DELFICO, Giovanni Filippo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 36 (1988)

DELFICO, Giovanni Filippo

Vincenzo Clemente

Nacque a Teramo il 17 genn. 1743 secondogenito di Berardo e Margherita Civico. L'educazione iniziata presso il collegio gesuitico di Atri si compì all'università di Napoli, dove il D., affidato anche all'insegnamento di Antonio Genovesi, terminò gli studi giuridici.

Indirizzato alla carriera forense, fece le prime prove nella controversia che durante gli anni '60 contrappose alla gelosa oligarchia teramana dei Quarantotto gli esponenti di un nuovo ceto civile in espansione, cui era rifiutato l'ingresso nel governo municipale.

Nella controversia, che si concluderà nel 1770 con il rovesciamento del "quarantottismo", sembrerebbe che il D. favorisse l'allargamento della rappresentanza. Nel nuovo governo decurionale la sua famiglia mantenne comunque una posizione eminente, e l'elezione del D. a sindaco nel 1789, mentre segnava una vigorosa ripresa della politica municipalista, registrava al tempo stesso un irrigidimento della nuova oligarchia, cui corrispondeva l'esclusione dei rappresentanti del ceto popolare, i quali "avevano il buon senso" di dichiararsi inetti ai compiti dell'amministrazione.

Rinunciando a proseguire la carriera forense a Napoli, il D. decise di stabilirsi in Teramo, dove curò l'amministrazione del patrimonio familiare, in regime di rigido maggiorascato (cfr. la lettera di M. Delfico a B. Quartapelle, Teramo, 23 genn. 1790, in Opere complete di M. Delfico, IV, pp. 10 s.) e partecipò attivamente all'amministrazione cittadina durante il periodo di fervore intellettuale e di iniziative che va sotto il nome di "rinascenza teramana".

Non è casuale che proprio in un Elogio composto per la sua morte si trovi una precoce individuazione di quella età di singolare eccellenza provinciale che si fa iniziare con il ritorno dei fratelli Delfico dagli studi napoletani, in specie dopo la frequentazione del magistero genovesiano, ed il cui sviluppo coincide con il periodo delle attività provinciali dei tre fratelli: "Ai polverosi volumi de' Bartoli e de' Baldi - vi si legge - vennero sostituite di mano in mano le opere de' Gravina, de' Pufendorfj, de' Grozj, de' Vichi. I nuovi lumi di Condillac disgombrarono le nebbie peripatetiche, con grave sorpresa e doglia di chi sperava che almeno in que' cupi valloni potessero queste conservarsi una sede pacifica ed un asilo perenne. D'altronde Bonnet stuzzicava il gusto per la storia naturale, mentre intanto s'introduceva la fisica più depurata. Si è veduta la gioventù di Teramo arrampicarsi per iscoscesi dirupi tanto per lo piacere della caccia, quanto per dissotterrare pezzi d'antico, e per iscovrire miniere. Finalmente colà ormai non vi mancano né chiari Psicologi e Giuristi, né valenti Chimici e Matematici, né Politici ben noti a tutta l'Europa... Quivi si fece in una età sola quanto in parecchie regioni non suole effettuarsi se non nel corso di più secoli..." (A. Giorini, Notizie... spettanti all'elogio di G. F. D., Teramo 1794, pp. XV s.).

Dopo le censure ai primi scritti filosofici di M. Delfico (1774-75), il confronto tra la corrente di pensiero illuminista e laica del gruppo e l'autorità del vescovo aprutino, che dal 1777 è mons. L. M. Pirelli, era esploso nella cosiddetta "processura per la fuga delle monache di S. Matteo"; in essa i laici della città, ed in prima linea Melchiorre, venivano denunciati come istigatori della insubordinazione di quelle monache all'autorità del vescovo.

Il processo assunse proporzioni di rilievo dal momento in cui vescovo ed assessore - quest'ultimo era il noto magistrato Giacinto Dragonetti dell'Aquila - si coalizzarono contro i maggiori esponenti della borghesia cittadina anche nell'intento di umiliare la potente famiglia Delfico nella persona di Giovanni Berardino, governatore dello Stato allodiale di Atri. Rubricata sotto la minacciosa imputazione di "De consilio, ope, et favore respective habito in fuga Monialium S. Mathej, et obstinata mantione earum extra claustrum", la denuncia aveva invocato contro i laici il rigore della Costituzione giustinianea relativa al "rapimento delle Sacre Vergini". Melchiorre Delfico ed altri incriminati erano stati costretti a sottrarsi alla carcerazione con la fuga e la latitanza.

