MATOCIIS, Giovanni de'

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 72 (2008)

MATOCIIS, Giovanni

Marino Zabbia

de’ (Giovanni Mansionario). - Nacque nella seconda metà del XIII secolo probabilmente a Verona. Smentendo una lunga tradizione che, per il suo legame con la cattedrale veronese, lo riteneva chierico, gli studi di C. Adami lo hanno identificato con il notaio Giovanni di Costantino di Viviano de Matociis, veronese «de hora Sancti Georgii» (negli atti più tardi: «de Merchatonovo»), attestato per la prima volta nel 1303. Il padre morì prima del 1312.

Dal 1311 il M. compare frequentemente nella documentazione del capitolo della cattedrale di Verona con l’appellativo di mansionarius (sacrestano) – abbinato in taluni casi al titolo di magister – e in questa veste risulta impegnato a difendere gli interessi del capitolo in alcune dispute, la principale delle quali riguardava la giurisdizione sulla chiesa di S. Vito di Lusia che contrappose per molti anni i canonici veronesi al vescovo di Adria Giovanni. Parallelamente all’ufficio di mansionario, il M. continuò a esercitare l’attività notarile, documentata sino al 1321, sia presso la cancelleria episcopale (sottoscrivendosi «episcopalis curie officialis et scriba») sia in ambito privato. Dal 1321 compare nei documenti con la qualifica di presbitero; è inoltre attestato nell’ufficio di cantor.

Il M. ebbe un figlio, Costantino, egli pure notaio e poi chierico in contatto con la cattedrale veronese, che gli premorì; non compare, infatti, nel testamento edito da Simeoni, dettato dal M. nel 1337. Secondo quell’atto il M. aveva un fratello, Francesco, che al momento del testamento era morto, e i due nipoti (Beatrice e Pietro), suoi principali eredi.

Il M. morì a Verona nel dicembre del 1337.

Il M. lasciò i suoi libri, conservati presso la sacrestia, alla cattedrale di Verona, senza specificarne nel testamento i titoli.

Anche sulla formazione culturale del M. non disponiamo di alcuna informazione. Le prime attestazioni della sua attività erudita tra i codici della Biblioteca capitolare di Verona e nelle vesti di compilatore di ambiziosi progetti storiografici lo mostrano già culturalmente bene attrezzato. In un recente contributo, Bottari ha seguito le tracce del M. tra i manoscritti della Capitolare, individuando numerose postille autografe su alcuni tra i più antichi codici della biblioteca. Da queste note traspare in primo luogo la sua attenzione per la storia veterotestamentaria: fu autore di un trattato sul Vecchio Testamento ora perduto.

La ricerca erudita si concretizzò nella composizione di opere di carattere enciclopedico che risentono fortemente dell’influenza delle compilazioni di Martino Polono e di Vincenzo di Beauvais e mirano a ordinare, in una struttura fondata sulle biografie dei papi o degli imperatori, il maggior numero possibile di notizie di storia politica, religiosa e letteraria.

Il primo tentativo condotto dal M. in questa direzione è costituito dai Gesta Romanorum pontificum, una serie di ritratti di papi costruita sull’esempio di Martino Polono che, dopo un breve prologo, prende le mosse dalla nascita e dall’infanzia di Gesù Cristo e si interrompe con il pontificato di Eleuterio (177-193 oppure 171 - 185). L’unico codice che la conserva – Roma, Biblioteca Vallicelliana, D.13 – è mutilo di un numero imprecisabile di fascicoli finali: risulta quindi impossibile stabilire fino a quale pontefice il M. abbia condotto la sua opera. Nel prologo egli si impegnava a procedere secondo lo schema della cronaca di Martino, narrando le vicende di papi e imperatori sulla scorta di un considerevole numero di fonti, soprattutto opere tardoantiche e altomedievali accostate alle principali compilazioni dovute a esponenti degli Ordini mendicanti.

I Gesta – a cui forse il M. lavorava già nel 1306 – costituiscono solo un primo tentativo di compilazione enciclopedica destinato, a quanto pare, a essere accantonato tra il 1311 e i primi mesi del 1313 quando – probabilmente in seguito alla discesa di Enrico VII in Italia e all’incoronazione imperiale avvenuta a Roma nel 1312 – il M. mise mano alla sua opera maggiore, che intitolò Historiae imperiales (o Libri historiarum imperialium). Nelle intenzioni dell’autore, le Historiae – cui il M. si dedicò almeno sino al 1320 – dovevano narrare la storia degli imperatori da Augusto a Enrico VII: si tratta quindi di un testo a mezza via tra le compilazioni di storia universale (quali gli scritti di Riccobaldo da Ferrara e Benzo d’Alessandria) e la cronachistica legata alla stagione italiana dell’imperatore Enrico VII (come le opere di Albertino Mussato e Giovanni da Cermenate). Ma il M. non riuscì a portare a compimento il suo disegno storiografico: le Historiae si interrompono infatti con l’imperatore Carlo il Grosso.

