BONOMI, Giovanni Francesco

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 12 (1971)

BONOMI (Buonhomo, Bonhomi, Bonhomini, Bonhomius), Giovanni Francesco

Gerhard Rill

Nato a Cremona il 6 dic. 1536 da Nicolò e da Chiara Calini, apparteneva a una famiglia milanese residente a Cremona che vantava origini comuni con la famiglia Borromeo.

Dopo i primi studi in patria si trasferì a Bologna e poi a Pavia, dove studiò diritto col famoso giurista e poi cardinale Francesco Alciati, conseguendo il dottorato utriusque iuris. A Pavia strinse anche rapporti di amicizia, decisivi per la sua carriera, con Carlo Borromeo. Dopo essere stato consacrato prete in data imprecisata, nel 1560 fu chiamato in Curia come uditore dal Borromeo, nominato nello stesso anno cardinale dallo zio Pio IV. Nel 1565 successe a Ugo Boncompagni nella carica di referendario apostolico e poco dopo fu nominato referendario della Penitenzieria e vicario del Borromeo nella chiesa di S. Maria Maggiore. A Roma il B. partecipò alle famose "notti vaticane", i trattenimenti letterari organizzati dal Borromeo. Nelle controversie insorte in seno all'Ordine francescano negli anni dal 1561 al 1564, nel corso delle quali il procuratore dell'Ordine fra' Felice da Montalto (più tardi papa Sisto V) fu avversato dai confratelli e destituito dal generale, il B. si schierò inizialmente dalla parte di quest'ultimo, ma per iniziativa del Borromeo passò in seguito (nel capitolo generale del 1564) dalla parte del procuratore e riuscì a ottenere la sua riabilitazione. Nel 1566 il Borromeo resignò in suo favore la ricca abbazia di Nonantola: in qualità di abate egli godette per i sei anni successivi di prerogative ed esenzioni quasi episcopali.

Già nel settembre del 1565, e poi con più frequenza a partire dall'aprile del 1566, il B. svolse a Roma funzioni di rappresentante occasionale del Borromeo, con il quale intratteneva una fitta corrispondenza. Assai bene informato della situazione religiosa della Svizzera, entrò in contatto a Roma con Melchior Lussy, il più importante collaboratore svizzero nell'azione di riforma disciplinare intrapresa dal Borromeo nei cantoni cattolici che rientravano nella giurisdizione dell'arcidiocesi di Milano. Per invito del Borromeo si adoperò per la sistemazione di giovani svizzeri in seminari italiani. Nel 1567 fondò un seminario dei chierici per i membri del monastero di Nonantola, del quale difese i privilegi tenendo addirittura sinodi e accentuando l'indipendenza dalla chiesa di Ravenna (concilio provinciale di Ravenna del 1568). Nell'ottobre del 1567 aveva accompagnato il Borromeo nella visita pastorale compiuta in Svizzera. Nel 1569 ebbe parte importante nei lavori preparatori del concilio provinciale di Milano inaugurato il 24 aprile e fu incaricato di comporre certi contrasti insorti all'interno del capitolo del duomo. Alla fine dell'anno portò gli atti del concilio a Roma per sottoporli all'esame del cardinale Alciati, ma tornò a Nonantola già nel dicembre.

Al seguito del Borromeo nel 1570 partecipò a una visita pastorale eseguita in quella parte della Svizzera tedesca che rientrava nell'arcidiocesi di Milano. Per iniziativa del Borromeo il cardinale Guido Ferrero, suo parente, resignò a favore del B. il 15 ott. 1572 il vescovato di Vercelli e ricevette in compenso la successione nell'abbazia di Nonantola. Questo scambio fu approvato da Gregorio XIII. Il B. restò a Nonantola fino al Natale del 1572, e quindi fu consacrato vescovo dal Borromeo.

Nel luglio del 1573 iniziò la visita pastorale della sua diocesi e a tal fine richiese alla Curia l'invio di appositi assistenti. Tra il 1573 e il 1584 (con l'eccezione dell'anno 1577 funestato dalla peste) tenne ogni anno un sinodo diocesano (in tutto furono undici), fino al 1581 personalmente, in seguito tramite un rappresentante. In essi si preoccupò di attuare i decreti del concilio di Trento e le costituzioni del Borromeo. Ampliò il seminario dei chierici già istituito dal Ferrero con grandi lavori nei quali spese un terzo delle entrate della diocesi. Per dare impulso alla vita degli Ordini religiosi chiamò a Vercelli nel 1575 i barnabiti e poco dopo i gesuiti.

