BRERA, Giovanni

Dizionario Biografico degli Italiani (2014)

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BRERA, Giovanni

Claudio Rinaldi

BRERA, Giovanni (Gianni)

Nacque a San Zenone al Po, in provincia di Pavia, l’8 settembre 1919, da Carlo (1878-1945), sarto, e Maria Ghisoni (1882-1942). Ultimo di cinque figli – Alice era del 1906, Albino del 1907, Norina del 1910 e Franco del 1911 – ironizzò tante volte sulla sua nascita non voluta, riflettendo sul fatto di essere venuto alla luce a otto anni di distanza da Franco.

L'infanzia

Alla Bassa Brera restò profondamente affezionato per tutta la vita, celebrandola in tantissimi scritti e rendendola protagonista dei suoi romanzi: si definì «padano di riva e di golena, di boschi e di sabbioni» e raccontò di esser «cresciuto brado o quasi fra boschi, rive e mollenti» (G. Brera - P. Merisio, Po, Bergamo 1973, ed. fuori commercio).

L’infanzia di Brera fu quella del povero assoluto, che però non aveva piena coscienza di esserlo: nella sua bottega di sarto il padre arrotondava gli scarsi incassi facendo anche il barbiere. Gli anni del fascismo furono particolarmente duri per la famiglia, non avendo Carlo – già segretario socialista della sezione comunale del suo paese – mai preso la tessera del fascio. Il giovanissimo Gianni – ribattezzato in Giuânén nel dialetto di San Zenone – cominciò a pensare di fare lo scrittore intorno ai 13 anni, quando ancora stava imparando l'italiano a scuola. Negli anni delle medie si trasferì a Milano, a casa della sorella Alice, maestra elementare: fu soprattutto suo il merito di convincere i genitori affinché consentissero a Gianni di continuare gli studi fino alla laurea, unico dei cinque fratelli.

La carriera scolastica di Brera interruppe fatalmente quella di calciatore, pur promettente. Tante volte Brera ricordò con orgoglio di aver fatto parte, a 16 anni, della rappresentativa milanese Boys. Alice («mia sorella-madre») e il padre lo costrinsero, «a zoccolate», ad abbandonare il pallone per dedicarsi allo studio. Dopo due anni in un istituto tecnico inferiore di Milano, venne trasferito a Pavia e iscritto alla terza classe del liceo scientifico Taramelli. Conseguì la maturità il 9 settembre 1938 al liceo Vittorio Veneto di Milano e il 27 ottobre successivo presentò domanda di iscrizione al corso di laurea in scienze politiche all'Università di Pavia.

Le prime collaborazioni e la guerra

Intorno ai 16 anni Brera cominciò a scrivere, facendo esercizi di stile e componendo poesie ispirate a Carducci. Le prime collaborazioni giornalistiche furono con Il Popolo di Pavia, per il quale a 17 anni scrisse «racconti contadini», e con il Lavoro di Genova e il Corriere del calcio di Milano, ai quali inviava corrispondenze sportive. Dopo la maturità si trasferì a Milano e ottenne collaborazioni fisse con il Guerin sportivo e con il Calcio illustrato che gli permisero di mantenersi decentemente. Nel 1939 era la terza firma del Guerin sportivo, scrivendo articoli sul campionato di calcio di serie C (Carlin seguiva la A, Bruno Slawitz la B), firmandosi Gibigianna, il primo di tanti pseudonimi usati nel corso degli anni (seguirono Gian del Po, Giuan al ranè, Babaleone, Loicus, Jab).

Nel 1940 decise di anticipare i tempi per assolvere agli obblighi di leva e fece domanda per il corso allievi ufficiali. Trattenuto sotto le armi – giacché nel frattempo l'Italia era entrata in guerra – fu sottotenente di fanteria a Barletta, nel IX reggimento Regina. Per evitare di essere inviato nelle isole dell'Egeo e vedere così vanificate le proprie aspirazioni professionali facendosi dimenticare dai direttori dei giornali che aveva conosciuto, decise di entrare nei paracadutisti: fu assegnato al comando del III reggimento Folgore, in costituzione a Tarquinia, frequentò la Scuola paracadutisti (dal 27 ottobre al 5 dicembre 1941) e fece otto lanci. Gli fu poi affidata la responsabilità dell'ufficio stampa della Scuola. E con quella arrivarono l'incarico di scrivere una pubblicazione di propaganda paracadutistica (Paracadute e paracadutisti, Roma 1943) e collaborazioni mai sognate: a 22 anni scriveva articoli in terza pagina per il Popolo d'Italia  diretto da Benito Mussolini, il Resto del Carlino e altre testate meno note. Sul Popolo d'Italia pubblicò, tra il 30 giugno e il 16 luglio 1943, una serie di articoli sulla battaglia di Giarabub, poi raccolti in un volume stampato il 9 marzo 1944 da L'Eroica di Milano, firmato con lo pseudonimo Gian del Po: Giarabub (racconto di uno che c'era).

A guerra finita, in un dattiloscritto datato 1945, poté riflettere più compiutamente su quelle collaborazioni, che gli erano costate care durante la sua militanza partigiana nella Resistenza: «Giuro che non mi accorsi di aver mai scritto su un giornale fascista. Scrivevo su giornali italiani: ecco tutto. Parlavo regolarmente male di Garibaldi e non respingevo a fine mese i piccoli assegni che da Garibaldi mi venivano» (P. Brera - C. Rinaldi, Gioannfucarlo. La vita e gli scritti inediti di Gianni B., Pavia 2001, p. 93). E anni dopo, in un Arcimatto: «Fascista non sono mai stato neanche da corrispondente del Cavaliere con i paracadutisti (e su questa riserva mentale, in confidenza, non sempre sono in grado di seder lietamente)» (Guerin sportivo, Milano 9 dicembre 1963).

Si laureò, con 110/110, discutendo una tesi sull'Utopia di Tommaso Moro, il 27 ottobre 1942, durante una licenza, con relatore Vittorio Beonio-Brocchieri (docente di storia delle dottrine politiche, ma anche giornalista, per 30 anni, al Corriere della sera, e narratore).

Nel marzo 1943 si trasferì a Roma, dove venne assunto come caporedattore al settimanale Folgore, diretto da Umberto Bruzzese. L'8 luglio si sposò, in Municipio a Milano, con Rina Gramegna, professoressa di lettere, nata a Milano nel 1920 da genitori di San Zenone al Po. Dall'unione nacquero quattro figli: nel 1944 Franco, che morì poche settimane dopo la nascita, nel 1946 Carlo (morto nel 1994), nel 1949 Paolo e nel 1951 Franco.

