MEDICI, Giovanni de'

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 73 (2009)

MEDICI, Giovanni de'

Paola Volpini

Figlio naturale di Cosimo I, duca di Firenze poi granduca di Toscana, ed Eleonora Albizzi, nacque a Firenze il 13 maggio 1567. Fu legittimato dal padre, che gli assegnò un patrimonio consistente in beni in Toscana, e in capitali vincolati da fidecommesso in Spagna e Portogallo.

La data di nascita è attestata dai registri di battesimo (Firenze, Arch. dell’Opera del duomo, Registri battesimali, n. 13, c. 333), come già rilevato da Sommi Picenardi (p. 105). Sono pertanto da rigettare altre date di nascita attribuitegli, quali il 13 maggio 1565 e il luglio 1567.

A causa anche della sua «complessione anzi debole che no» (Firenze, Bibl. nazionale, Magl., IX.124: Abbozzi, c. 55v), era stato precocemente destinato dal fratellastro Francesco de’ Medici alla prelatura, ma ben presto espresse la propria preferenza per la carriera militare.

Educato a corte, il M. «fu fatto ammaestrare nelle lettere d’humanità dal Gran Duca Francesco […] e nella filosofia parimente» (ibid.); ebbe, fra gli altri, il protomedico di Cosimo I, Baccio Baldini, come maestro di filosofia e della sua formazione fu incaricato inoltre Ostilio Ricci. Il M. si mostrò ben presto «d’ingegno prontissimo a penetrar tutte le materie e dispostissimo ad apprendere tutte le arti e scientie di qualunque sorte» (ibid., c. 55r). Apprese bene il latino e nel corso della sua vita giunse a possedere i rudimenti di molte altre lingue (secondo gli Abbozzi, greco, ebraico, aramaico) e a conoscere bene il francese, lo spagnolo e sufficientemente il tedesco e l’inglese.

Nel 1579, all’età di dodici anni, fu inviato dal granduca Francesco a Venezia per ringraziare la Repubblica degli onori riservati a Bianca Cappello. Lo accompagnavano numerosi gentiluomini, ed era affidato in particolare alla cura del colonnello Luigi Dovara. Nell’ottobre 1579 Francesco espresse l’intenzione di inviarlo anche in Spagna, presso Filippo II, per «incaminar tutta la nostra successione al servitio di sua maestà» e «perché serva il serenissimo principe et alla maestà sua» (Istruzioni, I, p. 413), ma l’intenzione non ebbe seguito.

Due anni dopo il M. si recò a Genova con Ciro Alidosi, per complimentare l’imperatrice madre Maria d’Asburgo Spagna che, dopo la morte di Massimiliano II (1576), aveva deciso di ritornare in Spagna, nel monastero de Las Descalzas Reales di Madrid.

Nel 1587 il M. partì per la guerra delle Fiandre nell’esercito di Alessandro Farnese. Durante la campagna, nello stesso anno, fu colpito da gravi febbri e volle dettare testamento, ché «tutti i medici lo fecero spacciato» (Arch. di Stato di Firenze, Miscellanea Medicea, 502: Discorso di Cosimo Baroncelli, c. 244v), ma il M. uscì dalla malattia. Il fratellastro Ferdinando I, succeduto al granduca Francesco I nell’ottobre 1587, chiese al M. di abbandonare il servizio nelle Fiandre a causa dei nuovi orientamenti politici che intendeva imprimere al Granducato, non pienamente allineati con gli interessi della monarchia spagnola. Il M. quindi rientrò in Toscana nel 1589, rifiutando lo stipendio di 500 scudi mensili che Filippo II gli aveva offerto.

Trascorse alcuni anni a Firenze e fu fidato consigliere del granduca, per conto del quale fu ambasciatore di obbedienza in occasione delle elezioni di Urbano VII, Gregorio XIV, Innocenzo IX e Clemente VIII, i pontefici che si avvicendarono fra il 1590 e il 1592. Nel 1590, in occasione dell’entrata in Firenze del cardinale Carlo di Lorena, fratello della granduchessa Cristina, il M. fu incaricato di andargli incontro e di accompagnarlo nel cocchio fino a palazzo Pitti. Nello stesso anno fu inviato dal granduca a ispezionare le fortificazioni dello Stato.

