BORELLI, Giovanni

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 12 (1971)

BORELLI, Giovanni

Alceo Riosa

Nato a Pavullo nel Frignano (Modena) il 26 marzo 1867, da Felice e da Clementina Tazzioli, ereditò dal padre, modesto falegname che era stato cospiratore e garibaldino, un vivo interesse per i problemi politici. Conseguì nel 1887 il diploma di maestro elementare, ma soltanto dopo pochi mesi d'insegnamento si recò a Roma, sorretto dalla speranza di poter intraprendere una attività più rispondente ai suoi interessi politici e culturali. Dal 1890 al 1892 visse in Eritrea, in qualità di segretario particolare del governatore della colonia, generale A. Gandolfi. Nel frattempo aveva intrapreso l'attività giornalistica, dapprima in qualità di corrispondente dell'Italiacentrale di Reggio Emilia e del Panaro di Modena; in seguito, tornato in patria, fu collaboratore del Capitan Fracassa, del Don Chisciotte, del Fanfulla, nonché redattore del Popolo romano. Su quest'ultimo il B. pubblicò alcuni interessanti servizi sui moti dei Fasci siciliani, frutto di un'attenzione vigile e di una notevole autonomia di giudizio.

Pur partendo da posizioni moderate il B. respinse la tesi che attribuiva la responsabilità dei disordini siciliani alla propaganda socialista. In realtà, quest'ultima aveva agito unicamente da scintilla in un ambiente reso infiammabile dall'arretratezza delle strutture agrarie, dalla miseria delle plebi, dallo spirito assenteista dei latifondisti, dalla noncuranza del governo, unicamente preoccupato di "servirsi di quell'orrenda miseria per scopi elettorali" (Popolo romano, 19 febbr. 1894).

Nel 1895, trasferitosi a Milano, il B. divenne redattore-capo del Corriere della Sera ed assunse quasi contemporaneamente la direzione dell'Idealiberale, che mantenne sino al 1900, quando il giornale venne soppresso per motivi finanziari.

L'Idea liberale era sorta con l'intento di ricostituire il blocco dei conservatori lombardi, il cui indebolimento veniva attribuito da una parte all'atteggiamento ottusamente aristocratico della "consorteria" della Perseveranza, dall'altra alla posizione eclettica e opportunistica dei moderati del Corriere della Sera. Al suocarattere originario il giornale rimase fedele anche sotto la direzione del B., anche se - in armonia con le convinzioni del nuovo direttore - esso abbandonò l'atteggiamento anticolonialista sino ad allora mantenuto.

Fu in questo periodo che il B. andò maturando i suoi fondamentali motivi di polemica nei riguardi del sistema parlamentare. Spinto da un malcontento largamente diffuso negli ambienti conservatori e che non aveva mancato di riflettersi sul piano dell'elaborazione teorica, vagheggiava un risveglio della borghesia, le cui energie avrebbero dovuto indirizzarsi verso il rafforzamento della monarchia rappresentativa, unica valida garanzia per la restaurazione di quelle libertà istituzionali in base alle quali Cavour aveva eretto l'edificio unitario del paese. Nonostante il carattere nettamente conservatore di questa formulazione, non mancava nel programma borelliano il riconoscimento di certe istanze popolari, istanze, il cui appagamento, però, finiva con l'essere possibile soltanto nel quadro di una politica paternalistica di riforme. Per concretare questo programma il B. fondò nel 1901 a Firenze il Partito liberale giovanile italiano.

Fornito di numerosi organi di stampa a carattere locale, tra cui Critica e Azione di Milano, Il Rinnovamento di Firenze, Risveglio liberale di Mantova, Avanti Savoia di Bologna, il partito dei giovani liberali non riuscì mai ad acquistare un solido seguito nel paese, anche per le palesi incapacità realizzatrici del suo fondatore. Presentò numerose candidature al Parlamento, tra cui molte del B. medesimo, ma sempre senza successo. Dopo il 1910 il partito si avviò ad un lento ma fatale disfacimento. Parte dei suoi componenti affluirono tra i moderati e parte tra i nazionalisti.

