COSTA, Giovanni

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 30 (1984)

COSTA, Giovanni

Paolo Preto

Nacque ad Asiago (Vicenza) l'8 maggio 1737 da Cristiano Modesto e Maria Fabris. Allievo del seminario di Padova dal 1750, si distinse negli studi classici, e con il favore dei docenti e del cardinale Rezzonico conseguì la laurea in utroque iure. Nominato professore nelle scuole esterne del seminario, insegnò poi agli allievi interni, prima grammatica, poi retorica e infine passò alla scuola dell'Accademia dove rimase per ventidue anni consecutivi, sino al collocamento a riposo nel 1791. "Intellettualmente e politicamente lontanissimo dall'illuminismo dottrinario e rivoluzionario" (Costa, Tra le vere glorie..., p. 148), e alieno per temperamento da ogni forma di impegno nella vita pubblica, il C. si mosse con cauto distacco negli anni turbinosi della campagna d'Italia di Napoleone e dei successivi governi austriaco e francese, evitando pericolose compromissioni.

L'assiduo studio dei classici divenne molto presto amore appassionato per la poesia latina cui dedicò gli anni migliori della sua vita, nella duplice veste di traduttore e originale compositore. Esordì nel 1772 con la versione dell'Elegia sopra un cimitero di campagna di Thomas Gray (Elegia insepulcreto rustico conscripta) da cui Ugo Foscolo trasse le parole poste come epigrafe alle Ultime lettere di Jacopo Ortis: "Naturae clamat ab ipso/vox tumulo". Tre anni dopo tradusse dall'inglese in latino, con l'aggiunta di alcuni versi originali, poeti inglesi di notevole valore come Alexander Pope, James Thompson e Thomas Gray (Poëma Alexandrii Pope de Homine, Iacobi Thompson et Thomae Gray selecta carmina ex britanna in latinam linguam translata, Patavii 1775).

Dalle versioni passò ben presto alle composizioni originali in latino in cui dimostrò ottima padronanza della lingua e felice ispirazione. Esperto conoscitore della metrica latina pubblicò elegie, saffiche, epigrammi, idilli, che raccolse successivamente in due volumi (Carmina, Patavii 1796, Lusus poëtici, ibid. 1812); si cimentò anche con fortuna nella lingua greca col ditirambo Artemisia (Bassano 1807) lodato da Melchiorre Cesarotti. Meno originali invece le sue poesie in volgare, pubblicate postume (Canzoni, Padova 1866; Poesie morali, Bassano 1870) e la dissertazione Della Messiade di Klopstock (Padova 1845).

La più impegnativa, ma anche la più fortunata delle sue iniziative, fu la traduzione delle odi di Pindaro, suggeritagli nel 1791 da Giovanni Coi, per trent'anni colto e intelligente rettore del seminario di Padova, e condotta a termine nel 1808, grazie anche agli incoraggiamenti del vescovo Niccolò Antonio Giustiniani (Pindari Olympia, Pithia, Nemea, Isthmia latinis translata carminibus et illustrata, Patavii 1808; n. ediz., con versione italiana in versi e in prosa, a Padova nel 1933, a cura di Giuseppe Costa).

Preceduta e accompagnata da un fitto scambio epistolare con latinisti e grecisti italiani e stranieri, la traduzione di Pindaro suscitò grande eco negli ambienti dei classicisti italiani e consacrò la fama del C. al di fuori delle mura del seminario patavino.

Se la sua sincera e profonda ammirazione per il mondo greco-romano lo ricollega ad un'ininterrotta tradizione della cultura italiana, le sue incursioni nella letteratura sepolcrale inglese, seppur limitate al prediletto campo delle versioni in latino, hanno suggerito all'affettuoso biografo Giuseppe Costa di parlare, forse con una punta di audacia, di un suo "pre-romanticismo", se non altro "come presentimento" (Tra le vere glorie..., pp. 148 s.).

Tra il 1780 e il 1810 il C. dispiegò anche un'intensa attività di critico e storico della letteratura, collaborando in posizione di primo piano ai lavori dell'Accademia dei Ricovrati di Padova, allora diretta dal Cesarotti; le sue ventinove Dissertationes academicae, conservate nella biblioteca del seminario e in buona parte pubblicate da G. Costa (Fantasia e ragione..., pp. 5-7), spaziano su vari temi, dalle traduzioni al rapporto tra ragione e fantasia, alle origini della lingua della natia Asiago, alla discussione della poesia di Klopstock e di Gray, ma sono nel complesso prive di originalità e di autonomo vigore speculativo.

Il C., che aveva più volte rifiutato sia l'insegnamento universitario sia l'onere pastorale di una parrocchia, trascorse tutta la sua vita nel seminario, pur intrattenendo intense relazioni epistolari con studiosi italiani e stranieri. Morì a Padova il 29 dic. 1816.

Fonti e Bibl.: Padova, Bibl. del Seminario, mss. 676, 723 (Lettere), 724 (Dissertazioni lette nell'Accademia di Padova), 725-729, 801, 805-806; Bassano del Grappa, Bibl com., ms. IX.B. 16: Epistolario Remondini, VIII, 14; G. A. Moschini, Della letter. venez. .., Venezia 1806, I, pp. 65 s.; IV, pp. 21, 92; G. Dandolo, La caduta della Repubblica di Venezia…, Venezia 1857, p. 90; Il Seminario di Padova. Notizie raccolte e pubbl. nella ricorrenza del III cinquantenario della beatificazione del card. G. Barbarigo, Padova 1911, pp. 221-223; G. Natali, Il Settecento, Milano 1929, pp. 516, 525, 559, 596, 669; S. Serena, Scrittori latini del seminario di Padova, Padova 1936, pp. 352-384; G. Costa, Poesia antoniana in un grande latinista del Settecento (ab. G. C. 1737-1816), in Il Santo, dicembre 1930; Id., Tra le vere glorie del Settecento italiano. Ab. G. C. di Asiago (1737-1816). Notizie biogr. e illustrative, Padova 1932; Id., Fantasia e ragione nella concezione realistica dell'ab. G. C., 1737-1816, Padova 1935 (con elenco di tutte le opere in prosa); Id., Abate G. C. poeta latino (1737-1816), Padova 1938; C. von Wurzbach, Biograph. Lex. des Kaiserthums Österreich, III, pp. 15 s.

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