GIOVANNI da Parma

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 56 (2001)

GIOVANNI da Parma

Franco Bacchelli

Con questo nome si conoscono almeno quattro medici vissuti nel XIII e nel XIV secolo, le cui vicende, per l'omonimia e per la vicinanza dei luoghi in cui si trovarono a operare, è spesso difficile discernere. Con tutta verosimiglianza, però, quasi tutte le opere che in vari codici si attribuiscono, per lo più, a un "Magister Iohannes de Parma" devono avere come autore il più antico dei quattro, cioè colui che si definisce nel proprio testamento del 1299 come "Magister Iohannes medicus quondam Deodati qui fuit de Parma et nunc moratur Bononiae".

La formazione di questo G., sulle cui origini non si sa nulla di preciso, deve averlo precocemente indirizzato a risalire, al di là dei testi della medicina araba, fino alle fonti greche. È infatti probabile che sia proprio lui, forse ancora giovane e povero magister, che copiò e raccolse quell'eccezionalmente ampio corpus di opere di Galeno, nelle traduzioni dall'arabo e dal greco eseguite nel secolo precedente, conservato nei codici D.XXIII.1, D.XXV.1 (sottoscritto: "finitus a Magistro Johanne de Parma die lune") e D.XXV.2 della Bibl. comunale Malatestiana di Cesena. L'origine probabilmente bolognese dei codici ci suggerisce che G., nato presumibilmente intorno al 1260, possa aver studiato a Bologna, ove risiedeva, in ogni modo, almeno dal settembre 1290, quando, abitando nella parrocchia di S. Salvatore, sostenne una causa contro Ubertino del fu Guglielmo da Parma. Nel luglio 1298 doveva essere già un affermato insegnante di medicina se prestò giuramento di obbedienza, insieme con Bartolomeo da Varignana, Liuzzo de' Liuzzi e Maglio dei Sulimani, all'arcidiacono dello Studio Guido da Baisio. Il 12 apr. 1299, abitando nella parrocchia di S. Gervasio, dettò le sue ultime volontà, cassate poi da un secondo testamento del 5 ott. 1300, scritto prudenzialmente, come era d'abitudine per i pellegrini, prima di partire alla volta di Roma per lucrare il giubileo. Eredi, in entrambi i documenti, erano la moglie Egidia e i due figli Ubertino e Giovanni (forse quel Giovanni di Giovanni di Diodato, che, secondo un'incontrollabile notizia trasmessa dal Pasquali Alidosi, sarebbe già stato attivo come medico nel 1291). Il 7 maggio 1302 redasse per fini giudiziari, insieme con Bartolomeo da Varignana, un consilium sulla gravidanza di una donna di San Giovanni in Persiceto. Negli anni 1310-11 insegnò medicina a Brescia con lo stipendio di 40 lire e nel maggio 1311 ritornò a Bologna, dopo che il Comune, per le vive istanze del rettore degli scolari, lo aveva richiamato espressamente, offrendogli uno stipendio di 100 lire. In quello stesso anno si recò a Lucca per curare il cardinale Lionardo di Guarcino vescovo di Albano. Al 1312 risale la quaestio conservata a Monaco, Bayerische Staatsbibliothek, Clm 244, disputata, probabilmente nella stessa occasione di altre questioni contenute nello stesso codice, dai due maestri bolognesi Alberto Zancari e Giuliano dei Preonti. Nel maggio 1314 il Comune di Treviso lo chiamò, da Bologna, insieme con altri, tra i quali Pietro d'Abano, a insegnare medicina nello Studio recentemente istituito. Dopo questa data l'unica altra notizia su di lui è del 1336, quando è menzionato come già defunto in un documento riguardante sua figlia Jacoba, andata sposa al medico Nicola Bertuccio.