In seguito il M. riprese la via delle armi, e, con i titoli di comandante della fanteria toscana e generale dell’esercito fiorentino, nel 1594-96 guidò le truppe medicee schierate al fianco dell’imperatore Rodolfo II in Ungheria contro il Turco, partecipando anche alla battaglia di Győr (Giavarino). Nel 1595 prese parte anche alla conquista di Esztergom (Strigonia) e di Visegrád (Visgrado). L’anno successivo fu al fianco dell’arciduca Ferdinando d’Austria nella campagna per prendere Kanizsa (Canissa) e, in quell’occasione, l’imperatore gli conferì il titolo di generale dell’artiglieria dell’esercito imperiale. Alla corte di Rodolfo II trascorse lunghi soggiorni. Nel 1596 rientrò in Toscana e svolse alcune missioni di carattere militare, politico e diplomatico per conto dei Medici. Nel 1597 fu inviato con sei galere, due navi da carico e mille fanti a rafforzare il presidio del castello d’If in Provenza, del quale il granduca Ferdinando aveva preso possesso alcuni anni prima affermando di volerlo salvaguardare per consegnarlo al re di Francia Enrico IV. Compito del M. era impedire che la flotta di Giovanni Andrea Doria e le truppe del duca di Savoia, Carlo Emanuele I, occupassero la città di Marsiglia per conto della Lega cattolica. Ma quando il capo della Lega, Carlo I, duca di Guisa, tentò di conquistare il castello, il M. fortificò il porto degli Stracci nell’isola di Pomegues, respinse l’attacco di due galere del duca a cannonate e stipulò con lui una tregua di un mese. Il granduca, pur approvando la strategia adottata, per non deteriorare ulteriormente i rapporti con la Lega, fece pervenire in dono al duca di Guisa, da parte della granduchessa, un dipinto che il M. consegnò.

Nel 1598 fu inviato in Spagna a presentare le condoglianze per la morte di Filippo II e rallegrarsi per la successione di Filippo III. Doveva inoltre congratularsi delle imminenti nozze del sovrano e presentare analoghe felicitazioni all’infanta Isabella Clara Eugenia, promessa sposa dell’arciduca Alberto d’Asburgo.

In quell’occasione il granduca Ferdinando esplicitò lo strettissimo rapporto di stima e fiducia che lo legava al M. scrivendo, nell’introduzione all’istruzione che gli consegnava, di averlo scelto per la missione presso un «così gran monarca» perché era per lui «come un altro me stesso» e possedeva tutte le doti necessarie per tale compito (Istruzioni, II, p. 61). Il M. doveva inoltre riprendere e precisare i termini dell’accordo (stipulato al tempo della presa di Siena) che obbligava il sovrano toscano a difendere Milano dagli attacchi esterni. Aveva infine l’incarico di chiedere il rinnovo dell’infeudazione di Siena, la cui investitura doveva essere confermata in occasione della successione di ogni nuovo sovrano sia concedente (spagnolo) sia ricevente (Medici). Il M. non riuscì a ottenere il rinnovo dell’infeudazione probabilmente a causa dei cattivi rapporti intercorrenti tra Ferdinando e il fratello Pietro de’ Medici, protetto di Filippo III, e della linea politica adottata dal granduca, poco incline a seguire gli orientamenti spagnoli. Nondimeno durante il suo soggiorno in Spagna, secondo gli ambasciatori lucchesi, si sarebbe «sempre trattato nobilmente non essendo rimasto a dietro ad alcuno nelle apparenze, et ha lasciato buonissimo nome di sé» (Arch. di Stato di Lucca, Anziani al tempo della libertà, b. 624, cc. 429-437). Cosimo Baroncelli, che fu suo paggio e in seguito maggiordomo, sostiene che il M. fu «nella prima audienza fatto Grande di Spagna havendolo il Re fatto cuoprire conforme il consueto stile di quelli che egli vuole dichiarare grandi» (Arch. di Stato di Firenze, Miscellanea Medicea, 502, c. 241r), intendendo che il M. ricevette il trattamento dei grandes di Spagna, senza però ottenerne il titolo.

