COLONNA, Giovanni

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 27 (1982)

COLONNA, Giovanni

Agostino Paravicini Bagliani

Nacque da Stefano il Vecchio, del ramo di Palestrina della famiglia, e da Gaucerande de l'Isle-Jourdain e fu forse il secondo dei loro sette figli. È attestato per la prima volta nel 1290 quando, al seguito del padre, rettore della Romagna, fu fatto prigioniero a Ravenna dai Polentani nella notte tra il 10 e l'11 novembre. L'episodio suscitò larga eco in Romagna e fuori, come dimostra la grande diffusione della notizia nelle cronache del tempo. Il fatto che le cronache ricordino il nome del C., ma non quello di altri suoi fratelli o di sua madre, potrebbe indurre a credere che egli si trovasse presso il padre a motivo della sua formazione ed educazione politica e non fosse quindi più giovanissimo. Per il periodo che va dal 1290 al 1327 non si hanno notizie. Da una lettera di Giovanni XXII dell'8 sett. 1327, antecedente di soli tre mesi la promozione cardinalizia, si apprende che il C. era notarius pape. L'attestazione di una carica che esigeva ampie conoscenze giuridiche permette di supporre che il C. avesse studiato diritto all'università di Bologna seguendo la tradizione familiare. Fu proprio sui banchi di quell'università che suo fratello Giacomo, futuro vescovo di Lombez, conobbe il giovane Petrarca tra il 1324 e il 1326. Secondo il Litta, il C. fu per lungo tempo a Roma giudice supremo delle cause civili. Si ignora la fonte di tale affermazione, che non contrasta però con la probabile formazione giuridica del Colonna.

Il 18 dic. 1327, nel corso della quarta promozione cardinalizia del suo pontificato, Giovanni XXII creò il C. cardinale diacono di S. Angelo in Pescheria. La famiglia Colonna non era più rappresentata nel Collegio dei cardinali dopo la morte di Pietro avvenuta ad Avignone il 7 genn. 1326. In questa stessa promozione, il pontefice creò altri due cardinali romani: Matteo Orsini e Annibaldo da Ceccano (quest'ultimo era figlio di un cugino primo del padre del Colonna). Riprendendo un'antica tradizione che era stata interrotta dal suo predecessore, Giovanni XXII elevò alla dignità cardinalizia membri delle due più prestigiose famiglie dell'alta aristocrazia romana, ma operò nel contempo un prudente dosaggio. Da una lettera del 26 apr. 1338 di Giovanni XXII (Lettres communes, n. 6281) si apprende che la chiesa cardinalizia del C. era stata espugnata manu militari dagli Orsini, dai Savelli e dai Malabranca, che la saccheggiarono e la rovinarono non poco. Nel corso del suo cardinalato durato più di un ventennio, il C. ottenne prebende e benefici ecclesiastici in numerose diocesi dell'Occidente. Secondo la già citata lettera di Giovanni XXII dell'8 sett. '27 il C. era arcidiacono di Viviers e canonico della chiesa romana di S. Eustachio. Ad Aquileia (1331), Prato (1338), Magonza (1340) e Marsiglia (1345) quale successore di Pietro di Agapito Colonna, fu eletto preposito; a Bayeux (1344) ricevette la carica di cantore; a Châlons-sur-Marne (1342) quella di arcidiacono; a Noyons (1331) e a Saint-Martin di Tours (1331) quella di canonico, ecc. A S. Maria Novella in Chianti e a S. Pietro in Mercato era titolare della pievania (1331). Il 24 ag. 1332 Giovanni XXII gli conferì i benefici ecclesiastici appartenuti al cardinale Arnaldo de Pellagrue deceduto apud Sedem Apostolicam. A Roma, oltre al canonicato di S. Eustachio (1337) e di S. Maria Rotonda (1328), il C. era titolare della carica di arciprete della basilica di S. Maria Maggiore dal 26 apr. 1336 in poi, quale successore del cardinale Luca Fieschi, deceduto ad Avignone il 31 gennaio dello stesso anno.

Riprendendo notizie tramandate dall'antica storiografia erudita, l'Eubel afferma che il C. era arciprete della basilica di S. Giovanni in Laterano quando fu creato cardinale. Nella lettera che il C. indirizzò al capitolo lateranense per il conferimento di indulgenze in vista del prossimo giubileo (15 genn. 1347), il C. non porta però il titolo di arciprete (Rasponi, p. 130). Si noti, in questo contesto, che il C. lasciò alla Compagnia del Salvatore al Laterano, ossia agli "ostiarii" e "raccomandati" dell'Immagine del Salvatore al Sancta Sanctorum, un'importante somma di denaro per costruire un ospedale dietro quello che era stato edificato dallo zio, il cardinale Pietro Colonna.

