui corpi celesti. Negli anni 1648-51 fu esentato dai carichi didattici per preparare la stampa dell’Almagestum novum, e per tutto il periodo 1652-69 si dedicò, con incarichi didattici occasionali, alla stesura delle sue opere.

La fama di Riccioli è principalmente legata all’astronomia e all’opera monumentale in due volumi intitolata Almagestum novum astronomiam veterem novamque complectens (Bologna 1651) che, come presagisce il titolo, intendeva sostituirsi a quella di Tolomeo. Lo scopo era triplice: ricostruire l’astronomia tradizionale ereditata dagli antichi per armonizzarla con i progressi contemporanei, fornire un’enciclopedia dell’astronomia antica e moderna e rendere disponibile un testo didatticamente utile per la formazione degli astronomi. Il piano originario prevedeva tre tomi, di cui solo il primo fu pubblicato, diviso in due parti, di circa 1500 pagine in folio. L’intento enciclopedico, comune ad altre opere di Riccioli, si riconosce anche nella prefazione contenente l’elogio dell’astronomia, nella cronologia degli astronomi e astrologi di tutti i tempi e nelle lunghe serie di osservazioni storiche che precedono quelle moderne.

La prima parte contiene la descrizione della sfera celeste, il globo terracqueo e le sue misure, la teoria della Luna, la teoria del Sole, eclissi lunari e solari, stelle fisse; i cinque pianeti ‘minori’ (Mercurio, Venere, Marte, Giove, Saturno) e i loro moti. Il libro quarto contiene la celebre selenografia: due mappe disegnate da Francesco Maria Grimaldi, che mostrano la morfologia della superficie lunare e le aree interessate dalla librazione, con la nomenclatura attribuita da Riccioli che ancora si conserva (248 nomi di astronomi antichi e contemporanei per indicare altrettanti siti lunari). Nella seconda parte sono trattati i corpi celesti che costituivano i phoenomeni extraodinarii: le comete e le stellae novae; quindi sono presentate e poste a confronto le teorie cosmologiche sul sistema del mondo, con le loro anticipazioni e varianti antiche e medievali. Alla fine Riccioli concludeva con il sostegno al sistema ticonico nella variante da lui stesso introdotta, in cui Mercurio, Venere e Marte ruotano attorno al Sole, mentre orbitano attorno alla Terra il Sole, Giove e Saturno. Nonostante nel 1622 Longomontano avesse esposto la teoria di Tycho Brahe nell’ipotesi georotazionale (Astronomia Danica), Riccioli negava anche il moto di rotazione terrestre.

Nell’opera sono sviluppati temi rilevanti di fisica terrestre: in particolare gli esperimenti sulla caduta dei gravi, condotti prima a Ferrara con Cabeo e poi con Grimaldi e altri a Bologna tra il 1640 e il 1650, mediante lanci di sfere di argilla, dalla Torre degli Asinelli e dalle aperture del collegio dei gesuiti e di varie chiese di Bologna. Obiettivi di questi esperimenti erano: verificare l’indipendenza o meno della velocità di caduta dal peso, misurare gli incrementi dello spazio percorso in funzione del tempo, valutare gli effetti della resistenza dell’aria. Questi esperimenti si collegarono a quelli sul periodo di oscillazione dei pendoli, che permisero la costruzione di un pendolo molto corto (sei oscillazioni al secondo) in grado di scandire i brevissimi tempi di caduta. Dopo molti tentativi, Riccioli riuscì a dimostrare la validità della legge galileiana (degli spazi proporzionali ai quadrati dei tempi) fornendo anche una buona approssimazione dell’accelerazione di gravità.

In seguito Riccioli pubblicò l’Astronomiae reformatae tomi duo (Bologna 1665), in cui sono introdotte nuove osservazioni astronomiche, e un sistema di calcolo delle posizioni di Sole e pianeti secondo un modello kepleriano delle orbite planetarie, ma sono ribaditi con maggiore irrigidimento dogmatico i principi del sistema del mondo dell’Almagestum novum.

In particolare, il tomo primo contiene significative rappresentazioni degli anelli di Saturno (scoperti da Christiaan Huygens nel 1655), nelle varie posizioni ma non ancora divisi, e una lunga lettera di Johannes Hevelius a Riccioli sulla selenografia, in cui si dibatteva estensivamente la questione della librazione (in latitudine e longitudine). Il tomo secondo contiene una serie di tavole astronomiche e cataloghi delle stelle fisse.