Nel 1600 il M. guidò le galere toscane che portarono in Francia Maria de’ Medici per le nozze con Enrico IV. Accompagnavano Maria, fra gli altri, Cristina di Lorena e don Antonio de’ Medici. L’anno seguente il M. lasciò la Toscana e riprese l’impegno militare combattendo laddove, in Europa, la guerra divampava. Partecipò alla campagna di Ungheria nel 1601, con la carica di maestro di campo generale. L’impresa, che aveva l’obiettivo di conquistare la fortezza di Kanizsa, ebbe esito sfortunato. L’anno successivo si recò nelle Fiandre, dove partecipò al lungo assedio di Ostenda. Nel corso di questa campagna si trovò spesso a corto di denari, e ne sollecitò l’invio a più riprese da Ferdinando per poter vivere, scriveva, con «honorevolezza, guadagnata col dispendio, non strabocchevole […] ma proporzionato alla nascita, et al parentado» (Dooley, 2004, p. 91, 4 marzo 1604). Nel 1605 abbandonò il servizio del re di Spagna Filippo III, insoddisfatto del trattamento che questi gli riservava, e cercò fortuna in Inghilterra alla corte della moglie di Giacomo I Stuart, la criptocattolica Anna di Danimarca, ma, non trovando una collocazione soddisfacente, si trasferì in Francia come cortigiano della nipote Maria de’ Medici.

La decisione del M. di passare dalla parte della Francia spinse Ferdinando a inviare un proprio emissario al re di Spagna. Benché definisse tale cambiamento di campo frutto di un’autonoma iniziativa del fratello, Ferdinando precisò a Filippo III che il M. era entrato nel seguito della nipote Maria, e non di Enrico IV. Aggiunse che il fratellastro era stato spinto a prendere questa decisione perché, «doppo tre anni di spontanea servitù [alla Spagna] fatta in Fiandra, non gli pareva di potervi più dimorare con sua dignità se non veniva sua eccellenza impiegato in qualche carico da suo pari, et che havendone supplicato non ne haveva ricevuta risposta né risolutione veruna» (Istruzioni, II, p. 185). L’ingresso del M. alla corte francese infastidì tuttavia anche il granduca, ostacolandone il gioco politico attento a mantenere una posizione bilanciata nel quadro dei delicati rapporti con Francia e Spagna. Il servizio del M. in Francia si concluse per queste ragioni, ma anche perché egli non seppe trovare un ruolo presso Enrico IV, al di là dei profondi dissapori che correvano fra il sovrano, da un lato, e la moglie Maria e il suo consigliere più vicino, Concino Concini, dall’altro. I fatti che coinvolsero il maggiordomo del M., Baroncelli, finito in carcere perché accusato di aver organizzato una congiura contro Concini, furono forse appositamente orchestrati, e portarono infine il M. a partire nel 1608.

Tornato in Italia, prese contatti per rientrare al servizio della Repubblica di Venezia, e nell’ottobre 1610 si presentò alla Serenissima, che gli conferì il grado di generale. Rimase però per poco tempo a Venezia, perché all’inizio del 1611 Cosimo II, succeduto al padre nel 1609, lo richiamò in Toscana. Il nuovo granduca nei primi anni del suo governo lo volle vicino a sé quale consigliere e responsabile dell’ordinamento delle milizie e della direzione dei lavori di edificazione di Livorno. Nel 1612 fu inviato a Roma per ottenere il consenso pontificio alle nozze di Caterina de’ Medici con il principe di Galles, Enrico Stuart. La precoce morte di quest’ultimo chiuse però anzitempo la difficile negoziazione. Nel 1613 si recò nuovamente a Roma in nome di Cosimo II per giustificare il fatto che le truppe medicee, inviate in soccorso a Mantova in occasione della prima guerra del Monferrato, avevano attraversato i territori dello Stato della Chiesa nonostante l’opposizione di Paolo V, e riuscì a «quietare il papa con le sue persuasioni, e ridurlo a perdonare e ribenedire ogniuno» (Arch. di Stato di Firenze, Miscellanea Medicea, 502: Discorso di Cosimo Baroncelli, c. 263v).