Luna di miele a Venezia, per quei pochi giorni concessi dalle magre finanze della coppia e dal ritmo incalzante degli avvenimenti di quei giorni convulsi.

La Resistenza

Due giorni dopo l'annuncio dell'armistizio, Brera partecipò con il fratello Franco alla sparatoria della Stazione centrale di Milano, uno dei primi atti di resistenza contro i tedeschi. Visse mesi molto difficili: rifiutò un contratto da caporedattore per una rivista repubblichina fondata a Vicenza da Bruzzese. Nel febbraio 1944 venne convocato dal federale di Pavia Angelo Musselli, il quale gli propose il posto di redattore capo responsabile del trisettimanale Popolo Repubblicano di Pavia, «organo della Federazione Pavese dei Fasci Repubblicani», comparso per la prima volta nelle edicole il 2 ottobre 1943. Brera accettò, dopo aver presentato a Musselli una lista di redattori 'afascisti' e aver ottenuto la sua approvazione. Ottenne inoltre di far togliere l'indicazione «organo della Federazione Pavese dei Fasci Repubblicani» dalla testata e aprì il giornale alle opinioni della gente comune, con la rubrica «Commenti alle idee». L'esperienza durò pochi giorni – e la firma del trisettimanale solo per quattro uscite (18, 20, 23 e 25 marzo) – perché i vertici della Repubblica sociale italiana (RSI) non tollerarono la svolta editoriale che Brera cercò di imporre. Sotto la testata, dal 25 marzo, comparve l'indicazione «Trisettimanale fascista di Pavia».

«Dopo il primo numero, l'ex duce, letto il mio Processo a Mussolini, ordinò a Musselli di sbancare la redazione […]. Poi rimasi a impaginare, a sabotare l'Ente stampa sistematicamente, a pubblicare lettere di operai comunisti e a respingere le roboanti risposte degli squadristi pavesi, che perplessi e indignati gridavano allo scandalo» (G. Brera, dattiloscritto del 1945).

Dopo aver lasciato il Popolo repubblicano, Brera si allontanò da casa e fuggì in Svizzera nel giugno 1944, per spostarsi poi in Val d'Ossola e, dal settembre, aggregarsi ai partigiani con il nome di battaglia Gianni, dapprima nella 10ª brigata Garibaldi e in seguito come aiutante maggiore nella 83ª brigata Valle Antrona, ribattezzata poi Comoli. Un ruolo fondamentale giocò Giulio Seniga (Nino), che perorò la sua causa durante l'esame di ammissione condotto da Cino Moscatelli all'albergo Terminus di Domodossola.

Le collaborazioni a giornali fascisti gli crearono infatti non pochi problemi: un ex compagno di Università e di paracadutismo, Sandro Chiodi (nome di battaglia Mario Mariani), chiese al comandante di Brera, Aldo Aniasi detto Iso, futuro sindaco di Milano e ministro, di fare processare Brera per il suo doppio gioco, commentando: «Se anche qualcuno lo vorrà salvare dal nostro giusto piombo, dovrà lasciare la formazione» (Gioannfucarlo…, 2001, p. 127). Aniasi dapprima dimostrò di prestare credito alle accuse rivolte a Brera, poi lo 'coprì' – avendo avuto prova della lealtà del partigiano 'Gianni' – facendo in modo che il processo richiesto non si tenesse mai.

Nel 1945 scrisse un'introduzione a A. De Gobineau, Adelaide (Milano 1945) e tradusse tre commedie di Molière, che furono pubblicate con un suo saggio due anni più tardi (Molière, Il misantropo, Tartufo, L'avaro, con saggio critico introduttivo di G. B., trad. it. di G. Brera, Milano 1947).

Della propria esperienza durante la Resistenza, Brera disse di aver finito di «soffrire la guerra esercitando un assiduo e perfino diligente podismo partigiano» (G. Brera, Giuânén, in Id., Incontri e invettive, Milano 1974, p. 11), ma sottolineò come la sua sola «gloria di guerriero» fu non aver mai sparato a un uomo.

Il 25 aprile 1945 uscì la prima Unità non clandestina, stampata a Domodossola: fu Brera, condirettore con Giorgio Colorni, a licenziarla e a scrivere l'editoriale Per sempre pubblicato in prima pagina e l'elzeviro Un bicchier d'acqua, entrambi non firmati. Si dedicò poi a riordinare l'archivio storico del movimento partigiano dell'Ossola. Progettò e iniziò, ma non riuscì mai a finire, un libro sulla Resistenza, intitolato Nel bosco degli eroi. Ricevette, e declinò, l'offerta di dirigere un quotidiano del Partito comunista italiano (PCI) a Novara. «Sono andato là e mi hanno detto: «"Ti diamo 1600 lire al mese, che è la paga dei capi operai". Questo piacere dei comunisti di umiliare l'intellettuale […] E io ho detto: “Guardate, ho una cartolina in tasca di Bruno Roghi che mi chiama alla Gazzetta. Io ho fatto troppo il povero per continuare a farlo, per cui vi ringrazio e se mi lasciate andare vi sarò riconoscentissimo”» (A. Scazzola, Lo specchio del cielo. Intervista a G. B., Radio Rai 1992).

La Gazzetta dello Sport

E così Gianni Brera si presentò a Milano in via Galileo Galilei, nella sede della Gazzetta dello Sport che tornò nelle edicole il 2 luglio 1945, diretta da Bruno Roghi: un foglio solo, due uscite alla settimana. «Calzava un paio di scarpe da paracadutista e portava addosso e recava sul viso “partigiano” come una zanna, la fucilata di un tedesco, nel corso di un rastrellamento, gli aveva inciso un piccolo gradino nel naso», raccontò Mario Fossati (Una vita bella come un Tour, in la Repubblica, 20-21 dicembre 1992).

Roghi affidò a Brera l'atletica leggera, che Brera non conosceva affatto: non aveva mai sentito nominare Adolfo Consolini, eroe dell'epoca, del quale raccontò poi le grandi imprese. La studiò con tale applicazione, come se dovesse preparare una tesi di laurea, che finì per diventare un grande esperto e scrivere vari libri tecnici dedicati all'atletica.

