GIOVANNI da Udine

Enciclopedia Italiana (1933)

GIOVANNI da Udine

Luigi Coletti

Pittore, nato a Udine il 15 ottobre 1487 da Francesco Recamador (onde il cognome "Ricamatore" o "dei Ricamatori" ch'egli stesso usò), morto a Roma nel 1564. Il suo maestro, dal 1502, fu Giovanni Martini da Udine e in seguito, a Roma, Raffaello. Questi, che lavorava alla Santa Cecilia, gli diede a dipingere il piccolo organo che tiene in mano la Santa e gli strumenti musicali ai suoi piedi (1516). A Roma le grottesche delle Terme di Tito tanto invaghirono G. ch'egli si propose d'imitarle, e dopo molti tentativi riuscì a ritrovare il segreto del candido stucco romano di polvere di marmo e calce di travertino. Raffaello se ne giovò primamente per ornare la "stufetta" del cardinale Bibbiena in Vaticano (1516) e poi per la grande decorazione delle nuove Logge Vaticane (1517-19) dove G. eseguì l'ornamentazione che inquadra le pitture negli scomparti delle finestre, i vani delle arcate attorno alle finestre stesse e i pilastri; di cui i pretesi modellini di Palazzo Venezia sono invece probabilmente copie settecentesche.

Con fantasia fervida e leggiadra G. creò in questo lavoro un mondo bizzarro nel quale i più disparati elementi si compongono in piacevole armonia, mirabile per delicatezza di tinte, per elegante finezza di disegno. G., senza dubbio, trasse motivo d'ispirazione per questo lavoro non solo dalla decorazione romana, ma anche dal repertorio ornamentale dei miniatori, ma rielaborò tutto in modo personale così da poter essere chiamato il creatore di un genere che ebbe enorme successo.

Lavorò ancora in Vaticano nella sala della Guardia e nel salotto dei cubicularî, opere distrutte come gli stucchi del palazzo dell'Aquila; e diede il disegno per le bordure degli arazzi di Raffaello. Il Cardinale de' Medici, poi Clemente VII, cominciò a servirsene (1520) per la Loggia della Vigna (Villa Madama) nella quale G. oltre alle consuete grottesche raffigurò, con maggiore impegno per la composizione a figure, la storia di Polifemo, nell'abside, in piccoli quadretti di stucco; e disegnò la Fontana dell'elefante nel giardino. Mandato a Firenze decorò una stanza in Palazzo Vecchio e, tornato a Roma, collaborò alla Farnesina coi festoni di fiori e frutta nella sala di Psiche.

Morto Leone X, dopo aver eseguito piccoli lavori per Adriano VI, ritornò a Udine (1522) finché il nuovo papa Clemente VII lo richiamò a Roma (1523) dove gli affidò, assieme con Pierin del Vaga, la decorazione della Sala dei pontefici. Riparò di nuovo a Udine dopo il sacco: nel 1530 rientrò a servizio del papa. Nel 1532 fu mandato a Firenze a decorare di stucco la sagrestia nuova di S. Lorenzo. È probabile vi abbia eseguito anche le finestre della Biblioteca Laurenziana: pittura dei consueti vaghissimi capricci su vetro trasparente, anziché commessione di varî vetri colorati, secondo la vecchia tecnica delle vetrate.

Ristabilitosi in patria verso il 1539 G., che aveva già fornito il disegno per la torre dell'orologio a Udine, di schietto gusto veneto, si dedicò alle arti nelle quali era perito, in specie all'architettura (finestre e porte di S. M. dei Battuti a Cividale, 1523; progetto di un nuovo coro per il duomo di Udine, 1539; grottesche in Palazzo Grimani a Venezia, 1539; fontana di piazza Nuova a Udine, 1534; scala del castello di Udine, 1547); tanto che, dopo breve visita a Roma per il giubileo del 1550 ove s'incontrò col Vasari, fu nominato architetto generale di tutti i pubblici lavori in Udine (1552). Sono del 1555 gli stucchi del castello di Spilimbergo e un quadretto, di fiori e frutta, già proprietà Federici a Napoli; posteriori gli stucchi e le pitture del castello di Colloredo con storie mitologiche e l'abdicazione di Carlo V.

La decorazione che gli si attribuisce di una stanza nell'arcivescovado di Udine (rifatta nel riquadro centrale da G. B. Canal) appare troppo grossolana, specialmente nei quadretti con scene evangeliche, per essere di mano di G. Nello stesso anno 1555 egli fu ancora una volta a Roma, dove si ridusse di nuovo stabilmente nel 1560 per i nuovi incarichi del papa: la decorazione del secondo piano delle Logge Vaticane, e il ritocco delle pitture da lui già eseguite nel primo; lavoro, quest'ultimo, che ora viene messo in dubbio.

Fu il discepolo di Raffaello, forse meglio dotato; e se pure, dopo la morte del maestro, si noti in lui un rapido decadere delle qualità pittoriche, per influsso del duro colorismo di Giulio Romano, gli si deve riconoscere il vanto di vario e agile ingegno in molteplici arti e una vera eccellenza nel genere delle grottesche da lui quasi nuovamente creato.

Bibl.: G. Renaldes, Della pittura friulana, Udine 1796; M. Boni, Su la pitt. di un gonfalone... e di altre opere fatte nel Friuli da G. da U., Udine 1897; F. Maniago, Storia delle belle arti friulane, Venezia 1819; G. M. Franeschini, Elogio di G. Nanni detto da U., in Atti dell'Acc. di Venezia, 1822; G. B. Cavalcaselle e J. A. Crowe, Raffaello, ecc., Firenze 1889-91, III, p. 98 segg.; A. Venturi, Storia dell'arte ital., IX, ii, Milano 1926, pp. 399-404; F. Braidotti, l'acqua potabile in Udine, Udine 1899; M. Noiani, Note sparse friulane, Udine 1890; D. Mantovani, Il Castello di Colloredo, Roma 1890; H. Dollmayr, Raphael's Werkstätte, in Jahrb. d. kunsthist. Samml. d. allerh. Kaiserh., XVI (1895), p. 23 segg.; E. Pistolesi, Il Vaticano descr. ed ill., Roma 1892; F. Hoffmann, Raphael als Architect, Zittau 1911; G. Valentinis, In Friuli, I, Udine 1921; S. De Vito Battaglia, La stufetta del cardinale Bibbiena, in L'Arte, XIX (1926), pp. 203-12; A. Ghidiglia, Di alcune opere romane di G. da U., in L'Arte, XXX (1927), pp. 150-70.