Anche a causa delle tensioni insorte con il nipote Cosimo II, che mal sopportava i suoi rapporti con Livia Vernazza, donna di umili origini e di cattiva fama, nel 1615 il M. rientrò a Venezia, dando corso al servizio militare sospeso dal 1610 con disappunto della Repubblica. La Serenissima, dopo alcune incertezze, gli conferì la carica di governatore generale dell’esercito che si trovava in quel momento schierato in Friuli nella guerra di Gradisca contro gli Uscocchi e l’arciduca Ferdinando d’Austria, futuro imperatore Ferdinando II, in sostituzione del defunto Pompeo Giustiniani. Anche in quest’occasione il casato fu messo in imbarazzo dalle scelte del M., che si era posto al servizio della parte ostile alla casa d’Austria. L’impresa del Friuli, dagli esiti sfortunati, fu l’ultimo grande impegno militare del M., che in seguito si ritirò nell’isola di Murano, dove trascorse gli ultimi anni di vita.

A Murano il M. morì il 19 luglio 1621. La Repubblica di Venezia si accollò le spese del funerale di Stato, e il corpo fu portato a Venezia, nella chiesa di S. Lucia, dove fu deposto nella cappella dei Baglioni. Non fu mai trasportato a Firenze.

Nel 1619 il M. aveva sposato Livia Vernazza, con la quale aveva avuto quello stesso anno il figlio Gianfrancesco Maria e nell’ottobre 1621 una bambina che visse solo venti giorni (ibid., c. 271r). Le reggenti Cristina di Lorena e Maria Maddalena d’Austria, che dopo la scomparsa di Cosimo II avevano in mano le redini del governo, fecero annullare per via giudiziaria il matrimonio e la legittimità del figlio. Tutti i beni del M. tornarono pertanto al ramo granducale della famiglia Medici; a Gianfrancesco Maria fu comunque assicurata un’educazione sotto la protezione di Cristina di Lorena.

Fra i collaboratori più stretti del M. fu Baroncelli, che gli fu vicino dal 1581 alla morte, lo accompagnò nel corso delle imprese militari sin dai tempi della missione nelle Fiandre e lo coadiuvò anche nell’amministrazione dei suoi beni. Altro uomo a lui vicino fu Benedetto Blanis, dotto ebreo a cui il M. aveva affidato la cura della biblioteca e con cui condivideva gli interessi per gli studi filosofici, teologici e alchimistici. Negli ultimi anni di vita suo segretario fu Atanasio di Antonio Ridolfi.