Nella causa il D. assunse la difesa del fratello con una notevole allegazione: Per la ricusa dell'assessore di Teramo D. Giacinto Dragonetti nella Real Camera di S. Chiara, a stampa, datata 20 ag. 1779, redatta in una fase ormai molto avanzata del processo, mentre la vertenza si dibatteva a Napoli.

Con tale allegazione il D. mirava all'esautoramento dell'assessore provandone la parzialità nei confronti dei deputati laici e l'animosità verso i Delfico. Egli compare come procuratore del fratello Melchiorre anche in altra allegazione (cfr. V. Clemente, Rinascenza, pp. 80 ss.) intesa ad ottenere la revoca del gravame di carcerazione preventiva ritenuto illegittimo data la qualità "civile" dell'imputato, che lo rende capace di garantire con i propri beni. L'allegazione del D. per la ricusa dell'assessore Dragonetti e la stessa vicenda processuale risultano opportunamente dissimulati dalla generazione storiografica della Restaurazione (Palma, De Filippis Delfico), trattandosi di vicende che la rivoluzione aveva fortemente connotato di "giacobinismo", laddove nei tardi anni '70 si erano inquadrate nelle correnti anticurialiste del regalismo borbonico. A questo processo ed alle prime opere filosofiche di M. Delfico attingerà l'accusa di settarismo antiborbonico e democratico cui nei Notamenti dei rei di Stato della provincia... (1801) si fa carico alla famiglia Delfico sin dal 1775. Il conflitto allora apertosi tra i laici municipalisti e il vescovo costituì un fronte di tensione costante nella vita municipale, e predispose almeno in certa misura gli schieramenti giacobino e sanfedista della rivoluzione del 1798-99.

Sindaco nel 1789 ed ancora nel '91, la partecipazione del D. alle vicende teramane del periodo e il prestigio di cui egli godeva sono testimoniati in distinte occasioni; ed in varie iniziative a carattere municipale e provinciale patrocinate da Melchiorre a Napoli può cogliersi quasi una spartizione di ruoli tra i fratelli, in cui il D. assumeva principalmente la cura e la promozione degli affari municipali.

Così, ottenuta, per iniziativa del fratello Melchiorre, la restituzione a Teramo del tribunale collegiato (1787), egli venne deputato assieme ad altri esponenti della Municipalità (F. S. Tullj, Raffaele Michitelli e G. Thaulero) ad opere di miglioramento dell'edilizia cittadina. Nella iniziativa per l'istituzione in Teramo di una "piccola Università di Studj" ad indirizzo fisico e con insegnanti reclutati tra i cultori locali (1788), il D. fu proposto come sovrintendente in quanto persona "di molte cognizioni e superiori talenti, che per la nascita e le qualità personali esigge la pubblica stima e il generale rispetto" (cfr. V. Clemente, Rinascenza..., p. 267).

A lui è attribuito il progetto di togliere le carceri dal centro cittadino spostandone la sede nel convento di S. Agostino, di giuspatronato della città, del quale si otteneva l'abolizione (1792); in alternativa la Municipalità proponeva che il convento fosse destinato a sede di pubblica scuola, essendone la città sprovvista. Era il periodo della massima espansione dell'attività municipale in opere pubbliche quali la ristrutturazione e pavimentazione del corso cittadino e l'ampliamento ed accomodamento della via lungo le mura del fiume Vezzola fino alla porta di Mezzogiorno. Il D. interessò il ministero napoletano al problema delle difficoltose vie d'accesso alla città: di ciò ebbe occasione di trattare anche con G. M. Galanti in visita ministeriale nella provincia durante il giugno del '91. Era in primo piano l'esigenza di migliorare la via di collegamento tra Teramo e Giulianova che costeggiava il fiume Trontino, attraverso cui si svolgeva la maggior parte del traffico con la Marca e con le contigue provincie di Chieti e dell'Aquila, che costituiva al tempo stesso il principale collegamento con Napoli. Una visita dell'ing. C. Carpi della giunta di direzione delle Strade, da lui sollecitata ed avvenuta nel giugno 1792, doveva avviare la costruzione di due ponti nei pressi della città. In una Supplica della città di Campli intesa ad ottenere dal governo la riparazione della strada Campli-Teramo certo stesa da Melchiorre, si richiedeva fra l'altro che l'opera fosse affidata alla direzione del D.: "... tanto più che da S. M. [egli era stato] incaricato di simile incombenza per la strada da Atri a Calvano, che ora felicemente si esegue..." (cfr. V. Clemente, Rinascenza..., p. 437). Il problema della viabilità era fortemente sentito nella provincia, e la carrozzabile che Melchiorre sollecitava a Napoli avrebbe dovuto istituire un agevole e diretto collegamento tra il Regno di Napoli e l'Italia superiore, ponendo fine al tradizionale isolamento di questi territori.

