GIOVANNI da Ripatransone

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 56 (2001)

GIOVANNI da Ripatransone (Ripa; Giovanni della Marca)

Roberto Lambertini

I dati biografici accertati a proposito di questo teologo francescano sono assai scarsi e limitati alla sua carriera accademica. Nato nella prima metà del XIV secolo, si ignora quando sia entrato nell'Ordine dei frati minori; concordi invece sono le testimonianze nel rilevare il legame con Ripatransone, nell'Ascolano, sia come semplice indicazione del luogo d'origine, sia in riferimento al convento presso il quale sarebbe divenuto francescano, come mostra di ritenere la tradizione. Non si hanno riscontri invece per l'indicazione del cognome, Plantadossi, riportata nella storiografia locale e nel Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica di G. Moroni, dovuta forse all'identificazione, difficilmente sostenibile, con il francescano Giambattista Plantadossi da Ripatransone, ministro provinciale delle Marche probabilmente tra il 1358 e il 1362. È ormai assodata la non completa attendibilità delle informazioni riportate dalla lapide conservata nel Museo archeologico di Ripatransone, fatta incidere da Felice Peretti, il futuro papa Sisto V, a ricordo di G., e che costituisce la principale fonte degli Annales di L. Wadding. Bonifacio da Ceva e Mariano da Firenze sostengono che, in forza delle sue qualità eccezionali, sarebbe divenuto maestro in teologia prima di compiere i trent'anni. In mancanza di altri elementi, anche se confermata, questa affermazione acquisirebbe comunque un valore limitato per la datazione assoluta. Di difficile interpretazione (non solo in ragione della loro discordanza, forse dovuta a un errore di tradizione) è anche l'esatta valenza delle date, 16 dic. 1357 e 16 dic. 1367, inserite nei colofoni delle copie del suo commento al I libro delle Sentenze conservate rispettivamente nei manoscritti della Biblioteca apost. Vaticana, Vat. lat. 1083, 6738.

Solo grazie alla precisa analisi della natura degli scritti di G. compiuta da Z. Kaluza (1987) è stato possibile accertare che egli fu baccelliere sentenziario a Parigi in una data posteriore all'anno accademico 1351-52, con grande verosimiglianza identificabile - secondo K. Tachau - con il 1352-53. È emerso anche che, componendo la sua quaestio collativa, edita sotto il titolo Quaestio de gradu supremo, G. entrò in polemica con un baccelliere domenicano, probabilmente identificabile con Guillaume de Romain. Nelle questioni sul Prologo alle Sentenze attaccò anche le tesi sostenute nelle sue vesperiae da un maestro francescano, verosimilmente Austence (Ascensio) de Sainte-Colombe. La polemica contro questo suo confratello è comunque certa nelle susseguenti Determinationes che G. tenne, sempre a Parigi, dichiaratamente presso lo Studium francescano, con ogni verosimiglianza tre-cinque anni dopo il Commento alle Sentenze, molto probabilmente prima del 1361, anno della nomina di Ascensio a vescovo di Sarlat. Nelle Determinationes l'avversario principale è infatti ancora Ascensio, il quale, a sua volta, sia nello Studio francescano parigino, sia - probabilmente - in quello di Amiens, in presenza dello stesso G., ne aveva criticato le tesi sostenute nel Prologo alle Sentenze. Ascensio è accusato tra l'altro di aver rinnegato le proprie opinioni sulla questione oggetto del dibattito, la modalità della visione di Dio da parte dei beati; anche ai domenicani Guillaume de Romain e Jean d'Issy non vengono però risparmiate critiche. L'identità degli interlocutori è confermata anche dalla testimonianza di Étienne Gaudet (cfr. Kaluza, 1987, p. 297). Può darsi che a questa atmosfera di accesa disputa sia connessa la censura - avvenuta nel 1362 - di Ludovico dal Fiume da Padova, costretto a rinnegare alcune tesi sostenute nelle vesperiae, strettamente collegate all'insegnamento di G. anche se non del tutto fedeli agli intenti di quest'ultimo, almeno nel giudizio di A. Combes. Teologi attivi nei decenni seguenti, come Giovanni Hiltalinger e Jean de Gerson, si mostrano persuasi che anche G. sia da considerare uno dei bersagli di quella condanna (Combes, 1956). In effetti, Étienne Gaudet testimonia anche che gli scritti dello stesso G. furono sottoposti al controllo dei magistri dell'Università, ma non abbiamo notizia di una loro formale censura (Kaluza, 1987).

La Chronica di Nikolaus Glassberger ricorda G. per l'anno 1368 come colui che avrebbe presieduto al Commento alle Sentenze di Francesco da Perugia, allora evidentemente baccelliere sentenziario.

Non si possiedono ulteriori dati biografici relativi a G., né si conosce la data della sua morte. Negli Scriptores Ordinis minorum Wadding menziona una sua ambasceria presso i Greci, per promuoverne la riconciliazione con la Chiesa romana; di questa notizia non si è però rinvenuta alcuna conferma.

