FORTUNIO, Giovanni Francesco

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 49 (1997)

FORTUNIO, Giovanni Francesco

Gino Pistilli

Nacque probabilmente a Pordenone nel decennio 1460-70.

Il luogo di nascita non è sicuro, perché se in documenti d'archivio di area triestina è chiaramente indicato come "de Portunaone", in quelli redatti ad Ancona lo si indica come "de Hyadra", di Zara, restituendo così credito alla notizia di un F. "dalmata e schiavone" attestata fin dai suoi contemporanei (così il Muzio in una lettera ad Aurelio Vergerio e nella Varchina pubblicata postuma a Venezia nel 1582 [presso P. Dusinelli]; il conte Matteo di San Martino nelle Osservazioni… del 1555, fino ad A. Zeno nel '700 e al Brunelli nel secolo XX).

Della sua giovinezza non si sa molto, se non che dovette essere in contatto con quel fertile umanesimo di provincia che faceva capo al nobile pordenonese Princivalle Mantica, giurisperito e latinista, e che vedeva nella zona compresa fra Pordenone, Udine e Trieste operare in quegli anni vari umanisti e letterati: Pietro Edo, G.S. Emiliano detto il Cimbriaco, i fratelli Amalteo, J. Caviceo, il Sabellico e altri ancora. Nel 1486 a Pordenone, in occasione dell'arrivo in città di Bernardo Perger, inviato cesareo, si svolse un certamen poetico. Il F. può ben essere stato in qualche misura coinvolto in questa manifestazione, se intorno a quegli anni (il Valentinelli ha suggerito la data 1488) il conte Jacopo di Porcia gli scriveva due lettere, elogiandolo proprio per la sua attività di poeta in lode di Bartolomea Fontana, una delle letterate incoronate. Certo non vi sono documenti che lo provino; comunque il F. alla fine del '400 aveva una sicura fama come poeta, come è attestato anche da un passo del poema Il Monte Parnaso di Filippo Oriolo, dove ai vv. 79-93 del canto XVII viene esplicitamente esaltato come poeta ispirato dalle Muse. Di questa sua attività l'unico documento rimasto è un'egloga in endecasillabi sdruccioli, Amonio et Egialo, edita dal Dionisotti nel 1938 (dal cod. Marc. It. Z 60, cc. 98r-101r). Il F. conobbe poi il Sabellico, probabilmente mentre questi insegnava a Udine (1473-87), e dovette essere piuttosto amico che discepolo dell'illustre umanista, a giudicare dalle due lettere che questi gli indirizzò, poi incluse nella raccolta pubblicata a Venezia nel 1502. Da una di queste si apprende che il F. si era sposato, ma era presto rimasto vedovo.

Negli ultimi tre anni del sec. XV la presenza del F. nelle cariche pubbliche è largamente documentata: nel secondo quadrimestre del 1497 era vicario, cioè giudice delle cause civili, a Trieste. E sempre nello stesso anno ricoprì anche la carica di giudice del maleficio (cioè delle cause penali) in sostituzione di Bernardino de' Conti di Pavia. Nel 1498 era vicario e luogotenente di Trieste fino al 10 maggio, quando era già stato sostituito da Sebastiano Castellano d'Avesta. Nel 1499 svolse l'attività sua propria, quella di giurisperito, difendendo Omnibono de Coppa e donna Clara vedova di Andrea Pirano nel maggio, Romano della Motta nel giugno e ser Joanne Longo nell'agosto. Da un atto rogato a Trieste l'11 maggio 1499 cui fa da testimone, sappiamo che nel frattempo abitava a Trieste e aveva preso la cittadinanza triestina. Nello stesso anno era citato come procuratore della Confraternita del Corpo di Cristo o dei Battuti, e riceveva dal prefetto di Trieste Erasmo Brasca l'incarico di risolvere certe liti con i Veneziani. Il 20 ag. 1500 era a Venezia, dove testimoniava a un atto rogato in piazza S. Marco. Ed è sicura la sua presenza a Venezia anche negli anni in cui uscivano le edizioni aldine del Petrarca e di Dante (1501-02), visto il preciso spazio che gli veniva riservato nella famosa polemica esplosa fra il Sabellico e l'Egnazio.