Nel 1789 l'istituzione delle Società patriottiche nelle tre province abruzzesi costituì un momento di svolta nella vita provinciale per l'impulso che ne ricevette il locale riformismo, sollecitato ad una funzione di dialogo e di stimolo dalla periferia nei confronti del Consiglio delle finanze: in diretta dipendenza da questo dicastero che negli aurei anni '80 è promanazione del riformismo illuminato, la Società patriottica teramana avrebbe dovuto, almeno nelle viste del nuovo ceto dirigente provinciale, predisporre un attivo ricambio in quel sistema che aveva tradizionalmente assorbito le risorse economiche delle province ad esclusivo vantaggio della capitale.

Della Società patriottica di Teramo il D. fu nominato presidente all'inizio del 1789. In tale carica egli scrisse (ma non ne curò la stampa) alcuni lavori, tra cui alcune Memorie sugli "Stucchi" (servitù di pascolo invernale imposte dal Regio Fisco sui territori costieri degli Abruzzi a vantaggio della pastorizia transumante e con gravi limitazioni nelle coltivazioni), da cui si vuole abbia molto attinto la più nota iniziativa del fratello del D., Melchiorre, intesa alla totale abolizione di quel regime. La Società patriottica manifestò la propria opposizione ad ogni regime che, impedendo la recinzione, la messa a coltura e la stessa impiantazione sui terreni provinciali, frenava lo sviluppo di una agricoltura più moderna. La campagna contro i regimi armentizi nella provincia era tra le più impegnative del periodo: il nuovo ceto proprietario agronomico assumeva a modello, per le trasformazioni che esso auspicava, una proprietà diffusa ed appoderata, del tipo attuato nella vicina Marca, e ciò implicava anzitutto la definitiva dissociazione delle provincie marittime dal regime pastorale, più adatto e favorevole ai sovrastanti territori montani. Con G. Thaulero, che della Società patriottica teramana era segretario perpetuo, il D. indirizzò al Consiglio delle finanze nel 1791 una Memoria sulle Doganelle (altra amministrazione e tribunale speciale afferente alla pastorizia abruzzese a vantaggio del Regio Fisco), in cui ne chiedeva l'abolizione, sostenendo al tempo stesso che una tale riforma sarebbe risultata inutile qualora non si fosse contestualmente abolito il complementare regime degli "Stucchi" che ne avrebbe altrimenti assorbito le prerogative.

Il suo contributo più importante fu una Memoria per la conservazione e riproduzione dei boschi nella provincia di Teramo, elaborata su sollecitazione del Consiglio delle finanze e frutto, come egli stesso scrive, di una diretta ricognizione nella parte più impervia e meno nota della provincia (Valle Castellana e montagna di Roseto), secondo il metodo d'indagine diretta largamente sperimentato dai locali naturalisti nelle ricognizioni di quegli anni. Letta nell'adunanza dell'agosto 1792, la Memoria apparve sulla rivista Il Commercio scientifico... (VI [1792], pp. 1-62) di V. Comi.

Nella Memoria confluiscono alcuni dei motivi più caratteristici del riformismo provinciale e del temperamento dell'autore: l'acceso liberismo ha occasione di manifestarsi nella rivendicazione dei "sacri" diritti della proprietà privata, che non tollera vincoli quali le servitù fiscali di pascolo (implicanti divieto alle impiantazioni), né impedimenti assoluti al taglio delle piante. Il bando del 1759 in cui era stata raccolta tutta la precedente legislazione, rendendo i proprietari responsabili verso il Fisco della conservazione di ogni albero nato sul loro fondo, non li incoraggiava certo ad accrescerne il numero. Molto duro era anche il giudizio sull'amministrazione centrale - cui erano affidati il censimento ed i controlli -, nello spirito di un consolidato antagonismo tra provincia e capitale. La Memoria interessa oltre che per il censimento del deteriorato patrimonio boschivo della provincia, di cui si denunciano le gravi conseguenze generali, anche per un "piano generale di rialberazione" adattato alle tre fasce (marittima, collinare ed appenninica) in cui il territorio viene distinto, e per una serie di accorgimenti ed iniziative intesi ad economizzare il consumo di legna: tra di essi è in primo piano lo sfruttamento dei filoni di carbon fossile locale rinvenuti proprio in quegli anni. Altro doveva essere lo spirito della legislazione, che non l'esclusivo vincolistico criterio di "circoscrivere la consumazione", disattento alle necessità delle popolazioni montane ("... innanzi agli ineluttabili comandi del bisogno le leggi debbono tacere...") ed alle ragioni dell'interesse e del profitto: lo spirito della legge doveva invece essere principalmente inteso ad "eccitare e dirigere l'attività nazionale alla riproduzione".Per le Società patriottiche, istituzionalmente "destinate alla raccolta ed alla diffusione dei lumi utili" in questo ramo dell'agricoltura, il D. chiedeva maggiore confidenza del governo e finanziamenti per assegnare premi d'incoraggiamento a chi s'impegnasse nelle pratiche forestali.