Il Ferrero aveva avviato l'eliminazione del rito eusebiano seguito nella città vescovile, che contrastava in parte con le prescrizioni del concilio di Trento; ora il B. introdusse definitivamente, con il consenso del capitolo del duomo, il 3 apr. 1575, il rito romano, conservando però alcuni particolari del rito eusebiano. Per questo motivo l'anno precedente erano insorti violenti contrasti con il capitolo, particolarmente sensibile alle riforme inaugurate dal B. nel settore assai delicato dei benefici, in conformità con i decreti del concilio di Trento. Ai canonici che si richiamavano ai loro privilegi sanciti da una convenzione con Pio V il B. replicò con estrema durezza, lanciando persino, nel Natale del 1574, l'interdetto sul capitolo. In un primo tempo ebbe il sopravvento, ma senza mai riuscire ad eliminare l'accanita resistenza dei canonici che lo costrinsero varie volte a ricorrere all'intervento di arbitri, fra i quali fa anche il Borromeo che non ne approvava l'eccessiva severità.

Una pesante eredità gli aveva lasciato con il restauro della vecchia cattedrale il Ferrero, che nel 1571, per eludere l'opposizione del capitolo, aveva fatto demolire di propria iniziativa il coro. Al momento dell'ingresso del B. nella diocesi non esistevano i mezzi finanziari per la ricostruzione, cosicché le spese per l'importo di 10.000 scudi dovettero essere sostenute per una metà dal Ferrero e per un quarto ciascuno rispettivamente dal B. e dal capitolo: accordi in tal senso furono conclusi nel 1575 e nel 1577. In tre anni si poté così costruire il coro con due cappelle e due sagrestie.Il B. restò nella sua diocesi fino al 1578, ma con frequenti interruzioni. Nel dicembre del 1574 partecipò ai funerali celebrati a Torino della duchessa Margherita e in tale occasione fu introdotto alla corte del duca di Savoia. Nel corso dell'inverno del 1575-76 soggiornò a Roma, quindi ritornò a Vercelli. Subito dopo la conclusione del concilio diocesano tenuto dal 10 luglio al 17 ag. 1576 si recò come visitatore in Savoia, e alla metà di ottobre in Val d'Aosta.

In questa occasione visitò un numero straordinariamente grande di chiese e monasteri, non però per controllare la vita dei singoli conventi, ma solo per acquisire una visione generale delle condizioni del clero regolare, in collegamento con la visita generale in Savoia diretta dal nunzio Girolamo Federici. Alla fine di ottobre del 1576 era di nuovo a Vercelli, nel gennaio del 1577 si incontrò però ancora una volta con il Federici a Torino per discutere i risultati della visita.

Nel corso di un'altra visita, che lo condusse nel luglio-agosto del 1578 in Valtellina e nel Ticino, il B. entrò in contatto con influenti esponenti del cattolicesimo svizzero, e in particolare col bailo provinciale di Uri, Johannes Zumbrunnen. Giunse alla conclusione che in Svizzera occorreva istituire urgentemente una nunziatura con piena facoltà di eseguire le visite. In questo senso inviò a Roma un memoriale che inizialmente, tra il settembre e il dicembre del 1578, incontrò notevoli opposizioni, finché il B., forte dell'approvazione del Borromeo, non riuscì a far prevalere il suo punto di vista.

Il B., che in un primo tempo riluttava all'idea di assumere egli stesso questo incarico, alla fine si adeguò al desiderio del Borromeo. Insistette però sulla condizione che gli fosse riconosciuta la qualifica di nunzio, in considerazione della circostanza che, nel corso della sua ultima visita e di un'altra svolta nello stesso anno nella diocesi di Como, aveva trovato scarso aiuto nel clero e aperta resistenza nelle autorità laiche. Anche su questo punto poté averla vinta mercé l'appoggio del Borromeo: il 2 maggio 1579 fu emesso il breve di nomina e il 27 maggio le lettere credenziali. La sua sfera di competenza abbracciava essenzialmente le diocesi di Costanza, Coira, Losanna, Sion e Basilea che costituivano parte integrante del territorio della Confederazione elvetica. Il suo compito precipuo era di eseguire le visite e di iniziare l'applicazione dei decreti del concilio di Trento. I principali obiettivi erano inoltre quelli di neutralizzare il più possibile ogni intervento delle autorità civili nella collazione dei benefici ecclesiastici e su questo punto incontrò la violenta opposizione dei baglivi; di difendere la giurisdizione penale ecclesiastica; di imporre l'osservanza della clausura nei monasteri femminili; di favorire il miglioramento dell'istruzione del clero. Accompagnarono il B. come aiutanti fissi alcuni ecclesiastici italiani, fra i quali il suo primo biografo, Luca Borgo, e il gesuita Wolfgang Pyringer.