Il F. prese le difese del primo con un'epistola latina diretta dall'Accademia veneta: il tutto verrà messo agli atti nell'importante raccolta di testi filologici pubblicata a Venezia nel 1502 a cura di Giovanni Bembo. In questa raccolta, ristampa di una analoga pubblicata a Brescia nel 1498, alle Observationes del Sabellico dedicate al F. seguivano, dopo altri testi filologici, le velenose Racemationes dell'Egnazio. Il testo era già stato stampato quando il Sabellico riuscì a farvi premettere le sue Annotationes veteres et recentes, un'epistola dedicatoria di queste al F. e la lettera del F. su citata, in modo da controbattere le accuse dell'Egnazio. Poi, quando la raccolta fu ristampata nel 1508, dopo che i due contendenti si erano rappacificati e il Sabellico era morto, vennero fatti sparire tutti i riferimenti polemici e, fra questi, la lettera del Fortunio.

In questi anni di lui non si hanno notizie; era comunque alle prese con la redazione delle sue Regole. Nel 1509 è sicuramente a Venezia, dove il 28 novembre fa richiesta di un privilegio di stampa per pubblicare "versi in laude de questa Excellentissima Republica, et… regule grammaticale de la tersa vulgar lingua, cum le sue ellegantie et hortographia, et altre opere a niuno injuriose. Item, expone haver opere di altri excellenti poeti fin hora non impresse…".

Su questo documento ha posto chiara luce il Dionisotti, segnalando come non sia una normale richiesta di privilegio ma nasconda un proposito editoriale di tipo umanistico, quale quello di Aldo. Ed è stata fatta l'ipotesi che il F. volesse farsi editore di testi antichi, come i poeti toscani del Trecento, che poteva leggere in sillogi quali il codice Mezzabarba (Marc. It. IX 191 = 6754), trascritto a Padova e a Venezia nel maggio 1509.

Nel 1509-10 il F. fece parte, insieme con un Marcantonio suo parente, del Consiglio dei patrizi di Trieste, città che proprio in quegli anni verrà duramente provata prima dalla guerra dell'imperatore Massimiliano I d'Asburgo contro Venezia, poi da vari disastri che la colpirono nel 1511 con gravi ripercussioni economiche. Forse questa può essere una delle cause del fatto che, nel 1514, troviamo il F. assente da Trieste, come conferma la moglie Pasuta in un documento. Lo si ritrova due anni dopo ad Ancona, né è possibile sapere dove fosse in questi anni. Storici anconetani però lo dicono fratello di un Matteo Fortunio che nel 1513, al comando di 600 zaratini, mosse in difesa di Ancona nella guerra contro Iesi. Il 25 ag. 1516 il F. venne nominato luogotenente della città di Ancona. E nel settembre uscirono, per i tipi di Bernardino Guerralda vercellese, le Regole grammaticali della volgar lingua, in due libri. Le Regole ebbero un notevole successo editoriale nel '500. Oltre ad essere incluse nella raccolta di testi grammaticali pubblicata dal Sansovino a Venezia nel 1562 (e in quella di Giuseppe degli Aromatari nel secolo seguente, Venezia 1643), vennero stampate una ventina di volte nel sec. XVI, al pari dei testi grammaticali di più intensa diffusione. L'opera doveva essere in cinque libri, secondo ammissione dello stesso F., ma ne vennero pubblicati solo due: quello morfologico e quello ortografico. Certo dovevano essere in qualche modo compiuti anche gli altri tre (sintattico, lessicale e metrico).

Come è stato giustamente rilevato, l'opera del F. è una grammatica della lingua scritta dei Toscani del Trecento (Dante, Petrarca, Boccaccio) per la lingua scritta dei dotti del Cinquecento. Questo assunto è alla base del tentativo del F. di "regolarizzare" la lingua volgare. Rispondendo infatti all'obiezione di voler ridurre a grammatica ciò che è sottoposto alla "mutation de l'uso", l'autore rivela la sostanziale identità tra "il parlar delli già detti auttori et quello che tra uomeni scienti hora si usa" e dice poi che "se noi poniamo ben mente, vederemo che tutti li pellegrini italici ingegni di qualunque si voglia regione che di scriver rime prendano diletto quanto più possono il stile del Petrarca et di Dante se ingegnano con quelle istesse loro tosche parole di seguitare". Quindi il pubblico cui si rivolge il F. è un pubblico di "produttori di testualità letteraria" (Quondam), che cercano di accostarsi alle "tre corone" mediante strumenti di facile mediazione quali vocabolari, rimari, grammatiche e simili (testi che nei decenni seguenti vedranno la luce in gran copia).