Il C. partecipò a due conclavi, uno per l'elezione di Benedetto XII (1334), l'altro per l'elezione di Clemente VI (1342). Per quanto riguarda il primo, una frase alquanto oscura di G. Villani, è stata sovente interpretata nel senso che il C. avrebbe capeggiato la minoranza e si sarebbe accordato con il capo della maggioranza, il cardinale Helie de Talleyrand-Périgord. Più cautamente, si dovrà con lo Zacour, osservare che la frase del cronista indica soltanto una cooperazione tra il C. e il Talleyrand, al quale era peraltro legato da salda amicizia, come mostra una fonte indipendente dal Villani.

Il C. svolse un ruolo decisivo nella determinazione dei rapporti politici tra la corte pontificia e la città di Roma. Nel periodo che va dal 1330 al 1348 egli sembra dominare la scena politica in questo campo. Della sua influenza Cola di Rienzo si rese conto fin dal suo primo arrivo ad Avignone nel 1343. Il C. riuscì in breve tempo a farlo cadere in disgrazia, per poi ripresentarlo al pontefice per una sua riabilitazione: "Ma chi lo puse in vasso, quello stesso l'inalzao; ciene Missore Juvanni de la Colonna lo remise denanti a lo papa. Torna'n gratia" (Vita di Cola di Rienzo, lib. I, cap. 1).

È difficile interpretare questo duplice e contraddittorio atteggiamento, e non è chiaro se si trattasse di pura tattica (far sentire a Cola il peso determinante della sua influenza) o se dobbiamo invece attribuire questo temporaneo ed effimero ripensamento alla mediazione del Petrarca. Cola, dopo la sua presa del potere, fece pervenire un suo messaggio personale non soltanto al pontefice ma anche al Colonna. Se mai il tribuno si era illuso di poter accattivarsi la simpatia del C., o per lo meno addolcire la sua opposizione, egli dovette arrendersi davanti all'evidenza dei fatti. Nel 1347 il C. si schierò dalla parte della sua famiglia, diventando anzi la forza trainante dell'opposizione. Cola aveva percepito con chiarezza che l'opposizione del C. era dettata dalla strenua volontà di difendere interessi legati alle sorti della sua casata. Parlando del cardinale defunto in una lettera indirizzata all'arcivescovo di Praga (Burdach, II, 3, pp. 262 s.), Cola ricorda di aver implorato pubblicamente Iddio, davanti alla chiesa cardinalizia del C., perché lo punisse per mano dell'arcangelo Michele se il C. si fosse opposto alla sua politica per amore verso il popolo, ma di far abbattere il suo verdetto sullo stesso cardinale se tale opposizione fosse stata motivata da "affectio" verso i "tiranni" di casa Colonna. Cola vide un esplicito segno della giustizia divina a suo favore nel fatto che l'eccidio dei Colonnesi a porta S. Lorenzo (tra i quali trovarono la morte un fratello e un nipote del C.) ebbe luogo il giorno della festa di S. Michele arcangelo (il Burdach, II, p. 295, dimostrò però che il racconto della Vita di Cola è inesatto, in quanto il massacro dei Colonnesi avvenne il 20 nov. 1347, festa di S. Colombano). L'annuncio della tragica notizia avrebbe, sempre secondo Cola, causato la morte del C., che si sarebbe frantumata la testa contro un muro. Il Petrarca era stato invece informato dall'amico Socrate (Ludovico di Beeringen detto il Santo) che il C. aveva sopportato con dignità la disgrazia (Fam., VII, 13).

L'ubicazione della livrée del C. ad Avignone non è stata ancora identificata. I registri avignonesi forniscono invece numerose notizie sulla composizione della sua domus o familia cardinalizia, anche se limitatamente ai membri ecclesiastici (cappellani, camerari, uditori, chierici, ecc.).

La domus del C., tra le più prestigiose e ricche dell'epoca, costituiva un forte richiamo per i giovani chierici romani. Un gran numero dei familiari di questo cardinale proveniva infatti da Roma (Omodeo Papazzurri, Oddone Malabranca, Pietro di Niccolò de' Tosetti: quest'ultimo era parente del celebre Lelio, amico del Petrarca, il cui vero nome era Lello di Pietro Stefano de' Tosetti), e da zone politicamente sotto l'influenza della famiglia Colonna, come Palestrina (Matteo dì Pietro Bertrami, Gregorio di Nicola Ferrari, Deodato di Stefano Rocchi), Canemorto (Andrea detto Schiavo), Zagarolo (Andrea).