Fu sempre riconoscente a Roghi, per quell'incarico che sulle prime gli era apparso bizzarro, visto che prescindeva dalla sua competenza in fatto di calcio, che aveva giocato con tanta passione e buoni risultati da bambino e da ragazzo, e di pugilato, che aveva praticato negli anni dell'Università (non per istinto guerriero, ma per fare la doccia due o tre volte alla settimana, cosa che non era possibile nella vecchia pensione universitaria). «Per anni deplorai la leggerezza di Roghi ... finché non mi accorsi che gli dovevo tutto; senza cultura atletica non può coesistere giornalismo sportivo di sorta» (C. Gregori, Con “La Gazzetta dello Sport”, in Il tempo sperperato nel ricordo di G. B., a cura di A. Stella, Pavia 2013, ed. fuori commercio).

Il primo articolo di Brera firmato apparve il 18 agosto 1945 in prima pagina, con il titolo Atletica e dinamismo storico. Il primo editoriale, Per ritrovarci, il 23 agosto. Il primo articolo da inviato, il 1° ottobre: raccontò il lancio del disco di Consolini oltre i 51 metri ai campionati assoluti dell'alta Italia. Sempre in ottobre il debutto come inviato per una partita di calcio (Sampierdarenese-Torino 0-5), ma gli articoli sul calcio furono per qualche anno rari e sporadici. Nel giugno del 1946 fu inviato al seguito di Consolini in Svezia e in Finlandia e scrisse uno straordinario reportage. Memorabile un articolo pubblicato il 30 giugno 1946: Brera incontrò su una nave il campione finlandese Paavo Nurmi (vincitore di nove medaglie d'oro e tre di argento alle Olimpiadi tra il 1920 e il 1928) e lo intervistò in latino. La Gazzetta dello Sport  titolò: Sul 'Bore I' da Stoccolma a Turku. Intervistato in latino Paavo Nurmi. Alle Olimpiadi di Londra del 1948 Brera si occupò di atletica, raccontando l'entusiasmante oro di Consolini e altri successi italiani, e di pugilato: ma non di calcio.

Brera descriveva la situazione del giornalismo sportivo di quegli anni dividendo i colleghi in «amanuensi», coloro cioè che avevano giocato a calcio, ma non avevano un lessico sufficientemente adeguato per raccontare decentemente una partita, e «dannunziani», che avevano fatto studi classici e scrivevano un buon italiano, ma non si intendevano affatto di sport. Brera fu il primo a coniugare una grande competenza tecnica – frutto dei suoi trascorsi da calciatore e da pugile, o dello studio, nel caso dell'atletica, e poi del ciclismo – con una prosa colta, ricca e godibilissima. «El por Gioânn non ha mai preteso di far letteratura. Se ha dovuto inventarsi un linguaggio, non già una lingua (scherzèm minga), lo ha fatto perché non esisteva. A scrivere di sport erano letterati minori, senza gran nerbo, o tecnici di sport che non sapevano di letteratura. I pirletta sghignettavano molto leggendo neologismi ad ogni pezzo: ma se non esistevano i termini?» (v. Guerin sportivo, 28 ottobre 1963).

La vera rivoluzione che Brera portò, inventando di fatto la critica sportiva, fu nel porre la tecnica al centro dei resoconti sportivi, imponendo al lettore – che non vi era affatto abituato – l'interpretazione tecnica e tattica del giornalista. Il motto di cui andava fiero, e che, da direttore, insegnò a tutti i suoi redattori, fu «partire dritto con il tiro in porta»: fu in omaggio a questa visione del giornalismo sportivo che arruolò anche grandi campioni, affidando loro gli articoli di eventi dei rispettivi sport praticati. È molto significativo, e divertente, un aneddoto che risale alle Olimpiadi di Helsinki del 1952: il fuoriclasse della scherma Edoardo Mangiarotti fu incaricato da Brera di redigere gli articoli sulle sfide della sua disciplina, compresi quelli dei quali era protagonista. Una sera che vinse la medaglia d'oro, e a causa del protrarsi della cerimonia di premiazione arrivò in ritardo nella stanza di albergo adibita a redazione della Gazzetta dello Sport, Brera lo sgridò, preoccupato per l'orario di chiusura del giornale che incombeva, salvo brindare felice quando Mangiarotti gli spiegò il motivo del ritardo.

Il 1949 fu l'anno della svolta della carriera di Brera: mandato a Parigi, con la qualifica di inviato speciale permanente, seguì il Tour de France – vinto trionfalmente da Coppi dopo una grande rimonta – scrivendo articoli memorabili. Grazie alle imprese di Coppi e Bartali e ai servizi di Brera, la Gazzetta dello Sport ebbe un successo di vendite addirittura impensabile in quegli anni: «Il mio vecchio sbolinato giornale ha fatto tirature da svellere i cilindri. Roba da sfiorare il milione, qualche volta» (G. Brera, Dài, Luigi, sinistro e via, in G. Bocca et al., Testimonianze. Il vostro inviato, Milano 1973, p. 27). Oltre che per la propria consacrazione di grande giornalista, a trent'anni non ancora compiuti, il Tour del 1949 fu per Brera anche l'occasione per rinsaldare la grande amicizia con Mario Fossati (1919-2013), trascorrendo 25 giorni insieme in auto in giro per la Francia al seguito dei corridori. Entrato con Brera alla Gazzetta dello Sport, Fossati diventò poi un cantore del ciclismo e fu sempre fedelissimo seguace di Brera. Fu in assoluto il collega che Brera stimò di più, amico fraterno per tutta la vita, al punto che Brera lo chiamò più volte «mio sorello».

Direttore a trent'anni

Al rientro in sede a Milano, il 4 dicembre 1949 fu nominato vice-direttore responsabile, con Emilio De Martino direttore. Il 9 gennaio 1950, dopo le dimissioni di De Martino per motivi di salute, nella gerenza del quotidiano comparve la dizione «Giuseppe Ambrosini direttore, Gianni Brera condirettore responsabile»; dal 14 marzo, «Gianni Brera direttore responsabile, Giuseppe Ambrosini direttore del giornale».