Il F. è in una posizione di transizione, a mezzo fra la vecchia filologia tardo-quattrocentesca e quella nuova che fa capo al Bembo. Infatti non solo le Regole sono conteste di castigationes, ma nello stesso suo pubblico il F. pensa di trovare altrettanti appassionati di questo tipo di filologia, come risulta chiaramente da un passo del II libro: "Io credo, lettori miei, che non vi fia grave in questo libbro della orthographia, più che vi sia stato quello della grammatica, sotto le occorrenti voci legger alcuna nuova dichiaratione col svelamento di molti sensi anchor coperti delli poeti nostri" (c. 25v). Dunque, mediante la critica ai commentatori che l'hanno preceduto, il F. potrà basarsi sulle regole grammaticali appena codificate per spiegare diversamente i testi. Censure contro il Landino, contro il Filelfo e Antonio da Tempo, ma soprattutto contro le aldine di Petrarca e Dante, mai citate direttamente, ma cui allude con estrema chiarezza (il Dionisotti ha rilevato dieci censure al Dante aldino e undici al Petrarca). In questo modo il F. giunge alla filologia partendo dalle regole. E la grammatica piega quasi sempre la filologia, per cui di fronte a un'apparente trasgressione delle regole il F. può chiamare in causa come responsabili o copisti e tipografi, o commentatori, o la non regolarità degli stessi scrittori, quando qualcuno di loro sia "alquanto licentioso trasgressore" della grammatica (è questo il primo passo, ancora non accompagnato da una censura di gusto, verso l'esclusione di Dante come autore esemplare, ratificata poi dalle Prose del Bembo). C'è la chiara coscienza, nel F., che una grammatica si deve basare sulla norma e non sull'uso raro.

Sull'accusa di plagio fatta da Pietro Bembo al F. si è concordemente affermata la sostanziale diversità dei due testi. In una lettera a B. Tasso del 27 maggio 1529 il Bembo reagì alle accuse del modenese Pellegrino Moretto, negando d'aver rubato qualcosa al F., e, portando a proprio favore un libretto di note grammaticali che aveva fatto molto prima che il F. "sapesse ben parlare, non che male scrivere", accusò quest'ultimo di aver avuto il libretto in visione per molti giorni. Nel 1512 il Bembo aveva inoltre mandato a Venezia ad alcuni amici una parte delle Prose, ancora in una prima redazione, chiedendo loro di leggerla ma di non farla vedere in giro "perché sono alquanti, che ora scrivono della lingua volgare", e non mancano i "Calmetti" pronti a rubare le idee altrui (lettera a Trifon Gabriele dell'1 apr. 1512: P. Bembo). Che fra questi "Calmetti" il Bembo ponesse anche il F. è legittimo pensarlo. È stato viceversa riconosciuto un certo debito che le Prose hanno nei riguardi delle Regole: il ms. Vat. lat. 3210, unico delle Prose, ha molte correzioni databili posteriormente al 1516. Risulta probabile che il Bembo abbia attinto dal F. non la regola, ma l'esemplificazione, mostrando anche una certa cura nel nascondere la fonte (Dionisotti).

Pochi mesi dopo l'uscita delle Regole, il 12 genn. 1517, il F. venne trovato morto nel cortile del palazzo pretorio. Il Consiglio si riunì in seduta straordinaria, bocciò la proposta di affidare la sepoltura del F. al figlio, donandogli 20 fiorini, e preferì invece "che li magnifici signori anziani e regolatori abbino autorità di fare sepelire lo corpo di messer Jo. Francesco Fortunio locotenente defunto, cum conseglio del vicario del vescovo et delli maestri di sacra teologia, per esserse amazato lui medesimo da desperato: ma non possano spendere ultra decem fiorini".