Ma oltre a loro il C. aveva assunto nella sua familia, con il titolo di cappellano, un personaggio che era destinato a diventare il fulcro della vita intellettuale alla corte avignonese per poco meno di un ventennio: Francesco Petrarca. Gli era stato presentato dal fratello Giacomo nel 1330, al ritorno da Lombez, dove si era recato, in compagnia del poeta, per prendere possesso della sua nuova diocesi.

Contemporaneamente al Petrarca entrò a far parte della cappella del C., dapprima come cantore e poi come cappellano, il musicista fiammingo Ludovico di Beeringen, detto Santo, che Giacomo Colonna aveva portato con sé a Lombez per organizzare le cerimonie liturgiche nella sua diocesi. Ludovico, che aveva la stessa età del Petrarca (circa ventisei anni), diventò uno dei suoi migliori amici. Il poeta lo chiamava, per il suo carattere, Socrate e gli dedicò il libro delle Lettere familiari. Èprobabile che sia stato lo stesso, Giacomo Colonna, il vero legame tra le amicizie giovanili del Petrarca, a collocarlo a servizio presso il fratello cardinale. Nella cappella del C. già si trovava il fiammingo Nicolò di Bocholt, titolare della cantoria di St.-Donatien di Bruges, che era stato assunto dal C. poco dopo la sua elevazione al cardinalato. Nel fare appello a cantori e musici fiamminghi, il C. volle abbellire le cerimonie liturgiche della sua cappella sfruttando le risorse, della polifonia scoperte di recente. Il Beeringen, autore dì un'importante testimonianza sulla peste del 1348 ad Avignone (De Smet), rimase nella cappella del cardinale fino alla morte di questo.

Nella familia del C. trovò rifugio anche uno degli intellettuali bianchi cacciati da Firenze: il verseggiatore stilnovista e amico di Dante, Sennuccio Del Bene; per anni discorse ogni giorno col Petrarca e con lui scambiò sonetti.

Propriamente parlando, il Petrarca soggiornò nella domus del C. soltanto fino al 1337, perché dopo la nascita del figlio Giovanni il poeta si ritirò a Valchiusa. Il suo servizio fu del resto spesso interrotto dai numerosi viaggi in Francia, Germania, Italia, ecc., per i quali riuscì sempre ad ottenere il permesso del suo signore. Nel novembre 1347, il Petrarca, entusiasmato per Cola di Rienzo, lasciò Avignone per l'Italia con un incarico di Clemente VI presso Mastino Della Scala. Questa nuova partenza per l'Italia significò l'abbandono quasi definitivo della Curia avignonese e venne a coincidere con la fine del servizio presso il C., durato in tutto diciassette anni.

Il congedo dal suo patrono è raffigurato, attraverso la finzione pastorale, nell'egloga Divortium, piena di nostalgia per la patria, ma anche di risentimento. È la testimonianza di un amaro colloquio, l'ultimo tra il cardinale e il poeta. Il nome di Ganimede, il giovane bellissimo rapito da Giove e assunto tra gli dei, è una condanna della fiera ricchezza del C. e del suo potere alla corte avignonese. La "franca povertà" del poeta, è espressa nel nome di Amiclate (Amyclas), il pescatore che tragittò Cesare da Durazzo in Italia e che Lucano rappresenta povero e sicuro nel turbine delle guerre civili.

Nell'epistola Posteritati, 20, il poeta si esprime però con ben altro spirito sui suoi rapporti con il C.: "sub fratre eius, Iohanne de Columna cardinali, multos per annos non quasi sub domino. sed sub patre, immo ne id quidem, sed cum fratre amantissimo, immo mecum et propria mea in modo fui". Tale disparità di giudizi rende difficile un'interpretazione delle relazioni esistite tra il C. e il Petrarca. Questi non nascose che l'appartenenza ad una familia cardinalizia così prestigiosa fosse stata di fondamentale importanza per la sua crescita intellettuale e per la sua ascesa sociale. È lecito ritenere che i suoi accenni in tal senso siano stati sinceri (Fam. VII, 5 e VII, 13). Il suo rapporto con il C. toccò punte di indubbia intimità: il C. non esitava a consultarlo anche per questioni di famiglia. Il C., inoltre, non sembra mai aver ostacolato il Petrarca nelle sue attività. Richiesto di un parere, egli consigliò il Petrarca di farsi incoronare poeta a Roma piuttosto che a Parigi.

L'abbandono del servizio, così amaramente drammatizzato nell'egloga Divortium, non derivò da difficoltà personali con il Colonna. Il distacco del Petrarca dal mondo avignonese era piuttosto motivato dal profondo desiderio di ritrovare una più completa libertà intellettuale e avvenne sotto lo stimolo di una riflessione politica cui era stato indotto da Cola di Rienzo.

