BRANCAZOLO, Giovanni

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 13 (1971)

BRANCAZOLO, Giovanni (Iohannes Branchaczolus de Papia, Brancazolus)

Norbert Kamp

Giurista pavese, probabilmente di modeste origini, dato che la sua famiglia non viene mai ricordata dalle fonti cittadine. Seguì studi di diritto (e probabilmente anche di filosofia), conseguendo il titolo di doctor legum.Mancano notizie sugli inizi della sua carriera di giudice e sulla sua prima attività politica. E ricordato per la prima volta nel 1312 quando il romano Giovanni "domini Iohannis Iacobi", giudice e auditore generale della curia di Enrico VII dal 1311, lo nominò iudex delegatus:in questa qualità il B. in quell'anno aggiudicò il possesso della metà del castello di Dego a Eliana, vedova del marchese Ugo Del Carretto.

Quando papa Clemente V, all'indomani dell'incoronazione di Enrico VII nel luglio 1312, richiese all'imperatore di concludere una tregua con Roberto d'Angiò e interpretò il giuramento dell'incoronazione come giuramento di fedeltà feudale, il B. fu tra i giuristi cui Enrico VII chiese consiglio per la difesa dei diritti imperiali che considerava in tal modo violati. Non presentò subito la sua risposta: soltanto il 14 nov. (1312) indirizzò da Pavia all'imperatore un suo memoriale dal titolo De principio et origine et potencia imperatoris et pape. In esso il B., richiamandosi al diritto romano e al diritto canonico e all'insegnamento aristotelico, elaborò una tesi che andava però oltre gli intendimenti di Enrico VII e che avrebbe portato alla rottura con il Papato, rottura che peraltro Enrico VII voleva evitare. Il memoriale, se offre un quadro delle idee che circolavano tra i seguaci e i consiglieri giuridici dell'imperatore, non poteva certamente fornire a quest'ultimo un aiuto per il conflitto con le forze guelfe nel quale era impegnato.

Il B. iniziava la sua esposizione ricordando le tre età della storia, i tre inizi dell'Impero romano (principia imperii)e i tre ordinamenti giuridici del mondo, ius naturale,ius gentium,ius civile. Poiché lo ius gentium, creato dagli uomini, aveva bisogno di un supremo tutore, Dio aveva istituito il monarca, conferendogli l'imperium e il potere legislativo, come lex animata in terris. Ilmonarca - al quale il B. assegnava sulla base della Glossa ordinaria il dominium mundi - emanava leggi sia in campo temporale sia in campo spirituale e regnò fino alla venuta di Cristo come "re e sacerdote" su tutto il mondo. Soltanto con la terza età - quella inaugurata da Cristo e dal Nuovo Testamento - accanto al monarca compare il terrenus pontifex come successore degli apostoli. Sacerdotium e imperium per il B., che utilizzava il diritto romano e quello canonico non diversamente dai suoi contemporanei, derivano perciò entrambi da Dio, ma l'imperium aveva sul sacerdotium una priorità temporale.

Per quanto riguarda, poi, il punto principale del suo scritto - quello dei rapporti tra imperium e apostolatus - il B. si rifaceva in modo singolare alla dottrina aristotelica del corpo e dell'anima, che probabilmente conosceva attraverso la traduzione latina del De anima di Guglielmo di Moerbeke. Riprendendo concetti aristotelici e pseudoaristotelici, il B. affermava che il corpo è una res imperfecta che per divenire perfetta ha bisogno dell'anima; ma anche quest'ultima è una res imperfecta in sé finché non trova la perfezione nella morale e nella scienza con l'aiuto delle quali conduce il corpo al bene e al male. Come le virtù dell'anima dipendono dalla struttura del corpo, per cui il corpo domina l'anima benché questa sia più degna del corpo, così l'apostolicus segue l'imperator, benché il papa aiuti l'imperatore a raggiungere la perfezione. Perciò l'imperatore domina il papa benché questi sia in possesso di una dignità più alta che gli deriva dalla sua funzione di guida delle anime e delle cose dello spirito. E il B. ne deduceva, per quanto riguardava il problema concreto, che l'imperium creato da Dio non ha bisogno della conferma, poiché le opere di Dio sono perfette. Il potere dell'imperatore deriva dall'elezione e perciò solo dagli elettori. L'incoronazione da parte del papa non gli attribuisce alcun potere nuovo, ma riconosce soltanto che il potere imperiale proviene da Dio. Perciò il B. ritiene superfluo discutere del problema dell'approvazione pontificia.

Certamente scarsa era l'importanza pratica dello scritto del B., che resta comunque significativo, come testimonianza del suo estremismo. Tipica l'analogia che egli istituisce tra l'incoronazione e il matrimonio: anche qui la benedizione degli sposi da parte del sacerdote non conferisce al matrimonio una nuova sostanza, ma ne segna l'avvenuta conclusione. L'effetto storico del lavoro del B. fu certamente scarso. Le sue parti più originali andavano molto al di là dello scopo pratico e perciò esso non poté avere nessuna eco immediata.

Mancano sul B. ulteriori notizie.

Fonti eBibl.: G. Doenniges, Acta Henrici VII imperatoris Romanorum, I, Berolini 1839, p. 91 n. 122; Constitutiones et acta publica, IV, 2, in Mon. Germ. Hist.,Legum Sectio, IV, a cura di J. Schwalm, Hannoverae 1909-11, p. 1058 n. 1015; E. E. Stengel, Nova Alemanniae, I, Berlin 1921, pp. 44-52 n. 90; N. Zingarelli, La vita,i tempi e le opere di Dante, II, in Storia letter. di Italia, III, 2, Milano 1931, p. 629; W. M. Bowsky, Henry VII in Italy, Lincoln 1960, pp. 185-186.

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