Uomo di ampia erudizione, protettore di artisti e scrittori, il M. fu autore di opere di vario genere e formò nel corso degli anni una ricca biblioteca, dislocata nei luoghi in cui dimorò a lungo (Firenze, Venezia, la Francia) che ospitava testi di trattatistica politica e filosofica, di letteratura e grammatica, di medicina e alchimia, in diverse lingue: oltre al latino e al volgare, erano presenti opere in greco, francese e tedesco. Conservava inoltre testi proibiti, come le opere di François Rabelais. Nel corso dei suoi lunghi soggiorni fuori d’Italia rivestì anche il ruolo di agente mediatore per la circolazione di oggetti d’arte e di informazioni a carattere politico-diplomatico per la famiglia Medici. Fece pervenire a Firenze un gruppo di dipinti di battaglie (ora perduto), raffiguranti scene della guerra nelle Fiandre, e in particolare l’assedio di Ostenda, destinati a decorare la villa medicea detta la Ferdinanda (oggi sede del Museo archeologico). Fu in contatto con Jacques Callot, al quale nel 1618 commissionò alcune copie di dipinti. Fu membro dell’Accademia Fiorentina dal 1581, e dal 1587 di quella degli Alterati, con il nome Il Saldo. Fu mecenate dell’Accademia degli Incostanti, di cui, dal 1608 fino al suo definitivo trasferimento a Venezia, ospitò nel palazzo in via del Parione numerose rappresentazioni teatrali. Egli stesso compose alcuni sonetti (per lo più dispersi) e gli intermezzi per il Rapimento di Cefalo di Gabriello Chiabrera, lo spettacolo più importante del ciclo di festeggiamenti organizzati nel 1600 a Firenze in occasione delle nozze di Maria de’ Medici ed Enrico IV. Scrisse altresì un prologo e una tragedia, oltre ad altri testi teatrali di produzione estemporanea, tutti perduti. L’interesse per il teatro lo portò anche a finanziare e proteggere la compagnia dei Comici Confidenti dal 1613 al 1621.

Le sue lettere per i membri della corte, seppure a carattere familiare, furono particolarmente apprezzate a Firenze, e spesso venivano lette in pubblico, tanto che era preso a «esempio del ben parlare e del ben scrivere» (Firenze, Biblioteca nazionale, Magl., IX.124: Abbozzi, c. 56r). Fu inoltre autore di uno scritto sulla campagna friulana del 1615-17, di cui Cosimo II proibì la pubblicazione a stampa, probabilmente a causa della cattiva luce in cui era posta la Spagna (Arch. di Stato di Firenze, Carte Alessandri, f. 10, cc. 215-227). Compose trattati politici e letterari, tra cui gli Aforismi politici e militari, non pervenuti, e i Ragionamenti accademici (Firenze, Biblioteca nazionale, Magl., VIII.1406, cc. 1-104; anche in Biblioteca Medicea Laurenziana, Ashb., 562, cc. 129-225), di cui si conoscono la seconda parte e un «ristretto» con il titolo di Dichiarazione dell’ordine, del contenuto e titoli dei Ragionamenti accademici (Magl., IX.124, cc. 48r-54r). Alla sua morte il residente mediceo a Venezia Niccolò Sacchetti reperì numerosi manoscritti del M. e scrisse a Giovan Battista Strozzi, membro dell’Accademia degli Alterati, in merito alla loro spedizione a Firenze. Comunicò di aver già inviato loro «un libro […] con diverse altre opere manuscritte». Si trattava di «un’opera politica et morale incominciata da lui [il M., che] doveva contenere tre volumi, ma uno solo è ridotto si può dir in buon termine» (ibid., c. 29, 31 luglio 1621).

Il M. fu anche ingegnere e architetto, e si formò sotto l’ala di Bernardo Buontalenti. Prese parte ai lavori della nuova cittadella di Livorno (fortezza Nuova), costruita a partire dal 1590 sotto la direzione di Buontalenti. Con quest’ultimo e con Alessandro Pieroni fu l’architetto della nuova fortezza Belvedere nell’orto dei Pitti a Firenze, iniziata nello stesso anno. Disegni del M. e di Buontalenti furono incorporati al progetto del nuovo duomo di Livorno, costruito a partire dal 1594. Sovrintese inoltre ai lavori di restauro del duomo di Pisa dopo l’incendio del 1595, e progettò la facciata della chiesa dell’Ordine dei cavalieri di S. Stefano nella stessa città. Opera di grande rilievo disegnata dal M. è la cappella delle Pietre dure, una delle tre cappelle Medicee erette nella basilica di S. Lorenzo. Il M. aveva proposto un proprio progetto, mentre Buontalenti, accusandolo di plagio, ne presentò uno diverso. Di fronte a questo incidente, nel 1602 Cosimo II riunì una commissione che, esaminati a fondo i due progetti, espresse la propria preferenza per quello del M., cui andava anche l’apprezzamento del granduca. Durante l’assedio di Ostenda il M. si era occupato personalmente di ordinare i pezzi del marmo nero di Dinant nelle Fiandre, utilizzato nella costruzione della cappella.