La polemica del B. era destinata ad influenzare parzialmente i nazionalisti di Corradini, al cui foglio Il Regno egli collaborò attivamente. Ma nonostante alcuni punti di contatto, divergenze di non poco momento, che emersero in tutta la loro gravità al primo Congresso nazionalista del 1910, lo dividevano dai nazionalisti: in politica estera il B. poneva in primo piano l'esigenza di una soluzione del problema irredentista e pertanto di un conflitto più o meno prossimo con l'Austria; nella politica interna, rifiutando le tesi dei nazionalisti, riteneva che la riforma dello Stato dovesse avvenire senza uscire dai limiti della legalità; infine egli era un tenace fautore del liberismo, mentre la maggioranza dei nazionalisti era orientata verso le tesi protezionistiche. Al congresso di Roma del 1912 il solco si fece incolmabile.

Contro le tesi reazionarie ed antipopolari della maggioranza dei congressisti, i borelliani si riconobbero più vicini ai cosiddetti nazionali-liberali, capeggiati dall'Arcari e dal Sighele, i quali proprio in quel congresso si sarebbero staccati dal partito nazionalista. Il B. e i nazionalisti-liberali si trovarono infatti d'accordo nel sostenere il carattere "nazionale" del nazionalismo, il dovere di quest'ultimo di superare i limiti di una gretta visione di classe per appagare anche certe istanze popolari.

All'indomani dello scoppio del primo conflitto mondiale, il B. si schierò tra i fautori dell'intervento in guerra dell'Italia. Anzi egli fu il solo o quasi tra gli esponenti più in vista dei liberali milanesi a respingere l'opinione che la scelta tra neutralità e intervento dovesse essere di esclusiva competenza del governo al di fuori di qualsivoglia pressione del paese. In conformità a questo punto di vista, sostenne la causa interventista non solo mediante un'attiva propaganda giornalistica su Il Resto del Carlino e L'Ora presente di Torino, ma partecipando anche alle dimostrazioni di piazza. Del resto egli non mancò di allacciare legami con gli stessi interventisti di sinistra, allo scopo di stringere tutti i consensi intorno alla monarchia e al governo. Nell'ottobre del 1914 si recò in Francia per assistere i volontari garibaldini ivi combattenti; mentre il 16 maggio 1915, reduce dalle grandi manifestazioni interventiste verificatesi a Milano nei giorni precedenti, si recò quale membro di una delegazione di interventisti milanesi a chiedere al re la riconferma del ministero Salandra e la dichiarazione di guerra contro gli Imperi centrali.

L'intervento dell'Italia a fianco delle potenze occidentali era sì considerato dal B. come una necessità, come una conditio sine qua non per l'acquisto di Trento e Trieste; ma esso non doveva pregiudicare la futura collaborazione italo-tedesca, indispensabile per la salvaguardia degli interessi italiani nel Mediterraneo.

Volontario, fu nominato tenente di complemento in artiglieria e destinato sul Carso. Nel 1917 ottenne la nomina a capitano. A guerra conclusa, assunse la direzione dell'Ufficio storico della mobilitazione, che doveva raccogliere e coordinare i dati dello sforzo bellico dell'Italia. Nel 1919 si ripresentò, ma anche questa volta senza successo, candidato nella circoscrizione elettorale di Parma. Partecipò, quindi, al congresso costitutivo del partito liberale, che si tenne a Bologna l'8 ott. 1922.

In quell'occasione affiorarono tra i congressisti gravi divergenze, che dall'ambito dei problemi concernenti la tattica politica si allargarono al piano stesso dei principi. Due correnti si contesero le sorti del neo-partito: quella filodemocratica, che in quel congresso medesimo si sarebbe staccata dall'appena costituito partito, lamentandone il carattere reazionario, e la corrente filofascista e nazionalista a cui aderì il Borelli.

Pochi giorni prima della marcia su Roma, il B. ebbe un colloquio con Giolitti per esaminare i più recenti sviluppi della situazione politica italiana. Dopo la marcia, scrisse vari articoli su Il Resto del Carlino, in cui manifestava la propria simpatia per il fascismo, visto come il proseguimento e il compimento del Risorgimento. Invitava pertanto i liberali a collaborare attivamente con il governo Mussolini. Anche in seguito manifestò a più riprese il proprio favore alla politica fascista, pur preferendo non iscriversi al partito. Dal 1925 al 1932 fu assiduo collaboratore del Popolo d'Italia.