Fonti e Bibl.: Trieste, Arch. dipl., Cancell., XXXIII, cc. 59v, 60r, 68v-69r, 87v-88r, 88rv, 91v, 92v, 98r, 116r, 174r; XXXIV, cc. 78rv; XL, cc. 53r, 72r, 100r; XLVI, cc. 58v-60r; Ibid., Viced., XLV, c. 153r; XLVI, cc. 56v-57r; LII, cc. 123rv; LVIII, cc. 55v, 165v-166r; Ibid., Libri consil., I, c. 26r; Ibid., Albo dei consiglieri, cc. 14v, 19r; Arch. di Stato di Venezia, Notatorio del Collegio, reg. 16, c. 52; Arch. di Stato di Ancona, Arch. comun., Libro dei consigli e decreti, reg. 727, c. 67r; reg. 732, cc. 2v, 3v, 4v; M. Sabellico, Annotationes veteres…, Venetiis 1502, c. 13r (n.n.); A. Arrivabene, Lettera… al lettore, in G.F. Fortunio, Regole…, Venezia 1518, cc. GIIv-GIII; P. Bembo, Lettere volgari…, Venezia 1552, III, 4, p. 202; Matteo di San Martino, Osservazioni grammaticali…, Roma 1555, c. 5r; G.P. Valeriano, De litteratorum infelicitate, Venetiis 1620, p. 43; A. Zeno, Vita del Sabellico, in Degli storici delle cose veneziane, Venezia 1718, c. XLVIII; A. Peruzzi, Storia di Ancona, Ferrara 1847, II, pp. 165, 439; G. Valentinelli, Diplomatarium portusnaonense, Wien 1865, p. 369; G.S. Ferrari, I primi grammatici della lingua ital., in Rivistaeuropea, XXVII (1882), pp. 1023-1240; C. Trabalza, Storia della gramm. ital., Milano 1908, pp. 51-72 e ad Indicem; V. Brunelli, G.F. F. primo grammatico ital., in Atti e mem. della Soc. dalmata di storia patria, II (1927), pp. 5-35; P. Giangiacomi, Storia d'Ancona e guida, Ancona 1923, p. 51; Id., Guida spirituale d'Ancona, Ancona 1932, p. 82; G.G. Ferrero, Dante e i grammatici della prima metà del '500, in Giorn. stor. della letteratura italiana, CV (1935), pp. 16-24, 27 s., 35 s., 38; A. Hortis, Notizie di G.F. F., ibid., CXI (1938), pp. 205-212; C. Dionisotti, Ancora del F., ibid., pp. 213-254; M. Vitale, L'atteggiamento generale di G.F. F. in ordine al problema ortografico, in Rendic. dell'Istit. lombardo di scienze e lettere, s. 2, LXXXIV (1951), pp. 227-244; C. Dionisotti, Il F. e la filologia umanistica, in Rinascimento europeo e Rinasc. veneziano, Firenze 1967, pp. 11-23; Id., Gli umanisti e il volgare, Firenze 1968, pp. 18-26, 64; A. Benedetti, G.F. F. umanista e primo grammatico della lingua ital., Pordenone s.d.; C.F. Goffis, G.F. F., in Encicl. dantesca, II, Roma 1970, ad vocem; A. Quondam, Nascita della grammatica…, in Quad. storici, XIII (1978), pp. 568 s., 574 s., 577-580; P. Floriani, Grammatici e teorici…, in Storia della cultura veneta, 3, Vicenza 1980, II, pp. 150-155 e ad Indicem; F.M. Giochi - A. Mordenti, Annali della tipografia in Ancona…, Roma 1980, pp. XXXIII-XXXVI, 16, 18; I. Paccagnella, Il fasto delle lingue, Roma 1984, pp. 42-46; F. La Bombarda, Per le fonti delle "Regole" del F., tesi di laurea, Univ. di Venezia, facoltà di lett. e filos., a.a. 1986-87; G. Belloni, Alle origini della filologia e della grammatica italiana: il F., in Atti del VII Convegno internaz. di linguisti…, Milano 1984, Brescia 1987, pp. 187-204.

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