Da direttore, Brera impose la tecnica e la tattica al centro della linea editoriale, cominciando a battersi in prima persona in favore del calcio difensivistico. Introdusse la Terza pagina, chiamando scrittori e artisti celebri a scrivere di sport. E continuò, sempre, a scrivere molto e a fare l'inviato sui principali avvenimenti. Nel 1952 pubblicò la biografia romanzata del pioniere del ciclismo Eberardo Pavesi (L'avocatt in bicicletta. Il romanzo di 50 anni di ciclismo italiano nel racconto di Eberardo Pavesi, Milano 1952; poi ripubbl. con il titolo Addio, bicicletta, ibid. 1964). L'esperienza di direttore durò fino al novembre 1954, quando rassegnò le dimissioni dopo uno scontro con l'editore, che lo aveva rimproverato per lo spazio concesso (un titolo su quattro colonne) a un record mondiale stabilito da Vladimir Kuts. L'accusa – spiegò Brera in un Arcimatto (Guerin sportivo, 17 aprile 1961) – fu di essere un agente del comunismo. Brera, da tempo insofferente alle incombenze amministrative proprie del direttore per le quali non si sentiva affatto portato, si commiatò cordialmente dall'editore, ma decise di lasciare la Gazzetta dello Sport. L'occasione arrivò poco dopo, come Brera raccontò in un articolo nel Guerin sportivo del 24-30 marzo 1976: «Avevo un po' sfottuto Emilio De Martino che se n'era lagnato con l'editore. Costui credette di punirmi opponendosi a una mia trasferta incontro agli argentini, che avrebbero esordito a Lisbona (me par). Colsi l'occasione per andarmene senza perdere un soldo di liquidazione e chiamai Franco Laganga, il segretario di redazione, perché assistesse al primo autolicenziamento d'un direttore della Gazzetta».

I reportage dagli Stati Uniti e la nascita del Giorno

Finalmente libero dalle 'grane' proprie dell'incarico di direttore, Brera si ritrovò felicemente freelance: si recò, fermandosi per alcuni mesi, negli Stati Uniti, dove frequentò soprattutto gli ambienti italo-americani del pugilato, inviando corrispondenze a vari giornali: Tempo, il Messaggero e l'Ėquipe. Su Tempo pubblicò un'ampia e approfondita inchiesta in sei puntate (dal maggio al settembre 1955) sullo sport americano.

Rientrato in Italia, fondò e diresse Sport giallo (prima uscita, l'11 ottobre 1955): un settimanale che ebbe vita breve, ma che rappresentò una tappa importante nella carriera di Brera. Chiamò a collaborare i colleghi che più stimava e che gli avevano dimostrato fedeltà. L'esperienza di Sport giallo fu circoscritta dal momento che, alla nascita del Giorno (21 aprile 1956), a Brera fu chiesto di allestire e dirigere la redazione sportiva del nuovo quotidiano. Creò una 'squadra' di altissimo livello, costituita, tra gli altri, da Mario Fossati, Pilade del Buono, Giulio Signori e Gianni Clerici; poco attratto da incarichi dirigenziali, Brera chiese poi di essere dispensato dal ruolo di caposervizio dello sport, appena il 'rodaggio' della redazione fu completato, preferendo il ruolo di inviato speciale.

Gli anni del Giorno furono quelli durante i quali Brera affinò il proprio 'calciolinguaggio', raggiungendo la completa maturità di critico. Condusse per decenni una crociata tecnico-tattica, cercando di imporre, anche sfruttando la sua autorevolezza e la crescente popolarità tra i lettori, il modulo basato sul catenaccio, da lui poi ribattezzato «modulo italiano», fondato sulla difesa e sul contropiede (in omaggio al motto safety first, da Brera tradotto in «primo non prenderle»). Tra i suoi 'alleati' ci fu in primis Nereo Rocco, che da allenatore metteva in pratica i dettami del modulo caldeggiato da Brera alla macchina per scrivere.

Franco Contorbia, nel monumentale e meritorio lavoro apparso per i «Meridiani» Mondadori sul giornalismo italiano, ha così sintetizzato la grandezza di Brera (inserendo nove articoli nel terzo e quarto volume dell'opera): «Nei primi quattro anni del Giorno, e per molti altri ancora, il genio di Gianni Brera rifulge solitario fino a rasentare l'autorefenzialità (altro che figli e nipotini di Gioânnbrerafucarlo) grazie a una competenza tecnica fuori dal comune nel campo dell'atletica leggera, del calcio e del ciclismo sostenuta da una scrittura che potrà continuare ad essere designata come neoespressionistica purché si avverta che non è indispensabile estendere ogni volta su un così sfrenato plurilinguismo colto e plebeo il patronato gaddiano (da Brera, non senza una punta di compiacimento, sdegnosamente reietto» (cfr. Giornalismo italiano, a cura e con un saggio introduttivo di F. Contorbia, III, 1939-1968, Milano 2009, p. XLIX).

La teoria di Brera era basata sulla sua scarsa considerazione circa le virtù atletiche dei calciatori italiani («italianuzzi», ironizzava): dal momento che un modulo fondato sull'attacco è fisicamente più dispendioso, era convinzione di Brera che ai club italiani e alla nazionale fosse più congeniale, e largamente più redditizio, un ruolo da «squadra femmina», che lasciasse all'avversaria il pallino del gioco, contenendone le sfuriate con una difesa ben impostata, e contrattaccasse con rapide azioni di contropiede. Difese con tale veemenza le sue idee che in breve tempo il mondo degli appassionati di calcio fu spaccato in due: i difensivisti e gli offensivisti, capeggiati da quella che Brera, un po' sprezzantemente, chiamò la Scuola napoletana, i cui principali esponenti erano Gino Palumbo e Antonio Ghirelli. Furono anni di polemiche violente: con Palumbo ci fu addirittura una scazzottata, nella tribuna stampa dello stadio di Brescia, durante la stagione 1962-63.

Nel 1959 raccolse in un volume sedici lettere aperte a famosi personaggi dello sport (Il sesso degli Ercoli, ibid. 1959). Nel 1960, pochi giorni dopo la morte di Coppi, pubblicò la sua biografia (Io, Coppi, ibid. 1960).