L’opera è divisa in sei libri, l’ultimo dei quali muove da Carlo Magno con cui, specifica il M., l’Impero da Costantinopoli giunse ai Franchi: l’autore si sofferma su una interessante teoria della translatio Imperii per cui dalla Francia l’Impero sarebbe passato in Italia e poi, con gli Ottoni, in Germania, benché la parte dedicata all’Impero medievale occupi solo una parte minima dell’opera. Avendo iniziato a scrivere influenzato dagli eventi legati all’incoronazione di Enrico VII, il M. interruppe il proprio lavoro intorno al 1320, quando il disegno storiografico su cui si fondava era ormai superato. A giustificare la lentezza dell’elaborazione e la grande mole del testo stanno le numerose fonti a disposizione del cronista e la cura con cui il M. procedette nella compilazione.

L’opera è ancora interamente inedita, pertanto appare difficile distinguere i testi di cui il M. dispose direttamente dalle opere cui attinse tramite le compilazioni bassomedievali. Gli scritti sulla base dei quali dichiarò di compilare le sue Historiae sono molto numerosi: si va dalle opere classiche (Livio, Cornelio Nepote, Svetonio) a un gran numero di testi tardoantichi (l’Historia Augusta, Giustino, Cassiodoro, Orosio) ai principali autori altomedievali (Giordane, Isidoro, Beda, Paolo Diacono, il Liber pontificalis), sino ai compilatori di storia universale attivi dal XII secolo (Goffredo da Viterbo, Riccardo di Cluny, Iacopo da Varazze e tanti altri). Oltre che ai testi storiografici, il M. fece ricorso a opere di patristica (Giovanni Crisostomo, Gregorio Nisseno, Ambrogio e Agostino), si servì degli atti dei concili, consultò un gran numero di vite di santi e, in casi rari, utilizzò anche le epigrafi.

Come era già avvenuto per i Gesta, anche nelle Historiae la vicenda imperiale, costruita sulla scorta di un testo di riferimento (Svetonio, l’Historia Augusta e via dicendo), fornisce la traccia sulla quale inserire innumerevoli parentesi di storia politica, religiosa e culturale secondo il modello enciclopedico fornito dallo Speculum historiale di Vincenzo di Beauvais. Di conseguenza la storia della Chiesa con i suoi santi, gli eretici e i suoi concili, riceve grande attenzione; non mancano poi, sempre sulla scorta di Vincenzo, numerosi ritratti di letterati, storici o filosofi antichi e altomedievali, corredati con elenchi delle loro opere che in alcuni casi il M. afferma di avere letto.

Nell’organizzare e selezionare le informazioni il M. dette prova di conoscere i metodi di critica delle fonti scritte basati sul concetto di auctoritas elaborati dai più attrezzati compilatori duecenteschi. In alcuni episodi spicca inoltre la sua capacità di ricostruire le vicende basandosi su fonti malsicure, ma, trovandosi di fronte a opinioni contrastanti, in molti casi egli non prese posizione e si limitò ad accostare le diverse versioni, secondo una prassi che si incontra anche in altre coeve compilazioni italiane. Egli tuttavia era conscio del proprio ruolo di storico: così, dopo avere dimostrato la scarsa attendibilità di quanto affermato da Iacopo da Varazze nella Legenda aurea, quasi lo giustificò affermando che non disponeva di adeguate tecniche storiografiche.

Le Historiae imperiales sono conservate in tre manoscritti: il Vaticano Chigi J.VII.259, mutilo delle prime e delle ultime carte, presenta numerose, rilevanti lacune e copre il periodo che da Pertinace giunge a Ludovico il Pio. Nei margini delle carte di questo codice sono riportate le effigi degli imperatori sotto l’aspetto di medaglioni/monete: comunemente riconosciuti come un riflesso del gusto antiquario del M., questi disegni hanno, presumibilmente, soprattutto la funzione di strumenti d’ausilio per il lettore, poiché gli consentono di orientarsi nel codice, individuando facilmente le sezioni delle Historiae. Il manoscritto conservato a Verona, Biblioteca capitolare, CCIV (189) è una copia trecentesca esemplata sul modello del Chigiano; proprio per la somiglianza con l’autografo è stato ritenuto a torto esso pure di mano del M. e addirittura, a causa dell’aspetto meno curato, è stato ritenuto il testimone più antico. In realtà il copista, dopo avere seguito fedelmente il modello autografo nelle prime carte, allestì un testo meno rifinito senza però mutare l’impostazione della mise en page. Il codice copre il periodo da Augusto a Carlo il Grosso e, dato che non presenta traccia di lacune, probabilmente conserva l’intera opera effettivamente scritta dal Matociis. Ultimo testimone è il manoscritto conservato a Roma, Biblioteca Vallicelliana, D.13, già menzionato perché riporta quanto rimane dei Gesta. Si tratta di un codice pergamenaceo di grande formato, non conserva divisione in libri e in capitoli e non riproduce i disegni, ma è fornito di un indice degli imperatori. Copre il periodo da Augusto a Giustiniano poiché il copista ha interrotto il proprio lavoro durante il racconto della spedizione italiana di Narsete.