Della lunga serie di prove discusse nell’Almagestum novum (126) pro o contro i moti (diurno e annuo) della Terra, una è all’origine di una celebre polemica: l’argomento anticopernicano di Riccioli intendeva contrastare l’ipotesi formulata da Galileo Galilei nella seconda giornata del Dialogo sulla traiettoria dei gravi nello spazio assoluto e si basava sulla variazione dell’intensità dell’urto al suolo di un grave, in funzione dell’altezza di caduta. Questo argomento fu riproposto da Riccioli nell’Astronomia reformata e provocò le reazioni dei galileiani Giovanni Alfonso Borelli e Stefano degli Angeli. Il gesuita intervenne nella disputa una prima volta attraverso il suo allievo Michele Manfredi (Argomento fisicomattematico, Bologna 1668), e quindi una seconda in un lungo opuscolo in latino (Apologia pro argumento physico-mathematico, Venezia 1669).

Alla fama di questa controversia in campo europeo (James Gregory ne fece una relazione alla Royal Society pubblicata nelle Philosophical Transactions del 1668) si attribuisce l’origine di un celebre carteggio scambiato tra Isaac Newton e Robert Hooke (1679-80), le cui speculazioni condussero, cinque anni più tardi, alla composizione dei Principia e alla definitiva affermazione del sistema copernicano secondo l’ipotesi formulata da Keplero.

Se l’Almagestum novum è l’opera maggiore di Riccioli, numerose sono le altre sue opere che ebbero notevole diffusione e che riguardano, oltre l’astronomia e la fisica, la geodesia, la gnomonica, la geografia, la prosodia, la cronologia e la teologia. Sono ventuno le opere a stampa (trattati, opuscoli, lettere) pubblicate mentre Riccioli era in vita, e in parte legate al suo insegnamento nei collegi; insegnamento che, secondo la regola gesuitica, procedeva per gerarchia delle discipline (prima le scienze umane, poi la filosofia e infine la teologia). In quest’ambito va collocata la Prosodia, opera fortunatissima, che ebbe più di cinquanta tra edizioni e ristampe in Italia (Venezia, Padova, Bologna, Roma, Milano, Torino, Napoli) e all’estero (Anversa, Magonza).

Edita per la prima volta a Bologna nel 1639, con il titolo di Prosodia Bononiensis, ebbe una riedizione con il titolo di Prosodia reformata nel 1655. È presumibilmente il frutto delle esperienze fatte da Riccioli come insegnante di retorica diversi anni prima (1617-19; 1623-24) a Piacenza, dove gli fu maestro e predecessore il belga Richardus Hesius.

Assai notevole tra i trattati di Riccioli è la Geographia et hydrographia reformata in dodici libri (Bologna 1661; II ed. riveduta, Venezia 1772), destinata a rinnovare la scienza della geografia, raccogliendo e coordinando i risultati delle ricerche e delle osservazioni antiche e moderne, includendo le conquiste della geografia matematica, della geodesia, dell’idrografia e dell’arte della navigazione. Significativa è l’introduzione (nel libro terzo) delle navigazioni attorno al mondo, delle rotte e i tempi di navigazione per andare e tornare dalle Americhe o dalle Indie orientali, fino alla linea di Alessandro VI e le Molucche. Nel dodicesimo libro è illustrato uno strumento ideato da Riccioli per semplificare i calcoli geografici che egli descrisse separatamente anche nell’opuscolo Geographicae crucis fabrica et usu (Bologna 1643).

In vari luoghi dei libri quarto e quinto della Geographia e nel volume primo, capitolo 7, dell’Almagestum, sono contenuti i contributi di Riccioli alla geodesia, precisamente i suoi tentativi di misura del grado terrestre, ossia dell’arco di cerchio massimo sulla superficie terrestre (supposta sferica) corrispondente all’angolo al centro di un grado. Queste misure furono portate avanti con l’aiuto di Grimaldi negli anni tra il 1644 e il 1656 e anticipano di una ventina d’anni quelle realizzate da Jean Picard sotto l’impulso dell’Académie des Sciences di Parigi nel 1669-70; misure che segnano l’inizio della geodesia moderna.

Riccioli era stato preceduto a sua volta dalle misure effettuate da Jean-François Fernel a nord di Parigi nel 1525, da Willebrord Snell nei Paesi Bassi nel 1617 e da Richard Norwood (che Riccioli non conosceva) nel 1635 tra Londra e York. Questi tentativi, pur affetti da significative imperfezioni, inaugurarono nuovi metodi di valutare le dimensioni della Terra, poiché si basavano sulla misura al suolo mediante triangolazioni.

Nonostante più di un decennio di insegnamento della teologia, a Parma e a Bologna, Riccioli pubblicò, solo sul finire della sua vita, due opere di carattere teologico: De distinctionibus entium in Deo, et in creaturis (Bologna 1669) e Immunitas ab errore (Bologna 1668). Precedentemente aveva pubblicato uno scritto di edificazione spirituale: Evangelium unicum (Bologna 1667).