Oltre alla quaestio medicinale già citata, a G. è attribuibile una Practicella ex dictis Mesue abbreviata, breve prontuario di medicinali scritto prima del 1310 e pubblicato in M.A. Mehner, Johannes von Parma und seine Practicella, Leipzig 1918. Della Practicella esiste anche un volgarizzamento, dal titolo Pratica di medicine semplici e composte, eseguito forse intorno alla fine del sec. XIV e conservato nel cod. Biscioniano 11 della Bibl. Laurenziana di Firenze (cfr. A.M. Bandini, Bibliotheca Leopoldina Laurentiana…, II, Firenze 1792, col. 246), e un riassunto sotto forma di indice, ugualmente in volgare, conservato a Firenze, Bibl. Riccardiana, cod. 3050, cc. 82r-90v (incipit: "Io maestro Giovanni da Parma ò tratto ongne cosa del Mesue"). Di G. sarebbero inoltre una Quaestio di medicina conservata a Roma, Bibl. apost. Vaticana, cod. Vat. lat. 4451, cc. 1r-8r; la Quaestio utrum seni febricitanti conveniant magis frigida quam iuveni e la Quaestio utrum pueri sint temperatiores iuvenibus vel e contra, conservate nel cod. Vat. lat. 2418, rispettivamente a c. 180v e c. 182rv. È dubbio se appartenga a G. anche il frammento De variis febribus contenuto nel codice conservato a Parigi, Bibl. nationale, Lat. 8160, c. 44r.

Non sono invece attribuibili a G. le seguenti opere: un frammento che comincia "Signa vero uniuscuiusque humoris in corpore habundantis", conservato a Monaco, Bayerische Staatsbibliothek, Clm 23912, cc. 254v-255v, opera invece di un ignoto "magister" omonimo vissuto alla fine del XIV sec.; il De purgationis corporis remedio visto da I. Affò, che era in realtà una copia della Summa de modo medendi di Gerardo da Montpellier; il Tractatus de urinis, da identificare forse con il De urinis di Giovanni Marco de' Ferrari da Parma, medico del XV sec. (nel cod. Riccardiano 1177, cc. 247r-251r). Un brano volgarizzato di quest'opera del de' Ferrari è quindi, probabilmente, anche quel frammento sulle urine del cod. Marciano it. III, 15 (5005), cc. 41r-42v, attribuito a G. dall'Affò; le due Quaestiones filosofiche del codice Faesulanus 161 della Bibl. Laurenziana di Firenze, disputate a Bologna nel 1337, sono senza dubbio del domenicano Giovanni da Parma, come è stabilito in C. Piana, Nuovo contributo allo studio delle correnti dottrinali nell'Università di Bologna nel sec. XIV, in Antonianum, XXIII (1948), pp. 223-225, 236-243.

G. non va confuso, nonostante l'opinione dell'Affò e di G. Tiraboschi, con Giovanni d'Alberto Salciza da Parma, il "Magister Johannes dictus de Parma filius quondam Domini Alberti de Fusia" nominato nel 1308 in un documento bolognese, ora irreperibile, comunicato da G. Monti al Tiraboschi. Sarebbe questo "Iohannes quondam Alberti" il "Giovanni d'Alberto Salciza da Parma" che, secondo ora non identificabili fonti viste dal Pasquali Alidosi, sarebbe stato medico "de' Crepati" nel 1339, avrebbe tenuto scuola di medicina nella parrocchia di S. Arcangelo e sarebbe morto il 21 ott. 1346 (Pasquali Alidosi, p. 28; A. Simili, Considerazioni storico-critiche sui primordi dell'insegnamento medico in generale e di quello a Bologna in particolare, in Minerva medica, LXV [1974], p. 2864).

G. e questo "Iohannes quondam Alberti" non devono poi essere confusi con altri due medici dello stesso nome nati, probabilmente, già nel XIV secolo.