Il B. morì a Fontevivo (Parma) il 30 luglio 1932.

Pur assorbito dall'attività politica, il B. non trascurò di curare i suoi interessi letterari ed artistici. Scrisse numerose opere poetiche di ispirazione carducciana e saggi di critica teatrale e musicale, tra i quali ricordiamo quelli su A. Boito, Verdi, Wagner. Molti degli scritti apparsi su giornali e riviste di cui era stato collaboratore sono stati raccolti nelle Opere scelte di G.B., 4 voll., Modena 1942. Il primo volume, Albori coloniali d'Italia, contiene una scelta delle corrispondenze inviate dal B. al Popolo romano;in appendice: Gente latina, uno scritto del 1912, che affronta il problema coloniale italiano. Il secondo volume presenta un'antologia di Scritti politici appartenenti al periodo tra il 1889 e il 1897;in appendice: L'avvento della rivoluzione fascista, una raccolta di articoli scritti tra l'ottobre 1922 e l'ottobre 1923. Il terzo volume porta il titolo Medaglioni; inappendice: Corridoni. Ilquarto volume, infine, contiene Poesie scelte (1895-1932). Altri scritti del B. non compresi nelle Opere sono: Linee cronologiche e programmatiche del Partito liberale giovanile italiano, Milano 1903; I professori della politica. I giovani liberali e il problema della scuola, ibid. 1905; La crisi morale nell'esercito, Roma 1908; La guerra proletaria, Milano 1908; Discorsi. L'Idea liberale. Miscellanea letteraria,Modena 1957.Inoltre, ricordiamo le prefazioni del B. all'Opera Ommiadi A. Oriani, XIX, Sotto il fuoco, Bologna 1931;al lavoro di M. Griffini, Saggio sull'assettoeconomico,di Fiume, Roma 1921. Un acuto saggio di critica musicale è lo scritto Linee dello spiritoe del volto di A. Boito. Nerone 1924, Milano 1924.

Bibl.: Necr. in Corriere della Sera, 31 luglio 1932; Popolo d'Italia, 31 luglio 1932; L. Faini, La morte della giovinezza, in Gazzettino (Venezia), 31 luglio 1933; La Volontà d'Italia, 9 ag. 1936; A. Solmi, G. B. e la rinascita nazionale, in Civiltà fascista, IV (1937), n. 8-9, riprodotto nella prefazione alle Opere scelte del B.; A. Todisco, Le origini del nazionalismo imperialista in Italia. Lettere inedite di Corradini,Papini,B. e Sorel, Roma 1926, pp. 16 s. e passim; P. M. Arcari, Le elaborazioni della dottrina politica nazionale fra l'Unità e l'intervento, Firenze 1934-39, pp. 375 e passim;G. Volpe, Italia moderna, II, Firenze 1944, pp. 367 e passim;F. Corpaci, I partiti politici italiani dalla Destra alla grande guerra (1861-1918), Messina-Milano 1939, pp. 297, 371; B. Mussolini, Opera omnia, IV, Firenze 1952, p. 212; V, Firenze 1953, pp. 309-340; La cultura italiana del '900attraverso le riviste, I, "Leonardo""Hermes""Il Regno", a cura di D. Frigessi, Torino 1960, pp. 68, 70, 72 e n.; P.Gobetti, Scritti politici, Torino 1960, pp. 583, 963; G. Carducci, Opere (ed. naz.), XIX, p. 103; E. Kühn Amendola, Vita con Giovanni Amendola, Firenze 1960, pp. 190, 311, 354, 418; P. Alatri, Le origini del fascismo, Roma 1962, pp. 209, 226; 2000pagine di Gramsci, a cura di G. Ferrata N. Gallo, I, Milano 1964, p. 816; F. Fonzi, Crispi e lo "Stato di Milano", Milano 1965, pp. 120, 125, 494; B. Vigezzi, L'Italia di fronte alla prima guerra mondiale, I, L'Italia neutrale, Milano-Napoli 1966, ad Indicem; Id., Da Giolitti a Salandra, Firenze 1969, pp. 32 ss., 287 s., 318 s.; Enc. Italiana, App. I, ad vocem.

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