L’unico scritto del M. edito è la nota intitolata Brevis adnotatio de duobus Pliniis, dedicata a dimostrare l’esistenza di due autori di nome Plinio, contro l’opinione diffusa nel Medioevo secondo cui essi erano ritenuti un unico personaggio. L’operetta risale agli ultimi anni di vita del M. – poiché nelle Historiae egli non era stato ancora in grado di distinguere i due personaggi – e, stesa come prologo a una copia dell’epistolario di Plinio il Giovane, ebbe circolazione autonoma. Per la somiglianza con l’Adnotatio, Billanovich ha attribuito al M. anche una breve nota dedicata a elencare i letterati fioriti a Roma al tempo di Augusto, conservata nell’ultima carta di una copia di Valerio Massimo esemplata nel tardo Trecento su un codice annotato da un certo Giovanni da Verona, che potrebbe essere proprio il Matociis. Infine sempre di mano del M. è una lista di nomi apposta nell’ultima carta del manoscritto Verona, Biblioteca capitolare, XXII (20), che tramanda il De viris inlustribus di Gennadio.

Edizioni: La Brevis adnotatio de duobus Pliniis è pubblicata in C. Cipolla, Attorno a G. Mansionario e a Guglielmo da Pastrengo, in Miscellanea Ceriani, Milano 1910, pp. 755-764; l’elenco dei letterati latini fioriti ai tempi di Augusto si legge in R. Sabadini, Le scoperte dei codici latini e greci ne’ secoli XIV e XV. Nuove ricerche, Firenze 1967, II, p. 194; il testamento del M. è edito in L. Simeoni, La famiglia di G. Mansionario, in Atti e memorie dell’Acc. di agricoltura, scienze e lettere di Verona, s. 4, IV (1903-04), pp. 74-76.

Fonti e Bibl.: Guglielmo da Pastrengo, De viris illustribus et de originibus, a cura di G. Bottari, Padova 1991, pp. XIV-XVI e ad ind.; L. Simeoni, La famiglia di G. Mansionario, in Atti e memorie dell’Acc. di agricoltura, scienze e lettere di Verona, cit., pp. 65-76; C. Adami, Per la biografia di G. Mansionario, in Italia medioevale e umanistica, XXV (1982), pp. 347-363; Id., Per la biografia di G. Mansionario: la questione di S. Vito di Lusia, in Petrarca, Verona e l’Europa, Padova 1997, pp. 69-88; C. Cipolla, Ricerche intorno all’«Anonymus Valesianus» II, in Bull. dell’Ist. stor. italiano, XI (1892), pp. 51-80; A. Avena, Guglielmo da Pastrengo e gli inizi dell’Umanesimo in Verona, Verona 1907, pp. 29 s., 36 s., 49-52; G. Billanovich, Il Petrarca e gli storici latini, in Tra latino e volgare. Per Carlo Dionisotti, Padova 1974, pp. 83-85; R. Avesani, Il preumanesimo veronese, in Storia della cultura veneta, 2, Il Trecento, a cura di G. Arnaldi - M. Pastore Stocchi, Vicenza 1976, pp. 119-121; V. Bertolini, Dalla «Cronaca del falso Turpino» alle «Storie imperiali» di G. Mansionario, in Atti e memorie della Acc. di agricoltura, scienze e lettere di Verona, s. 6, XXXI (1981), pp. 254-269; J.-P. Callu - O. Desbordes - C. Bertrand, L’«Histoire auguste» et l’historiographie médiévale, in Revue d’histoire des textes, XIV-XV (1984-85), pp. 107-117, 126-128; J.R. Berrigan, Riccobaldo and G. Mansionario as historians, in Manuscripta, XXX (1986), pp. 215-223; R. Weiss, La scoperta dell’antichità classica nel Rinascimento, Padova 1989, pp. 25-27; G. Bottari, G. Mansionario nella cultura veronese del Trecento, in Petrarca, Verona e l’Europa, Padova 1997, pp. 31-67; M. Zabbia, I notai e la cronachistica cittadina italiana nel Trecento, Roma 1999, pp. 29 s., 43 s.; Rep. font. hist. Medii Aevi, VI, pp. 363 s.

© Istituto della Enciclopedia Italiana - Riproduzione riservata