Si interessò anche alle scienze e fu astrologo competente, tanto che l’abate Orazio Morandi, l’astrologo più famoso di Roma, lo considerava il suo maestro. Fu altresì studioso dei temi alchemici, la cui passione aveva coltivato fin dai soggiorni presso la corte imperiale di Rodolfo II. Combinando «fisica, metafisica, teologia […], si formò una scienza separata da ciascuna di esse, et molto superiore, et molto più nobile, che esso [il M.] chiamava Magia naturale» (Firenze, Biblioteca nazionale, Magl., IX.124: Abbozzi, c. 56v). Su questa disciplina avrebbe lasciato un trattato, intitolato Specchio della verità o Trionfo della verità, irreperibile. Nel quadro di un approccio eminentemente pratico alla scienza, sperimentò altresì la produzione di sostanze medicinali. Ebbe rapporti ambivalenti con Galileo Galilei in almeno due occasioni: nel 1589, dopo averlo raccomandato per un posto all’Università di Pisa, entrò in contrasto con lui, probabilmente per l’impiego di una macchina idraulica ideata dal M. nella costruzione di un edificio pubblico (a Pisa o a Livorno); anche in seguito a questi dissapori, nel 1591 Galilei si trasferì all’Università di Padova. Nuove tensioni insorsero poi in occasione della disputa sui corpi galleggianti, che ebbe luogo a Firenze nel 1611.

Il M. è raffigurato nel quadro di Iacopo Da Empoli dedicato alle Nozze per procura di Maria de’ Medici con Enrico IV re di Francia, rappresentato dal granduca Ferdinando I de’ Medici, conservato a Firenze, Galleria degli Uffizi (inv. 1890, n. 10304), alla sinistra di Ferdinando insieme con don Virginio Orsini. Un Ritratto di don G. de’ M., dipinto da un pittore fiorentino agli inizi XVII secolo, si trova nella villa Medicea di Cerreto Guidi (inv. 1890, n. 4253). Sono noti inoltre alcuni dipinti che ritraggono il M. da adulto, di Cristofano di Papi dell’Altissimo, Giovanni Lionardo Henner, Filippo Sciamerone e Santi di Tito (oltre ad alcuni anonimi).