Il «calciolinguaggio»

Paragonandosi a un artigiano, che per necessità crea attrezzi utili al suo mestiere, Brera inventò un linguaggio unico nel panorama del giornalismo, non solo sportivo, che diventò oggetto di studi, inchieste giornalistiche, saggi e numerose tesi di laurea, a cominciare dall'imprescindibile ricerca di Andrea Maietti (poi pubblicata in volume: Il calciolinguaggio di Gianni Brera, Lodi 1976). Mescolando costrutti classici e espressioni popolane, citazioni in latino e in dialetto «redefossiano» (dal Re de' fossi, antico canale milanese), Brera creò un linguaggio vivo, unico, molto personale, al punto che la paternità di qualsiasi suo articolo è riconoscibile anche solo dall'incipit. La passione per il dialetto, una vera e propria «vocazione vernacola», spingeva Brera a firmare le proprie lettere personali «Gioânn Brera» e a chiamarsi, anche pubblicamente, Gioânnbrerafucarlo.

Diverse volte fu accusato di poca chiarezza: lui replicò citando le circonvoluzioni tipiche degli scrittori lombardi, che imparano l'italiano a scuola, dopo aver sempre parlato dialetto in casa, e finiscono per conoscerlo meglio degli altri. Proprio dall'accostamento a uno scrittore lombardo che Brera non amava affatto, Carlo Emilio Gadda, nacque una lunga polemica con Umberto Eco. Commentando gli stilemi breriani in un intervento per la rivista De Homine dell'istituto di filosofia dell'Università di Roma (1963, vol. 5-6, p. 313), Eco scrisse di «gaddismo spiegato al popolo». Brera si infuriò, sia per la scarsa stima verso Gadda («Il misogino Gadda non ha molto da raccontare e intarsia anche la cacatielle delle galline»: in Guerin sportivo, 28 ottobre 1963), sia perché ritenne poco corretto che i suoi articoli, scritti al ritmo di cinque cartelle all'ora, fossero giudicati alla stregua di componimenti letterari. Arrivò a sfidare Eco a una sorta di duello letterario e gli dedicò corsivi anche durissimi, come in un Arcimatto del 1966: «Eco, di cui pochissimo conosco, ha accusato i giornalisti di semi-cultura. La risposta è: “pirla!”. Se è tanto colto, conoscerà pure il dialetto lombardo» (cfr. Guerin sportivo, 6 giugno 1966).

L'importanza di Brera e la sua autorevolezza sono attestate anche dalle frequentissime citazioni di scrittori e letterati: tutti, appassionati di calcio e non, leggevano Brera. Con alcuni di loro, come Ennio Flaiano e Pier Paolo Pasolini, ebbe anche vivaci polemiche.

Neologismi e soprannomi

Tra i tanto celebri neologismi coniati, quello del quale Brera andava più fiero è «intramontabile», inventato (per un titolino sul cursore Lippi) commettendo un errore grammaticale, usando il concessivo di un verbo intransitivo, e finito regolarmente nei vocabolari. Il più celebre fu «abatino», coniato per Livio Berruti ma rimasto appiccicato per tutta la vita a Gianni Rivera. Quelli che ebbero maggiore successo, per diffusione, furono «libero» (utilizzato anche in altri paesi) e «centrocampista». Ma tantissimi altri entrarono nel gergo sportivo comune: da «rifinitura» a «goleador», da «melina» a «forcing», da «atipico» a «pretattica». Coniò anche soprannomi, divenuti poi celeberrimi, per tanti personaggi dello sport: «Rombo di tuono» per Gigi Riva, «Bonimba» per Roberto Boninsegna, «Conileone» per José Altafini, «Accaccone» per Helenio Herrera e «Accacchino» per Heriberto Herrera, «Rosso volante» per Eugenio Monti, «Piper» per Gabriele Oriali (ma scadeva a «Gazzosino» quando giocava male), «Pinna d'oro» per Giampiero Marini, «Puliciclone» per Paolo Pulici, «Simba» per Ruud Gullit, «Stradivialli» per Gianluca Vialli, «Deltaplano» per Walter Zenga, «Schopenhauer» per Osvaldo Bagnoli, «Gran Bisiaco» per Fabio Capello.

Evasioni letterarie

L'antica vocazione alla letteratura trovava sfogo nei periodi di sosta del campionato, durante le vacanze estive che Brera trascorreva a Monterosso, nelle Cinque Terre, o in periodi di riposo nella casa di Bosisio Parini, in Brianza, sulla riva del lago di Pusiano, che aveva acquistato negli anni Sessanta. Scrisse per scommessa in tre settimane il romanzo Il corpo della ragassa (Milano 1969), ambientato tra Pavia e San Zenone (ribattezzato Pianariva), dal quale nel 1979 fu tratto un film, con il medesimo titolo, per la regia di Pasquale Festa Campanile.

Scrisse anche numerosi libri tecnici sul calcio, i più importanti dei quali furono I campioni vi insegnano il calcio (ibid. 1965), Il mestiere del calciatore (ibid.1972) e, soprattutto, Storia critica del calcio italiano (ibid.1975), che rappresenta la summa delle sue teorie tecnico-tattiche. Al 1973 (ibid.) risale invece un libro di enogastronomia, con ricette di Luigi Veronelli (La pacciada. Mangiarebere in pianura padana). Il ritorno alla letteratura avvenne qualche anno più tardi, con l'uscita dei romanzi Naso bugiardo (ibid. 1977), Coppi e il diavolo (ibid. 1981), che probabilmente può essere considerato il migliore libro della vastissima produzione di Brera, e Il mio vescovo e le animalesse (ibid. 1983).

La fedeltà al Guerin sportivo

Al Guerin sportivo Brera rimase particolarmente affezionato: collaborò, con vari incarichi, per 37 anni, fra il 1939 e il 1976. Dopo gli esordi con lo pseudonimo Gibigianna, interruppe la collaborazione durante la guerra e per buona parte del periodo della Gazzetta dello Sport. Tornò a scrivere per il settimanale, che nel frattempo aveva trasferito la propria sede da Torino a Milano ed era stato acquistato dall'editore Alberto Rognoni, nell'ottobre 1954, poco prima di licenziarsi dalla 'rosea' e lo diresse dal 1967 al 1973. Per anni tenne la popolarissima rubrica «Arcimatto» (1960-73) e quella di corrispondenza con i lettori, «La bocca del leone» e poi «Arciposta».

Gli anni in cui lavorò per il Guerin sportivo e per il Giorno furono di altissima produzione. Sempre con i suoi ritmi velocissimi. Alla domenica sera, secondo i calcoli di Gianni Mura, uno dei suoi 'discepoli' prediletti, scriveva «18 cartelle in meno di sei ore. Però dentro c'erano fuochi d'artificio, frizzi, lazzi e anche la sua visione della partita» (cfr. C. Rinaldi, Il papà dei “Senzabrera”. Intervista a Gianni Mura, in Quaderni dell'Arcimatto. Studi e testimonianze per G. B., n. 2, a cura di A. Brambilla - A. Scemma, Arezzo 2012, p. 74).