Lasciata Vercelli alla fine di giugno del 1579 e presentate le lettere credenziali alla dieta di Baden il 10 luglio, cominciò subito la visita, ma non tardò a trovarsi in difficoltà finanziarie. Nei primi tempi non godeva infatti di un regolare stipendio, né volle accettare il principio che il visitatore dovesse essere mantenuto dalle chiese visitate. Un miglioramento fu possibile per intervento del Borromeo, nel quale il B. trovò ancora una volta l'appoggio più solido.

Serie resistenze opposero al B. anzitutto gli Ordini che godevano di particolari privilegi, in primo luogo i cisterciensi. Munito di poteri insufficienti, egli sollecitò la Curia varie volte per ottenerne l'ampliamento, che tuttavia riuscì ad avere solo in alcuni casi. I violenti attacchi ai capi dell'Ordine, in particolare all'abate generale Nicolas Boucherat, ebbero come sola conseguenza gli ammonimenti alla moderazione del papa Gregorio XIII e del Borromeo. Il suo intervento nella controversia tra le badesse del monastero femminile cisterciense di Tänikon, nella quale erano implicate le più potenti famiglie di Lucerna e del suo contado, e le punizioni inflitte all'abate di Wettingen ebbero solo scarso successo; la sua lite col monastero di Lützel, i cui monaci nel settembre del 1579 gli vietarono l'ingresso, provocò inoltre un conflitto con le autorità austriache di Ensishein e una lettera minacciosa dell'arciduca Ferdinando del Tirolo, avendo il B. oltrepassato i limiti assegnati ai suoi poteri e alla sfera di azione della sua visita.

Nel vescovato di Coira trovò nel novembre del 1579 una pessima situazione religiosa, aggravata dalla circostanza che la sede vescovile era stata abbandonata dal suo titolare, Beato Bäsch della Porta, fuggito in seguito alle minacce dei suoi nemici e rifugiatosi a Fürstenberg nel territorio dell'arciduca Ferdinando. Il B. non solo minacciò la deposizione del fuggiasco se non rientrava nella sua sede, ma lo accusò anche di avere dissipato i beni della Chiesa e lo condannò a pagare una grossa somma di denaro ai suoi avversari. Nel febbraio del 1580 si incontrò col vescovo, protetto dall'arciduca, a Fürstenberg, si recò quindi, passando per Augusta, a Monaco, dove ebbe un colloquio col duca Guglielmo di Baviera e ad Innsbruck per trattare con l'arciduca Ferdinando. Il risultato dell'azione del B. fu che il vescovo Beato di Coira resignò il suo vescovato. Successivamente introdusse i gesuiti a Friburgo e quindi assistette il 3 luglio 1581, dopo un breve soggiorno a Milano e a Vercelli, all'elezione del nuovo vescovo di Coira.

Su questo punto il B. ebbe un innegabile successo, che gli fu agevolato però di sicuro dall'indubbia gravità del caso. La sua posizione tuttavia nel 1581 era divenuta già precaria. I provvedimenti contro il vescovo di Coira e gli ordini religiosi privilegiati gli avevano creato numerosi nemici. Accuse e calunnie gli furono lanciate dal clero cattolico: riguardavano le novità introdotte nel culto e la dichiarazione di nullità delle bolle sulle indulgenze. Altre accuse furono mosse contro i suoi segretari, ai quali fu addebitato di avere accettato denaro e reliquie, di avere distrutto calici e libri e di avere indagato sulle entrate e i tesori delle chiese. Inimicizie, insulti e violenze popolari (a Berna il B. sfuggì a stento alla folla infuriata) e rappresaglie delle autorità civili costrinsero più volte il B. a difendere sia per iscritto sia oralmente i suoi provvedimenti a Roma. Nell'aprile del 1580 egli venne a sapere per la prima volta che si ventilava il suo richiamo; in risposta a un suo dettagliato rapporto il papa gli espresse la sua fiducia, ma senza tralasciare di annunciargli la fine imminente della sua missione in Svizzera e l'intenzione di attribuirgli altri incarichi. Nel settembre del 1581 il B. concluse così la sua nunziatura nella Confederazione elvetica.