A prescindere dalle indicazioni non verificate contenute nei malcerti elenchi di opere forniti dai bibliografi dell'Ordine (vi si fa, per es., riferimento a un commento sul De Anima, a un trattato De formalitatibus, a un De vitiis et virtutibus, a un De Contractibus attribuitogli da Antonino Pierozzi e da Corrado Summenhart), sono oggi considerate opere autentiche: la collatio intitolata Amice, ascende superius, tradizionale lode di Pietro Lombardo da parte del baccelliere (Jean de Ripa, Lectura super primum Sententiarum, I, Prologi quaest. I-II, a cura di A. Combes, Paris 1961) insieme con le questioni sul Prologo al Commento alle Sentenze; la quaestio collativa, la parte teoricamente più impegnativa del principium, con il quale G. baccelliere ha dato inizio al commento del I libro delle Sentenze, nota come Quaestio de gradu supremo (Jean de Ripa, Quaestio de gradu supremo, a cura di A. Combes - P. Vignaux, ibid. 1964); la Lectura sui libri delle Sentenze di Pietro Lombardo. Di questa opera sono state edite in due volumi le vastissime questioni sul Prologo (Jean de Ripa, Lectura super primum Sententiarum, I, cit.; II, Prologi quaest. ultimae, a cura di A. Combes - F. Ruello, Paris 1970); la distinctio XXXVII (A. Combes - F. Ruello - P. Vignaux, Jean de Ripa I Sent. dist. XXXVII: de modo inexistendi divine essentie in omnibus creaturis, in Traditio, XXIII [1967], pp. 191-267). Il resto della Lectura sul I libro è ancora inedito. Inedita è anche la Lectura sugli altri tre libri, che ci è comunque tramandata in modo frammentario; grazie ai rimandi interni dello stesso G. è stato comunque possibile accertare che l'opera era stata completata. Nel 1990 F. Ruello, sulla base di una segnalazione di J.-F. Genest, ha annunciato il ritrovamento di una testimonianza manoscritta della Lectura sul secondo libro. Le vesperiae, finora non ritrovate, sono oggetto di una citazione da parte dello stesso Giovanni da Ripatransone. Le Determinationes (Jean de Ripa, Determinationes, a cura di A. Combes, Paris 1957) rappresentano con tutta evidenza una redazione molto rielaborata di sue dispute magistrali. Sotto il titolo di Conclusiones, A. Combes ha anche edito conclusioni, corollari e dubia tratti dalla Lectura di G. (Jean de Ripa, Conclusiones, ibid. 1957).

Pur essendo stata oggetto dell'attenzione di notevolissimi studiosi, ben consapevoli della sua importanza, l'opera di G. non è stata ancora esplorata in modo completo. Dagli studi compiuti emerge comunque un teologo di primo piano, che scrive le sue opere in un continuo confronto critico non solo con i suoi confratelli e colleghi, ma anche con altri grandi pensatori del XIV secolo. Discute, per esempio, le posizioni di autori francescani come Francesco della Marca e agostiniani come Gregorio da Rimini, ma si dimostra ben informato anche delle dispute oxoniensi tra Thomas Bradwardine e Thomas Buckingham. Uno dei centri d'interesse della storiografia è costituito dalla soluzione proposta da G. al problema dell'effettiva modalità della visio beatifica, tema dal quale egli fa derivare una serie di rilevanti corollari di ordine ontologico e gnoseologico. In particolare, come già avvertito dai contemporanei, è risultato fondamentale il concetto di immutatio vitalis, proposto da G. quale soluzione che salvaguardi, nella presenza compiuta dell'essenza divina a un intelletto creato, sia l'insuperabile distanza tra Dio e la creatura, sia la pienezza della beatitudine. Di grande interesse anche le riflessioni di G. sul rapporto esistente tra immensità divina e infinità possibile nell'ordine creaturale, contesto problematico in cui G., oltre a mostrarsi consapevole dei risultati raggiunti dai calculatores, propone rilevanti osservazioni sulla possibilità di confrontare diversi tipi di infinito, con non trascurabili conseguenze nel campo della dimostrabilità dell'esistenza di Dio. Sono state inoltre indagate le sue posizioni a proposito dei futuri contingenti, questione nella quale egli si pone nella scia di Duns Scoto. In campo più strettamente teologico, G., oltre che in relazione alla sua tesi delle distinzioni formali in Dio, che già aveva suscitato la scandalizzata reazione di Jean de Gerson, è stato studiato per le sue dottrine trinitarie e cristologiche.

Dell'opera teologica di G. fu ben presto riconosciuta l'importanza, come testimoniano per esempio le entusiastiche espressioni con cui è ricordato nel De conformitate di Bartolomeo da Pisa. Numerosi pensatori della seconda metà del XIV secolo, come Andrea da Novocastro, Giovanni Hiltalinger, Pietro Filargo da Candia e probabilmente Facino d'Asti, nelle loro opere si misurano criticamente con le sue tesi. Alla fama di G. contribuì, seppure in chiave negativa, il fatto che Jean de Gerson nelle Notulae e nel Contra vanam curiositatem lo eleggesse a figura rappresentativa di una tendenza della teologia, per la quale egli utilizza la designazione formalizantes, che intendeva combattere nel suo progetto di riforma del sapere. Per quanto storicamente forse meno accurata di quanto si sia potuto pensare, la scelta di G. come bersaglio polemico da parte di Jean de Gerson costituisce la conferma di una sua influenza significativa. Ulteriore prova della diffusione della conoscenza della sua opera è offerta dall'agostiniano Paolo Veneto, che nei primi anni del Quattrocento ne abbreviò il commento al I libro delle Sentenze. La profondità e la sottigliezza dialettica del suo argomentare gli hanno procurato ben presto l'aura di autore complesso, come è espresso anche dai titoli scolastici che gli sono stati attribuiti: Doctor difficilis, Doctor supersubtilis. Sotto il titolo di Doctor difficilis G. è in effetti raffigurato nel ciclo di affreschi della chiesa del convento di S. Francesco di Bolzano e nella chiesa di S. Bernardino a Verona.

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