L'«Arcimatto» fu sempre, per Brera, un'eccellente occasione di divagazioni cólte ed evasioni dalla routine di tutti i giorni, inevitabilmente legata allo sport e soprattutto al calcio: un «diario parolibero», come lo chiamava lui, nel quale parlava di tutto, dalla storia alla cucina, dalla letteratura alla filosofia: comprese, molto spesso, le serate con gli amici del 'Club del giovedì'. Un gruppo di amici – dei quali Brera era ovviamente il trascinatore – che, dagli anni Cinquanta, aveva cominciato a ritrovarsi a tavola, a cena, ogni settimana: dopo le prime uscite, la riunione venne istituzionalizzata, fissata al giovedì e convocata al ristorante milanese A Riccione dei fratelli Metalli. Tra gli altri, facevano parte del Club l'ex atleta e stilista Ottavio Missoni, l'avvocato Mimmo Ferraro, l'editore Gino Sansoni, i giornalisti Mario Fossati, Pilade del Buono e Giulio Signori, lo scultore Carlo Mo, il direttore d'orchestra Riccardo Vantellini, l'imprenditore Angelo Roveda, il sarto Lino Torti: tutti amici carissimi di Brera. Per tanti anni fece parte del gruppo anche lo scrittore Giovanni Arpino, ma poi una lite con Brera, sfociata in querela, fece troncare definitivamente i rapporti tra i due.

I campioni preferiti

Fausto Coppi, tra i tanti campioni dei quali raccontò le imprese, fu quello che Brera amò di più. Coetanei, erano accomunati da un'infanzia povera, ma anche dal successo – nel ciclismo uno, nella professione giornalistica l'altro – vissuto come forma di riscatto sociale. Non poche volte Brera si vantò di aver potuto «vendicare gli antenati a tavola» dopo aver percepito i primi stipendi regolari, o dell'alto reddito che gli fruttavano i suoi articoli (precisando, però, di non essere affatto ricco: tenne per anni un tenore di vita altissimo, anche in virtù della sua celebre generosità quando si trattava di pagare il conto al ristorante). Anche l'invenzione dei propri quarti di nobiltà – proclamandosi con fierezza un principe Della Zolla – fu una trovata divertente per 'vendicare' l'estrazione plebea della sua famiglia.

Fu molto affezionato anche a Nereo Rocco, per evidenti affinità nella visione del calcio e per un'amicizia molto solida, che superò anche le divergenze di vedute su Gianni Rivera. Con la mezzala del Milan Brera alimentò infatti insistite polemiche che finirono per dividere in due l'Italia, come già all'epoca della rivalità tra Coppi e Bartali, o tra i sostenitori del calcio all'italiana e i seguaci degli offensivisti: in sintesi Brera riconosceva a Rivera stile sopraffino e grande intelligenza (non solo in campo), ma gli rimproverava la mancanza di nerbo atletico e i limiti di agonismo.

Il ritorno alla Gazzetta dello Sport

Nel 1967 Brera lasciò il Giorno per assumere (dall'11 settembre) la direzione del Guerin sportivo. Fece ritorno al quotidiano milanese nel maggio del 1970, continuando a firmare il Guerino, e seguì i Mondiali di calcio in Messico del 1970, le Olimpiadi di Monaco del 1972 e i Mondiali in Germania Ovest del 1974. Nel 1976 il direttore della Gazzetta dello Sport  Remo Grigliè lo convinse a tornare alla 'rosea' e annunciò la novità ai lettori con un'intervista a Brera a tutta pagina, pubblicata l'11 aprile. Nel contratto, che prevedeva la qualifica di «inviato speciale sui principali avvenimenti, collaboratore di terza pagina e commentatore dell'attualità», Brera ottenne che fossero precisate la libertà di esprimere le sue idee sociali e politiche e la libertà di «onorare sempre e dovunque la “lombardidad” della testata»: dettagli che gli furono poi preziosi, pochi mesi più tardi, quando si ritrovò in causa con la Gazzetta. In luglio, l'editore decise un avvicendamento alla direzione proponendo l'incarico a Brera, che rifiutò. Dopo l'estate, comunicò di aver pensato a Gino Palumbo: e alla richiesta di un parere Brera definì il collega, rivale per decenni, «un ottimo giornalista», precisando però che il suo arrivo avrebbe «necessariamente causato il mio allontanamento». Il 4 novembre, due giorni prima di firmare per la prima volta il giornale, Palumbo rinnovò l'invito a Brera, proponendogli di restare, curando una rubrica a sé stante, «a patto che non scriva contro la scuola napoletana». Brera, naturalmente, non accettò e si rivalse contro l'editore, appellandosi all'articolo sulla 'libertà di coscienza' del contratto collettivo dei giornalisti, che fa esplicito riferimento al cambiamento dell'indirizzo politico del giornale. In un lungo memoriale ripercorse di fatto tutta la sua carriera, per spiegare i motivi della rivalità con il neodirettore. Concludendo con la certezza che «lavorare insieme a Palumbo avrebbe svuotato 30 anni di lavoro professionale».

Tornò quindi al Giorno, per la terza e ultima volta, ma solo per un breve periodo: nel 1979 Montanelli lo volle al Giornale, avendo deciso di varare l'edizione sportiva del lunedì. Firmato il contratto, Brera avrebbe dovuto esordire nell'autunno successivo, con l'avvio del campionato di calcio. Ma la morte di Giuseppe Meazza (21 agosto 1979) convinse il direttore ad accelerare i tempi: chiese a Brera di scrivere il 'coccodrillo' del grande calciatore e scrisse a sua volta un breve distico, per annunciare ai lettori l'arrivo al Giornale del celebre collega: «Di un Meazza, che è stato un Brera del calcio, solo un Meazza del giornalismo come Brera poteva parlare».