Il 16 sett. 1581 Gregorio XIII lo designò a succedere al nunzio presso la corte imperiale, Ottavio di Santa Croce. Dopo avere chiesto al Borromeo di occuparsi della sua diocesi e aver nominato i suoi procuratori a Vercelli, si mise in viaggio, passando per Costanza e Regensburg, alla volta di Vienna, dove giunse a metà dicembre. Presso l'imperatore Rodolfo II, che arrivò a Vienna qualche giorno dopo di lui, trovò la migliore accoglienza: prese ovviamente subito posizione sulla questione, assai dibattuta in quel momento, della sepoltura degli eretici in terra consacrata, manifestando il suo atteggiamento di estrema severità nella persecuzione delle altre confessioni cristiane.

Nel 1582 visitò l'Ungheria, dove predispose l'istituzione di un collegio gesuitico, i dintorni di Vienna e l'arcidiocesi di Praga. Nell'estate dello stesso anno prese parte alla dieta di Augusta e, qualificandosi come il più rigido esponente del partito cattolico, appoggiò il legato Ludovico Madruzzo, il cui atteggiamento nei confronti dei protestanti non corrispose tuttavia alle sue aspettative, non meno di quello tenuto dagli stati cattolici. Già ad Augusta il B. presentò all'imperatore un memoriale, nel quale sollecitava energici e immediati provvedimenti nei confronti dell'arcivescovo di Colonia Gebhard Truchsess, apostata dalla Chiesa cattolica. Nel dicembre del 1582 il papa gli ordinò di recarsi a Colonia per aprire, possibilmente alla presenza di commissari imperiali, il processo contro l'apostata. Pur avendo rimesso formalmente nel mese successivo la questione al cardinale Andrea d'Asburgo, per riguardo al padre, l'arciduca Ferdinando, l'iniziativa restò di fatto nelle mani del B. e del nunzio a Graz Germanico Malaspina. Con quest'ultimo si crearono presto rapporti tesi, provocati dalla preferenza accordata dal cardinale Andrea al Malaspina che mal sopportava lo zelo molesto del Bonomi. Il 25 febbr. 1583 il B. fu ricevuto dal duca Guglielmo di Baviera, che gli presentò il fratello Ernesto, destinato a succedere al Truchsess nell'arcivescovato di Colonia. L'intervento del conte del Palatinato Giovanni Casimiro, alleato del Truchsess, costrinse però il cardinale Andrea e i due nunzi apostolici a ritirarsi da Spira a Breisach, e l'iniziativa sembrò fallire. Mentre il cardinale Andrea rientrò a Innsbruck, il B., sfuggendo agli agguati tesigli dal Truchsess, riuscì a raggiungere, attraversando la Lorena e il Lussemburgo, Colonia il 30 apr. 1583. Vi trovò il Malaspina e il nunzio straordinario Minucio de Minucci, che avevano già in mano la bolla di deposizione del Truchsess.

L'elezione di Ernesto di Baviera, designato ormai anche dal pontefice, comportò l'eliminazione di altri candidati che gli erano stati contrapposti ed ebbe luogo il 2 giugno 1583. Il B. restò a Colonia ancora fino al mese di agosto per patrocinare l'introduzione della professiofidei con carattere vincolante, e combattere il concubinato degli ecclesiastici e la simonia ed emanare disposizioni contro il cumulo dei benefici. Indusse infine il consiglio cittadino a prendere provvedimenti contro gli eretici, ad allontanare gli insegnanti non cattolici, a rispettare le feste ecclesiastiche e introdurre il calendario gregoriano. Nel corso del viaggio di ritorno passò per i Paesi Bassi spagnoli ed ottenne dal duca Guglielmo di Jülich-Cleve l'impegno a sostenere il nuovo arcivescovo di Colonia.

Il 27 sett. 1583 rientrò a Vienna. Nuovi gravosi compiti da espletare in quella regione dovevano essergli affidati l'anno successivo. Dopo il suo ritorno in sede egli aveva sollecitato con urgenza l'invio di visitatori apostolici nelle diocesi di Liegi e di Colonia. Il fallimento di altri progetti sull'insediamento di un nuovo nunzio a Colonia fece ricadere su di lui questa missione nell'ottobre del 1584. Impegnato in quel momento nella visita della Boemia e della Moravia, il B. oppose inizialmente un rifiuto motivandolo con la considerazione che a Colonia si era già creato nel 1583 un numero troppo alto di nemici, ma il papa non ne volle sentire. L'istruzione per il B. (non conservata) gli affidava il compito precipuo di convocare i sinodi provinciali e diocesani e promuovere l'attuazione dei decreti del concilio di Trento con i connessi provvedimenti di riforma. La sfera d'azione della nunziatura, secondo la bolla del 19 genn. 1585, comprendeva, oltre alla provincia ecclesiastica di Colonia, Magonza e Treviri, la diocesi di Basilea, Strasburgo, Osnabrück, Paderborn e Liegi, il Lussemburgo, altre province belghe e il territorio del duca di Jülich-Cleve. I suoi poteri in materia di assoluzioni e di dispense erano considerevoli e furono ampliati ulteriormente il 12 ott. 1585, su richiesta del B., che si era richiamato all'esempio dei suoi predecessori.