Molto significativo è il passo della lettera Fam. VIII, 4, 23, posteriore alla morte del cardinale, nella quale il poeta invita Simpliciano e Socrate a far vita insieme a Parma: "Perrocché sebbene quella servitù a noi tornasse più gradita di qualsiasi libertà, tanto era l'affetto che acquistavasi quell'ottimo uomo, pur in quella sua elevata posizione punto altezzoso, tuttavia lo star sotto altri, l'ubbidire ad altri, il vivere dell'altrui possono far parere più decorosa la servitù, costituire vera libertà mai" (trad. di Fracassetti). Dalle lettere del poeta emerge, per quanto riguarda il C., il ritratto di un personaggio culturalmente aperto alle novità, un osservatore attento della natura e delle cose che lo circondano, con un temperamento dolce ma autoritario nella conduzione degli affari di famiglia. Rari sono nel complesso gli accenni del Petrarca a precisi interessi culturali del Colonna.

Il ritratto appare piuttosto sfocato se messo a confronto con quello che il Petrarca ci ha lasciato del fratello Giacomo, l'unico Colonna che il poeta avesse veramente amato. Nella lettera consolatoria per la morte del C., indirizzata al padre Stefano il Vecchio (Fam., VIII, 1), il Petrarca non solo non tesse l'elogio del defunto, ma giunge persino ad affermare che Giacomo sarebbe diventato più grande del fratello cardinale se fosse vissuto più a lungo. Per il poeta, Giacomo fu l'amico, Giovanni il patrono.

Il Foresti aveva attribuito al C. il possesso del celebre Tito Livio parigino (ms. Lat., 5690), acquistato dal Petrarca nel 1351, ma m il Billanovich ha dimostrato che la nota del foglio di guardia con il nome del cardinale in lingua volgare non è una nota di possesso, ma un appunto del primo proprietario del codice, Landolfo Colonna, riguardante il Colonna.

Il C. morì ad Avignone il 3 luglio 1348 vittima della peste nera, alla quale soccombettero ben sei cardinali nel periodo maggio-agosto dello stesso anno. Il padre sopravvisse alla morte del C., che fu l'ultimo dei sette figli dell'anziano senatore a morire. Alla morte del C., il cardinale Annibaldo da Ceccano, forse suo esecutore testamentario, sostituì il cugino nella sistemazione di alcune importanti questioni di famiglia.

Fonti e Bibl.: Francesco Petrarca ricorda il C. nelle seguenti opere: Epistolae seniles, Lugduni 1601 (XVI, 1); Lettere familiari, a cura di V. Rossi, Firenze 1933-1942 e a cura di U. Dotti, Urbino 1974, I, 4-5; II, 13-15; IV, 4-5, 9, 12; V, 2-6; VII, 13 e VIII, 1 (cfr. anche la trad. ital. a cura di G. Fracassetti, Firenze 1863-67, importante per il commento storico); Prose, a cura di G. Martellotti, Milano-Napoli 1955 (Lettera ai Posteri, p. 10);Rime, Trionfi e poesie latine, a cura di F. Neri-G. Martellotti-E. Bianchi-N. Sapegno, Milano-Napoli 1951: egloga VIII (Divortium), Epistole metriche VI, XI, XII, XIII, Rime XXXIX (sonetto "Io temo sì de' begli occhi l'assalto"), CCLXVI (sonetto "Signor mio caro, ogni pensier mi tira"), CCLXIX (sonetto "Rotta è l'alta colonna e' l verde lauro"). Cfr. inoltre: C. Rasponi, De basilica et patriarchio Lateranensi libri quattuor, Romae 1657, pp. 130 s. (concessione di indulgenze alla basilica lateranense); Recueil des chroniques de Flandre, a cura di J. De Smet, III, Bruxelles 1856, pp. 14-18; G. Villani, Cronaca, Milano 1857, VI, p. 59 (lib. XI, cap. 21); Les registres de Nicolas IV (1288-1292), a cura di E. Langlois, Paris 1887-1893, nn. 7294-7303; J.-H. Albanès-U. Chevalier, Gallia christiana novissima. Marseille, Marseille 1889, n. 1361 (prepositura di Marsiglia); Benoît XII, Lettres communes, a cura di J.-M. Vidal, Paris 1902-1911, ad Indicem; Jean XXII, Lettres communes, a cura di G. Mollat, Paris 1904-1947, ad Indicem;Suppliques de Clément VI (1342-1352). Textes et analyses, a cura di U. Berlière, Rome 1906, ad Indicem;Benoît XII, Lettres closes et patentes intéressant les pays autres que la France, a cura di J.-M. Vidal-G. Mollat, Paris 1913-1950, nn. 1822, 3274; K. H. Schäfer, Die Ausgaben der Apostolischen Kammer unter Benedikt XII., Klemens VI. und Innocenz VI. 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