Gli ultimi anni a Repubblica

Il periodo del Giornale non fu dei più felici per Brera, che dopo pochi mesi cominciò a sentirsi poco gradito. Così, se ne andò nel 1982 (e i giornali parlarono del 'caso Brera', come se si fosse trattato della trattativa dell'anno del calciomercato) e fu assunto a Repubblica. Soffrì l'assenza dell'edizione del lunedì, che gli impedì di raccontare 'sul tamburo' le partite di calcio, ma visse, con i Mondiali di calcio spagnoli, una delle più entusiasmanti avventure seguite in presa diretta nella sua lunghissima carriera. Appoggiò Bearzot, del quale apprezzava soprattutto la prudenza tattica. L'esito dei Mondiali fu, per Brera, l'ennesima riprova dell'efficacia del calcio all'italiana («Santo Catenaccio», esultò dopo la finale). All'impresa dedicò un libro, España 82 (Milano 1982, con fotografie di Silvano Maggi), nel quale ripercorse le tappe del cammino degli azzurri verso il terzo titolo mondiale.

Non si recò a Los Angeles per le Olimpiadi del 1984: «Un mafioso mi ha giurato che mi farà la pelle, se tornerò negli Stati Uniti», si giustificò con il direttore Eugenio Scalfari, e fu dispensato dalla trasferta, a patto che seguisse le Olimpiadi davanti al televisore e garantisse un articolo al giorno. Intanto, intensificò le sue collaborazioni televisive: dopo la fortunata collaborazione con la Rai, per la Domenica sportiva, in coppia con Beppe Viola, fu opinionista di Rete4 (Dovere di cronaca, con Guglielmo Zucconi), Telemontecarlo e TeleArena. Tenne per anni una trasmissione in diretta, L'Accademia di Brera, condotta insieme a Riccardo Vantellini, prima su Telelombardia e poi su Antenna 3. Negli ultimi anni, collaborò anche al Processo del lunedì di Aldo Biscardi.

Fu, per decenni, corteggiatissimo: scrisse numerosissime prefazioni a libri di autori amici, partecipò a convegni e conferenze, collaborò con le più disparate riviste: da Epoca all'Europeo, da Business all'Intrepido, da Contro a Leadership medica, per il quale tenne per anni la rubrica L'Angolo del vizio, cólte recensioni di ristoranti e di serate con gli amici. Diresse Record, mensile che si prefiggeva di lanciare la candidatura per le Olimpiadi di Milano. Fu corteggiato anche dalla politica: si candidò tre volte al Parlamento, sfiorando sempre, ma senza centrare, l'elezione: per il Partito socialista italiano (PSI) nel 1979 e nel 1983 e quindi, nel 1987, per il Partito radicale (PR). Anni più tardi ricevette una proposta di candidatura da esponenti della Lega Nord, che forse confusero la sua passione per la Bassa natìa e il suo «lombardocentrismo», tante volte ostentato, con un'adesione al movimento di Bossi che invece non ci fu mai.

Negli ultimi anni avversò l'«eretismo podistico» del Milan allenato da Arrigo Sacchi, seguì i Mondiali in Messico nel 1986, non essendo riuscito a convincere il direttore a dispensarlo dalla trasferta, e quelli del 1990 organizzati in Italia: per Brera fu la decima edizione dei Mondiali di calcio seguita da inviato.

Morì a Codogno, in un incidente stradale, il 19 dicembre 1992, tornando a Milano da una cena con amici a Maleo, insieme a Vittorio Ronzoni e Pietro Mauri, che viaggiavano e che morirono con lui.

Gianni Mura lo commemorò con un bellissimo 'coccodrillo', in cui scrisse fra l'altro: «Ma questo oggi ti devo: la coscienza che non si può essere avari, nella vita e nel mestiere, che bisogna spendersi,  meglio dieci righe in più che dieci in meno, semmai qualcuno le taglierà. Meglio un'ora in più con gli amici che un'ora in meno. Meglio il fiotto che la goccia. Meglio il rosso che il bianco. Meglio la sincerità, anche quando può far male, che la reticenza o la bugia» (G. Mura, Ti sia lieve la terra…, in la Repubblica, 20-21 dicembre 1992).

Opere

Libri: Giarabub (racconto di uno che c'era), Milano 1944; Atletica leggera. Scienza e poesia dell'orgoglio fisico, ibid. 1949; Atletica a scuola, in collab. con G.M. Dossena, ibid. 1951; L'avocatt in bicicletta. Il romanzo di 50 anni di ciclismo italiano nel racconto di Eberardo Pavesi, ibid.1952 (poi ripubbl. con il titolo Addio, bicicletta, ibid. 1964); Il sesso degli Ercoli, ibid. 1959; Io, Coppi, ibid. 1960; Atletica. Regina dell'Olimpiade, in collab. con S. Calvesi, ibid. 1960; Atletica leggera culto dell'uomo, in collab. con S. Calvesi, ibid. 1964; I campioni vi insegnano il calcio, ibid. 1965; Herrera, ibid. 1966; Coppa del mondo 1966. I protagonisti e la loro storia, ibid. 1966; Il corpo della ragassa, ibid. 1969; Il mestiere del calciatore, ibid. 1972; Po, in collab. con P. Merisio, Bergamo 1973 (ed. fuori commercio); La pacciada. Mangiarebere in pianura padana, in collab. con L. Veronelli, Milano 1973; I Mondiali di calcio, storia e personaggi dei campionati dal 1930 al 1974…, in collab. con R. Guerrini, ibid. 1974; Il calcio azzurro ai mondiali. Storia dell'evoluzione tecnico-tattica del gioco più bello del mondo da Montevideo 1930 a Monaco 1974 con l'Italia grande protagonista, ibid. 1974; Incontri e invettive, ibid. 1974; Introduzione alla vita saggia, ibid. 1974; Storia critica del calcio italiano, ibid. 1975; Naso bugiardo, ibid. 1977 (poi ripubbl. con il titolo La ballata del pugile suonato, ibid. 1998); Milano, in collab. con E. Pifferi, Como 1977; L'Arcimatto, a cura di A. Maietti, Milano 1978; 63 partite da salvare, ibid. 1978; Forza azzurri, ibid. 1978; Suggerimenti di buon vivere dettati da Francesco Sforza pel figliolo Galeazzo Maria, ibid. 1979; Una provincia a forma di grappolo d'uva, ibid. 1979; Udinese, Udinese!, in collab. con A. Vigevani, Udine 1979; I ciclisti di Aligi Sassu, Milano 1980; Coppi e il diavolo, ibid. 1981 (poi ripubbl. con il titolo Fausto Coppi, prefaz. di G. Mura, Roma 2006); Gente di risaia, in collab. con B. Scarparo, Aosta 1981; Lombardia amore mio, Lodi 1982; España 82, con fotografie di Silvano Maggi, Milano 1982; Viaggio nel Nordest, in collab. con P. Brera, Bergamo 1982; Il mio vescovo e le animalesse, Milano 1983; Roma 83, in collab. con E. Bearzot et al., ibid. 1983; Lombardia amore mio, I, La Bassa e i fiumi, ibid. 1984; I miei Mondiali, Pordenone 1986; U.S. Petrarca Padova: una sfida all'Italia, s.l. né d.; Un Po d'atmosfera. I colori e le stagioni sul grande fiume, in collab. con V. Scanferla, Piacenza 1989; La leggenda dei Mondiali, Milano 1990; I mondiali di G. B. La storia della coppa del mondo di calcio, ibid. 1990; Immagine 90, Verona 1990; Genoa, amore mio, con F. Tomati, ibid. 1992 (poi ripubbl. con il titolo Caro vecchio balordo. La storia del Genoa dal 1893 a oggi, Genova 2005); Il mondo è rotondo e il contino ci gioca a pallone (ma il sospetto è che rida solo lui), in G. Leopardi, Dialogo d'Ercole e di Atlante, Padova 1992; Il gigante e la lima, s.l. 1993 (ed. fuori commercio); Brambilla e la squaw, Milano 2012.