Il primo è Giovanni di Gabriele da Parma, il "Magister Iohannes de Gabriel de Parma" (o Giovanni Gabrielli, secondo l'Affò) che il 18 giugno 1348 fu nominato ad Avignone chirurgo di Clemente VI e che, in tale ruolo, continuò fino al 1362 a servire anche sotto Innocenzo VI. È probabilmente lui quel "in Avinione socius meus Iohannes de Parma" ricordato nel proemio della sua Chirurgia da Guy de Chauliac, altro chirurgo, che, come è noto, era stato a Bologna scolaro di Nicola Bertuccio, genero di Giovanni da Parma. A questo "Iohannes de Gabriel" chirurgo potrebbero attribuirsi - più che, come sostenne A. Pezzana, a un altrimenti ignoto Giovanni Capelluti da Parma - sia il Tractatus compilationis flobothomiae, sia il De fractura cranei contenuti nel cod. Parmense 1065 della Bibl. Palatina di Parma, contenente un corpus di scritti di Iacopo Capelluti, altro celebre chirurgo parmense che aveva operato ad Avignone negli anni di "Iohannes de Gabriel".

Il secondo, medico teorico e non chirurgo, è Giovanni da Parma, il "Iohannes Parmensis" fiorito ad Avignone ai tempi di Clemente VI e, dopo il 1346, collega di canonicato a Parma di F. Petrarca, che, scrivendo nel 1370 a Giovanni Dondi, così lo ricorda: "concanonicus et confrater meus, qui […] medicinae magnum sibi nomen, non in patria solum, sed in Romana Curia inter illos satrapas, inque illa medicorum turba et colluvione pepererat" (Seniles, XII, 2) aggiungendo che egli non stimava la nuova medicina latina e pregiava unicamente gli autori greci e arabi. Le poche notizie, di carattere ecclesiastico e benefiziale, su di lui - che erroneamente il Pezzana considerò autore, insieme con Iacopo Capelluti, di certi Recepta medicinalia probata per mag. Iacobum et m. Iohannem e di un Tractatus de decoratione (un'operetta di cosmesi) contenuti nel codice 655 conservato a Roma presso la Bibl. Casanatense - sono date dall'Affò e da F. Rizzi, F. Petrarca e il decennio parmense (1341-1351), Torino 1934, pp. 302 s.

Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Bologna, Demaniale, S. Francesco 33/4165, n. 2 (testamento del 1299); ibid. 37/4169, n. 7 (testamento del 1300); Comune-Governo, Riformagioni 174, anno 1311, cc. 41v-42r (decisione del Comune di richiamare G. da Brescia); C. Ghirardacci, Della historia di Bologna, Bologna 1596, I, p. 554; G.N. Pasquali Alidosi, I dottori bolognesi di teologia, filosofia, medicina e d'arti liberali, Bologna 1623, p. 78; S. Baluze, Miscellanea novo ordine digesta, IV, Lucca 1764, p. 615; G. Fantuzzi, Notizia degli scrittori bolognesi, II, Bologna 1782, p. 155 n. 10; G. Marini, Degli archiatri pontifici, Roma 1784, I, pp. 69-71; G. Tiraboschi, Storia della letteratura italiana, IV, Modena 1788, pp. 224 s.; V, ibid. 1789, pp. 66, 274 s.; I. Affò - A. Pezzana, Memorie degli scrittori e letterati parmigiani, Parma 1789, II, pp. 42-51; VI, pp. II, 96-100, 214-216, 985; S. Mazzetti, Repertorio di tutti i professori antichi e moderni della famosa Università di Bologna, Bologna 1848, p. 155; B. Giordani, Acta Franciscana e tabulariis Bononiensibus deprompta, Quaracchi 1927, pp. 433, 555; A. Simili, Un "consiglio" inedito di Bartolomeo da Varignana e G. da P., in Minerva medica, XXX (1942), pp. 300-311; L. Thorndike - P. Kibre, A catalogue of incipits of Medieval scientific writings in Latin, London 1963, ad indicem; A. Tabarroni, Notizie biografiche su alcuni maestri di arti e medicina, in L'insegnamento della logica a Bologna nel XIV secolo, a cura di D. Buzzetti - M. Ferriani - A. Tabarroni, Bologna 1992, p. 613; R. Lambertini, La teoria delle "intentiones" da Gentile da Cingoli a Matteo da Gubbio, ibid., pp. 289 n. 46, 291 n. 58; La biblioteca di un medico del Quattrocento. I codici di Giovanni di Marco da Rimini nella Biblioteca Malatestiana, a cura di A. Manfron, Torino 1998, pp. 198 s.

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