La formazione teologica e il primo insegnamento di Riccioli avvenne nel quadro del profondo rinnovamento della teologia medievale che seguì il Concilio di Trento, portato avanti dalla scuola domenicana di Alcalà e Salamanca e immediatamente recepito nella Ratio Studiorum dei gesuiti. Riccioli conosceva bene anche gli scritti della scuola francescana che faceva capo a Giovanni Duns Scoto. Nel De distinctionibus, riguardo al problema teologico delle distinzioni nel mistero della Trinità e dell’Incarnazione, sosteneva la tesi scotiana per salvaguardare la natura divina da attribuzioni contraddittorie. L’altro scritto teologico, Immunitas ab errore, ebbe l’approvazione dal S. Uffizio di Bologna e vide effettivamente la luce nel 1668, ma fu poi posto all’Indice dei libri proibiti nel 1670 donec corrigatur. In esso Riccioli sosteneva, in polemica con il domenicano Vincenzo Baronio, l’infallibilità del papa anche nelle questioni, come la canonizzazione dei santi, che non erano contemplate nelle Sacre Scritture. La condanna di quest’opera si intrecciò con la mancata pubblicazione di un altro scritto inviato all’inquisitore di Padova nel settembre del 1663, Pro definibilitate Immaculatae Conceptioni Deiparae, che sosteneva la tesi immacolista.

L’eclettismo di Riccioli si manifesta al massimo livello nella Chronologia reformata (I-III, Bologna 1669), l’ultima opera enciclopedica, in cui l’autore volle realizzare una composizione tra le tradizioni storiche e la datazione biblica.

È divisa in tre volumi e quattro tomi. Il primo è dedicato alla misura del tempo e ai calendari presso i popoli antichi e moderni fino all’avvento del calendario gregoriano; le tavole cronologiche e il loro uso; la cronologia degli eventi storici più importanti avanti Cristo; la determinazione dell’età del mondo; la data della nascita di Cristo e la sua genealogia; gli eventi importanti dell’era cristiana. Il secondo tomo contiene tre cronologie generali degli eventi del mondo, in particolare un Chronicon magnum, che compenetra le diverse tradizioni, fino all’anno 1668. L’ultimo volume contiene cataloghi di personaggi insigni e indici alfabetici.

Morì a Bologna il 25 giugno 1671.

Opere. Per le opere a stampa di Riccioli si veda: C. Sommervogel, Bibliothèque de la Compagnie de Jésus, VI, Bruxelles-Paris 1895, coll. 1796-1805 (sono erroneamente attribuiti a Riccioli: De semidiametro terrae, Bononiae 1655, che è di F.M. Grimaldi, e Ristretto della vita di S. Rosalia, Bologna 1667, che è di V.M. Bargellini); P. Riccardi, Biblioteca matematica italiana, II, Modena 1873-1876, coll. 190, 370-374, 384; J.C. Houzeau - A. Lancaster, Bibliographie générale de l’astronomie, I, parte II, Bruxelles 1889, nn. 6223, 9230, 10922, 12037, 12847, 13876,13822. Rimangono inediti tre manoscritti: due riguardano l’opera sull’Immacolata Concezione (Parma, Biblioteca Palatina, 1110-1111) e un altro la geometria sferica e i problemi dell’astronomia (Primum mobile reformatum, Bologna, Biblioteca Universitaria, 1285 II, cc. 92-157; 1286, cc. 1-106). Nuclei importanti della corrispondenza sono pubblicati in: I. Gambaro, Astronomia e tecniche di ricerca nelle lettere di G. B. Riccioli ad A. Kircher, Genova 1989; D. Aricò, Fra teologia e censura, in Filologia e critica, 1994, vol. 19, n. 1, pp. 91-131; Ead., Res caelestes, ibid., 1998, vol. 23, n. 2, pp. 249-294.

Fonti e Bibl.: Per l’analisi critica complessiva dell’opera di Riccioli si rimanda al volume: G. R. e il merito scientifico dei gesuiti nell’età barocca, a cura di M.T. Borgato, Firenze 2002. Si vedano inoltre: A. Koyré, A documentary history of the problem of fall from Kepler to Newton, in Transactions of the American philosophical society, n.s., 1955, vol. 45, n. 4, pp. 329-395; Id., Une expérience de mesure, in Etudes d’histoire de la pensée scientifique, Paris 1966, pp. 253-283; P. Galluzzi, Galileo contro Copernico, in Annali dell’Istituto e Museo di storia della scienza di Firenze, 1977, vol. 2, n. 2, pp. 87-148; U. Baldini, La formazione scientifica di G. B. R., in Copernico e la questione copernicana in Italia, a cura di L. Pepe, Firenze 1996, pp. 123-182; M.T. Borgato, La traiettoria dei gravi nella polemica tra Borelli, Angeli e R., in Galileo e la scuola galileiana nelle Università del Seicento, a cura di L. Pepe, Bologna 2011, pp. 263-291; Ead., Gli esperimenti di G. B. R. sulla caduta libera e il pendolo, in Giornale di fisica, 2014, vol. 55, n. 4, pp. 267-295.

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