Pubblicazioni e scritti vari. Tra i tantissimi volumi con prefazioni e/o contributi di B. si rammentino almeno: Paracadute e paracadutisti, Roma 1943; Introduzione ad A. De Gobineau, Adelaide, Milano 1945; Saggio critico introduttivo a Molière, Il misantropo, Tartufo, L'avaro, trad. it. di G. Brera, Milano 1947; Athlétisme et ethnique, in B. Acquadro et al., L'Athlétisme. Encyclopédie des sports modernes, I-III, Génève 1956-57; Lo sport come dovere di civiltà, in Sport enciclopedia…, I, San Giovanni Valdarno 1964, ad ind.; Dài, Luigi, sinistro e via, in G. Bocca et al., Testimonianze. Il vostro inviato, Milano 1973, ad ind.; Angelo Moratti, in A. Sala et al., Le persone che hanno fatto grande Milano, Milano 1980, ad ind.; G. Brera et al., Visita in Banínia (26 aprile 1992), in Il Doc San Colombano, San Colombano al Lambro 1999, ad indicem.

Antologie: l'arciBrera. Italiani e italioti: pensieri e divagazioni varie, Como s.d.; L'Arcimatto 1960-1966, a cura di A. Maietti, Milano 1993; Storie dei Lombardi, ibid. 1993; Derby!, ibid. 1994; Il principe Della Zolla. Scritti scelti da G. Mura, ibid. 1994; B. nella Bassa. L'uomo, l'amico, lo scrittore, Padova 1994 (ed. fuori commercio); La bocca del leone. L'Arcimatto II 1967-1973, a cura di A. Maietti, Milano 1995; L'Anticavallo. Sulle strade del Tour e del Giro, ibid. 1997; Il calcio veneto, Vicenza 1997; Il teatro di G. B. Mille e non più mille, Il licenziamento di Abramo, Don Giovanni alla svolta, Milano 1999; Antologia di un poeta del calcio. Le pagine più belle scritte per il Giorno, a cura di A. Maietti - G. Signori, coordinamento edit. di G. Giuzzi, Bologna 2002; L'inquilino dei versi, Milano 2002; Il Club del giovedì, Torino 2006; Il più bel gioco del mondo, a cura di M. Raffaeli, Milano 2007; Un lombardo nel pallone, a cura di P. Mazzarella jr. - P. Brera, ibid. 2007; L'abatino Berruti. Scritti sull'atletica leggera, a cura di S. Giuntini, ibid. 2009; Parola di B., a cura di A. Carotenuto, Roma 2012.

Fonti e Bibliografia

Un vasto repertorio delle carte di B. è conservato alla Fondazione Arnaldo e Alberto Mondadori di Milano: l'archivio è ancora in fase di sistemazione.

A. Maietti, Il calciolinguaggio di G. B., Lodi 1976; A. Scazzola, Lo specchio del cielo. Intervista a G. B., Radio Rai, 1992; M. Scala, Un giornale a Pavia: «Il Popolo Repubblicano» (1943-1945), in Boll. della Soc. pavese di storia patria, n.s., 1992, vol. 44, pp. 329-343; G. Bàrberi Squarotti et al., Trasparenze, n. 4/98, Genova 1998 (v. in partic. i contributi: S. Giuntini, B. e lo “Sport Giallo”, pp. 5-9; A. Brambilla, Il clericus e il cataneus, pp. 19-38; L. Surdich, La ragassa, il pugile suonato, le animalesse: G. B. romanziere, pp. 39-79; nonché le testimonianze di G. Calcagno, pp. 81-87; G. Mura, pp. 103-107; M. Fossati, pp. 113-116; G. Signori, pp. 121-123); A. Maietti, Addio papa lombardei. Pagine di vita con G. B., Cagliari 2000; P. Brera - C. Rinaldi, Gioannfucarlo. La vita e gli scritti inediti di G. B., Pavia 2001 (poi ripubbl., con qualche adattamento, con il titolo Giôann Brera. Vita e scritti un Gran Lombardo, Milano 2004); A. Maietti, Com'era bello con G. B., Arezzo 2002; S. Giuntini, Il partigiano B., in Patria indipendente, 20 luglio 2003; S. Giuntini, Lo sport di G. B., in Il Giorno, Cinquant'anni di un quotidiano anticonformista, a cura di A. Gigli Marchetti, Milano 2007; Giornalismo italiano, a cura e con un saggio introduttivo di F. Contorbia, III (1939-1968) e IV (1968-2001), Milano 2009, ad ind.; G. Signori, M B., W B: una vita contro, a cura di P. Mo, Pavia 2009; Quaderni dell'Arcimatto (Arezzo), 2010, n. 1, a cura di A. Brambilla; Quaderni dell'Arcimatto. Studi e testimonianze per G. B., 2012, n. 2, a cura di A. Brambilla - A. Scemma;  P. Facchinetti, Un secolo di Guerino, Bologna 2012; C. Gregori, Con "La Gazzetta dello Sport, ibid. in Il tempo sperperato nel ricordo di G. B., a cura di A. Stella, Pavia 2013 (ed. fuori commercio).

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