Fonti e Bibl.: Firenze, Arch. dell’Opera del duomo, Registri battesimali, n. 13, c. 333; Arch. di Stato di Firenze, Miscellanea Medicea, 502, cc. 241-272: Discorso di Cosimo Baroncelli circha la vita di d. G. de M.…; Mediceo del principato, lettere al M. da diversi mittenti: ff. 5138 (Cosimo II, principi Medici e altri principi); 5139 (cardinali, segreteria e diversi); 5149 (arcivescovi e prelati diversi); 5145 (Livia Vernazza, con lettere di diversi a lei); 5137 (Francesco Renzi suo agente); 5144 (diversi, da Roma); 5146-5147 (Cosimo Baroncelli); 5150 (Benedetto e Simone Blanis e altri); 5135-5136, 5140-5143 (diversi, da vari luoghi d’Italia e dalla Germania); lettere del M. a diversi destinatari: ff. 5154 (ai granduchi e alla segreteria); 5151 (dalle Fiandre e dalla Germania); 5152 (da Venezia e da Roma); 5156 (dall’Austria, dalla Spagna e dall’Ungheria); 5155 e 5157 (dalle Fiandre e dalla Francia, anche a Cosimo Baroncelli); 5148, 5153, 5158 (minute, lettere di diversi al M. e sue a diversi; lettere di cambio e conti); 5159-5161 (processo per la causa matrimoniale del M. con Livia Vernazza e lettere relative); 6355, 6357 (matrimonio del M. e Livia Vernazza); Carte Strozziane, Serie III, f. 187, cc. 267r-276v: Ragionamento fatto dal Tenero nello introdurre il signor don G. nell’Accademia degl’Alterati; Firenze, Biblioteca nazionale, Magl., IX.124, cc. 55-62: G.B. Strozzi, Abbozzi d’una vita di don G. de’ M.; Arch. di Stato di Lucca, Anziani al tempo della libertà, b. 624, cc. 429-437; A. Lapini, Diario fiorentino dal 252 al 1596, a cura di O. Corazzini, Firenze 1900, pp. 313 s.; Istruzioni agli ambasciatori e inviati toscani in Spagna e nell’Italia spagnola (1536-1648), I, 1536-1586, a cura di A. Contini - P. Volpini, Roma 2007; II, 1587-1648, a cura di F. Martelli - C. Galasso, ibid. 2007, ad indices; R. Galluzzi, Istoria del Granducato di Toscana, Firenze 1781, III, pp. 131-143, 243-247, 357-361, 400-402 e passim; D. Moreni, Delle tre sontuose cappelle medicee situate nell’imperial basilica di S. Lorenzo. Descrizione istorico-critica, Firenze 1813, pp. 200-238, 301-345; C. Promis, Biografie di ingegneri militari italiani, in Miscellanea di storia italiana a cura della Deputazione di storia patria di Torino, XIV (1874), pp. 747-766 (Don G. dei M.); A. Favaro, Galileo Galilei e don G. de’ M., in Archivio storico italiano, XXXIX (1907), pp. 106-121; G. Sommi Picenardi, Don G. de’ M., governatore dell’esercito veneto in Friuli, in Nuovo Archivio veneto, n.s., VII (1907), pp. 104-142; P. Bacci, Don G. de’ M. e il «modello» per la facciata di S. Stefano dei Cavalieri in Pisa, Pisa 1923 (con un’appendice di documenti alle pp. 25-36); G. Marri, La partecipazione di don G. de’ M. alla guerra d’Ungheria (1594-95 e 1601), in Archivio storico italiano, XCIX (1941), pp. 50-59 (con una breve appendice di fonti: Brani della relazione don G. de’ Medici all’imperatore circa le sue attribuzioni e circa lo stato dell’artiglieria…, febbraio 1595; Nota di quello che bisogna primieramente da S. M.tà per il generale dell’artiglieria, febbraio 1595); M. Del Piazzo, Gli ambasciatori toscani del principato (1537-1737), Roma 1953, pp. 15, 17, 49, 80, 109, 111; F. Borsi, Don G. de’ M., principe architetto, in Id., Firenze del Cinquecento, Firenze 1974, pp. 314-322; K. Langedijk, The portraits of the Medici, 15th-18th centuries, II, Firenze 1981, pp. 1020-1026; S. Ferrone, Dalle parti «scannate» al testo scritto. La commedia dell’arte all’inizio del sec. XVII, in Paragone, XXXIV (1983), 398, pp. 38-68; Id., La compagnia dei Comici «Confidenti» al servizio di don G. dei M. (1613-1621), in Quaderni di teatro, VII (1984), 26, pp. 135-156; G. Pieraccini, La stirpe de’ Medici di Cafaggiolo, Firenze 1986, II, p. 217; D. Landolfi, Don G. de M. «principe intendentissimo in varie scienze», in Studi secenteschi, XXIX (1988), pp. 125-162; G. Cipriani, Le sepolture medicee 2: insegne e simboli nell’Età moderna, in Le radici cristiane di Firenze, a cura di A. Benvenuti - F. Cardini - E. Giannarelli, Firenze 1994, p. 250; B. Dooley, Morandi’s last prophecy and the end of Renaissance politics, Princeton 2001, cap. I; C. Sodini, L’Ercole Tirreno. 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P. Volpini

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