Durante la "visita generale degli Abruzzi" che G. M. Galanti compì nel giugno 1791, il D. lo ospitò in Teramo, lo accompagnò e gli fornì dati e valutazioni per le relazioni al re sulle condizioni economiche ed amministrative della provincia.

L'ultima iniziativa del D. avvenne in occasione della mobilitazione promossa nelle province contro un'invasione francese che già si profilava possibile nel 1792: convocato per ordine regio il Parlamento cittadino il 27 novembre, il D. vi tenne un discorso a sostegno della mobilitazione, cui seguì la delibera di elezione di dodici deputati all'armamento dei concittadini. In questa circostanza come negli incarichi per gli armamenti provinciali, assunti in seguito dai fratelli, si confermò un lealismo della famiglia verso la monarchia borbonica che solo le vicende della rivoluzione appanneranno.

Il D. morì a Notaresco (Teramo) il 21 sett. 1793, mentre stava rientrando a Teramo dalla villa di Montesilvano.

La pubblicazione postuma delle sue Riflessioni intorno alle Tavole di Eraclea, giàillustrate da Alessio Simmaco Mazzocchi, si dovrà all'interessamento di Francesco Antonio Grimaldi.

Fonti e Bibl.: F. Lattanzi, Per la morte di D. G. F. D., elogio funebre..., Teramo 1793; N. Palma, Storia eccles. e civile della... città di Teramo e diocesi aprutina..., Teramo 1893, III, pp. 336, 339, 350 s., 355 s., 358; V, pp. 168-171; C. Campana, Un periodo di storia di Teramo…, Teramo 1911, pp. 57, 70, 86, 201 s.; M. Delfico, Opere complete, a cura di G. Pannella - L. Savorini, Teramo 1901-1904, ad Indicem; F. Savini, Le famiglie del Teramano, notizie storiche sommarie tratte dai documenti e dalle cronache, Roma 1927, p. 68; L. Coppa Zuccari, L'invas. francese degli Abruzzi (1798-1815), I-II, L'Aquila 1928, ad Indicem; III-IV, Roma 1939, ad Indicem; Illuministi ital., V, a cura di F. Venturi, Milano-Napoli 1962, pp. 1161, 1181; G. De Lucia, La Società patriottica della provincia di Apruzzo Ulteriore I (Teramo): 1788-1795, estratto da Riv. di storia dell'agricoltura, V (1965), 3, pp. 7 s., 10, 12 s., 16 s., 25, 30, 39 s., 46, 53 ss.; Id., Le Società econom. abruzzesi (1788-1845), in Abruzzo, V (1967), pp. 349 s., 353, 361; Alcuni aspetti dell'opera dei fratelli Delfico nella provincia di Teramo, ibid., VII (1969), pp. 118 s., 123, 126 s.; A. Palmarini, I presidi della provincia di Primo Abruzzo Ultra (Teramo), 1745-1805, ibid., VI (1968), pp. 269, 271; V. Clemente, Rinascenza teramana e riformismo napol. (1777-1798), Roma 1981, ad Indicem; Id., Risi, Stucchi e Vendite allodiali: momenti della defeudalizzazione e della riorganizzazione agraria borghese…, in Riv. stor. del Mezzogiorno, XVII-XVIII (1982-83), pp. 3-23; Id., Cronache della defeudalizzazione in provincia di Teramo: le risaie atriane (1711-1831), Roma 1984 (ried. in Studi sul Settecento abruzzese, Lanciano 1986, pp. 21-154); Id., Cronache della defeudalizzazione in provincia di Teramo: i regi Stucchi (1786-1826...), Roma 1988, ad Indicem.

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