Prima di inaugurare la nunziatura il B. si recò a Cremona e a Vercelli e vi compose un contrasto insorto nella cittadinanza e nel capitolo. Il 26 febbr. era a Treviri dove l'arcivescovo Giovanni di Schönenberg gli prestò un prezioso aiuto. Il 9 aprile raggiunse Colonia. Qui si sforzò anzitutto di stabilire buoni rapporti con il capitolo del duomo e il consiglio cittadino e si preoccupò dell'insediamento di vescovi cattolici a Münster, Brema (dove tuttavia si dovette contentare dell'elezione di un protestante ben disposto verso la Chiesa di Roma), Paderborn e Osnabrück. Nel frattempo, però, Gebhard Truchsess aveva scatenato una violenta controffensiva, e solo con fatica riuscì al B. di impedire all'arcivescovo Ernesto una fuga precipitosa da Colonia. La gravità della situazione gli suggerì di sollecitare un intervento spagnolo: nel maggio si recò nei Paesi Bassi, senza tralasciare di sostare a Lovanio, per assumere informazioni sulle dottrine teologiche del cancelliere dell'università Michele Bajus. All'inizio di giugno s'incontrò davanti ad Anversa con Alessandro Farnese che gli promise il suo pieno appoggio e nel corso di una vittoriosa campagna contro gli aderenti del Truchsess conquistò Neuss nel luglio 1586. Il 1º agosto il B. consegnò, per incarico del papa, al condottiero vittorioso il cappello e la spada consacrati.

Durante l'intero periodo della sua nunziatura a Colonia il B. fu occupato quasi ininterrottamente da viaggi di visite, nel corso delle quali tenne numerosi sinodi diocesani.

Nel marzo del 1586 tentò di comporre i contrasti insorti tra i canonici del capitolo del duomo di Cambrai, entrando in conflitto con il governatore della città e con Caterina de' Medici, che non tollerava l'influenza di un nunzio non accreditato presso la corte di Parigi. Nella stessa Colonia il B. si adoperò per imporre l'osservanza del dovere della residenza ed ebbe difficoltà con il consiglio cittadino a causa di questioni fiscali. Gravi preoccupazioni gli procurava la condotta poco raccomandabile e tutt'altro che esemplare dell'arcivescovo Ernesto, poco sensibile ai suoi continui ammonimenti.

Il B. era arrivato a Colonia già in pessime condizioni di salute: il suo zelo infaticabile lo ridusse alla fine allo stremo delle forze. Morì a Liegi il 27 febbr. 1587, senza poter realizzare il desiderio di rientrare nella sua diocesi.

Il suo testamento riguardava anzitutto il fratello Pietro e il Monte di Pietà fondato a Vercelli, dove le sue spoglie furono trasferite e seppellite nella cripta vescovile predisposta dallo stesso B. nella cattedrale.

Lasciò numerose opere solo in parte stampate (l'indice di esse in Colombo, pp. 607-609): alcune esaltavano la vita e la morte del suo amico Borromeo (in particolare l'opera Borromeis pubblicata postuma dal suo familiare Luca Borgo); altre erano di edificazione, di natura teologico-filosofica e agiografica, come gli scritti preparatori alla traslazione delle ossa di s. Eusebio (una VitaS.Eusebii, stampata Milano 1581, fu composta pochi giorni dopo il ritrovamento delle ossa del santo nel corso di lavori di restauro nella cattedrale di Vercelli). Si ricordano ancora appunti di carattere liturgico, lettere pastorali, precetti per a predicazione, decreti scesi in occasione di sinodi e visite pastorali, inni, prediche e lettere (queste ultime sono tuttavia quasi completamente perdute per gli anni dal 1585 al 1587). Il B. era molto fiero delle sue opere che denotano una solida educazione umanistico-teologica. Un sincero rapporto di amicizia, nel quale è da riconoscere la presenza di motivi stoici, lo legò al Borromeo.

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